LA GUERRA, CIOE’ LO SCONTRO MONDIALE TRA IMPERIALISMI NON SI PUO’ FERMARE

Lo scontro in atto è una guerra per procura e lo sterminio della popolazione di Gaza, della Cisgiordania e ora anche del Libano e della Siria sono il prezzo da far pagare al proletariato, sono le conseguenze di una crisi economica mondiale che esaspera gli antagonismi fra moloch imperiali e fra le borghesie locali, in una sanguinosa guerra per procura.

Il colonialismo britannico, negli anni 30 del secolo scorso, ha creato la questione palestinese favorendo l’ingresso di popolazione ebraica in Palestina, finanziando l’acquisto di terre per i coloni ebrei. Dopo la seconda guerra mondiale lo smembramento dell’impero ottomano ha dato origine a stati creati artificialmente, con confini disegnati con il righello sulla mappa, governati da borghesie asservite all’imperialismo, permanentemente in lotta tra loro.

L’ ”anticolonialismo” a stelle e strisce ha scalzato il dominio coloniale della vecchia Inghilterra, impiantando in territorio palestinese il moderno stato capitalistico di Israele, sviluppato industrialmente, tecnologicamente e militarmente, divenuto negli anni il gendarme dell’area, finanziato e sostenuto dagli USA: Il cane da guardia per l’intero proletariato del Vicino Oriente. Alla scala storica l’introduzione di un moderno capitalismo in un area in gran parte semifeudale è stato tuttavia un fatto positivo, ponendo le premesse per la nascita di un moderno proletariato.

La costituzione di uno stato palestinese è impossibile. Ammesso e non concesso che le varie borghesie locali (in primis quella israeliana e palestinese) volessero veramente perseguire questa soluzione, ciò è impossibile. I territori palestinesi sono ormai frammentati e non comunicanti tra loro. Il governo israeliano dovrebbe espellere i coloni dalla Cisgiordania (ormai più di 500.000) con conseguenze politiche per esso devastanti. Parimenti impraticabile è l’ipotesi dell’assorbimento dei territori occupati all’interno dello stato israeliano perché questo comporterebbe l’aumento massiccio della popolazione non ebraica; già oggi quasi il 20% della popolazione è di origine araba. La situazione non ha nessuna possibilità di soluzione all’interno dell’attuale ordinamento sociale. Sarà uno dei problemi che la rivoluzione comunista dovrà affrontare.

Non appartiene al marxismo, inoltre, la definizione di popolo: anche nella società palestinese esistono le classi sociali, e il proletariato palestinese può trovare alleati solo nel proletariato arabo dell’area e in quello israeliano. Solo una comune lotta di classe indipendente del proletariato è la soluzione, sotto la direzione del futuro partito comunista mondiale, per l’abbattimento dei regimi borghesi, per la dittatura del proletariato. Combattere sotto le bandiere di Hamas o qualsiasi altra formazione combattente borghese significa consegnare il destino del proletariato arabo ancora una volta nelle mani di borghesie confessionali, corrotte, vassalle dell’imperialismo, qualunque esso sia, che usano il proletariato per ritagliarsi uno spazio di potere all’interno del risico mediorientale. Uno stato “indipendente” palestinese, quand’anche –quia absurdum- fosse possibile, sarebbe la cornice perfetta per la continuazione dello sfruttamento del proletariato palestinese ad opera della sua borghesia e di tutte le borghesie arabe. Il proletariato arabo e israeliano è la carne da cannone del progetto di spartizione e controllo imperiale dell’intera area. I moloch imperiali contrapposti – Stati Uniti, Russia, Cina, ecc. – si fronteggiano in una delle aree ancora di vitale importanza strategica per la presenza di pozzi petroliferi, di gas, di porti e di infrastrutture su cui viaggiano le merci provenienti dall’Estremo Oriente dirette nel Mediterraneo, cioè nei mercati europei e africani. E per il controllo dei flussi finanziari della rendita petrolifera e degli investimenti nei settori produttivi più avanzati. In questa situazione il proletariato palestinese (5 milioni) è senza via d’uscita anche perché le borghesie arabe si guardano bene dall’accoglierlo nei loro territori, lasciandolo alla borghesia israeliana che non può certamente eliminarlo tutto fisicamente per ovvi motivi e non può nemmeno utilizzarlo, come faceva prima, come forza-lavoro in Israele. All’interno dello stato israeliano, inoltre, la crisi economica si aggrava a causa della mobilitazione totale dei riservisti, dello spostamento di settori della popolazione dalle zone a rischio e della caduta verticale del turismo. Le condizioni del proletariato israeliano sono destinate pertanto a peggiorare. Non va sottaciuto anche che alcuni settori minoritari della società israeliana ritengono che i servizi segreti fossero a conoscenza di quello che si preparava il 7 ottobre. Le vittime del pogrom erano in gran parte oppositori di Netanyahu e di vago orientamento di sinistra (i giovani partecipanti al concerto e i kibbutzim eredi dei socialisti che emigrarono in Palestina). Anche questo deve far riflettere.

In questo gioco tra potenze imperialistiche, sulla pelle dei proletari del Medio Oriente, l’Europa subisce il diktat imperiale statunitense: il Presidente francese Macron ha avanzato la proposta di un cessate il fuoco in Libano, assieme agli Stati Uniti.  Nel tentativo di difendere ciò che rimane dei suoi interessi finanziari in quello Stato, la Francia ha tentato di arginare l’avanzata dell’esercito israeliano in territorio libanese ma la risposta di Netanyahu è stato l’ordine di colpire il numero uno di Hezbollah, Nasrallah. Gli Stati Uniti deplorano gli eccessi israeliani ma continuano a foraggiare il loro gendarme nell’area: un goffo tentativo di apparire agli occhi del mondo i paladini del cosiddetto diritto internazionale!

La realtà materiale dei fatti è che dal 2008, anno della crisi dei mutui sub-prime in Usa, l’economia mondiale ha iniziato a rallentare, la crisi pandemica si è innestata in questo movimento e, nonostante la effimera ripresa post Covid, la produzione industriale mondiale rallenta in tutto il mondo, anche se a velocità diverse, nei diversi Stati. La crisi di sovraproduzione investe gli Stati di meno recente sviluppo industriale in modo più massiccio, ma anche Stati che hanno avuto uno sviluppo tumultuoso negli ultimi decenni (le “tigri asiatiche”, la Cina) sono investiti dalle contraddizioni del sistema di produzione capitalistico e cioè crisi per sovraproduzione e saturazione del mercato interno, rallentamento dell’export, crisi del mercato immobiliare e del debito, necessità di finanziare massicce ristrutturazioni industriali al fine di aumentare la composizione organica del capitale e rendere le sue merci ancora più competitive, invecchiamento della popolazione e disoccupazione.

La tendenziale (ormai più che tendenziale) caduta del saggio medio di profitto rinvigorisce la concorrenza tra fratelli-coltelli borghesi, esaspera lo scontro commerciale a colpi di dazi protezionistici e/o di sanzioni contro gli Stati che non rispettano le regole del diritto internazionale. Lo scontro commerciale produce la corsa all’innovazione tecnologica, alle ristrutturazioni aziendali per aumentare la produttività e quindi i profitti. Ma questi processi lasciano sul terreno morti e feriti: aziende dismesse, eliminazione di interi rami produttivi, aumento dell’esercito industriale di riserva, abbassamento dei salari dovuto alla pressione della massa dei senza lavoro sugli occupati, miseria crescente. Ma la produzione capitalistica non si può fermare, essa anzi è come un vulcano in eterna eruzione fino a quando la palude del mercato si satura a tal punto da rendere necessaria una generalizzata distruzione.

La guerra rappresenta il “bagno di giovinezza” con cui il capitale ricerca vanamente il riavvio del processo di accumulazione, attraverso la distruzione su vasta scala di capitale costante e capitale variabile. Le immani distruzioni della seconda guerra mondiale hanno dato origine ad un nuovo ciclo di accumulazione capitalistica. Ma a partire dagli anni 70 si è affacciato nuovamente, sulla scena della storia, lo spettro della crisi economica e da allora lo stato di guerra generalizzata è permanente: conflitti locali, guerre per procura, che continuano a tutt’oggi e i cui fronti determinanti sono il centro dell’Europa (Ucraina) e il Medio Oriente (Palestina). L’acuirsi della crisi economica mondiale ha come possibile epilogo una nuova guerra mondiale totale, l’umanità intera rischia una nuova catastrofe.

Solo la rivoluzione proletaria la potrà fermare.

I massacri quotidiani, la distruzione di intere città, la fame, le malattie, il terrore in cui sono costretti a vivere i civili in questi mesi in Medio Oriente e in generale in tutte le aree interessate dai conflitti presenti in tutto il mondo, sono la conseguenza della fame da lupi di profitto della borghesia, questa volgare, inutile e parassita classe sociale che domina la società capitalistica. Un’esigua minoranza si appropria dell’intero frutto del lavoro umano, delle risorse naturali e, nel fare questo, distrugge il pianeta, lo mineralizza, lo rende inospitale per intere popolazioni e, in prospettiva, mette in pericolo l’esistenza stessa della specie umana.

La guerra quindi è prima di tutto contro il proletariato, previene le inevitabili rivolte delle masse impoverite dalle conseguenze delle crisi capitalistiche di sovraproduzione.  La guerra imperialista serve a stabilire nuovi rapporti di forza tra moloch statali ma, nello scontro bellico, masse umane sono lanciate le une contro le altre da apparati statali che si limitano a sventolare false bandiere davanti agli occhi della carne da cannone proletaria.

Quindi la guerra non solo come difesa e offesa tra borghesie vassalle degli stati imperiali ma anche come mezzo di distruzione di sovra-popolazione eccedente, presente soprattutto nelle aree a capitalismo arretrato, eliminazione dell’esercito industriale di riserva che il capitale dismette dal processo di valorizzazione, eliminazione dei rami improduttivi della popolazione umana come accade nelle normali ristrutturazioni aziendali.

La guerra è connaturata al sistema di produzione capitalistico. E’ organica al suo modo di funzionare. I protagonisti imperiali negli scontri bellici sono gli attori di un canovaccio già scritto ovvero fanno ciò che sono costretti a fare: gli Usa, per mantenere il loro controllo in Medio Oriente devono farlo attraverso l’alleato più fedele, Israele. Altri alleati hanno già manifestato interesse per la potenza rivale in Estremo Oriente, la Cina, che con i suoi investimenti sta penetrando l’area e sta ponendo le basi per successive mosse. Israele ha necessità di ampliare i territori a sua disposizione per lo sviluppo agricolo e industriale. La Russia per ora non si espone, mantiene buone relazioni commerciali con Israele e questo non ha mai aderito alle sanzioni contro la Russia. Inoltre, il fronte aperto in Ucraina impegna già questa potenza in uno scontro diretto contro la NATO, per ora mistificato dietro il velo della propaganda di guerra su entrambi i fronti: da una parte (Russia) si definisce la guerra operazione militare speciale e dall’altra (Usa e Eu) si nega il diretto coinvolgimento sul campo: evidentemente le condizioni oggettive per uno scontro generalizzato non sono ancora mature e il possibile uso dell’arma atomica costituisce una eventualità dagli esiti non prevedibili. Per quanto concerne l’uso delle armi nucleari, il capitale non vorrebbe usarle perché esse sottraggono aree al mercato a causa delle radiazioni ma, con un capitalismo ormai completamente demente e incontrollabile da parte di una classe borghese inutile, non si può escludere questa eventualità. La cosiddetta “intelligenza artificiale” aggrava ulteriormente il problema, visto anche il declino dell’intelligenza naturale.

Per ora il comune interesse alla conservazione del sistema borghese induce le potenze imperiali a trovare un equilibrio (necessità storica di classe) al netto delle persistenti rivalità e della difesa degli interessi particolari di tutti i belligeranti. L’interesse predominante è quello di difendere i privilegi di una minoranza borghese contro l’intero proletariato e questo risultato svanirebbe nella catastrofica eventualità di un conflitto generalizzato, ancorché nucleare. Questo predominante interesse di classe è la causa dello scoppio di conflitti locali che dalla seconda guerra mondiale non sono mai terminati e che oggi si stanno estendendo a diverse aree geografiche: la necessità del mantenimento del potere da parte della borghesia la spinge a sviare la lotta di classe, a incanalare la rivolta sempre presente negli strati proletari immiseriti verso obiettivi falsi quali le “guerre di liberazione nazionale,” le guerre di religione, gli scontri etnici, le guerre per la difesa della democrazia contro i “totalitarismi” il razzismo dilagante (in primo luogo antisemitismo).  In tutto il mondo assistiamo al proliferare di manifestazioni “per la Palestina” di impronta nazionalista (senza la minima caratterizzazione di classe) quando non addirittura antisemita. Quando manca totalmente una visione marxista, si scade nel nazionalsocialismo. Per il momento le varie borghesie mondiali e, in particolare quella israeliana (una delle più stupide del pianeta) e quella palestinese (una delle più corrotte del pianeta) possono stare tranquille ma, nei momenti di grande effervescenza sociale, i rapporti di forza tra le classi possono ribaltarsi in maniera inaspettata e repentina. Va segnalato inoltre che all’interno della società israeliana sono presenti, ancorché minoritari, episodi di insubordinazione di militari ed anche di piloti che rifiutano di partecipare alle missioni nei territori occupati, rischiando anche il carcere. Infine, specialmente negli U.S.A., si sono svolte manifestazioni di ebrei contro la politica di Netanyahu, represse dalla polizia e poco documentate dalla stampa. Anche tra il proletariato palestinese è presente insofferenza per i gruppi dirigenti completamente indifferenti all’incolumità della popolazione civile.

Niente di nuovo sotto il sole. I comunisti, seguendo il filo del Partito Storico hanno tracciato bilanci e tratto insegnamenti dalle vittorie e ancor più dalle sconfitte proletarie. La controrivoluzione è una severa maestra.  Non guerra sotto le bandiere della borghesia, di difesa o di offesa, di rivendicazione nazionale. Il proletariato mondiale non ha patria e lotta per l’abbattimento del sistema del capitale. Guerra alla guerra dunque. Fraternizzazione dei proletari, dei soldati, sui fronti di guerra, come già accaduto durante la prima guerra mondiale.

Lascia un commento