LA SPIRALE DEL CICLO BELLICO-IMMOBILIARE

Che la guerra sia una manifestazione dell’acutizzarsi della crisi dell’economia capitalistica è un fatto che noi marxisti abbiamo osservato già da parecchio tempo. Allo stesso modo abbiamo sottolineato il valore intrinsecamente economico della guerra nell’agire come bagno di giovinezza del modo di produzione capitalistico. Come abbiamo affermato nella nostra stampa parecchie volte la guerra agisce sulla crisi di sovrapproduzione capitalistica come un procedimento finalizzato a distruggere merci, capitali e forza lavoro in esubero, cioè popolazioni umane sulle quali i conflitti agiscono come uno sconto sulla crescita demografica futura.

Una volta assolto al suo compito demolitore e sterminatore, la guerra cede il passo alla “edificazione” della “pace” borghese con cui i pescecani capitalisti possono profittare del nuovo grande affare della ricostruzione intensificando lo sfruttamento dei proletari.
La fine della prima decade di luglio di quest’anno ha visto a Roma il lugubre spettacolo della Conferenza Internazionale per la Ricostruzione dell’Ucraina, un evento internazionale dai toni per noi assai inquietanti: le comparse in rappresentanza del capitale internazionale hanno celebrato l’inaugurazione di un atteso ciclo di lucrosi investimenti di capitale per il quale si è ancora in attesa del completamento della fase preliminare, poiché la guerra è ancora in corso, non per un istante cessa di fare tuonare il cannone e così non ha ancora assolto pienamente al suo devastante compito. Dunque il macabro concerto delle macchine costruite per ammazzare gli umani dovrà continuare ancora per un po’, prima che venga dato il via libera alla grande corsa della ricostruzione di case, infrastrutture e stabilimenti industriali mandati in malora dal conflitto russo-ucraino per il quale, nonostante le vaghe promesse di tregua delle parti in lotta, ancora non si vede la fine.
Nella capitale italiana si sono radunati decine di capi di Stato e di governo, centinaia di rappresentanti di aziende già ai blocchi di partenza per il nuovo giro di giostra dell’accumulazione capitalistica ed ecco che la stampa al servizio del capitale già esulta per i “grandi risultati” raggiunti: “più di duecento accordi firmati per un valore superiore ai dieci miliardi di euro, mobilitati grazie al coinvolgimento di ottomila delegati e oltre cinquecento aziende italiane”. Così la borghesia del paese ospitante celebra l’amicizia col paese “aggredito”: aiuti militari sì, ma a patto di partecipare al sontuoso banchetto della ricostruzione postbellica.  

Se lo spettacolo dell’evento internazionale è stato assai pacchiano è anche perché i fini loschi degli Stati “amici dell’Ucraina” erano sotto gli occhi di tutti: nessuno ha tentato di dissimulare fini che in una temperie politica diversa dall’attuale di tetra preparazione bellica, sarebbero apparsi improponibili e irricevibili per i destinatari e inconfessabili per gli stessi promotori.

Il salto qualitativo compiuto dalla borghesia internazionale nel proporre senza remore o infingimenti l’osceno programma della ”guerra per la ricostruzione”, cioè del “massacro per il rilancio economico”, non poteva non essere colto da quella parte della pubblicistica borghese che si occupa di fornire un quadro realistico della situazione presente a quella fetta di mercato di lettori che non si accontentano della becera propaganda finalizzata a inquadrare ideologicamente le masse umane per poi intrupparle nella prossima carneficina generale della guerra mondiale. In questo senso si spiega un articolo apparso il 14 luglio scorso sul quotidiano cattolico “Avvenire” dal titolo assai esplicativo: “L’immobiliare delle guerre”. L’autrice è una rinomata urbanista “abituata a riconoscere nelle immagini satellitari la forma degli edifici, la trama delle strade, la densità dell’urbanizzato” e ci dice come “a Gaza è la devastazione a prevalere, un vuoto che non richiama più nulla di ciò che, fino a pochi mesi fa, era un tessuto urbano vivo”. Dunque a Gaza è stata fatta “tabula rasa” e l’urbanista spiega che tale punto di partenza “è la condizione ideale di un certo immaginario immobiliare […] che aspira ad operare in contesti svuotati di ogni memoria, su cui impiantare un nuovo potere economico e una nuova estetica del lusso”. La nostra urbanista afferma una cosa che anche noi abbiamo scovato innumerevoli volte sotto le valanghe di sangue e sudiciume di ogni guerra borghese: “La spirale del ciclo bellico-immobiliare ha purtroppo una sua coerenza – arma, distrugge, ricostruisce, guadagna – e gli interessi di chi distrugge convergono con quelli di chi ricostruisce. La guerra è seguita dalla ricostruzione, presentata come atto di speranza, di pace, di solidarietà internazionale. Ma dietro la retorica della rinascita si celano logiche di profitto che più cinico non si può”.
Il concetto non potrebbe essere espresso più chiaramente di così e a noi viene da pensare che anche la borghesia, d’ora in poi, ogni volta che dovrà rappresentare il divenire sociale in un racconto che abbia una qualche attinenza con la realtà, sarà sempre più costretta a “scivolare” sull’aborrito linguaggio marxista. Questo spiega anche un’altra cosa, cioè che noi non a caso ci siamo stretti attorno alla dottrina della scienza rivoluzionaria marxista. Essa ci dà la chiave per spiegare il passato, comprendere le trasformazioni del presente e anticipare le catastrofi o le potenzialità del futuro (l’alternativa è guerra o rivoluzione). I proletari, se non vogliono essere vittime sacrificali del “ciclo bellico-immobiliare”, se non vogliono morire sotto i mattoni del passato e le rovine della marcia società borghese, devono trovare la strada per proporsi sulla scena del devastato presente come la compatta classe internazionale che sola può fermare con la sua rivoluzione la guerra generale del capitale che farà letteralmente a pezzi, con questo pianeta, anche le loro vite. 

14 luglio 2025.

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