La relazione ha proposto una sintesi di un lavoro sviluppato anni fa all’interno della sezione di Schio, frutto di un’approfondita riflessione e analisi teorica. Questo studio è già stato pubblicato sul sito ufficiale della ‘Sinistra Comunista Internazionale’ con il titolo Chaos Imperium. Per chi desidera approfondire ulteriormente i temi trattati, è possibile consultare il testo integrale, che fornisce un quadro più dettagliato e articolato delle questioni affrontate.”

In tale lavoro vengono ribaditi i cardini teorici marxisti sulla centralizzazione e concentrazione dei capitali, sulle caratteristiche dell’imperialismo come fase suprema del capitalismo, il ruolo dello Stato e dell’apparato militare e industriale, la fusione tra capitale industriale e capitale bancario, la ripartizione del mondo tra monopoli.

Si analizza la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto e le controtendenze che operano nel sistema capitalistico per contrastarla (senza peraltro riuscirvi). I rapporti tra le multinazionali e gli apparati statali.

Si è affronta il tema della politica del caos affiancata a quella di contenimento della Cina nel campo economico e in quello militare, il tema del sub imperialismo italiano e le caratteristiche dello sviluppo capitalistico nazionale.

Sono accennati temi quali la progressiva socializzazione della produzione e l’aumento della oppressione, dello sfruttamento e della repressione statale. Si è affrontato il tema della crisi capitalistica, le cause, l’evoluzione storica della produzione industriale, il ciclo del capitalismo senile.

‘Che i cartelli eliminino le crisi è una leggenda degli economisti borghesi, desiderosi di giustificare ad ogni costo il capitalismo. Al contrario, il monopolio, sorto in alcuni rami d’industria, accresce e intensifica il caos, che è proprio dell’intera produzione capitalistica nella sua quasi totalità’. Lenin.

Dal 2014, eventi come i conflitti in Ucraina e Siria ci hanno spinto a riprendere il tema, cercando di individuare elementi invarianti nei fenomeni osservati. I conflitti armati, apparentemente legati a dinamiche territoriali, rispondono in realtà a una duplice causa: da un lato, le lotte interne alle borghesie nazionali, dall’altro, l’intervento di centri capitalistici internazionali per proteggere e ampliare i propri interessi. La fase attuale del capitalismo globale intensifica tali contrasti, aumentando la tendenza allo scontro tra le fazioni borghesi che si contendono il plusvalore prodotto dalla classe lavoratrice.

L’imperialismo non è un fenomeno separato dalle dinamiche economiche e politiche, ma ne rappresenta un’espressione diretta. La politica degli stati borghesi, o meglio delle alleanze tra stati, riflette gli interessi economici dei blocchi capitalistici e ne organizza la spartizione del plusvalore su scala globale. Il nostro lavoro analizzerà anche i nuovi strumenti economico-monetari messi in campo da Russia e Cina, il crescente peso dello yuan e il rimescolamento delle alleanze internazionali.

L’imperialismo odierno si configura come un meccanismo in cui la valorizzazione del capitale, specialmente nel settore bancario-finanziario e industriale, richiede un’espansione sempre più aggressiva verso nuove risorse e manodopera a basso costo. Tuttavia, utilizzando la guerra come difesa e offesa, la tendenza alla caduta del saggio di profitto genera crisi economiche, distruzione di capitale (sia tecnico che umano) e conflitti inter-imperialistici. Le guerre e le crisi sociali si accompagnano alla distruzione quotidiana di “capitale vivo” attraverso malattie, fame e condizioni di vita precarie, elementi strutturali della società capitalista.

In questa fase, i conflitti per il controllo delle risorse e della forza-lavoro diventano particolarmente intensi, soprattutto quando uno degli attori imperialisti inizia a perdere il proprio dominio.

È in questo contesto che si sviluppa la “politica del caos”. Si tratta di una strategia simile alla “terra bruciata” degli eserciti in ritirata: gli Stati Uniti, nel tentativo di rallentare l’avanzata dei concorrenti, promuovono la disgregazione degli Stati Nazionali e la frammentazione politica. In Medio Oriente, questa politica favorisce l’emergere di milizie locali, spesso connotate ideologicamente dal fondamentalismo religioso.

Il Chaos Imperium rappresenta il finanziamento, l’addestramento e l’uso segreto di tali forze, con l’obiettivo di preservare il controllo sulle risorse energetiche e sulle rotte del commercio internazionale.

Leggi tendenziali di sviluppo dell’economia capitalistica e slancio imperiale

Uno dei tratti più caratteristici del capitalismo è costituito dall’immenso incremento dell’industria e dal rapidissimo processo di concentrazione della produzione in imprese sempre più ampie. Questo fenomeno, descritto con precisione da Lenin nel suo studio sull’imperialismo, non è un accidente della storia, bensì una tendenza intrinseca del sistema economico capitalistico. L’accentramento della produzione e del capitale in un numero sempre minore di mani non è solo una peculiarità del moderno capitalismo, ma una sua necessità strutturale. Questa dinamica porta inevitabilmente alla formazione di monopoli, i quali giocano un ruolo cruciale nella configurazione dell’imperialismo.

La trasformazione della concorrenza in monopolio rappresenta uno degli elementi più rilevanti del capitalismo moderno. Lenin sottolinea che la concentrazione della produzione e del capitale, ad un certo punto della sua evoluzione, non solo porta spontaneamente alla soglia del monopolio, ma lo impone come necessità strutturale. Infatti, poche decine di imprese gigantesche, grazie alla loro potenza economica, riescono a concludere accordi reciproci, creando cartelli e trust che limitano ulteriormente la concorrenza.

Concentrazione e centralizzazione del capitale

La concentrazione riguarda l’aumento della grandezza di un singolo capitale aziendale, mentre la centralizzazione si riferisce all’unione e all’assorbimento di capitali differenti in un’unica entità. Questi processi, spinti dalla concorrenza e dalla necessità di massimizzare i profitti, hanno come conseguenza una crescente riduzione del numero di imprese indipendenti e l’aumento del potere economico di pochi grandi gruppi monopolistici.

Sotto la spinta della concorrenza e della tendenza alla caduta del saggio di profitto, la riproduzione allargata del capitale si manifesta in modo sempre più accentuato, rafforzando il dominio dei monopoli. Lenin, nel suo studio sull’imperialismo, evidenzia come il passaggio dalla libera concorrenza ai monopoli non significhi l’eliminazione della concorrenza stessa, ma piuttosto il suo spostamento su un piano più elevato. Le grandi imprese monopolistiche continuano a competere tra loro, ma questa competizione assume forme nuove, quasi sempre sotto la protezione dello Stato.

L’imperialismo come stadio supremo del capitalismo

L’imperialismo è, secondo Lenin, lo stadio monopolistico del capitalismo. Esso si caratterizza per alcuni elementi fondamentali:

  1. La concentrazione della produzione e del capitale ha raggiunto un livello tale da creare monopoli con un ruolo decisivo nella vita economica.
  2. Il capitale bancario si fonde con il capitale industriale, dando origine al capitale finanziario e a un’oligarchia finanziaria.
  3. L’esportazione di capitale acquista un’importanza superiore rispetto all’esportazione di merci.
  4. Si formano associazioni monopolistiche internazionali che si ripartiscono il mondo.
  5. La terra e le risorse vengono completamente spartite tra le più grandi potenze capitalistiche.

Questi elementi definiscono il passaggio del capitalismo a un nuovo livello di sviluppo, in cui le leggi della concorrenza vengono ridefinite dai monopoli e dai grandi gruppi finanziari, i quali operano su scala globale. Il capitale finanziario diventa la forza dominante, consolidando il potere di un ristretto numero di grandi banche e gruppi industriali.

Il ruolo dello Stato e dell’apparato militare-industriale

Il capitale, nel suo percorso evolutivo dalla concorrenza al monopolio, trova nello Stato un alleato imprescindibile. L’apparato militare-industriale e la scienza e tecnologia svolgono un ruolo fondamentale nel consolidamento del dominio monopolistico. La funzione dello Stato non è più semplicemente quella di regolatore dell’economia, ma diventa attivamente partecipe nel garantire la sicurezza e l’espansione degli interessi delle grandi imprese monopolistiche.

Lo Stato detiene il monopolio dell’uso legittimo della forza. Questo concetto diventa particolarmente significativo nell’epoca dell’imperialismo, dove l’uso della forza non si limita ai confini nazionali, ma si estende su scala globale attraverso interventi militari e operazioni di controllo economico-finanziario.

La fusione tra capitale bancario e industriale

Uno degli aspetti centrali dell’imperialismo è la fusione tra capitale bancario e industriale, che porta alla formazione del capitale finanziario. Questo processo avviene attraverso lo strumento delle società per azioni (SPA), che permettono alle imprese industriali di accedere al mercato borsistico con l’intermediazione delle banche. Le SPA quotate in borsa offrono ai capitalisti nuove opportunità di speculazione e concentrazione della ricchezza, rafforzando ulteriormente il potere delle oligarchie finanziarie.

Il mercato azionario permette di trasferire rapidamente il capitale e di aumentare la liquidità delle imprese monopolistiche. Inoltre, le banche, attraverso la concessione di credito e la gestione delle quote azionarie, assumono un ruolo attivo nella gestione strategica delle imprese industriali, contribuendo alla formazione di conglomerati sempre più potenti e influenti.

La ripartizione del mondo tra i monopoli

Lenin sottolinea come l’imperialismo conduca inevitabilmente alla spartizione del mondo tra i trust internazionali e le grandi potenze capitalistiche. Questo fenomeno non si limita al controllo economico, ma si manifesta anche attraverso il dominio politico e militare. Gli stati più potenti utilizzano le loro risorse per assicurarsi il possesso esclusivo di territori strategici, garantendo l’accesso privilegiato alle materie prime e ai mercati internazionali.

L’esportazione di capitale diventa uno strumento essenziale per il mantenimento del dominio monopolistico. Nei paesi meno sviluppati, il capitale straniero trova condizioni favorevoli per massimizzare i profitti: salari bassi, abbondanza di materie prime e costi di produzione ridotti. Tuttavia, questo processo non porta a un miglioramento delle condizioni di vita delle masse lavoratrici, bensì all’accentuarsi delle disuguaglianze e all’aumento della dipendenza economica dai centri del potere finanziario.

Il ruolo delle multinazionali nell’economia capitalistica

Le multinazionali, definite come imprese con unità operative in più paesi, sono attori chiave dell’economia capitalistica moderna. Secondo l’OCSE, comprendono entità con capitale privato, pubblico o misto che operano a livello transnazionale e condividono risorse e conoscenze. La loro caratteristica distintiva è la gestione centralizzata attraverso una strategia comune, con una società madre che coordina le filiali.

Queste imprese non solo dominano i mercati globali, ma hanno anche la capacità di influenzare le politiche economiche e statali, condizionando le decisioni di governi sia nazionali che esteri. Il capitalismo monopolistico si avvale di strutture politiche internazionali e nazionali per rafforzare il proprio slancio imperialista. All’interno dei blocchi capitalistici, il capitale multinazionale più potente riesce a modellare le politiche statali a proprio vantaggio.

Chaos Imperium e le Determinanti Causali

Le dinamiche della politica internazionale sono influenzate da divisioni interne alle classi dominanti e da lotte per l’affermazione di interessi divergenti. Queste divisioni possono compromettere la coesione politico-militare di un blocco capitalistico e la sua capacità di competere su scala globale. Un esempio è la gestione della crisi ucraina, che ha visto divergenze tra Francia, Germania e Stati Uniti. Anche in Medio Oriente, le strategie di Washington e delle potenze europee hanno seguito logiche differenti.

L’ascesa della Cina come potenza economica ha generato effetti dirompenti sulla solidità dell’alleanza a guida americana. Il suo ingresso tra le maggiori economie capitalistiche ha introdotto nuove variabili geopolitiche, come evidenziato nell’articolo Caccia russi nei cieli siriani e Yuan cinesi nei cieli della City di Londra.

L’esportazione di capitali e la centralità della finanza hanno permesso al blocco capitalistico occidentale di drenare parte del plusvalore generato nei paesi emergenti, come Cina e India. Un aspetto cruciale è il ruolo della Cina come creditore degli Stati Uniti: Pechino detiene una significativa quota del debito pubblico americano, il che implica che abbia finanziato indirettamente le guerre USA in Afghanistan, Iraq e le operazioni in Siria, Libia e Ucraina.

Gli Stati Uniti, pur vedendo un declino nel loro peso produttivo ed economico, mantengono intatta la loro superiorità militare. Questo vantaggio viene sfruttato attraverso strategie belliche e la destabilizzazione delle aree in cui emergono concorrenti geopolitici. L’obiettivo è preservare l’egemonia statunitense, controllando il mercato petrolifero globale e le sue infrastrutture di trasporto.

La Cina, investendo nel debito pubblico USA, si è trovata in una posizione paradossale: pur finanziando il suo principale rivale strategico, ha perseguito la stabilizzazione della propria crescita economica. Da una prospettiva marxista, questo apparente contrasto si spiega con la necessità di valorizzare il capitale sovra-accumulato attraverso investimenti sicuri, anche a costo di sostenere indirettamente l’imperialismo americano.

Il ruolo degli Stati Uniti e la strategia di contenimento della Cina

Qui si vuole analizzare il ruolo egemonico degli Stati Uniti nel panorama geopolitico globale, soffermandosi in particolare sulla loro presenza in Asia. Gli USA mantengono un’estesa rete di basi militari e alleanze strategiche con potenze regionali come Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Vietnam. Tale presenza ha una duplice funzione:

  1. Militare e strategica – Gli USA puntano a contenere l’espansione cinese, ostacolando i suoi interessi economici e politici nella regione.
  2. Economica e commerciale – Il rafforzamento delle basi navali statunitensi nelle isole del Pacifico ha lo scopo di poter bloccare, in caso di conflitto, le rotte commerciali cinesi, limitando l’export di merci.

Per contrastare questa strategia di accerchiamento, la Cina, con il supporto della tecnologia russa, sta sviluppando una flotta di enormi cargo volanti, capaci di trasportare ingenti quantità di merci al di sopra delle acque internazionali, aggirando così un possibile blocco navale imposto dagli Stati Uniti.

L’impatto del commercio internazionale sulla caduta del saggio di profitto

Una delle questioni centrali è la tendenza alla caduta del saggio medio di profitto nel capitalismo, dovuta all’eccesso di capitale costante (macchinari, tecnologie, infrastrutture) rispetto alla parte variabile (forza lavoro). Questo fenomeno è strutturale e ineliminabile nel sistema capitalistico.

Uno dei modi per contrastare temporaneamente questa tendenza è il commercio internazionale. Attraverso la vendita di merci su scala globale, i paesi con un alto tasso di capitale costante riescono a vendere i loro prodotti a un prezzo medio di equilibrio internazionale, superiore al valore di plus-lavoro incorporato. In altre parole, le imprese più avanzate tecnologicamente riescono a ottenere un profitto extra sfruttando la media internazionale dei prezzi.

Tuttavia, questo meccanismo non avvantaggia tutti i paesi allo stesso modo:

  • Le imprese con una maggiore produttività riescono a migliorare i loro profitti rispetto alla media.
  • Quelle meno avanzate tecnologicamente, invece, subiscono un danno competitivo, poiché non possono beneficiare della stessa rendita derivante dal prezzo medio internazionale.

L’involucro putrescente del capitalismo

Lenin afferma che il capitalismo, nel suo stadio monopolistico, genera una contraddizione interna: mentre la produzione è sempre più collettiva, i rapporti di proprietà rimangono privati. Questo crea un “involucro” che non corrisponde più al contenuto della società e che, se non rimosso, rischia di entrare in putrefazione.

Lenin afferma che l’involucro dei rapporti di ‘economia privata e di proprietà privata’ prima o poi ‘sarà fatalmente eliminato’.

L’aumento dello sfruttamento e la repressione statale

  1. Caduta tendenziale del saggio di profitto → il capitale è costretto a intensificare lo sfruttamento del lavoro.
  2. Aumento della disoccupazione e della povertà → la sovrappopolazione e l’emarginazione crescono, aumentando la conflittualità sociale.
  3. Rafforzamento dello Stato borghese → per mantenere il controllo, la classe dominante intensifica i meccanismi repressivi, sia economici che politici.

Le alleanze imperialistiche come momenti di tregua prima di nuovi conflitti

Le alleanze tra potenze imperialiste, evidenziano che esse non rappresentano una soluzione stabile, ma solo momenti di pausa tra una guerra e l’altra. Lenin sottolinea che le sfere d’influenza tra le nazioni capitaliste sono sempre soggette a mutamenti, e che nessuna pace tra Stati imperialisti può essere duratura.

Le guerre, quindi, non sono un’eccezione nel capitalismo, ma una sua necessità intrinseca. La storia dimostra che gli equilibri tra le potenze si modificano continuamente e che le alleanze imperialiste servono solo a preparare nuovi conflitti.

Il capitalismo per sopravvivere, ha dovuto potenziare i propri strumenti di dominio, portando a una crescente oppressione burocratico-poliziesca. Fin dall’inizio del XX secolo, si è assistito a un rafforzamento dello Stato come strumento di gestione economica e repressione politica.

Dal monopolismo economico all’interventismo statale, fino ai regimi totalitari, la borghesia ha progressivamente aumentato il controllo sulle masse lavoratrici. Questo si traduce in:

  • Una maggiore centralizzazione del potere nelle mani dei grandi stati imperialisti.
  • Un incremento del controllo poliziesco e militare per prevenire insurrezioni rivoluzionarie.
  • Una propaganda ideologica che maschera l’oppressione con narrazioni democratiche.

Nonostante la retorica liberale, non vi è alcuna differenza sostanziale tra regimi democratici e regimi apertamente autoritari: entrambi esercitano il dominio di classe in modo feroce, con strumenti più o meno sofisticati.

Secondo l’analisi marxista, il capitalismo ha bisogno della distruzione periodica di capitale (mezzi di produzione e forza lavoro) per sopravvivere. La guerra diventa quindi uno strumento necessario per mantenere il sistema in equilibrio. Se la competizione tra gli stati impedisce un’unione stabile sotto un super-imperialismo, essa facilita invece la creazione di conflitti che permettono al capitalismo di rigenerarsi. [1]

Il capitalismo non ha raggiunto una fase “pacifica” o “stabile”, ma si trova in una fase di crescente tensione, caratterizzata da:

  • Guerre locali come strumenti di distruzione del capitale e di ridefinizione degli equilibri imperialisti.
  • Un’economia sempre più militarizzata, con investimenti massicci nell’industria bellica.
  • L’aumento della repressione interna per controllare il malcontento sociale.

Per superare l’oppressione del capitalismo, è necessario:

  • Smantellare gli stati borghesi, che rappresentano il principale strumento di dominio.
  • Attaccare i monopoli capitalistici, non solo perché controllano l’economia, ma perché sono parte integrante dell’apparato statale.
  • Superare l’illusione democratica, riconoscendo che la borghesia mantiene il potere attraverso strumenti repressivi, indipendentemente dalla forma politica.

Il comunismo, non può essere un semplice riformismo o un compromesso con il capitalismo, ma deve essere una rottura rivoluzionaria totale, capace di demolire gli stati imperiali.


[1] il capitalismo si rigenera attraverso guerre e distruzioni ma non potrà farlo all’infinito, quindi la rigenerazione, pur essendoci, è temporanea.

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