CATASTROFI E PROFITTO

Valencia: l’ultimo “disastro naturale”

Ormai è da parecchi anni che siamo martellati da un tipo particolare di notizia: le catastrofi cosiddette “naturali”, che si presentano puntualmente sotto forma di un’alluvione, di un inquinamento delle falde acquifere, di un terremoto con migliaia di vittime e di virus insidiosi che sembrano sfuggire al controllo umano.

Possiamo dire che l’umanità sopravvive arrancando in un crescendo di disastri che, sommati alle delizie della società capitalistica (crisi economica, guerre, disoccupazione ecc.), rendono sempre più precaria la vita sul pianeta.

Gli effetti di tali disastri si manifestano in modo più concreto nelle aree ad alta intensità di popolazione e sugli strati più poveri della stessa.

La Banca Mondiale, in un report del 31 ottobre, avverte che la minaccia climatica mette «ad alto rischio circa un quinto della popolazione del pianeta», vale a dire 1,2 miliardi di persone.  Gran parte dell’umanità a rischio vive in Asia meridionale e nell’Africa sub-sahariana, dove i livelli di reddito sono più bassi e mancano le infrastrutture di base e i servizi sociali necessari per affrontare e riprendersi dagli eventi estremi.

Il marxismo da sempre ha dimostrato che è il capitalismo il diretto ed unico responsabile delle “catastrofi naturali”.

Con questo non vogliamo dire che è il sistema capitalista che provoca i terremoti, gli uragani, o che fa piovere in continuazione, ma che le tragedie che derivano dai suddetti fenomeni sono aggravate nei loro aspetti più devastanti da ben precise cause economiche.

Non sono gli eventi naturali in sé, ad uccidere gli uomini, ma è il modo di utilizzare le scoperte scientifiche e le loro applicazioni tecniche, che, agendo nell’ottica imposta dal modo di produzione capitalista, provoca i morti o, quantomeno, li moltiplica; non è il terremoto in sé che provoca migliaia di vittime ma è il crollo delle case e delle infrastrutture che sono state progettate e realizzate secondo criteri di economicità.

Non sono le piogge torrenziali e improvvise a provocare alluvioni, distruzione e morte ma il fenomeno del cambiamento climatico provocato dal surriscaldamento del pianeta in generale e del bacino del Mediterraneo in particolare a sua volta causato dalle emissioni di CO2 in misura non più tollerabile dall’atmosfera. Sommiamo a ciò la colpevole incuria del territorio, il consumo di suolo per la cementificazione ad oltranza ed otterremo la cifra mostruosa dei morti e dispersi di Valencia di questi giorni. I fenomeni naturali (la goccia fredda) presenti nel bacino del Mediterraneo e che hanno provocato anche in Italia recentemente le inondazioni in Emilia Romagna danno luogo a devastazione e morte. Ma il fattore determinante non è quello naturale (che comunque si potrebbe studiare, prevedere e cercare di dominare con una scienza al servizio dell’uomo e non al servizio del Capitale) ma è quello sociale: l’eccessivo inurbamento della popolazione, l’abbandono delle pratiche di controllo e gestione delle acque con opere idrauliche sul tutto il territorio e in special modo su quello più esposto a fenomeni di erosione (aree appenniniche in Italia, il territorio valenciano in Spagna). Non si può tralasciare di citare le farraginose lentezze dell’apparato statale che, nell’interesse di sua maestà il Capitale e della classe dominante borghese, sottovalutando criminalmente il pericolo, non hanno reso possibile per tempo l’evacuazione delle zone che prevedibilmente sarebbero state interessate dall’evento estremo denominato “dana”. Il valore della vita umana nel capitalismo è di molto inferiore al costo che una tempestiva evacuazione della popolazione avrebbe provocato. Ma c’è di più: nel capitalismo i disastri sono occasioni per fare affari, per trarre profitto dalla ricostruzione di impianti, città, infrastrutture.

L’atteggiamento borghese nei confronti di questi eventi catastrofici pretenderebbe che, dopo migliaia di anni di “progresso” nel campo delle conoscenze scientifiche, l’uomo padroneggiasse ormai la natura a tal punto da poter risolvere qualsiasi problema derivante da eventi particolari della biosfera terrestre grazie alle straordinarie risorse tecnologiche di cui ora dispone.

Chi crede che la conoscenza tecnologica possa liberare l’uomo dalle sue miserie e dalle sue difficoltà risolvendo le contraddizioni insite nella società capitalistica è in realtà solo un sognatore: il fatto è che non esiste una tecnica al di sopra delle classi, frutto dell’ingegno umano generico proprio perché non esiste l’ingegno umano generico, ma esiste solo l’ingegno umano applicato nelle condizioni storiche, sociali ed economiche date. Lo sviluppo sociale ed economico borghese impone infatti alla tecnologia di seguire un ben preciso indirizzo, e cioè di consentire uno sfruttamento delle risorse umane e naturali che in tanto è privo di qualsiasi limite nel suo dispiegamento intensivo in quanto è finalizzato esclusivamente alla produzione di valore e profitto, ed è proprio questo indirizzo che imprime alla attuale tecnologia caratteristiche borghesi e criminali e che, nello stesso tempo, risulta determinante nel distorcere il rapporto uomo-natura, ovvero nel provocare il degrado e l’esaurimento di quelle risorse ambientali che costituiscono la base oggettiva della continuazione della nostra vita di specie su questo pianeta.

A chi possiamo ascrivere gli effetti devastanti della crescita esponenziale di una produzione industriale che ormai non risponde e non si proporziona più ad alcun bisogno umano, ma solo alla “fame ardente di sopra-lavoro” di S.M. il Capitale, e che proprio perciò inquina con una montagna vieppiù crescente di scorie e di detriti solidi, liquidi e gassosi l’intero orbo terracqueo, se non alla putrescenza del capitalismo, all’asservimento totale della scienza e della tecnica alle sue esigenze di illimitato sfruttamento? A chi possiamo ascrivere non solo la rapida crescita della popolazione mondiale, ma, soprattutto, la sua irrazionale distribuzione sulla crosta terrestre ossia la sua inumana concentrazione in megalopoli invivibili, se non al processo di concentrazione del Capitale, che impone di ammassare la forza-lavoro in prossimità degli impianti industriali per ridurre i costi di produzione? A chi possiamo ascrivere la sottoalimentazione diffusa della popolazione soprattutto -ma non solo- urbana dettata dal gap crescente tra agricoltura ed industria, se non alla congenita timidezza del capitalismo nel fare investimenti nel settore agrario, dove quella sua fame inesauribile urta contro i limiti posti dalla terra al ciclo di rotazione del capitale?

Come è stato ben scritto nella presentazione di “Drammi gialli e sinistri della moderna decadenza sociale” Ed. Iskra, una raccolta di testi della Sinistra sul tema dell’ambiente naturale e del suo degrado, “il capitalismo non è innocente neppure nelle catastrofi dette «naturali». Senza ignorare l’esistenza di forze della natura che sfuggono all’azione umana, il marxismo mostra che un buon numero di cataclismi è indirettamente provocato, o aggravato, da cause sociali. Che piova senza sosta (o non piova affatto) è un fatto naturale, ma che ne segua un’inondazione (o una siccità) è un fatto sociale.

Analogamente, le scosse sismiche delle Ande sfuggono al controllo dell’uomo; ma il fatto che distruggano le città del Perù, mentre Machu Pikchu vi resiste da secoli, ha cause sociali. […] Non solo la società borghese può essere causa diretta di queste catastrofi per la sua sete di profitto e per l’influenza predominante dell’affarismo sulla macchina amministrativa”, ciò che significa prevaricazione sistematica del pubblico interesse da parte della macchina dello stato, ma si rivela anche del tutto “impotente ad organizzare una protezione efficace nella misura in cui la prevenzione non è un’attività redditizia”.

Nonostante questa incapacità di lottare contro le catastrofi, comunque “si può stare certi che questa società […] sa perfettamente estrarne dell’oro non solo grazie ai succulenti «piani di ricostruzione» ma anche agli stuoli di avvoltoi dell’affarismo che seguono i disastri per intascare la loro parte di sovvenzioni e crediti di emergenza, distribuiti dallo Stato in funzione di calcoli … elettorali”.

La potenza delle “catastrofi” non si può prevedere con certezza, ma si conoscono bene le aree dove possono colpire con maggior virulenza, sicuramente fino ad oggi non si può far nulla o poco per evitarle, ma fin dall’antichità si conoscono, modi e mezzi perché queste catastrofi rechino minor danno possibile alla specie umana.

Eppure le cosiddette “catastrofi naturali” ogni anno colpiscono circa 211 milioni di persone, 2/3 dei quali vivono nei paesi del Sud del mondo. A detta di alcuni “esperti” la causa di questo squilibrio nella distribuzione delle catastrofi sulla crosta terrestre risiederebbe nella morfologia e nelle condizioni geologiche e/o metereologiche che caratterizzano quei territori. Ottimo paravento dietro cui nascondersi per non dire le cose come stanno, e cioè in primo luogo che le vere ragioni di ciò risiedono in qualcosa che non è affatto naturale, e cioè nell’ineguale sviluppo del saccheggio e della distruzione della natura operati dal modo di produzione capitalistico, specie adesso che si trova nella sua fase senescente ed imperialista. Modo di produzione che impone di produrre per la produzione e quindi di sprecare, e quindi di intasare di detriti e di scorie tossiche le discariche seminate un po’ ovunque nel mondo, ma che si concentrano, guarda caso, proprio dove i disastri “naturali” imperversano, ossia nei paesi capitalisti più deboli e meno attrezzati sul terreno della competizione con i grandi mostri statali. Il processo di imputridimento di questa società corre ad una velocità pazzesca, e quella di “salvarsi l’anima” con un piccolo obolo “umanitario” è un’illusione alimentata solo dall’ipocrisia, tanto più che questo obolo inviato nelle zone disastrate è rappresentato di solito da generi alimentari e farmaci scaduti. Sulle sciagure umane non prospera solo l’affarismo borghese, ma anche la truffa, che è poi l’anima di quell’affarismo.

Uno dei disastri che ha fatto parlare molto i mass-media ed ha fatto consumare fiumi di inchiostro gli anni scorsi, è avvenuto nella cosiddetta “patria della libertà”, e molti si sono chiesti come è possibile che, nonostante la scienza e la tecnica, nella super-evoluta America siano potute accadere catastrofi come quella di New Orleans. Quest’area è stata ripetutamente colpita dalle inondazioni del Mississippi e dagli uragani. Bisogna dire che l’esondazione del fiume poteva essere ben prevista, visto che New Orleans è una delle tante città americane contro natura: si trova infatti sotto il livello del mare e sta sprofondando ad una velocità di due centimetri l’anno. La “soluzione” di costruire argini sempre più alti messa in atto dal capitalismo non è servita a nulla, perché le sollecitazioni dell’acqua provocate dall’uragano li ha fatti miseramente crollare, e quindi la città è finita sott’acqua. Questa massa d’acqua ha fatto venire a galla la miseria che attanaglia gli Stati Uniti.

Tutti i disastri (“naturali” e non) non troveranno dunque alcuna soluzione nella società capitalistica, potranno essere alleviati ed in parte risolti solo nella società comunista perché in essa saranno completamente rovesciati i rapporti sociali nell’ambito della produzione e dello scambio.

L’essenza di tale società consiste infatti non solo nell’abolizione della merce, e quindi del lavoro salariato e del denaro, ma anche “nell’abolizione della divisione tecnica e sociale del lavoro, che vuol dire rottura dei confini tra azienda e azienda di produzione, abolizione del contrasto tra città e campagna, sintesi sociale della scienza e della attività pratica umana”.

L’accumulazione, nella società comunista, intesa come accumulazione di valori d’uso e non di valori di scambio, sarà lenta e solo di poco superiore alla crescita demografica.

Il calcolo economico non si baserà più sul valore, ma sull’utilità del prodotto per la specie umana; l’economia sarà programmata secondo un piano di sottoproduzione, con simultanea crescita dei costi di produzione, riduzione della giornata di lavoro, disinvestimenti e livellamento dei consumi. Non vi sarà alcuna proprietà della terra e dei suoi prodotti neppure da parte della società, che ne sarà una semplice usufruttuaria tenuta ad amministrare il suolo allo scopo di trasmetterlo migliorato alle generazioni future. Ed infine, non si cercherà una “maggiore giustizia” distribuendo a tutti il plusvalore, o pagando la forza–lavoro al suo vero valore, perché il lavoro non avrà più valore e il salario scomparirà, resterà solo il pluslavoro come lavoro donato alla società.

Questo è il nostro programma rivoluzionario, tante volte esposto sulla nostra stampa e nei nostri testi, che rivendichiamo da oltre un secolo, e che oggi, soli tra tutti, riproponiamo nella sua interezza.

Esso non passa attraverso impossibili “rivoluzioni verdi”, o vuote fantasie su un capitalismo che produce di meno e non consuma, né si fa strada attraverso mercati pretesi socialisti o grazie ad un commercio “equo e solidale”, e neppure attraverso una democratizzazione degli apparati militari e polizieschi che dominano il mondo.

Passa solo ed esclusivamente attraverso l’abbattimento violento di tutti gli apparati statali esistenti da parte della Rivoluzione proletaria ed attraverso la Dittatura del proletariato guidato dal Partito comunista. Per dura che sia, questa è l’unica strada realisticamente percorribile che conduce alla liquidazione della società borghese in decomposizione ed alla nascita, con la società comunista, di un armonioso incontro tra specie umana e natura.

7 novembre 2024

Una replica a “CATASTROFI E PROFITTO”

  1. Avatar Leo Melli
    Leo Melli

    Me esattamente le basi per la società comunista(e non come avvenuto in URSS con un processi involutivo seguente all’ottobre verso la società divisa in classi) senza un periodo intermedio di socialismo non può essere assicurata.

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