Riunione pubblica -febbraio 2025

Sabato 15 febbraio, presso il Circolo Operaio di Magrè – Schio, si è tenuta una riunione pubblica in cui sono stati affrontati i seguenti argomenti:

Prima relazione: Osservatorio sulle guerre in corso – Si è analizzata la crisi degli equilibri politici globali, evidenziando i cambiamenti nei rapporti di forza tra le potenze imperialistiche.

Il fenomeno Trump – Si inserisce in un contesto di crisi sistemica del capitalismo globale, in cui la sua ascesa rappresenta una risposta a una fase di declino economico e sociale degli Stati Uniti. Il suo ruolo si configura come quello dell’uomo giusto al momento giusto, secondo una logica storica che trova sempre interpreti pronti a catalizzare un cambiamento quando un determinato gruppo sociale si trova di fronte a una svolta ineludibile.

L’insediamento di Trump ha evidenziato il sostegno di un’élite ultramiliardaria, soprattutto legata ai settori tecnologici e industriali, sottolineando il legame tra potere economico e politico. Tuttavia, dietro questa facciata si cela la fragilità della base economica statunitense, segnata dalle contraddizioni del capitale nelle sue fasi più tardive. La crescente aggressività degli Stati Uniti nella politica internazionale e la tendenza a mettere in discussione le istituzioni globali esistenti non sono altro che sintomi di un sistema in difficoltà, che fatica a mantenere la propria egemonia.

Un’analisi della produzione manifatturiera statunitense mostra una realtà ben diversa dalla narrativa ottimistica proposta dai media. Prendendo come indice di base 100 il 2017, nel gennaio 2025 la produzione manifatturiera si attesta a 98,95, segnando un calo dello 0,4% in sette anni. Ancora più significativo è il confronto con il 2007, quando si raggiunse il picco massimo di 106,6. In altre parole, in diciassette anni la produzione industriale è scesa di circa 7,6 punti. Se poi si considerano i dati del 2000, il confronto è ancora più impietoso: la crescita della manifattura è stata di un modesto 1,5% in quasi un quarto di secolo.

Questa stagnazione si riflette anche nella composizione economica complessiva del paese. La produzione manifatturiera rappresenta ormai solo l’11-12% del PIL statunitense, mentre la maggior parte della forza lavoro è concentrata nel settore dei servizi. Gli occupati nel comparto manifatturiero sono circa 12,7 milioni su una forza lavoro complessiva di 160 milioni di individui, ovvero appena l’8%. Questo dato conferma l’abnorme squilibrio di un’economia sempre più orientata ai servizi e meno alla produzione di beni materiali.

Il problema fondamentale di questa dinamica è l’aumento della dipendenza da rendite di varia natura, un fenomeno tipico dei sistemi capitalistici maturi. Con l’aumento della composizione organica del capitale, il saggio di profitto tende a diminuire, spingendo il capitale a cercare nuove fonti di rendita. Questo spiega l’enfasi posta da Trump sul petrolio come risorsa chiave per rilanciare l’economia statunitense. Il settore energetico diventa quindi un’area strategica per mantenere un flusso di plusvalore, specialmente in un contesto in cui i profitti industriali tradizionali sono in costante declino.

In conclusione, il fenomeno Trump non è un’anomalia, ma il riflesso di una crisi strutturale più profonda. La fragilità dell’economia statunitense, il declino della produzione manifatturiera e la crescente ricerca di rendite dimostrano come il capitalismo americano sia entrato in una fase di difficoltà. Le tensioni geopolitiche e la retorica aggressiva nei confronti di altre potenze sono solo manifestazioni superficiali di una realtà più complessa, in cui il sistema cerca disperatamente di mantenere il proprio primato in un mondo sempre più multipolare.

Seconda relazione: le transizioni di fase. Si è seguito il metodo “degli argomenti concatenati”, spiegando come in natura la discontinuità si manifesti solo come risultato di processi continui. È stato sottolineato che l’universo è un insieme continuo e che le discontinuità che percepiamo derivano dalla nostra capacità di osservazione.

Per noi comunisti, il concetto di transizione è visto come un passaggio sociale ed economico attraverso il prisma della lotta di classe e delle teorie comuniste, evidenziando come i cambiamenti storici abbiano sempre seguito dinamiche strutturali ben definite.

Il concetto di “transizione di fase” è un elemento chiave per comprendere fenomeni di cambiamento radicale sia in ambito scientifico che sociale. Nella fisica, una transizione di fase rappresenta il passaggio di una sostanza da uno stato all’altro, come ad esempio l’acqua che si trasforma da liquida a solida o a gassosa. Questi passaggi avvengono in condizioni precise e determinano una riorganizzazione strutturale delle proprietà della materia. Applicando questa prospettiva alla teoria marxista, si nota come il concetto di transizione sia centrale nella comprensione del passaggio dal capitalismo al socialismo.

Engels affermava che il proletariato è l’erede della filosofia classica tedesca, evidenziando come le trasformazioni sociali non siano semplici continuità evolutive, ma veri e propri salti qualitativi. Lenin, nel suo studio sull’economia russa, sottolineava che essa si trovava in una fase di transizione, caratterizzata dalla coesistenza di elementi capitalistici e socialisti e dalla lotta tra le classi per il dominio della struttura economica.

La transizione economica non avviene in modo lineare, ma attraverso contraddizioni e rotture che riflettono il conflitto tra forze produttive e rapporti di produzione. Nel periodo del “comunismo di guerra”, come analizzato da Bucharin, furono sperimentate misure estreme come l’abolizione della moneta e la gratuità dei trasporti pubblici, dimostrando la possibilità di una nuova organizzazione economica basata sulla pianificazione e sulla razionalità socialista, in contrasto con la logica irrazionale del mercato capitalista.

Analogamente a quanto avviene nelle transizioni di fase fisiche, anche nei mutamenti economici e sociali esistono assi di controllo e assi di comportamento. L’asse di controllo in economia può essere rappresentato da variabili come la proprietà dei mezzi di produzione e la distribuzione della ricchezza, mentre l’asse di comportamento riguarda le dinamiche sociali, la resistenza delle classi e le forme di organizzazione del lavoro.

In conclusione, il concetto di transizione di fase offre una chiave di lettura potente per comprendere i cambiamenti economici e sociali. Così come la fisica studia il passaggio critico tra stati della materia, il marxismo analizza le fasi di transizione tra sistemi economici, individuando i momenti di crisi e le contraddizioni interne che ne determinano l’evoluzione. La logica dialettica sottesa a questi processi mostra che ogni trasformazione non è semplicemente un’affermazione di un nuovo stato, ma anche la negazione del precedente: un punto di rottura che segna il passaggio da un ordine all’altro.

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