Premessa
Nel corso degli ultimi cinque anni abbiamo tentato di analizzare i principali fenomeni socio-economici e politici del capitalismo, ponendo attenzione alla loro genealogia, alla loro interiore articolazione, e infine al rapporto di interazione del singolo fenomeno con il tutto, quindi con la complessità di cui è una parte componente.
Riprendendo gli insegnamenti contenuti in precedenti analisi marxiste, pubblicate sulla stampa della corrente principalmente negli anni 40, 50 e 60, abbiamo tentato di comprendere vari aspetti dell’odierna società capitalistica, verificando la sostanziale applicabilità al presente storico delle chiavi di lettura contenute in quelle lontane analisi degli anni 40, 50 e 60. Abbiamo dunque copiato e applicato al presente capitalistico le chiavi di lettura elaborate in tempi lontani, a loro volta basate sul rigoroso restauro della teoria invariante marxista, sorta come un fascio di luce accecante sull’onda dello scontro di classe nella metà del 1800.
Chaos Imperium, Capitalismo, I.S e politica imperiale del caos, Dalla guerra come difesa e offesa…, The Duellists, Ragione di stato e dominio di classe, Scienza tecnologia e apparato militare-industriale, sono alcuni titoli di analisi in cui si cerca di fare luce nelle tenebre della società capitalistica( i testi sono presenti nel frontespizio del sito) .
Il lavoro che ci accingiamo a svolgere non parte da zero, ma si basa sulle acquisizioni conoscitive raggiunte nelle precedenti ricerche, tentando di offrire al lettore un quadro possibilmente verosimile ed esaustivo delle attuali tendenze di sviluppo della contesa fra blocchi di potenze capitalistiche.
Nel corso delle prossime settimane saranno pubblicati sul sito i capitoli dell’attuale ricerca, e dal momento che essa si pone come continuazione diretta dei temi già affrontati in ‘Capitalismo’, nel marzo 2017, riteniamo utile riproporre le conclusioni di quel lavoro, a modo di introduzione da cui ripartire.
Il tracciato di ‘Capitalismo’ è particolare, esso ripercorre i passi di precedenti ricerche allo scopo di definire un quadro generale delle tendenze socio-economiche contemporanee. Un quadro generale non è la verità assoluta, in termini scientifici esso è una approssimazione conoscitiva (anche se noi definiamo il marxismo la più efficace approssimazione teorica prodotta dalla lotta di classe, per le finalità di questa stessa lotta). Partendo dalle analisi contenute nel ‘Capitale’, particolarmente nel terzo libro, abbiamo evidenziato il rapporto fra riproduzione allargata, accumulazione, concentrazione e centralizzazione dei capitali, e modifica della composizione (tecnica e organica) del capitale aziendale. Questi processi si svolgono nel quadro economico-aziendale della concorrenza, sospingendo le imprese concorrenti alla continua ricerca di impieghi più efficienti ed efficaci delle risorse tecniche e umane impiegate. La sostituzione del lavoro umano con il macchinario serve ad alleggerire una parte dei costi aziendali, anche se nel medio-lungo termine determina la riduzione percentuale del saggio di profitto ( essendo la forza-lavoro il fattore generatore del plus-valore/profitto). Un effetto derivato dei processi economici anzidetti è la crescita progressiva dell’esercito industriale di riserva di proletari inoccupati, e quindi della miseria crescente (relativa e assoluta) di una parte consistente di proletari. Questo ultimo aspetto è intrecciato al doppio fenomeno del calo della domanda di beni e servizi, particolarmente imponente nei periodi di contrazione del ciclo economico, e allo sviluppo potenziale/attuale della mina sociale della forza-lavoro in eccesso (rispetto ai bisogni di valorizzazione del capitale). Su base economica il vulcano della produzione capitalistica si arena nella palude del mercato, la regolare produzione diventa sovrapproduzione e accelera la comparsa di fenomeni collegati e succedanei. In merito al secondo fenomeno, fermo restando che una riserva proletaria inoccupata è funzionale (fisiologicamente) alle esigenze produttive dell’economia, sia su base temporale (quando si manifesta un ciclo espansivo), sia su base spaziale (quando il capitale ha bisogno di forza-lavoro in un certo luogo), un eccesso di disoccupati diventa invece una mina sociale, pericolosa per l’equilibrio e il ricambio regolare dell’organismo capitalistico. In presenza di questo combinato negativo di cause ed effetti intrecciati, l’organismo socio-economico capitalistico genera degli anticorpi, rappresentati dalle varie forme assumibili (storicamente) dalla distruzione rigeneratrice. Il rituale ciclico di morte e resurrezione dell’accumulazione/valorizzazione del capitale, si manifesta infatti in forme e modi variegati di distruzione del capitale costante e variabile (guerre locali, mondiali, eliminazione di esseri viventi con la fame, le malattie, inflazione, crisi economiche-finanziarie …).
I periodi di crisi accentuano il grado di conflittualità fra i fratelli coltelli borghesi (a livello di semplice concorrenza aziendale, di contesa fra aree economiche infra nazionali, di lotta commerciale fra economie nazionali, o di confronto geo-politico fra aggregati/alleanze sovranazionali). Ognuno tenta di fregare il vicino, di assimilare le sue quote di mercato, i suoi capitali, le sue masse di produttori di plusvalore. In ‘Chaos imperium’ abbiamo ricordato che le potenze capitalistiche più forti cercano con vari pretesti (diffusione della democrazia e difesa dei diritti umani ad esempio), di appropriarsi delle risorse naturali del sottosuolo (petrolio) delle potenze più deboli. Il controllo delle aree petrolifere, delle risorse idriche, delle vie commerciali, può consentire anche a potenze in declino (gli USA) di mantenere una posizione di egemonia globale. Tuttavia il mutamento dei rapporti di forza fra gli attori emergenti dell’economia globale, nei confronti del traballante imperium americano, rende problematica, per quest’ultimo attore, la possibilità di mantenere il trono dell’egemonia. Il debito pubblico e privato americano corrisponde oggi al valore del debito pubblico mondiale, nel giro di dieci anni il debito pubblico USA è raddoppiato. La presenza di una forte componente debitoria, in associazione a un elevato grado di investimenti finanziari, insieme a una elevata incidenza del capitale costante nei processi produttivi, segnala l’esistenza di un capitalismo maturo, vicino alla senescenza. Le economie emergenti possono inizialmente dare un alito di vita a questo cadavere ambulante, offrendo ai suoi capitali in cerca di valorizzazione, delle enormi riserve di forza lavoro a basso costo. Tuttavia nel corso del tempo anche nelle economie emergenti si modifica la composizione organica del capitale aziendale, queste economie diventano adulte, si industrializzano, e allora il cadavere ambulante riparte alla ricerca (ma questa volta insieme alle nuove potenze economiche) di nuovi pascoli di valorizzazione (in altre aree geo-economiche). Il ciclo vitale delle economie emergenti, poiché avviene dentro la cornice di un capitalismo globale senescente, è più breve, più veloce del ciclo di vita delle prime economie capitalistiche. Il caso cinese è esemplare, in pochi decenni la Cina ha racchiuso lo sviluppo che in altre economie è durato un paio di secoli. Afflitta anch’essa da un pesante debito (pubblico e soprattutto privato), ma dotata di maggiori possibilità di investimento di capitali in giro per il mondo, essa percorre delle strade che gli USA difficilmente possono inseguire con successo. La ricetta che accomuna tutti i Players capitalistici, di fronte alla caduta del saggio di profitto e alla crisi, è, inizialmente, l’incremento dello sfruttamento della forza lavoro ancora occupata (plus-lavoro assoluto e relativo). Anche l’aumento della pressione tributaria, inteso come uno strumento per trasferire quote di reddito, risparmio e patrimonio, dalla classe proletaria al capitale finanziario titolare del debito pubblico (quindi per pagare gli interessi sulle cedole), si configura come sfruttamento aggiuntivo indiretto (rispetto a quello direttamente operato nei processi produttivi). Abbiamo analizzato, nel giugno 2016, la forma di plus-lavoro assoluto che l’economia capitalistica realizza con l’innalzamento dell’età pensionabile. E infine, nel mese di aprile 2015, abbiamo analizzato la forma di plus-lavoro assoluto realizzata con il lavoro gratuito, e obbligatorio dal punto di vista scolastico, dell’alternanza scuola lavoro.Come anticipato nell’introduzione, questo lavoro aveva il compito di raccogliere e riproporre le analisi contenute in vari articoli presenti sul sito. In questi articoli vengono colti degli aspetti importanti del capitalismo, quindi partendo da essi è stato possibile delineare un affresco generale del sistema in cui viviamo. Molti economisti borghesi ora riscoprono Keynes, richiedendo a viva voce l’intervento della mano pubblica nella economia, dopo decenni di retorica liberista. In realtà la loro conversione è solo la testimonianza dell’ingranaggio di sempre fra Stato ed economia. Il capitale nasce statale e non smette mai di essere supportato nel corso dei secoli dalle politiche economiche e fiscali, dalla legislazione amica, e infine dalla articolazione poliziesca e giudiziaria fondamentale per il rispetto delle norme. Il supporto di uno stato nazione al capitale nazionale si manifesta in due modi fondamentali: all’interno del territorio nazionale, come capacità di imporre il rispetto delle norme che regolano i rapporti di dominazione/subordinazione fra le classi sociali; e all’esterno del territorio come capacità di negoziazione diplomatica e di proiezione economica e militare a difesa degli interessi della propria borghesia. Questo schema esclude parzialmente gli stati vassalli di altri stati (imperiali), in questo caso il doppio supporto al capitale nazionale di cui parlavamo sopra, è subordinato, viene dopo, la soddisfazione degli interessi dello Stato guida imperiale. In questo senso potremmo anche convenire sulla teoria del capitale autonomo, ma al rovescio: uno stato nazione (vassallo) può essere costretto a rendersi autonomo dagli interessi del proprio capitale nazionale, per soddisfare i diktat di una alleanza a guida di uno stato imperiale (e quindi gli interessi del capitale supportato dallo stato imperiale). I rapporti di forza fra conglomerati di potenza strutturale e sovra-strutturale sono soggetti, nel corso della storia, a modificazioni, determinate da fattori economico-sociali e politico-militari. Le capacità produttive della struttura economica sono collegate alla potenza militare e al peso politico di una sovrastruttura statale, mentre le strategie interne e internazionali di un conglomerato ( sintesi di struttura/sovrastruttura) hanno lo scopo di assicurare alla borghesia (quindi al capitale) la non interruzione del processo di appropriazione di plusvalore (dentro il territorio nazionale e anche al di fuori di esso). Questo ultimo aspetto è correlato/condizionato in modo esplicito dai rapporti di forza esistenti fra borghesia e proletariato su base nazionale e internazionale, e dalla ripartizione della egemonia/potenza all’interno della classe dominante borghese (su base nazionale e internazionale).
Capitolo uno: uno schema interpretativo marxista
La struttura economica (forze produttive e rapporti sociali di produzione) e la sovrastruttura (stato,leggi, cultura) che caratterizzano una società esistono, nella realtà del divenire storico, non come fenomeni separati, ma come intreccio e relazione dialettica.
La macchina stato, quindi innanzitutto il complesso militare -industriale con l’annesso e funzionale apparato tecnico-scientifico, è sia l’espressione derivata di una società divisa in classi, sia la condizione necessaria alla conservazione del dominio di una classe sociale. Infatti, storicamente, senza il monopolio del ricorso alla violenza (latente o cinetica) nessuna classe sociale potrebbe conservare il proprio potere.
Quando alcune recenti posizioni teoriche sostengono lo svuotamento delle prerogative della sovranità statale, da parte del capitale monopolistico-finanziario, operano di fatto una deformazione della realtà.
Lo forza di uno stato è oggi l’espressione della potenza di una certa rete di interessi che accomuna vari soggetti e figure sociali, che noi definiamo come classe dominante. Sul piano storico lo stato (e la ragion di stato) è in fondo l’arma e lo scudo che consente a questa rete di interessi sociali parassitari di affermarsi (sui dominati) e di difendersi (dalle potenze parassitarie rivali).
La circostanza storica della circolazione di investimenti multinazionali nell’economia globale non significa affatto che il ‘capitale’ sia diventato autonomo dagli stati, o abbia indebolito la loro funzione di spada e scudo di una rete di interessi capitalistici. Due potenze economico-politiche capitalistiche possono fare affari fino a pochi minuti primi dello scoppio di una contesa militare, pensiamo ad esempio ai treni pieni di materie prime che dalla Russia sovietica procedevano verso la Germania nazista, ancora il 21 giugno 1941, giorno di inizio dell’operazione Barbarossa. Oppure agli intrecci di capitale azionario fra alcune imprese americane e tedesche nel periodo nazista.
Oggigiorno assistiamo regolarmente ad una serie di reciproci investimenti di capitale, nelle rispettive economie nazionali, da parte di potenze economico-politiche capitalistiche strategicamente avversarie. L’Irriducibilità del loro essere avversarie sta infatti nella persistenza di un piano di realtà sistemico del capitalismo, quindi nella persistenza delle leggi di funzionamento scoperte dal marxismo. Anarchia della produzione e concorrenza fra capitali differenti, e quindi contesa e conflitto interni alla stessa classe sociale dominante sono ricordati già nel Manifesto del 1848, dunque chi sostiene che gli stati si indeboliscono, di converso dovrebbe sostenere che si indebolisce anche il conflitto fra potenze statali capitalistiche. Sull’onda della vecchia teoria kautskiana, le teorie sul capitale autonomo e l’indebolimento degli stati, ipotizzano in fondo il superamento dell’anarchia della produzione e della concorrenza fra capitali, e in definitiva della società borghese, a mezzo di puri automatismi economici (economicismo), ignorando la grande lezione del materialismo storico che individua nella lotta di classe fra dominanti e dominati il motore della storia.
Capitolo due: Concentrazione e rafforzamento dello stato
«In particolare l’imperialismo, epoca del capitale bancario, epoca dei giganteschi monopoli capitalistici, mostra lo straordinario rafforzarsi della ‘macchina dello Stato’ e la inaudita crescenza del suo apparato amministrativo e militare, in seguito al rafforzarsi della repressione contro il proletariato, tanto nei paesi monarchici che nei più liberi paesi repubblicani».
Lenin ‘Stato e Rivoluzione’
L’articolo ‘Inflazione dello stato’ è stato pubblicato su ‘Battaglia Comunista’, n. 38 del 1949. In esso è contenuta la confutazione, ante litteram, delle posizioni che sostengono che nel mondo reale si stia verificando l’indebolimento degli stati.
Il testo del 1949, in effetti, sostiene anche che alcuni stati sono indeboliti e ridotti al rango di vassalli, dopo le due guerre mondiali, ma che al contempo è aumentata la potenza di pochi ‘bestioni statali’ imperiali (di cui gli stati indeboliti sono ora vassalli). Dunque si riconosce lo svuotamento sostanziale della sovranità di determinati stati nazione, ma solo a causa del corrispettivo rafforzamento di altri stati. Ecco un esempio di tali argomentazioni: ‘Il mondo capitalistico offre, invece, la decisa ininterrotta concentrazione su estensioni immense delle unità statali, e la dominazione sempre più totale delle grandi sulle piccole. Questo processo è del tutto parallelo all’aumento di ingerenza della macchina statale in tutte le fasi della vita delle popolazioni cui sovrasta, al diffondersi di tale influenza dal campo politico, di polizia, giuridico, sempre più esplicitamente e soffocatamente a quello sociale, economico e fisico’…’Alla vigilia della seconda guerra generale era già chiaro, sia per l’ulteriore evoluzione monopolistica del grande capitalismo, sia per quella della tecnica militare che sempre più richiedeva masse di mezzi economici formidabili, che ogni Stato avente pochi milioni di abitanti non poteva esercitare alcuna autonomia economica diplomatica o militare e doveva porsi nell’orbita e nella soggezione di uno più grande’.
Dunque nel testo del 1949 viene descritta una dinamica di segno opposto rispetto a quella contenuta negli scritti dei teorici dell’indebolimento degli stati. La macchina statale è vista come pervadente tutti gli aspetti della vita sociale, dunque ben lungi dal presupposto fenomeno dell’indebolimento (il fatto curioso consiste nella incoerenza di alcuni teorici dell’indebolimento, i quali da una parte dicono di richiamarsi alla nostra corrente marxista, e dall’altra sostengono posizioni lontanissime dai suoi capisaldi, come ad esempio quelli contenuti nel testo del 1949).
Anche nell’articolo degli anni 40 si affrontano le incoerenze insite in alcune posizioni politiche, anche se in parte di tipo differente da quelle attuali. Ecco un esempio ‘Una conquista così chiara e solida nel campo teorico e politico come la sistemazione della questione dello Stato in Marx Engels e Lenin – talché nel primo dopoguerra sembrava che il movimento comunista rivoluzionario dovesse lavorare su questioni di organizzazione e di tattica, ma mai più su questioni di programma – è seriamente compromessa quando si può permettere di dirsi esponente di partiti marxisti e leninisti chi prospetta e propone nel campo nazionale una intesa programmatica coi partiti borghesi sul piano della «costituzione»; sul piano internazionale una collaborazione storica e sociale tra Stati «proletari» e Stati capitalistici’.
Collaborazione fra partiti borghesi e partiti marxisti, oppure fra stati proletari e stati borghesi, in altre parole la vittoria politica del capitalismo, e la fuga nell’irrealtà di chi non comprende che un vero partito marxista e un vero stato proletario, ove esistessero davvero, sarebbero sempre combattuti senza tregua dalla loro controparte borghese.
Chiaramente questo tipo di problemi non si pone oggigiorno con la forza del passato, in una situazione in cui sulla scacchiera internazionale si muovono solo pedoni statali capitalistici, per non parlare della flebile presenza organizzativa delle forze politiche che si richiamano al marxismo.
L’importanza di ‘Inflazione dello Stato’ sta nel dimostrare la stretta connessione fra lo sviluppo monopolista e imperialista del capitalismo, e il rafforzamento e la concentrazione del potere statale in alcuni Moloch di grandi dimensioni territoriali, in possesso di un potente complesso militare e industriale, con annesso apparato tecnico scientifico. Ecco delle citazioni in merito :
‘ Lo Stato capitalistico, sotto i nostri occhi di generazione straziata da tre paci borghesi a cavallo di due guerre universali imperialistiche, spaventosamente si gonfia, assume le proporzioni del Moloch divoratore di immolate vittime, del Leviathan col ventre gonfio di tesori stritolante miliardi di viventi. Se veramente si potessero come nelle esercitazioni della filosofica speculazione personalizzare l’Individuo, la Società, l’Umanità, tutto l’orizzonte dei sonni di questi esseri innocenti sarebbe coperto dall’Incubo statalista’…
‘La sostanziale menzogna della costruzione giuridica e politica propria della dominante borghesia non può meglio essere posta in evidenza che con il ricordare la presentazione delle due guerre mondiali come lotte per le rivendicazioni di autonomia e di libertà di individui, di gruppi etnici e nazionali, di piccoli Stati nella loro sovranità illimitata. Si è invece trattato di tappe gigantesche e sanguinose nella concentrazione del potere statale e della dominazione capitalistica’.
Le tendenze di sviluppo del confronto fra potenze capitalistiche sono basate sull’azione dei moderni bestioni statali, i quali si muovono in base alle esigenze della rete di interessi della propria borghesia. In definitiva questi bestioni si rafforzano per concentrare sotto un unico comando mezzi militari e truppe, risorse naturali e capacità produttive, per poi controllare con mezzi adeguati il potenziale aumento del grado di conflitto interno, causato dalle contraddizioni del capitalismo (caduta del saggio medio di profitto, miseria crescente, incremento dell’appropriazione di plus-lavoro assoluto e relativo) e per difendere dalle minacce esterne (di altri bestioni statali/fratelli coltelli) gli interessi della propria borghesia.
Postilla
Una conquista così chiara e solida nel campo teorico e politico come la sistemazione della questione dello Stato in Marx Engels e Lenin – talché nel primo dopoguerra sembrava che il movimento comunista rivoluzionario dovesse lavorare su questioni di organizzazione e di tattica, ma mai più su questioni di programma – è seriamente compromessa quando si può permettere di dirsi esponente di partiti marxisti e leninisti chi prospetta e propone nel campo nazionale una intesa programmatica coi partiti borghesi sul piano della «costituzione»; sul piano internazionale una collaborazione storica e sociale tra Stati «proletari» e Stati capitalistici.
I nostri testi di base fanno anzitutto giustizia della visione dello Stato propria delle concezioni teocratiche ed autoritarie, e di quella propria delle vedute immanentistiche democratico-borghesi.
Entrambi i sistemi pongono a traguardo di tutta la corsa del pensiero e della storia la edificazione dello Stato perfetto ed eterno.
Nel Vecchio Testamento quale è ancora dogmaticamente accettato dalle chiese prevalenti in gran parte del mondo avanzato, lo stesso Padre Eterno è mobilitato a dettare a Mosé una vera e propria Costituzione per il popolo eletto in tutti i suoi dettagli. Nella organicità di questo sistema chiesa, giustizia, Stato ed esercito formano tutt’uno, sono perfino tracciate la statistica e la divisione amministrativa del territorio geograficamente definito, e le norme per passare a fil di spada i vecchi occupatori se non intenzionati a sgomberarlo. Verrà poi il cristianesimo ad allargare i confini del popolo eletto a tutta l’umanità, a distinguere la città di Dio dalla città di Cesare, la gerarchia sacerdotale da quella militare, ben guardandosi però dal rinnegare le norme di autorità di dominazione e di sterminio del primo e massimo dei profeti.
Nei nuovi sistemi del moderno critico pensiero borghese il dogma e l’autorità da rivelazione vengono scossi, ma fra tanti miti quello dello Stato rimane intatto e ancora più ossessionante. Da Lutero ad Hegel ad Hobbes a Robespierre si levano le definizioni del nuovo Leviatano, che Marx Engels Lenin verranno a deridere scarnificare e demolire: «realtà dell’idea morale» – «immagine e realtà della ragione» – «realizzazione dell’Idea», frasi che Lenin assimila a quella di «Regno di Dio sulla terra» nei reiterati violenti attacchi alla ignobile «superstizione dello Stato».
«Lo Stato è un prodotto della Società in una certa fase del suo sviluppo» (Engels). Lo Stato compare quando la società si divide in classi economicamente antagoniste, quando appare la lotta di classe. Lo Stato «è la macchina per l’oppressione di una classe su di un’altra» (Marx).
In tutti i paesi capitalistici, in qualunque parte del mondo e in qualunque periodo della loro storia, non potendovi essere capitalismo senza lotta di classe, questa macchina è presente, ed ha la stessa funzione di esercitare la «dittatura della borghesia» (Lenin) tanto nella monarchia come nella più democratica delle Repubbliche (Marx).
Diciamo una volta ancora che in questa nostra costruzione lo Stato della borghesia capitalistica non è l’ultima macchina statale della storia (come mostrano di pensare gli anarchici). La classe operaia non può «utilizzarla» (come sostengono tutti i riformisti ed opportunisti), deve «infrangerla», e deve costruire un nuovo Stato nella dittatura rivoluzionaria del proletariato.
Questo Stato operaio, dialetticamente opposto allo Stato capitalistico, andrà, nel corso della costruzione della economia comunista, dissolvendosi, sgonfiandosi, deperendo, fino a scomparire.
Si torni ora al processo storico di sviluppo del presente, concreto Stato capitalistico per vedere il suo corso storico, in attesa che si consumi secondo la visione marxista il suo affossamento, ed in seguito anche l’affossamento dello Stato senza aggettivi.
Lo Stato capitalistico, sotto i nostri occhi di generazione straziata da tre paci borghesi a cavallo di due guerre universali imperialistiche, spaventosamente si gonfia, assume le proporzioni del Moloch divoratore di immolate vittime, del Leviathan col ventre gonfio di tesori stritolante miliardi di viventi. Se veramente si potessero come nelle esercitazioni della filosofica speculazione personalizzare l’Individuo, la Società, l’Umanità, tutto l’orizzonte dei sonni di questi esseri innocenti sarebbe coperto dall’Incubo statalista.
Di questo Mostro pauroso noi (che al nostro Stato rivoluzionario prevediamo la dissoluzione graduale, l’Auflösung) di tempesta in tempesta attendiamo invece la Sprengung calcolata da Marx, la paurosa, ma luminosa Esplosione.
La nostra rivendicazione non è dunque quella di chiedergli di ingentilirsi, assottigliarsi e ridarsi una «linea» umana, ma di affrettare, sotto la pressione delle sue leggi interne inesorabili, e del loro odio di classe, la sua orribile enfiagione.
La inflazione dello Stato ha nel mondo modernissimo due direzioni, quella sociale e quella geografica, territoriale. Sono intimamente connesse. La seconda è fondamentale. Stato e territorio sono nati insieme. Engels nell’Origine della famiglia della proprietà e dello Stato dice infatti: Lo Stato in primo luogo si distingue dinanzi all’antica organizzazione della gens della tribù o del clan, per la ripartizione della popolazione secondo il territorio.
Ciò vale per lo Stato antico, per quello feudale, per quello moderno. Se Mosé dittatorialmente diede ad ognuna delle dodici tribù una precisa e sconfinata provincia della promessa terra di Israele, se Papi ed Imperatori investirono i Signori medievali di Terre e di Vassalli, i moderni civili e democratici Stati di oggi smistano tra i territori masse di popolazione come mandrie di bestie da lavoro, maneggiano come stock di merci folle di prigionieri di guerra, di internati politici, di profughi dalle invasioni, di rifugiati senza terra, di proletari emigrati; il Peplo della Libertà cui bruciano incensi è ormai intessuto di filo spinato.
Quanto alla estensione del territorio, il mondo antico ci presenta piccole unità statali ridotte alla città e grandi Imperi derivati da conquiste militari, il Medio Evo ci mostra piccoli autonomi Comuni e grandi complessi statali. Il mondo capitalistico offre, invece, la decisa ininterrotta concentrazione su estensioni immense delle unità statali, e la dominazione sempre più totale delle grandi sulle piccole.
Questo processo è del tutto parallelo all’aumento di ingerenza della macchina statale in tutte le fasi della vita delle popolazioni cui sovrasta, al diffondersi di tale influenza dal campo politico, di polizia, giuridico, sempre più esplicitamente e soffocatamente a quello sociale, economico e fisico.
Già in Stato e Rivoluzione (Cap. II Par. 2) Lenin dà di tale processo interno una decisiva analisi riferita a tutti i paesi d’Europa e di America, e soprattutto ai più parlamentari e repubblicani.
«In particolare l’imperialismo, epoca del capitale bancario, epoca dei giganteschi monopoli capitalistici, mostra lo straordinario rafforzarsi della ‘macchina dello Stato’ e la inaudita crescenza del suo apparato amministrativo e militare, in seguito al rafforzarsi della repressione contro il proletariato, tanto nei paesi monarchici che nei più liberi paesi repubblicani».
Parole scritte nel 1917.
La sostanziale menzogna della costruzione giuridica e politica propria della dominante borghesia non può meglio essere posta in evidenza che con il ricordare la presentazione delle due guerre mondiali come lotte per le rivendicazioni di autonomia e di libertà di individui, di gruppi etnici e nazionali, di piccoli Stati nella loro sovranità illimitata. Si è invece trattato di tappe gigantesche e sanguinose nella concentrazione del potere statale e della dominazione capitalistica.
Nella teoria del diritto borghese come sono salve all’individuo singolo una serie di illusorie prerogative di fronte al pubblico potere nel pensare, parlare, scrivere, associarsi, votare, in qualunque direzione – non nel mangiare! L’affamato potrebbe scegliere quella del desco cui siede il disinteressato corpo dei Soloni! – così è affermato che entro nei propri confini territoriali, girino essi dieci o diecimila chilometri, ogni Stato è sovrano e può amministrarsi come vuole.
Ma già nel quadro roseo e madreperlaceo della fine Ottocento si distingueva tra Grandi e Piccole Potenze. Lasciando stare l’America che «non faceva politica estera» in Europa se ne avevano sei, Inghilterra splendidamente sola, Russia e Francia nella Duplice Alleanza, Germania, Austria-Ungheria e Italia nella Triplice. In Oriente cresceva la forza del Giappone aspirante a controllare l’Asia, come già la falsa maltusiana America del Nord diffondeva la sua egemonia su quella del Centro Sud. Volta a volta già la storia aveva ridotto al rango di ex-potenze Svezia, Spagna, Portogallo, Olanda, Turchia…
A sentir le chiacchiere, esplose la guerra non già perché i più forti Stati capitalistici avessero fame di più vasti imperi e mercati, ma perché la sovranità di un piccolo libero Stato, la Serbia, era stata offesa dalla tracotanza del dispotico impero di Vienna.
La sconfitta dei tedeschi eliminò due potenze mondiali e la Rivoluzione Russa ne mise fuori causa una terza nel sistemare la pace. La bugiarderia liberale proclamò ai quattro venti la autodecisione delle piccole nazionalità e la liberazione delle genti oppresse. I cinque grandi Stati militari vincitori permisero la nascita, in apparenza, di piccole potenze nuove, più o meno storiche, nella vecchia Europa, non mollando tuttavia un chilometro quadrato dei loro propri imperi su genti della più varia lingua e colore. Polonia, Cecoslovacchia, Croazia e Slovenia (unite alla Serbia), Albania, Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania furono costituite in Stati «sovrani».
In effetti tutta questa pleiade di staterelli, in uno a quelli tradizionali, per i motivi e i caratteri del moderno organamento produttivo e mercantile mondiale, non servirono che a formare costellazioni di satelliti per le egemonie che tentavano di sorgere. Francia ed Inghilterra fecero in questo campo le loro prove dividendosi in sfere di influenza l’Europa centro-orientale, concordi tuttavia negli attentati alla Russia proletaria di allora; la stessa Italia scese in tale campo col successo ben noto, mentre negli Stati Uniti nell’Ovest e il Giappone nell’Est seguitavano a slargare i limiti visibili ed invisibili della propria dominazione.
Alla vigilia della seconda guerra generale era già chiaro, sia per l’ulteriore evoluzione monopolistica del grande capitalismo, sia per quella della tecnica militare che sempre più richiedeva masse di mezzi economici formidabili, che ogni Stato avente pochi milioni di abitanti non poteva esercitare alcuna autonomia economica diplomatica o militare e doveva porsi nell’orbita e nella soggezione di uno più grande. Risorgeva intanto la Germania e seguendo la legge storica generale – non inventandola come si faceva credere agli allocchi – riassorbiva i pezzi rimasti del dissolto Impero Austro-Ungarico (che, sia detto tra parentesi, se aveva la peggiore letteratura aveva pure la migliore più seria e più onesta amministrazione contemporanea). La Russia svolgendo un ciclo storico del massimo interesse partito dalla rivendicazione delle autonomie nazionali nel pieno della lotta tra vecchio e nuovo regime, si sistemava a sua volta in un potente complesso unitario statale.
Fu così evidente che nel nuovo gioco diplomatico e militare avrebbero contato solo i grossi bestioni statali, i quali solo potevano far conto su forze apprezzabili nella guerra soprattutto dei mari e dell’aria, lunga, ingombrante, costosa a preparare, richiedente oltre che immensi capitali grandi distanze geografiche tra le basi e i confini politici. Ne sanno qualcosa i paesi a popolazione fitta, cioè che hanno anche, con molta popolazione e magari ricchezza, relativa poca estensione. Anche tra le «grandi potenze» di ieri Germania Inghilterra Francia Italia Giappone, con vario esito politico, hanno dovuto subire tremendi pestaggi militari.
Anche questa guerra di più feroce dominazione e concentrazione di potere distruttivo fu presentata come rivendicazione di libertà e sovranità offese dai prepotenti nei «piccini» della storia. Si partì per impedire che Hitler sopraffacesse la libera Polonia, fresca ancora della riattaccatura con la colla democratica dei tre storici pezzi. Fu immediatamente rotta in due e divisa tra i due colossi che la fiancheggiavano. Sparito uno dei due, sta di nuovo in un solo pezzo al servizio di un solo padrone. La peggiore sorte per una romantica, generosa, civile e libera Nazione con la N grande è questa di oggi, la «spartizione in uno».
Gli Stati veramente superstiti sono quelli che hanno vinto nella corsa senza freni all’Inflazione territoriale. Si cominciò ben presto, pur senza rinunciare alla quotidiana litania alla libertà, a parlare di Grandi. Furono Tre, Quattro, Due o Cinque? Importa poco. Erano almeno otto alla partenza della guerra.
I veri Grandi sono quelli che alla vastità del territorio loro proprio e alla numerosa popolazione (per l’effetto di questi dati va seguita la Cina ove veramente vi sorgesse un grande Stato di tipo capitalistico moderno malgrado il profondo ibridismo sociale) aggiungono una vasta costellazione di Satelliti, lasciati a giocherellare colla finzione di Sovranità, mentre il loro personale dirigente è sempre più ubriacato corrotto e comprato nelle case da tè e da cocaina che sono i grandi convegni e consigli politici internazionali.
Caduta l’Italia nel satellitame più vile, Gran Bretagna e Francia vedranno se contentarsi del posto di primo Lord e prima Lady nella Costellazione Americana. Resta dall’altra parte la Costellazione russa, alle prese con qualche pianetino indisciplinato che vorrebbe saltare fuori dalla sfera di attrazione primitiva.
I Grandi Mostri sono così ridotti a due in sostanza. Andranno verso la unificazione col mezzo della Pace o con quello della Guerra? Sarà in ambo i casi tremendo. Ma sarà altrettanto tremendo che per la terza volta, dopo aver ciascuno divorato per metà le grandi e piccole specie zoologiche della carta politica della terra, si aggrediranno reciprocamente accusandosi di voler divorare la sacra libertà dell’ultimo topino.
«Battaglia Comunista», n. 38 del 1949
Capitolo tre: competizione e ammodernamento militare
‘Alla vigilia della seconda guerra generale era già chiaro, sia per l’ulteriore evoluzione monopolistica del grande capitalismo, sia per quella della tecnica militare che sempre più richiedeva masse di mezzi economici formidabili, che ogni Stato avente pochi milioni di abitanti non poteva esercitare alcuna autonomia economica diplomatica o militare e doveva porsi nell’orbita e nella soggezione di uno più grande’. ‘Inflazione dello stato’
Gli attuali budget di spesa delle maggiori potenze statali capitalistiche sono ragguardevoli.
Ecco un elenco delle spese globali della Difesa per l’anno 2016, riferito ad alcuni paesi molto attivi in questo campo di spesa.
1) Usa 622,035
2) Cina 191,752
3) UK 53,811
4) India 50,678
5) Arabia Saudita 48,686
6) Russia 48,446
7) Francia 44,349
8) Giappone 41,686
9) Germania 35,754
10) Corea del Sud 33,477
11) Australia 26,842
12) Italia 23,055
A livello mondiale, tenendo conto anche del bilancio di paesi non inseriti nella lista dei 12, sono stati spesi in totale 1570 miliardi di dollari. Questo dato rappresenta un incremento rispetto al 2015, secondo alcuni analisti del settore, nel 2018 dovrebbero essere recuperati i livelli di spesa precedenti alla crisi economico-finanziaria del 2008.
Il dato che subito emerge all’attenzione per l’anno 2016 è la spesa USA, intorno al40% del totale mondiale. Secondo alcuni analisti dal 2001 ad oggi gli USA hanno speso oltre 9350 miliardi di dollari.
Naturalmente i dati numerici vanno interpretati alla luce di ulteriori notizie e conoscenze, indispensabili per una valutazione verosimile.
Le spese per la difesa USA contengono una parte rilevante destinata al mantenimento delle molteplici basi militari distribuite ai quattro angoli del mondo, mentre questa tipologia di spesa è quasi assente negli altri paesi presenti nell’elenco. Il bilancio di spesa (preventivo e consuntivo) della Russia, relativamente basso, è dovuto anche alla svalutazione del rublo ( le spese vengono conteggiate in dollari) e in secondo luogo al fatto che una parte dei fondi destinati alle industrie militari, non sono contabilizzate nel bilancio ufficiale. Un dato significativo è rappresentato dall’incremento della spesa cinese, che passa dai 123 miliardi del 2010 ai quasi 192 miliardi del 2016. L’incremento è collegabile alla crescita economica e alla proiezione di potenza cinese verso l’oceano pacifico, e alle rivendicazioni territoriali nel Mar Cinese Meridionale ed Orientale. Il rafforzamento dell’armamento navale e missilistico cinese è collegato alla difesa preventiva delle vie commerciali marittime, come contraltare a questo rafforzamento si registra un dato di spesa complessivo, nei paesi che circondano il mare giallo, di 166 miliardi di dollari, con una previsione di crescita fino a 250 miliardi di dollari nei prossimi quattro anni.
Il budget dei Paesi dell’UE per il 2016 si aggirava intorno alla cifra di 219 miliardi di dollari, che in previsione diventeranno, nel 2020, 230 miliardi. Poca cosa rispetto agli incrementi di spesa dell’estremo oriente, dove invece si gioca una importante contesa fra Cina e USA, e più in generale fra blocchi sovranazionali di interessi politico-economici.
Capitolo quattro: Il capitale ( forse autonomo?) cinese investe in europa, preoccupando alti esponenti di stati capitalistici occidentali (forse indeboliti?)
Nel settembre 2017 abbiamo messo in rete una ricerca sugli investimenti di capitale cinese in Europa, documentando, cifre alla mano, la crescita avvenuta negli ultimi cinque anni, e il sensibile squilibrio dell’import/export globale fra Cina ed Europa, a tutto favore della crescita delle esportazioni di merci e capitali cinesi.
Si tratta di dati numerici inoppugnabili, che dimostrano la condizione di forza dell’economia capitalistica cinese, che non solo aumenta il volume di merci vendute annualmente in Europa occidentale, ma addirittura costruisce o ammoderna, nella stessa Europa, cioè in uno dei principali mercati di sbocco/vendita delle proprie merci le infrastrutture (porti e ferrovie) per trasferire e vendere le suddette merci.
Ci riferiamo innanzitutto al porto greco del Pireo e alla ferrovia che parte dall’Ungheria per proiettarsi ad ovest, verso i ricettivi mercati di Francia e Germania.
Se associamo a questi dati economici le notizie del capitolo precedente, in merito alla modesta crescita del Budget di spesa militare UE, in confronto alla crescita del budget di spesa cinese e dei paesi limitrofi, avremo un quadro interessante delle attuali tendenze all’indebolimento relativo, economico-politico, dell’area UE.
Ripresentiamo dunque il testo del settembre 2017.
Dopo il crollo del cosiddetto ‘sistema sovietico’ a cavallo fra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta del secolo scorso, la Nato ha esteso la sua presenza militare in varie nazioni dell’ex blocco sovietico. Ad esempio i Paesi baltici, la Polonia, la Repubblica Ceca, la Romania, la Bulgaria. In Ucraina stazionano istruttori militari occidentali. Il vecchio cordone protettivo del patto di Varsavia, che faceva da antemurale al centro imperiale storico della Moscova, è quindi svanito, dissolto, anzi si è trasformato nel suo opposto: un avamposto della Nato. LE DINAMICHE ECONOMICHE SI INTERSECANO CON QUELLE POLITICO-MILITARI: AL CALO DELLA PRESENZA ECONOMICA USA IN Europa, E NEL RESTO DEL MONDO, SI ASSOCIA LA CRESCITA BULIMICA DELLA NATO A GUIDA USA, mentre DI CONVERSO SI RAFFORZA IL DISPOSITIVO MILITARE INDUSTRIALE RUSSO E CINESE. Inoltre aumenta il peso DEGLI INVESTIMENTI CINESI IN PAESI COME LA GRECIA E L’UNGHERIA, E LA DIPENDENZA EUROPEA DALLE FORNITURE DI PETROLIO E METANO RUSSE.
La Cina sta investendo diversi miliardi in alcuni paesi dell’Europa dell’est, le stime giunte fino al 2015 parlano di quasi quattro miliardi. Quasi la metà di questa cifra risulta investita in Ungheria, dove serve a finanziare la costruzione della linea ferroviaria Budapest-Belgrado e altre infrastrutture minori. Lo scopo di queste realizzazioni infrastrutturali è quello di velocizzare la penetrazione delle merci prodotte in Cina nei mercati europei. Nel 2016 una grande compagnia di navigazione cinese ha comprato gran parte delle quote di proprietà del porto greco di Pireo, acquisendo il controllo di uno snodo commerciale importante del commercio marittimo nel mare mediterraneo. Le merci sbarcate nel porto di Pireo, ma anche quelle che giungono via terra (su gomma o su strada ferrata) dalla Russia e dall’Asia centrale, vengono poi trasportate prevalentemente per via ferrata ripartendo da Budapest, dove inizieranno un viaggio fino a Belgrado, per giungere infine sui mercati europei. La posizione geografica dell’Ungheria è ideale per il trasporto delle merci cinesi, poiché consente una notevole riduzione dei costi di distribuzione. Dunque gli investimenti infrastrutturali servono a creare un centro logistico per il deposito e lo smistamento delle merci indirizzate ai mercati europei. Da un punto di vista logistico-commerciale anche la Polonia e la Romania sono utilizzabili come snodi di collegamento con i mercati di sbocco-destinazione europei. Ora, a titolo di chiarimento del peso reale non solo dell’import-export commerciale fra Cina ed Europa possiamo esporre un altro dato di fatto: gli investimenti di capitale della Cina in Europa nel 2014 hanno superato quelli europei in Cina. Due anni dopo, ovvero nel 2016, vengono registrati i seguenti dati numerici: investimenti cinesi in Europa 35 miliardi di dollari, investimenti dell’Europa in Cina 8 miliardi. Una parte considerevole di questi investimenti di capitale monetario è servita per l’acquisto di aziende già avviate. Ad esempio nel 2015 ben 7 miliardi sono stati impiegati per rilevare un azienda produttrice di pneumatici. Nel 2016 invece 6,7 miliardi hanno consentito l’acquisto di una società di scommesse, e 4,4 miliardi sono serviti per l’acquisto si una società produttrice di robot, e l’elenco sarebbe ancora lungo.
Vedremo nel prossimo capitolo l’entità del disavanzo commerciale USA, rapportandolo all’avanzo commerciale cinese e anche di altri player capitalistici.
Affari e politica
Alcune menti acute della politica USA hanno individuato nella penetrazione di capitali cinesi in Europa una minaccia alle relazioni euro-americane, peggiore, per certi versi, delle rinnovate strategie competitive (sul piano geopolitico ed economico) della federazione russa. Politica e affari dunque. La penetrazione di capitali cinesi in Europa, ovvero lo Shopping di aziende europee già avviate, costituisce in prospettiva un fattore di cambiamento geopolitico poco gradito alla classe dominante USA. Il debito pubblico USA rende problematico il mantenimento di un sistema di basi militari su scala mondiale come quello attuale, le richieste ai partner europei di incrementare le quote annuali di finanziamento per la NATO sono una conseguenza delle difficoltà attraversate dall’economia USA. La ricetta USA per l’Europa prevede l’incremento delle singole quote di finanziamento NATO (a guida USA), l’offerta di vendita a prezzi più alti di altri fornitori del metano ottenuto con costi maggiori (scisto), la richiesta di sanzioni economiche alla Russia, con danno economico finale dei sanzionatori europei. Questo lo stato dell’arte di un rapporto diseguale (per usare un eufemismo) fra i soci dell’alleanza euro-americana. Comprensibile, dunque, che una parte non secondaria della borghesia capitalistica europea persegua i propri interessi economici continuando ad acquistare risorse energetiche – come il metano – dal migliore offerente (in questo caso la Russia), declinando invece le poco convenienti offerte statunitensi.
Anche la vendita di quote azionarie di aziende già avviate, o addirittura l’aumento del capitale sociale di S.P.A, grazie all’ingresso di nuovi soci-azionisti cinesi, incarnano delle normali strategie economiche miranti a salvare o semplicemente a rafforzare la posizione sul mercato di una impresa. Dunque il rafforzamento o il salvataggio di una impresa economica viene compiuto, all’interno dell’economia capitalistica, con i soggetti in grado di fare degli investimenti (conferendo beni, servizi o denaro), ed ovviamente interessati a fare l’investimento in quella certa impresa. Con buona pace dei cervelli fini USA che paventano scollamenti nell’alleanza euro-americana.
L’economia cinese è in grado oggi di compiere grossi investimenti di capitali all’interno di altre economie nazionali, una capacità di investimento che evidentemente gli USA non posseggono nello stesso grado del concorrente cinese. Analizziamo dei dati numerici. Riportiamo solo i dati sull’import-export commerciale USA di maggio: esportazioni 191 miliardi, importazioni 234,7 miliardi, dunque si registra un deficit di 234,7 -191= 43,7 miliardi. Consideriamo ora che il volume complessivo del disavanzo commerciale USA, accumulatosi nel corso del tempo, dal 2000 ad oggi, è di oltre 8.630 miliardi di dollari. Il maggiore incremento si è avuto negli anni successivi allo scoppio della crisi del 2008: 3.500 miliardi. Il capitolo doloroso del debito pubblico USA l’abbiamo già affrontato in ‘The duellists’ e in ‘Ruina imperii’. Presentiamo tuttavia i dati salienti di questa voragine in modo sintetico. Nei primi mesi del 2016 il debito pubblico americano ha toccato quota 19.200 miliardi di dollari, circa il 105% del PIL. Agli inizi del 2008 era invece di 9.200 miliardi, circa il 65% del PIL. Nel 2000 era ‘solo’ di 5.600 miliardi. Anche il debito delle corporazioni private non finanziarie (quindi incluse nell’economia cosiddetta reale) ha raggiunto i 6.600 miliardi di dollari, mentre era di ‘soli’ 3.300 miliardi nel 2007. Allo stato attuale dei conti il debito totale USA (governo federale, stati singoli, enti pubblici locali, attività economico-aziendali private, ipoteche e debiti delle famiglie) si avvicina alla cifra di 64.000 miliardi, mentre nel 2000 era di 28.600 miliardi. Grossa parte del debito pubblico è stato acceso semplicemente per impedire i fallimenti di imprese bancarie, commerciali e industriali dalle dimensioni aziendali medio-grandi.
Il quesito che si pone di fronte a questi dati oggettivi è il seguente: fino a che punto i patti dell’alleanza politico-militare euro-americana, vecchia di 70 anni, in presenza di un mutamento radicale dei rapporti di forza economici e politico-militari globali, possono continuare inalterati sugli stessi binari iniziali?
BRICS and go
BRICS è una sigla che racchiude le iniziali di cinque nazioni: Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa. La popolazione di queste cinque nazioni è quasi il 50% di quella mondiale, mentre il PIL realizzato dalle economie di questi paesi è oltre il 30% del PIL globale. Sarebbe errato, tuttavia, ritenere che l’alleanza dei BRICS sia attualmente serrata e stringente sul piano politico ed economico. Nel 2001 un economista previde che entro il 2040 le economie emergenti dei paesi Bric (il Sudafrica era ancora escluso) avrebbero superato quelle dell’occidente. In seguito la previsione dominante ha fissato al 2025 la data del superamento. Come affermato prima non esiste allo stato attuale un coordinamento /alleanza stringente fra i cinque paesi, fatta esclusione per la Cina e la Russia. Nel 2009 ci fu in Russia il primo vertice ufficiale dei BRIC. Nel 2013 si aggiunge il Sudafrica. Agli inizi di settembre 2017 il club si riunisce ancora una volta in Cina, il tema dell’incontro ė ‘Un partenariato più forte per un futuro più luminoso’. A livello attuale Brasile, India e Sudafrica sono ancora invischiati nel sistema monetario del dollaro, e di conseguenza negli istituti creditizi internazionali come FMI. Brasile e Sudafrica sono indebitati in dollari per quasi 300 miliardi totali. Tuttavia nel marzo 2013 è stata costituita la banca di sviluppo dei BRICS, un embrione di strumento creditizio comune, a cui ognuno dei cinque soci ha conferito una quota in dollari, per un totale di 100 miliardi. Inoltre la banca asiatica di investimento infrastrutturale, AIIB, a preponderante capitale cinese, costituisce a sua volta una alternativa di fatto ai finanziamenti del FMI. Come interpretare il fenomeno BRICS? Secondo la logica della centralizzazione capitalistica, naturalmente! Così come i singoli capitali aziendali aumentano le proprie dimensioni di partenza inglobando il capitale di aziende concorrenti sconfitte, o di aziende alleate, così le singole economie nazionali si associano in alleanze di interesse più o meno variabili. Lo scopo dell’alleanza è la tutela del reciproco interesse economico, la cui piena realizzazione implica anche accordi di tipo politico-militare. Russia e Cina sono già in una fase avanzata di alleanza strategica, mentre le altre componenti devono fare ancora diversi passi in direzione di una efficace alleanza politico-economica. Tuttavia le accelerazioni o i rallentamenti dipendono anche dalle mosse dei blocchi capitalistici rivali. Gli investimenti cinesi e le forniture energetiche russe in Europa sono un dato di fatto che scompagina la saldezza del blocco euro-americano. Non a caso le teste pensanti della politica USA rilasciano interviste preoccupate in merito a tale questione.
Capitolo cinque: Il grande gioco
Il temine ‘grande gioco’ racchiude da tempo immemorabile l’essenza della lotta per il potere.
Si parla beninteso di un gioco mortale, dai cui esiti può dipendere la distruzione di un giocatore, o addirittura del gioco stesso (guerra/apocalisse nucleare). Ai nostri giorni il grande gioco è innanzitutto lotta per il controllo delle risorse naturali, delle vie commerciali e del plus-lavoro di milioni di schiavi salariati globali. A tal fine il complesso militare industriale dei maggiori stati capitalistici (con annesso e funzionale apparato tecnico-scientifico) si rafforza, e concentra in se stesso la potenza necessaria a rendere effettuali (Machiavelli) le decisioni volte a tutelare la rete di interessi parassitari della propria borghesia (in termini aziendalistici correnti la sua vision e mission) , subordinando alla propria autorità immensi territori, grandi masse umane, e altri stati ridotti alla condizione di vassallaggio. Un articolo del 1951 (‘Libidine di servire’) definisce il gioco imperialistico ‘Big Dance’. Ovvero la grande danza fra gli immensi mostri statali dell’attuale epoca monopolistico-finanziaria, avvinghiati, come dice il testo del 1951, in una gara spietata di parassitismo.
Le guerre imperialistiche sono conflitti fra padroni di schiavi (Lenin), e infatti unica è la molla del parassitismo, e quindi della sopravvivenza (in quanto organismo parassitario), che spinge i Moloch statali alla ‘Big Dance’, o meglio al ‘Grande gioco’ della lotta per il potere.
Sinceramente sbagliata è da definire, di conseguenza, la posizione di talune sedicenti organizzazioni politiche ‘proletarie’, schierate con uno o con l’altro contendente imperiale, o con una frazione di borghesia nazionale in lotta per il proprio tornaconto, sotto la falsa bandiera dell’indipendentismo localistico o del fondamentalismo religioso.
Altro discorso è la possibilità di prevedere un vantaggio (per la lotta del proletariato contro la società borghese) dalla vittoria del contendente statale capitalistico X sul suo avversario statale capitalistico Y. In altre parole i due ipotetici apparati statali capitalistici concorrenti restano entrambi avversari di classe, ed entrambi vanno compresi e descritti come tali, anche se ciò non preclude le ipotesi sul minore o maggiore vantaggio (per l’avanzamento della causa proletaria) della vittoria di uno sull’altro.
Riproponiamo ora le analisi sul fenomeno imperialista contenute in un articolo del giugno 2016, in quanto preliminari e indispensabili per l’ulteriore sviluppo di una valutazione sulle tendenze/circostanze attuali del fenomeno (che svolgeremo nei prossimi due capitoli finali).
Postilla
‘I Big, anche quando non sono uomini e nomi, sono i vertici supremi di queste piramidi moderne di apparati esecutivi a vastissima base territoriale e di popolazione. Sono strutture gigantesche, con tutti i caratteri napoleonici: gerarchie immense di troupiers, di ronds-de-cuir, di flics e di chierici, reti inestricabili che avvolgono il mondo in una gara spietata di parassitismo‘. Tratto da ‘Libidine di servire’
Ormai si delinea sulla scena storica contemporanea, con sempre maggiore chiarezza, il confronto/scontro (o duello economico-militare) fra i più potenti e attrezzati blocchi capitalistici concorrenti (Russia-Cina/USA-UE). Attorno alle economie politiche in competizione (strutture economiche e sovrastrutture politico-statali) si addensa una rete variegata e mutevole di paesi alleati, succubi, vassalli e neutrali. Il concetto della guerra come continuazione della politica con altri mezzi non può essere escluso, preso atto della molteplicità di azioni, di tipo tattico e strategico, messe in atto dagli apparati statali di potenza della classe parassitaria borghese (nella sua competizione fratricida, innanzitutto per il controllo delle risorse energetiche e delle loro vie di trasferimento). L’attività politica degli stati, volta alla salvaguardia negoziata,’ pacifica’, di determinati interessi geo-economici, si alterna, storicamente, con l’azione bellica, mirante a superare gli ostacoli che la negoziazione politico-diplomatica non è riuscita a rimuovere. Questa duplicità di mezzi, complementari e necessari l’uno per l’altro, al fine della loro efficacia, caratterizza anche l’epoca storica borghese, dove tuttavia compare una funzione ulteriore della guerra (specifica al modo di produzione capitalistico): la distruzione di forza-lavoro e capitale costante in eccesso, ovvero la distruzione rigeneratrice del ciclo di valorizzazione del capitale morto. La guerra è solo uno dei momenti in cui si manifesta il tempo continuo della distruzione rigeneratrice, infatti anche fenomeni derivati dal modo di produzione capitalistico come fame, povertà, malattie, incidenti sul lavoro, svolgono la regolare funzione di eliminare la sovra-accumulazione capitale costante e variabile in eccesso. Una valvola di sfogo attraverso cui il sistema socio-economico mantiene un precario equilibrio (ma anche le crisi economiche servono, fra l’altro, alla distruzione rigeneratrice, e in questo senso sono funzionali all’equilibrio sistemico, consentendo tendenzialmente la concentrazione/centralizzazione dei capitali nelle imprese superstiti (1), e un maggiore livello di sfruttamento medio dei salariati, agente come controtendenza rispetto alla caduta storica del saggio di profitto). Un modo di produzione fondato su antagonismi socio-economici successivi, come ricorda più in basso il testo che rimanda alla nota 1, dunque innanzitutto l’antagonismo di classe, fra borghesia e proletariato, e poi quello fra il grado di sviluppo delle forze produttive associate e l’arretratezza dei rapporti di produzione basati su aziende/capitali concorrenti, che dominano e controllano il processo produttivo al fine unico di estorcere plus-lavoro ai proletari. Dirà infatti un altro testo della corrente (anni 50) che non è tanto la proprietà privata dei mezzi di produzione (o viceversa il controllo/possesso ‘pubblico’ di essi da parte dello stato borghese), a definire una economia capitalistica in quanto tale, ma la dominazione del processo produttivo (da parte di un capitale ‘pubblico’ o privato), allo scopo fondamentale di ricavare da esso un plus-lavoro/plus-valore (nell’interesse esclusivo di una minoranza di parassiti sociali). Sono esemplari e chiarificatrici, in tal senso, le pagine di Marx sul ruolo dello stato e del debito pubblico nell’accumulazione originaria, e alcuni testi della corrente recentemente ripubblicati (da noi), in cui si rimarca il ruolo dello stato come forza propulsiva del nascente capitalismo nelle repubbliche marinare italiche. Dunque il capitalismo (nella sua complementarietà funzionale di sfera pubblica e privata) va inteso come forza di dominazione sul processo produttivo, quindi come dominio fattuale sulla vita stessa (intendendo con il termine vita, innanzitutto, l’attività di lavoro dell’homo faber’, la capacità umana di trasformazione/interazione con l’ambiente naturale al fine di ottenere i beni d’uso indispensabili alla riproduzione biologica). Le società classiste tuttavia hanno storicamente deformato questo processo vitale primario, convertendolo in una attività funzionale all’esistenza di una classe di dominatori, dai nomi e dalle funzioni socio-economiche parzialmente differenti (padroni di schiavi/feudatari/capitalisti), in un rapporto determinato con il succedersi storico dei differenti modi di produzione. Anche la guerra rivela aspetti comuni e aspetti specifici nel corso dei periodi storici, gli aspetti specifici sono in correlazione diretta con un certo modo di produzione.
In ogni caso è possibile ipotizzare/attribuire una doppia funzione storica alla guerra, essa può essere intesa come un mezzo per raggiungere degli obiettivi geo-economici altrimenti non raggiungibili con la negoziazione/trattativa politica ordinaria (aspetto storico comune a periodi diversi), e insieme come un mezzo per realizzare il bisogno sistemico di distruzione di capitale costante e variabile in eccesso (in relazione ai parametri di profitto funzionali all’esistenza del parassitismo borghese, dunque un aspetto storico specifico della società capitalistica).
Detto questo può essere utile, per la conoscenza del quadro recentissimo degli eventi (La BIG DANCE), analizzare, sulla base di alcuni dati facilmente reperibili in rete (e da noi ponderati e scremati), le mosse e gli aspetti più rilevanti del posizionamento/rafforzamento militare degli attuali apparati di potenza della classe borghese mondiale.
Abbiamo recentemente parlato del posizionamento di un sistema antimissilistico della nato sul territorio di alcuni ex paesi del patto di Varsavia, evento interpretato dal governo russo come un atto aggressivo. Sono lontani i tempi in cui qualcuno prefigurava l’ingresso della Russia nella nato, il capitalismo, è vero, ha storicamente avuto dei momenti effimeri di apparente concordia fra i vari attori statali internazionali, eppure alla fine, è sempre riemersa la vorace competizione fra i fratelli coltelli borghesi (in maggior grado nelle fasi di contrazione della sua economia di sfruttamento della forza lavoro). Grosso modo dalla fine della seconda guerra mondiale, l’armamento nucleare in dotazione quasi esclusiva dei due Moloch statali di USA e Russia, ha spinto i due capitalismi a un confronto/scontro dissimulato, per procura, su teatri bellici lontani dal proprio territorio (Corea, Vietnam, Angola, Cambogia, Afghanistan, medio oriente…). Dalla fine/ristrutturazione del preesistente capitalismo ‘sovietico’, abbiamo registrato nuove conflittualità indirette fra USA/Russia in Cecenia, Georgia, Ucraina, Siria, e via discorrendo. Ipotizziamo, senza nessuna certezza assoluta, è chiaro, che il conflitto inter-imperialistico debba procedere sui consueti binari di confronto indiretto ( a meno di non ritenere possibile un conflitto nucleare limitato, locale, in cui la parte colpita dal limitato attacco avversario si astenga da una risposta di uguale o superiore intensità). In realtà è prevedibile che sotto la spinta dell’esigenza funzionale di distruzione di capitale vivo, e di capitale costante sovraccumulato (merci, macchinari…), e in considerazione dell’esigenza geo-economica di controllo delle risorse energetiche, delle materie prime e delle loro vie di trasferimento, si registri una intensificazione del livello quantitativo e qualitativo dei conflitti già in atto, con il corollario dello scoppio di nuovi conflitti nei potenziali teatri bellici esistenti (Nagorno-Karabak, Donbass, Transdnistria, mare meridionale cinese …). Il conflitto potrebbe coinvolgere su un piano di scontro con armamento convenzionale (non nucleare) anche le forze armate dei due Big, d’altronde questa ipotesi rientra nel novero delle cose verosimili, in fondo coerente con la logica di potenza perseguita dai differenti apparati militari-industriali della classe borghese, finalizzati all’ampliamento della propria potenza e non alla distruzione apocalittica di tutta la vita ( e quindi anche dell’esistenza della minoranza borghese di cui sono lo strumento principale di domino e conservazione).
Ancora dal testo ‘Libidine di servire’: ‘Con questi tratti profetici il militarismo prende il suo posto nella macchina esecutiva: “Questo potere, con le sue mostruose organizzazioni burocratiche e militari, con il suo esteso ed artificiale meccanismo governativo, con un esercito di mezzo milione di impiegati accanto ad un altro di mezzo milione di soldati, questo terribile ingombro di parassiti, avvince come in una soffocante membrana il corpo della società francese e ne ostruisce tutti i pori (Marx)“. Noi, che siamo nei pori della società moderna, ben sappiamo tutti che sotto e sopra l’acqua, sulla terra e nell’aria, ad ogni passo e svolto per le vie della città e i solchi della terra, le propaggini di questa membrana stringono, premono e soffocano tutto‘.
Parliamo di conflitti fra centri capitalistici, con una proiezione sovranazionale, dunque imperiale, eppure l’imperialismo non ha caratterizzato solo l’epoca borghese, infatti, come è ricordato nel testo ‘L’Imperialismo delle portaerei’:’ ‘L’imperialismo, nel suo aspetto generale di conquista e dominazione di organismi politici ed economici, da parte di un centro statale superiore, non è fatto esclusivo del capitalismo. A prescindere dal loro contenuto sociale, esistono numerosi tipi dello stesso fenomeno storico: un imperialismo asiatico, un imperialismo greco-romano, un imperialismo feudale e finalmente un imperialismo capitalista. Agli operai rivoluzionari interessa, soprattutto, la differenza sostanziale che distingue l’imperialismo capitalista dal suo contrapposto storico, e cioè l’imperialismo feudale.
Sempre tacendo le altre differenze fondamentali, l’imperialismo feudale e l’imperialismo capitalista si distinguono nettamente in quanto l’uno si manifestò in costruzioni statali che avevano un fondamento territoriale e terrestre, mentre l’altro si presentò sulla scena storica soprattutto come dominazione mondiale fondata sulla egemonia navale, e quindi sul dominio delle grandi vie oceaniche. Sotto il feudalesimo, poteva esercitare una funzione imperialistica il potere statale che disponeva del primato militare terrestre; sotto il capitalismo, invece, che è il modo di produzione che ha portato ad altezze inaudite la produzione di merci ed esasperato fino all’inverosimile i fenomeni del mercantilismo già insiti nei precedenti modi di produzione, l’imperialismo è connesso al primato navale, oggi divenuto primato aeronavale’. L’IMPERIALISMO DELLE PORTAEREI.
‘Imperialismo capitalista è anzitutto egemonia nel mercato mondiale. Ma, per conquistare tale supremazia, non bastano una possente macchina industriale e un territorio che le assicuri le materie prime. Occorre una grandissima marina mercantile e militare, cioè il mezzo con cui controllare le grandi vie intercontinentali del traffico commerciale. Gli avvenimenti storici mostrano infatti come la successione nel primato imperialista sia strettamente legata, in regime di mercantilismo capitalista, alla successione nel primato navale…l’imperialismo borghese è l’imperialismo delle flotte, perché il suo regno è il mercato mondiale. Chi possiede l’egemonia mondiale nel campo navale si abilita all’egemonia nel campo del commercio mondiale, che è il vero fondamento dell’imperialismo capitalista. Due guerre mondiali provano come l’imperialismo degli eserciti ceda inevitabilmente il terreno all’imperialismo delle flotte. Due volte potenze terrestri come gli Imperi Centrali e l’Asse nazi-fascista si sono misurate con le potenze anglosassoni, superiori nel mare e nell’aria, e due volte sono uscite dal conflitto totalmente sconfitte..L’IMPERIALISMO DELLE PORTAEREI.
Il testo analizza nel dettaglio le logiche imperiali in divenire negli anni del dopoguerra, riportiamone ancora un estratto: ‘L’imperialismo americano si presenta come la più pura espressione dell’imperialismo capitalista, che occupa i mari per dominare le terre. Non a caso la sua potenza si fonda sulla portaerei, nella quale si compendiano tutte le mostruose degenerazioni del macchinismo capitalista che spezza ogni rapporto tra i mezzi di produzione e il produttore. Se la tecnica aeronautica assorbe i maggiori risultati della scienza borghese, la portaerei è il punto di incontro di tutti i rami della tecnologia di cui va orgogliosa la classe dominante. Coloro che sono abbacinati dall’imperialismo russo fino a dimenticare la tremenda forza di dominazione ed oppressione della potenza statunitense, rischiano di cadere vittime delle deviazioni democratiche e liberaloidi che sono il peggiore nemico del marxismo. Non a caso la predicazione liberal-democratica ha il suo pulpito maggiore nella sede del massimo imperialismo odierno. Essi non vedono come la Russia, il cui espansionismo si svolge tuttora nelle forme del colonialismo (occupazione del territorio degli Stati minori), è ancora alla fase inferiore dell’imperialismo, l’imperialismo degli eserciti, cioè il tipo che per due volte è stato sconfitto nella guerra mondiale. Dicendo ciò, non si cambia una virgola alla definizione che diamo della Russia: Stato capitalista. Si constata un dato di fatto. Tutti gli Stati esistenti sono nemici del proletariato e della rivoluzione comunista, ma la loro forza non è eguale. Quel che conta soprattutto per il proletariato, il quale vedrà coalizzarsi contro di lui tutti gli Stati del mondo appena si muoverà per conquistare il potere, è prendere coscienza della forza del suo più tremendo nemico, il più armato di tutti e capace di portare la sua offesa in qualunque parte del mondo. Vuol dire soltanto che, nel confronto delle potenze imperialistiche, o aspiranti all’imperialismo, è al primo posto la potenza che possiede la flotta più grande. È questa che, ai fini della conservazione e repressione capitalista, riveste un’importanza maggiore. Orbene, quale potenza mondiale può oggi svolgere operazioni di polizia di classe in qualsiasi parte del mondo, se non quella che possiede la maggior forza e mobilità? La Russia, dunque? No, anche se gli avvenimenti ungheresi sembrano averle consegnato il diploma di primo gendarme della controrivoluzione mondiale. Invero tale compito può essere svolto unicamente dagli Stati Uniti, cioè dall’imperialismo delle portaerei. Per essere precisi: delle cento portaerei’. L’IMPERIALISMO DELLE PORTAEREI.
Di fatto è vero, anche oggi, anno 2016, che la Russia non possiede una flotta di portaerei paragonabile a quella del rivale americano, tuttavia nel corso dei decenni successivi agli anni 50, il complesso militare -industriale russo ha sviluppato in modo letale l’arma sottomarina (proprio in funzione di contrappeso e deterrenza, nei mari, alla strapotenza americana delle ‘cento portaerei’). Inoltre ha elaborato un suo meccanismo di proiezione di forza in angoli lontani del mondo.
Ricordavamo, nel maggio 2015, l’esistenza di un avanzato progetto di aereo/cargo da trasporto di mezzi corazzati, che dovrebbe consentire alla Russia di trasferire un armata corazzata, e relative truppe di supporto, nel tempo massimo di 24 ore in ogni angolo del mondo. Il progetto dovrebbe diventare pienamente operativo entro dieci anni. Ecco le considerazioni di allora, maggio 2015: ‘Già dalle premesse l’articolo degli anni 50 definisce il contesto di enunciazione storico-sociale dell’oggetto: imperialismo feudale, con base di forza territoriale e terrestre, e imperialismo capitalista, con base di forza navale e poi successivamente aero-navale ( e poi, forse, se dovessimo credere alla fattibilità del progetto russo di cargo supersonico, semplicemente aero-corazzato). L’attuale sistema economico-sociale, che ‘ha portato ad altezze inaudite la produzione di merci ed esasperato fino all’inverosimile i fenomeni del mercantilismo già insiti nei precedenti modi di produzione’, ha un bisogno fisiologico di proiettarsi su un piano di controllo globale dei mercati di merci, materie prime e forza-lavoro: i centri di potere imperiale sono dunque intenti a una guerra guerreggiata, per ora, assicurandosi adeguati strumenti militari ed economici di dominazione. Le portaerei sono il segno politico e il mezzo militare che attualizza la potenza in divenire della classe borghese, il suo dispositivo di controllo, lotta e asservimento imperiale, sia verso i concorrenti borghesi sia verso i nemici proletari. La portaerei rappresenta la possibilità realizzata che il comando e la rapina capitalista colpiscano come un fulmine i territori, le nazioni, e le aree critiche che dovessero costituire una preda appetibile o un problema da risolvere. Negli anni 50 la superpotenza americana costituiva senza ombra di dubbio la compagine statale più adeguata a svolgere ‘operazioni di polizia di classe in qualsiasi parte del mondo’. Abbiamo constatato che anche in anni recenti le portaerei americane hanno svolto il ruolo di ‘forza di dominazione ed oppressione della potenza statunitense’. Pensiamo alla prima e seconda guerra del golfo, o ai vari interventi nelle aree calde del globo (Libia,Siria, Afghanistan, Iraq…). Tuttavia i rapporti di forza fra gli attori capitalistici non sono statici, ma dinamici, e quindi anche in presenza di un perdurante attivismo militare americano, sembra che qualcosa si stia muovendo nel campo imperialista avversario. Riportiamo a motivo di esempio un articolo tratto da ‘Analisi difesa’ del 14 aprile 2014, ‘Si chiamerà PAK-TA (proseguendo la similitudine con i progetti PAK-FA e PAK-DA, rispettivamente caccia e bombardiere di quinta generazione) il progetto relativo ad un nuovo aereo da trasporto militare russo. Secondo quanto dichiarato a ITAR-TASS da Viktor Livanov, Direttore Generale del JSC Ilyushin Aviation Complex, alcune aziende del complesso militare-industriale russo avrebbero iniziato a lavorare sul nuovo aereo. Il progetto in questione dovrebbe essere ultimato entro la fine del prossimo decennio e l’aereo potrebbe essere consegnato ai reparti entro il 2030. “I requisiti specifici per il PAK-TA saranno resi noti dopo le ovvie consultazioni con le forze aeree russe; i primi disegni hanno permesso di elaborare diverse soluzioni che attualmente sono analizzate dal centro di ricerca TsAGI (Istituto Centrale di Aero-idrodinamica) – N.E. Zhukovsky” Livanov ha dichiarato inoltre che il programma di ricerca scientifica per il PAK-TA è svolto dagli specialisti dello TsAGI insieme a personale del JSC Ilyushin A.C. e tecnici dell’OKB Myasishchev’.
Il linguaggio circospetto e prudente di analisi difesa si scioglie nell’inno di lode tecnologica del corriere della sera del 21 mar 2015 ‘Iniziamo da qualche numero, impressionante: volerà a velocità supersoniche, quasi 2000 chilometri all’ora, e potrà trasportare un carico di 200 tonnellate, ossia (con un’intera flotta) fino a 400 carri armati da combattimento (quelli di ultima generazione del progetto russo «Armata»). A confronto: il C-5 Galaxy, il più grande aereo cargo dell’esercito statunitense, può trasportare “solo” 120 tonnellate di peso e raggiungere gli 833 chilometri orari. Velocità così elevate sono al momento limitate solo agli aerei caccia, come l’F-22 Raptor (2.410 km/h). Il nome di questo aereo da trasporto (che sembra uscito da una pellicola di fantascienza) è «PAK-TA». La Commissione militare-industriale della Federazione russa prevede la produzione di 80 aeromobili entro il 2024. Ma c’è di più: attraverso un turbo gas e un motore elettrico, l’aereo ibrido (ibrido!) vanta un’autonomia di non meno di 7.000 chilometri. In altre parole: con questa flotta da trasporto pesante, l’esercito russo – ipoteticamente – potrebbe essere in grado di trasportare mezzi militari, uomini e munizioni in qualsiasi parte del mondo’. Siamo quindi alla fase di sviluppo e realizzazione avanzata di un progetto militare di controllo e dominio globale, paragonabile negli scopi e negli effetti all’imperialismo delle portaerei. Che tale progetto veda la luce in tempi medio-lunghi, 10 anni, o addirittura in meno di 10 anni, è nel novero delle cose possibili. La Russia attuale opera nel contesto di un blocco di stati capitalistici, in forte espansione politico-mercantile, come l’India, la Cina, il Brasile…in grado di proporsi in veste di centro economico-finanziario concorrente della superpotenza americana e dei suoi alleati. Abbiamo in precedenti articoli analizzato, dati numerici alla mano, le tendenze di sviluppo dell’economia cinese nei confronti di quella americana. Tali tendenze sono indicative di un certo declino della superpotenza statunitense (anche se essa continua a impersonare un ruolo fondamentale nel quadro internazionale). Qualunque sia l’esito non scontato di questa contesa fra blocchi imperiali, vale la pena di ricordare le parole finali dell’articolo sulle portaerei. ‘La borghesia non si può abbattere nazione per nazione, Stato per Stato, ma solo attraverso la rivoluzione dei continenti e l’abbraccio insurrezionale dei proletariati al di sopra delle frontiere. Quale garanzia di durata avrebbe uno Stato rivoluzionario del proletariato sorto in una parte qualsiasi del mondo, ove l’imperialismo americano (o del blocco avversario n.d.r) fosse in grado di maneggiare dagli oceani (o dai cieli n.d.r) le sue spaventose armi di distruzione? Per schiacciare la potenza repressiva del capitale occorrerà che il proletariato si rivolti in armi alla scala mondiale contro la classe dominante. Esiste allora una sola “via” al socialismo: quella internazionale ed internazionalista.
L’imperialismo americano, con le sue cento portaerei, non monta la guardia soltanto alla propria sicurezza nazionale. Esso monta la guardia al privilegio capitalista in ogni parte del mondo, dovunque il proletariato rappresenti una minaccia alla conservazione borghese Perché mai, di fronte alla classe nemica che unifica la sua difesa, il proletariato dovrebbe frazionare le proprie forze nell’ambito delle varie nazioni? La superba flotta navale americana, che oggi terrorizza il mondo, diventerà un ammasso di ferrivecchi se il vulcano della Rivoluzione riprenderà ad eruttare. Ma bisognerà che l’incendio, si appicchi alle nazioni e ai continenti: all’Europa, all’Asia, all’Africa, ma soprattutto all’America. Vedremo allora che cosa diventa una super-portaerei atomica quando l’equipaggio innalza la bandiera rossa’. L’IMPERIALISMO DELLE PORTAEREI.
Torniamo ora allo sviluppo in atto, a breve e medio termine, degli schieramenti e armamenti necessari alle politiche di potenza (e di oppressione sociale) dei principali apparati militari-industriali (con il supporto fondamentale di scienza e tecnica vassalle).
Ricordavamo che la nato ha dislocato nell’est europeo, immediatamente a ridosso o nelle vicinanze delle frontiere russe, un certo numero di forze d’intervento rapido e di divisioni meccanizzate, e in ultima il dispiegamento di una rete antimissile. La fascia protettiva di paesi dell’ex patto di Varsavia, a ovest, si è dunque trasformata in minaccia potenziale alla sicurezza della Federazione Russa (almeno nella percezione e nelle dichiarazioni della dirigenza politico-militare di quel paese). Di fronte alla percezione di una minaccia potenziale da ovest il complesso statale russo elabora risposte dissuasive, deterrenti, ufficiali e dichiarate. Nel classico stile ‘se vuoi la pace prepara la guerra’, le autorità politico-militari russe hanno comunicato lo schieramento, nel distretto militare occidentale, della Prima Guardia Corazzata (in precedenza, invece, solo poche brigate presidiavano questo distretto). Questa grossa unità comprende (riprendiamo dalla rete) la seconda Guardia di fucilieri motorizzati “Taman”, la quarta guardia corazzata “Kantemirov”, la sesta brigata corazzati, la ventisettesima Guardia motorizzata di fucilieri “brigata Sevastopol”. La Prima Guardia Corazzata è al momento equipaggiata con carri armati T72B3 e T-80, che in prospettiva verranno rimpiazzati con i nuovi T-14 Armata. La copertura aerea di questa forza corazzata è garantita dai moderni elicotteri da attacco Ka-52 e Mi-28 (presenti operativamente anche in Siria). Se la prima armata corazzata della guardia ha una funzione evidente di difesa e contrattacco, nell’ipotesi dell’attualizzazione di una minaccia da ovest, la risposta russa al sistema antimissilistico NATO/USA, schierato nell’est europeo, è incentrata invece sul recente sistema missilistico tattico Iskander-M, in grado di colpire le basi di partenza di un eventuale attacco missilistico. Infine, dulcis in fundo, nell’ipotesi malaugurata di un precipitare catastrofico degli eventi politico-militari, esiste l’RS 28 SARMAT, non intercettabile da alcun attuale scudo antimissile, in grado di colpire territori nemici a molte migliaia di Km di distanza, trasportando fino a 15 testate, che possono devastare un area di vaste dimensioni (migliaia di KM quadrati).
E’ curioso il richiamo, nello stesso nome Sarmat, ai bellicosi abitanti degli Urali meridionali, delle steppe del Volga e del Kazakstan, popolazioni facenti parte della famiglia linguistica indoeuropea iranica. Un richiamo storico alla potenza scatenata di tribù e popoli non imbrigliati facilmente dagli eserciti delle potenze dell’epoca, proprio come il missile intercontinentale RS 28 SARMAT, in grado di portare il suo devastante messaggio di morte fino al cuore stesso dell’impero avversario.
(1) Il chiodo dei revisionatori di Marx era che questi avesse incominciato in materia a revisionare il sé stesso del 1848, nello scrivere il Capitale. La prova che non avevano mai capito un Kolaroff sta nel fatto che Marx stesso tiene in questo passo a citare in nota il suo scritto anteriore allo stesso Manifesto: La Miseria della Filosofia scritta contro la Filosofia della Miseria di Proudhon nel 1847. Il rimando di nota è posto subito dopo le parole: “Questo carattere antagonistico della produzione capitalistica“.Il passo autocitato in nota dice che i rapporti di produzione attuali“producono la ricchezza della classe borghese solo annientando continuamente la ricchezza di singoli membri di questa stessa classe, e creando un proletariato sempre più numeroso“. Battaglia Comunista n. 39 del 1949 .LOTTA DI CLASSE E “OFFENSIVE PADRONALI”
Capitolo sesto: Caos e volontà di dominio
I giocatori imperiali utilizzano senza scrupoli tutte le armi a loro disposizione, anche l’arma geopolitica del ‘divide et impera’, alias politica del caos, alias destabilizzazione, alias ‘regime change’.
Il piano ideologico della volontà di dominio imperiale è in sostanza multiforme, e utilizza le narrazioni più appropriate al contesto di confronto/scontro con altre potenti volontà di dominio. Esportazione della democrazia e difesa dei diritti umani universali vengono propinati ricorrentemente, da un blocco imperiale capitalistico, per interferire militarmente nella vita di alcuni paesi non coerenti o discordanti con la rete di interessi economici e politici dello stesso blocco imperiale. La politica di dominio del blocco imperiale X, a sua volta, forma la base della narrazione ideologica del blocco capitalistico avversario Y, che si propone invece come semplice oppositore della volontà egemonica (reale) dell’avversario, in nome di un mondo multipolare fondato su pacifiche e convenienti relazioni fra potenze capitalistiche (come se la volontà di dominio, all’interno del capitalismo globale, potesse riguardare solo uno degli attori geopolitici del grande gioco/big dance).
Di fatto, le potenze statali capitalistiche, nel loro gioco mortale di dominazione, sono guidate dagli stessi imperativi di sopravvivenza, e dunque tendono a giustificare nel nome della ‘ragion di stato’ qualunque mezzo necessario a conservare lo status quo di una certa rete di interessi, propagandando ovviamente alle masse una versione edulcorata e non perturbante delle cause dei ricorrenti interventi contro l’avversario di classe proletario interno, o dei ricorrenti attriti e scontri con altre entità statali capitalistiche esterne, sotto forma di guerra dichiarata, guerra per procura, guerra dissimulata e via dicendo.
Nel corso del tempo, sotto l’influenza delle sconfitte o delle vittorie conseguite sui campi di battaglia dai due principali players capitalistici globali, si manifestano dei riposizionamenti anche all’interno della costellazione di stati vassalli dell’uno o dell’altro BIG. Abbiamo già analizzato pochi mesi addietro questo aspetto collaterale del grande gioco, per cui riteniamo utile ricordare in questa ricerca il lavoro già effettuato allora, indispensabile per giungere alle conclusioni nel successivo capitolo finale.
Postilla
Gli appetiti, e vitii del Principe di una Monarchia sono da esser molto temuti: perché non si raffrenando è forza, che venga ad essere la ruinadel suo Imperia… (Machiavelli)
Negli ultimi due anni, in seguito all’intervento militare russo in Siria, e alle batoste inferte alle variegate forze militari fondamentaliste, dall’esercito siriano, Hezbollah, truppe scelte iraniane e russe, una parte significativa dei sostenitori del cambio di regime ha cercato un patteggiamento con la potenza vincitrice russa. Nel giugno/luglio dell’anno scorso è stato il caso della Turchia, riavvicinatasi di fatto alla Russia dopo il fallito colpo di stato contro Erdogan. Negli ultimi giorni tiene banco invece la visita a Mosca di un regnante di un importante paese del golfo persico, per negoziare eventuali accordi politici ed economici con la dirigenza russa. Qualche mese prima è stato il turno del regnante del Qatar di recarsi a Mosca, per colloqui politici ed economici , mentre la leadership israeliana è andata più di una volta nella capitale russa negli ultimi due anni. Come interpretare questi movimenti di varie leadership verso Mosca? Si tratta di normale amministrazione, oppure di qualcosa di più? Tenendo conto della cornice politico-militare in cui si svolgono questi viaggi-pellegrinaggi, ovvero la sconfitta di fatto della strategia imperiale USA del caos, è probabile che tali viaggi travalichino la normale routine diplomatica. In altre parole questi viaggi sono la ratifica, anche a livello di azioni diplomatiche ufficiali, o meglio di relazioni formali fra stati, dei nuovi rapporti di forza esistenti fra i blocchi capitalistici concorrenti dopo il vittorioso intervento militare russo. Quello che accade è riassumibile in questi termini: uno stuolo di attori/players geopolitici, non solo mediorientali, sta modificando il proprio approccio alla questione siriana, con pragmatismo e realismo, pesando la forza e la debolezza dei due colossi imperiali che agiscono sullo scacchiere mediorientale. L’impero USA è minato al proprio interno da una debolezza economica strutturale, le cui tracce di superficie sono il volume spaventoso del debito totale (62.000 miliardi di dollari), suddiviso in parti uguali fra debito pubblico, debito delle imprese e debito delle famiglie. Basti pensare che il debito totale USA è pari al debito pubblico mondiale. Il fenomeno del debito pubblico è sempre funzionale allo sviluppo capitalistico industriale (vedasi ‘Imprese economiche di Pantalone’), tuttavia il caso del capitalismo ‘ultra-maturo’ USA, è diverso dall’esempio delle repubbliche marinare o dal capitalismo dei primordi nell’Inghilterra descritta da Marx. Il debito pubblico USA viene impiegato principalmente nel puntellamento/salvataggio dell’edificio del capitale finanziario, e quindi dei suoi strumenti tecnici (banche). Da dove nasce la iper-proliferazione creditizia-finanziaria USA? Perché il settore della produzione industriale perde colpi, si contrae, almeno nel territorio USA? Cerchiamo di capire le cause di questa debolezza economica strutturale degli USA. Fascia della ruggine è il nome dato alla deindustrializzazione di larghe parti del tessuto economico USA, conseguenza delle politiche di investimento di capitali in ‘poli di valorizzazione’ fruttiferi di maggiori rendimenti. Coloro che si dolgono per la diffusione della fascia della ruggine, dovrebbero riflettere su alcune caratteristiche invarianti della economia capitalistica. Il punto di vista capitalistico è il punto di vista della ricerca della massima redditività del capitale impiegabile in un certo settore dell’economia (primario, secondario, terziario), secondo una logica di questo tipo è del tutto normale ricercare in ogni angolo del globo le migliori possibilità di investimento. D’altronde è quello che fa anche il piccolo risparmiatore, quando chiede al promotore finanziario un consiglio per investire il proprio capitale monetario, e questi gli suggerisce un ventaglio di opzioni (BOT, CCT, BTP, Fondi comuni, depositi bancari ordinari o vincolati, azioni od obbligazioni emesse da SPA). I fattori che orientano la scelta dell’investitore sono fondamentalmente di due tipi: limitazione del rischio di perdita del proprio capitale e al contempo massima remunerazione possibile del capitale. I poli di valorizzazione sono le realtà economiche (economie nazionali, aree economiche infra-nazionali, regioni, territori) dove esistono maggiori possibilità di impiegare con sicurezza e redditività un certo capitale. Negli ultimi tre decenni abbiamo assistito ad un flusso continuo di investimenti USA e UE in Cina, in India e in altre economie emergenti. Una parte dei profitti realizzati a causa del limitato costo del lavoro e del regime fiscale di favore, sono rientrati, è vero nel circuito economico-fiscale USA -UE, tuttavia i capitali USA-UE hanno contribuito anche, in definitiva, allo sviluppo della base industriale delle economie emergenti, contribuendo a renderle autonome dagli investimenti di capitali USA-UE (basti pensare al rapporto fra impieghi di capitale UE-Cina, anno 2016, nelle proprie rispettive economie: la Cina ha investito 32 miliardi nell’acquisto di aziende europee già funzionanti, mentre gli investimenti europei in Cina ammontavano a soli 8 miliardi). Oltre tremila miliardi di debito pubblico USA sono in mani cinesi, ma si può ben concludere che questo enorme apporto di capitale monetario non è servito a fermare la deindustrializzazione USA, bensì a finanziare il ciclo drogato del credito pubblico alle imprese decotte, alle famiglie, alle banche, per pompare la domanda di beni e servizi, e tentare di far girare (come si dice) l’economia. Il vantaggio attuale per il finanziatore cinese è ovviamente la cedola di interessi che può staccare periodicamente, anche se questo frutto (l’interesse) del capitale dato in prestito allo stato USA, significa maggiore prelievo fiscale sui redditi dei proletari e tagli all’assistenza e ai servizi pubblici, per reperire le somme da versare come interesse al capitale cinese. Con lo sviluppo di una base industriale capitalistica avanzata, le economie emergenti (BRICS) rappresentano ormai oltre un terzo del PIL mondiale. La Cina ha ormai raggiunto il PIL USA. La progressiva crescita del potere economico delle nazioni estranee al circuito USA-UE, e il correlato rafforzamento degli apparati militari industriali di Russia e Cina, ha determinato un cambiamento/ridimensionamento dei rapporti di forza fra il blocco di interessi economico-politici capitalistici a guida USA e l’opposta fazione borghese. Nei capitoli successivi tenteremo di analizzare alcuni aspetti dei cambiamenti in corso, principalmente (ma non solo) sul piano dei nuovi rapporti fra la potenza statale-militare russa e una parte delle nazioni che fino all’altro ieri gravitavano intorno al centro imperiale USA.
Federazione russa: movimenti nella sfera della produzione, degli investimenti e della circolazione valutaria
Lo studio dei dati economici e dei movimenti relativi ai meccanismi di scambio valutario della Federazione Russa, negli ultimi tre anni, mostrano alcune sorprese. Innanzitutto il dato economico: dopo la decisione USA-UE di imporre delle sanzioni economiche alla Federazione Russa, a detta di vari osservatori e investitori si sono verificati cambiamenti che hanno aumentato la competitività di specifici rami dell’economia russa. Il meccanismo combinato di sanzioni economiche e ribasso del prezzo del petrolio, nel periodo fra il 2014 e oggi, ha spinto le compagnie petrolifere russe a ridurre i costi, inducendole a cooperare e sviluppare con le proprie forze delle efficaci tecnologie di trivellazione. Anche le imprese russe del settore agro-alimentare hanno ottenuto dei benefici dalle contro-sanzioni russe alle importazioni alimentari UE. Se pensiamo bene non c’è nulla di nuovo sotto il sole, infatti lo studio marxista delle leggi dell’economia capitalistica ha da tempo chiarito che la concorrenza fra capitali conduce ineluttabilmente alla centralizzazione degli stessi. Monopoli, oligopoli, rapporti fra SPA collegate o controllate, definizione di piani strategici comuni a imprese formalmente indipendenti (cartelli). Questi termini alludono tutti al fenomeno della centralizzazione dei capitali. Sotto la spinta della concorrenza (nel caso della Federazione Russa, la concorrenza subita dalle aziende nazionali ha assunto la forma di sanzioni e ribasso del prezzo del petrolio), interi gruppi di imprese del settore primario energetico e agroalimentare hanno sviluppato una cooperazione funzionale all’abbattimento dei costi. La riduzione dei costi nel campo petrolifero è stata ottenuta con lo sviluppo autonomo di tecniche di estrazione/trivellazione, in grado di fare superare al ramo economico in questione la dipendenza da interventi esterni (e il collegato aggravio di costi). Il principio ‘la necessità aguzza l’ingegno’ è la traduzione popolare dei processi descritti. Una volta resa più redditizia la produzione agroalimentare (effetto principalmente delle contro-sanzioni) e più efficiente l’attività estrattiva, i profitti sono piovuti copiosi, e così pure gli investimenti di capitali dall’estero. Riassumendo, i dati macroeconomici oggettivi sono i seguenti: inflazione in decrescita al 3%, moderata ripresa economica, e incremento delle partecipazioni di oltre un centinaio di fondi di investimento, con un giro di attività di oltre 300 miliardi di dollari. Di questi fondi, oltre il 72 per cento punta alla Russia. In altre parole il quadro generale di riduzione dei costi, sviluppo di nuovi prodotti e nuove tecnologie, crescita dei profitti, rafforzamento dell’industria, induce i gestori dei fondi internazionali ad avere fiducia nei ‘fondamentali’ dell’economia russa (e quindi nella sicurezza e nella redditività degli investimenti in questa economia nel medio-lungo periodo). Concludiamo il primo capitolo con una piccola nota sul sistema SWIFT, una sorta di sistema centralizzato di regolazione del traffico dei messaggi di trasferimento di denaro, fondamentalmente influenzato dagli USA. Dopo il 2014 qualche voce zelante del blocco capitalistico EU-USA aveva addirittura ipotizzato l’esclusione della Federazione Russa da questo sistema. Bene, a livello attuale la Russia ha creato un’alternativa allo SWIFT, e se la minaccia di essere esclusa dallo SWIFT diventasse reale, diventerebbe immediatamente operativo un sistema di transazioni analogo, e tutte le operazioni in formato SWIFT continuerebbero a funzionare.
I conquistatori
“Il meglio del meglio non è vincere cento battaglie su cento bensì sottomettere il nemico senza combattere.” Sun Tzu
“Può la disciplina nella guerra più che il furore”
Machiavelli
Diversi osservatori e analisti, sia politici che militari, hanno rilevato la relativa piccolezza del contingente russo in Siria (poche migliaia di uomini, divisi in soldati e personale tecnico, e una cinquantina di aerei ed elicotteri). Alcuni analisti hanno sostenuto che questo contingente avrebbe potuto essere facilmente sopraffatto dagli eserciti avversari presenti nell’area ( alleanze militari sopranazionali ed eserciti nazionali regolari). Ma allora perché nessuna potenza regionale o alleanza sopranazionale ha attaccato? Perché l’abbattimento del jet russo da parte di due caccia turchi, nel novembre 2015, non è stato seguito da un conflitto più ampio con il dispositivo militare della Federazione Russa?
Le potenze capitalistiche ‘occidentali’ e i loro alleati mediorientali hanno di fatto evitato un confronto diretto con il contingente russo, perché, esso, era solo l’articolazione più avanzata di un dispositivo militare letale, composto da sistemi missilistici di difesa e attacco dispiegati in terra, nei cieli, nel mare e sotto la superficie del mare. In verità il contingente russo in Siria non era solo, i missili che colpivano le basi, i centri di comunicazione, i depositi di armi delle forze ‘ribelli’ islamiste, variamente sostenute dai soliti noti, partivano alle volte da migliaia di km di distanza, lanciati da sommergibili o incrociatori posizionati in acque territoriali russe o internazionali. Di fatto la Federazione Russa, come nella allusiva citazione iniziale di Sun Tzu, ha sottomesso il nemico senza combattere; infatti la semplice percezione del pericoloso ingranamento di cui era parte il piccolo contingente russo in Siria, ha dissuaso i fautori regionali e internazionali del ‘regime change’ ad osare l’affondo diretto. E proprio per questo hanno perso ed ora cercano un accordo con i conquistatori, prendendo atto con pragmatismo dei nuovi rapporti di forza. L’influenza americana in medio oriente esce in definitiva indebolita sia sul piano militare che su quello economico, dal fallito tentativo di ‘regime change’ in Siria. L’ultima mossa disperata USA, in ordine di tempo, è stata quella di supportare l’avanzata delle forze curde verso i pozzi petroliferi presenti nella provincia di Deir Ezzour. Una mossa resa inutile dal contemporaneo attraversamento del fiume Eufrate da parte dell’esercito regolare siriano, che grazie all’opera dei genieri russi e alla protezione dell’aviazione russo-siriana, si è rapidamente avvicinato all’area petrolifera contesa (sbarrando il passo all’avversario ). Non sono stati pochi i proclami bellicosi provenienti dal campo USA, basti pensare al progetto di una ‘no fly zone’ sui cieli della Siria, inopinatamente vagheggiata da qualche alto papavero della politica USA appena nell’ottobre del 2016, ma si pensi anche alla salva di missili lanciati contro una base aerea siriana nell’aprile 2017 (su entrambi i fatti abbiamo scritto negli stessi mesi in cui sono avvenuti).
Punzecchiature, progetti velleitari, accompagnati però dal supporto malcelato ma reale alle forze di opposizione al governo siriano, in nome della esportazione della democrazia. Sugli interessi economici e geopolitici connessi al calderone siriano abbiamo scritto spesso, a partire dal settembre 2013, quando una prima minaccia di intervento diretto ‘occidentale’ si risolse in un nulla di fatto. In seguito abbiamo analizzato (dicembre 2014), nel testo ‘IS e politica imperiale del caos’, le dinamiche profonde insite nella strategia di uno dei contendenti imperiali coinvolti nella ‘querelle’ siriana.
Ora sembra emergere, sullo scenario medio orientale, un inedito triangolo russo-iraniano-turco, testimoniato d’altronde dalla vicenda (fallita) dell’indipendenza del kurdistan iracheno, dove Iran, Iraq e Turchia hanno di comune accordo sigillato le frontiere e lo spazio aereo del sedicente neo-staterello curdo, costringendo la fazione curda che aveva propugnato la mossa del referendum indipendentista (forse nell’illusione di un aiuto politico-militare esterno) a patteggiare e negoziare con il governo iracheno i termini di una semplice autonomia federale. Significativo, in questo senso, è stato l’ingresso dell’esercito iracheno nella città di Kirkuk, e nell’area petrolifera circostante, precedentemente presidiata (dal 2014) dalle milizie curde, che di fatto hanno deciso di abbandonare un territorio a scarsa prevalenza di popolazione curda, per fare ritorno nei territori storicamente curdi (anche in considerazione dell’assenza di aiuti politico-militari esterni).
Possiamo dunque constatare che i tentativi sporadici di ostacolare l’avanzata del proprio avversario, messi in atto da uno dei due contendenti imperiali (gli USA), si sono risolti, almeno finora, in vari e ripetuti insuccessi. Il problema di non poco conto è che l’avanzata dell’avversario degli USA si è ora consolidata in una conquista di posizioni salde, sicure, fortificate; per cui sempre più ardua appare l’impresa di scalzarlo da queste posizioni di forza. Egitto e Libia (la parte orientale) sono da almeno due anni in rapporti commerciali e politico-militari con la Federazione Russa (l’Egitto ha svolto recentemente esercitazioni militari congiunte con dei reparti russi), mentre la Turchia sta svolgendo un intervento militare concordato (con russi e siriani) nel nord della Siria, in funzione anti-terrorismo, e inoltre ha stretto nuovi rapporti con la Federazione Russa dopo il fallito golpe del luglio 2016 (questi nuovi rapporti hanno implicato la fine della precedente politica turca a favore del ‘regime change’ in Siria).
Qualcuno osserverà che delle alleanze strategiche, di alcune potenze capitalistiche regionali, con una superpotenza imperiale, non possono mutare da un momento all’altro. Questo probabilmente è vero, tuttavia è anche vero che i fatti da noi costatati e descritti sono reali, e quindi se questi fatti non possono significare semplicemente un brusco mutamento strategico di campo (imperiale) da parte di alcuni attori statali mediorientali, certamente non escludono che questi attori si pongano ora il problema della tutela dei propri interessi (nella cornice dei mutati rapporti di forza fra le superpotenze). Ponendosi l’esigenza di tutelare i propri interessi economici e politici, alcuni attori statali mediorientali scoprono, ‘obtorto collo’, che gli conviene recarsi alla corte dei conquistatori, e chiedere di negoziare, trattare, cercare compromessi e patti. Poiché, in definitiva, bisogna pur fare i conti con la realtà, e se la guerra è solo la continuazione della politica con altri mezzi, allora, quando sul campo di battaglia si delinea con nettezza la presenza di un conquistatore, è con esso (e non più con il precedente dominus) che bisognerà inevitabilmente confrontarsi e cercare un accordo.
Capitolo settimo: Ambizione e dominio (ultime considerazioni)
‘Ogni volta che è tolto agli uomini il combattere per necessità, essi combattono per ambizione, la quale è tanto potente nei loro petti che mai, a qualunque grado salgano, li abbandona’.
Machiavelli
Il divenire delle relazioni fra un centro imperiale e i suoi alleati e vassalli, dipende molto, è verificato storicamente, dalle vittorie o dalle sconfitte registrate nella contesa con le potenze avversarie, e i riposizionamenti descritti nel precedente capitolo stanno confermando ulteriormente questo assunto.
Quando agli inizi del 2000 la Federazione Russa ha ripreso a muoversi con maggiore autonomia sulla scena internazionale, rivendicando una parte del proprio passato di superpotenza, il blocco capitalistico a guida USA ha ripetutamente cercato l’affondo militare per inibire sul nascere le ambizioni del rivale capitalistico.
La Russia, tuttavia, aveva già dimostrato in Cecenia, ma anche negli episodi di lotta al terrorismo sul proprio territorio (teatro Dubrovka) una risoluta determinazione a contrastare ogni forma di destabilizzazione/intimidazione. Tuttavia nell’agosto 2008 viene ancora tentato l’affondo, e l’Ossezia del sud, una repubblica indipendentista filorussa, formalmente parte della Georgia, nazione alleata degli USA, viene occupata dalle truppe georgiane. La risposta russa è brutale, tempestiva ed efficace, infatti dopo poche ore una colonna corazzata russa penetra da nord e sbaraglia le forze georgiane in Ossezia, mentre nei giorni successivi una punta corazzata giunge a pochi km dalla capitale georgiana Tbilisi. Solo una decisione politica ferma i carri russi dalla conquista della città di Tbilisi. Nel 2014, dopo il ‘regime change’ filo occidentale di Kiev, la Russia si riprende la Crimea e la base di Sebastopoli, senza colpo ferire, vanificando l’ennesimo affondo ‘occidentale’ contro i suoi interessi geopolitici. In seguito, la guerra dell’esercito ucraino contro le autoproclamate repubbliche filorusse di Lugansk e Donetz, nonostante i successi iniziali, si trasforma alla fine di agosto 2014 in una catastrofe militare per il governo di Kiev. Anche in questo caso l’affondo militare, fondamentalmente anti-russo, non giunge a segno. La vicenda siriana è storia recente, in essa la Federazione Russa ha giocato la carta militare in un territorio lontano dai propri confini, contribuendo a vanificare i progetti di ‘regime change’ dei propri avversari imperiali, salvaguardando, aumentando e ampliando al contempo le proprie basi aeree e navali in Siria (con l’effetto collaterale del rimescolamento di alcune carte del grande gioco, si pensi solo alla Turchia, all’Egitto, all’Iraq, al Qatar e al governo orientale della Libia). L‘appoggio alle truppe curde siriane, o ancora la protezione di non meglio identificati ribelli democratici siriani in un area ai confini con la Giordania, sono mosse difficili da comprendere, in un quadro di sostanziale sconfitta del ‘regime change’. Con queste azioni gli USA e i suoi residui alleati forse si propongono di tenere un piede in Siria, nel tentativo di disturbare l’opera (e gli interessi geopolitici) del blocco di forze avversarie (milizie hezbollah libanesi e irachene, Pasdaran iraniani, Esercito Siriano, Esercito Russo) ormai palesemente vincitrici sui campi di battaglia contro le variegate schiere di ‘ribelli’ più o meno moderati.
Proprio in questi giorni viene condotta una campagna militare dall’esercito siriano, con l’ausilio dell’aviazione russa e siriana, per espugnare la provincia di Idlib, eliminando l’ultima presenza di rilievo di milizie jihadiste.
Il comandante di una unità di élite dell’esercito siriano ha predetto alle forze avversarie, arroccate in alcune città/fortezza, che per loro la notte si sarebbe trasformata in giorno, sotto il tiro incessante dell’aviazione e dell’artiglieria, prima dell’ultimo assalto.
Lo sviluppo conflittuale delle relazioni fra grandi potenze statali capitalistiche si svolge sul filo del rasoio, le provocazioni militari e gli incidenti si susseguono, e sembra prevedibile che questo trend debba aumentare nei prossimi mesi, anche se appare ragionevole ritenere che l’equilibrio del terrore nucleare spinga alla fin fine a più miti consigli i fautori di un confronto inter-imperialistico all’ultimo sangue, alias guerra totale (soprattutto nel blocco a guida USA).
Post scriptum
Il grado attuale di sviluppo dell’economia mondiale, collegato alle scoperte scientifiche e all’innovazione tecnologica, peraltro potentemente sospinte in avanti dalla concorrenza fra stati, economie nazionali e aggregati sovranazionali, potrebbe consentire una vita migliore alla società umana. Innanzitutto potrebbe permettere la riduzione del tempo di lavoro medio giornaliero, la fine di piaghe sociali come la fame e la vittoria sulle malattie facilmente prevenibili e curabili, la fine dei conflitti per il controllo delle risorse energetiche e delle masse di salariati, e infine l’inversione di tendenza rispetto alla devastazione e distruzione dell’ecosistema.
Utopie? Certamente, queste previsioni sono utopistiche, almeno fintanto che il capitalismo possiede la forza di continuare ad esistere e dominare la ruota del destino.
Grande gioco, big dance, in definitiva la gara spietata di parassitismo che condiziona le tendenze di sviluppo nel confronto/scontro fra potenze capitalistiche, conducono la storia visibile verso un sentiero di autodistruzione, poiché il capitalismo contemporaneo è un parassita che distrugge dall’interno l’organismo ospite ( la classe sociale dominata e in fondo il futuro della specie umana).
Capitale vivo versus capitale morto, libertà versus schiavitù. Il conflitto di classe del proletariato deve sciogliere l’enigma del futuro, togliendo al capitalismo la possibilità di esistere e dominare la ruota del destino.