INTRODUZIONE

Oggi pomeriggio parleremo delle lotte immediate dei lavoratori, delle battaglie di carattere economico e dello strumento di queste lotte cioè le organizzazioni sindacali. Allargando lo sguardo, proveremo anche ad assumere un punto di vista generale, che riguardi il proletariato mondiale e le sue battaglie, cioè la lotta per il suo obiettivo ultimo che è la sua emancipazione, la sua liberazione dalla schiavitù del lavoro salariato.

Osserviamo la società attuale e in essa lo sviluppo della lotta proletaria.

I LAVORATORI SALARIATI

Il dato statistico ci dice che in una popolazione mondiale che supera di poco gli 8 miliardi di individui circa la metà di essi è un lavoratore salariato (dati I.L.O. International Labour Organization 2015) e tra essi il 60% è un lavoratore non stabile, precario. In Cina esistono già 200 milioni di lavoratori intermittenti, precari, che entrano ed escono dal mercato del lavoro (dati Economist 2025). I lavoratori migranti vengono calcolati in circa 150 milioni nel mondo (dati I.L.O. 2015).  La condizione del salariato è appena accettabile nei paesi occidentali, mentre nel resto del mondo è assai miserevole. Non mancano quindi le motivazioni che sollecitano la reazione e la rivolta della classe lavoratrice, sia nelle metropoli imperialiste che nei paesi a capitalismo meno sviluppato.

LA FASE DEL CAPITALISMO SENESCENTE

Il capitalismo ha ormai assoggettato alle sue leggi anche gli angoli più remoti del globo. Esso produce un continuo aumento della massa dei lavoratori salariati. Ma il Capitale, nella sua attuale fase di declino e senescenza, di aumento della sua composizione organica cioè del formidabile sviluppo della tecnologia e dell’informatica applicate ai processi di produzione, produce, al tempo stesso, un enorme esercito industriale di riserva, larghi strati di proletariato marginale, servi del capitale, che esso non può più sfruttare o sfrutta in maniera non continua: una sovrappopolazione eccedente la capacità di valorizzazione del capitale stesso, una massa di servi che esso è costretto ad alimentare, almeno fino a quando non costituiranno una zavorra insostenibile. Almeno fino a quando la rivolta di queste masse non rappresenterà un grave pericolo per il sistema. Tuttavia già oggi il Capitale ha un’esigenza insopprimibile, quella di distruggere e ricostruire. Ecco che esso rivela la sua vera natura, tutta la sua disumanità: già oggi fame, guerre, stermini distruggono beni materiali e annientano popolazioni, tutto questo in nome del profitto.

La concentrazione e la centralizzazione dei capitali è una necessità del modo di produzione capitalistico. Il capitale è alla continua ricerca del massimo profitto e di soluzioni da mettere in campo per fronteggiare le ricorrenti crisi economiche di sovrapproduzione, per contrastare la tendenziale caduta del saggio medio di profitto e per reggere la spietata concorrenza contro i fratelli coltelli borghesi.

LE LOTTE ECONOMICHE

Il proletariato con le sue quotidiane lotte economiche nelle galere aziendali e nella società si oppone alla borghesia.  Ma oggi a che punto siamo nella lotta contro il Capitale? Oggi nel mondo non mancano le lotte economiche del proletariato, ne siamo testimoni tutti i giorni. Si manifestano con improvvise fiammate che esprimono la necessità dei salariati di lottare per la propria esistenza, per difendere le proprie condizioni, per rivendicare un futuro.

Ne sono un esempio le lotte dei popoli dell’Amazzonia che vedono distruggere il loro habitat naturale a causa dello sfruttamento capitalistico delle risorse o le lotte dei contadini indiani contro le multinazionali che intaccano il patrimonio naturale di biodiversità delle coltivazioni locali, mandandoli in rovina. Sono lotte per l’esistenza quelle dei giovani nepalesi, che spinti dalla miseria crescente e dalla mancanza di prospettive, assaltano i palazzi del potere mostrando di individuare senza dubbi la causa della loro miseria. Ne sono un altro esempio le violente proteste in Madagascar o in Indonesia: in estremo oriente la società ribolle e i più disparati motivi fanno scendere in piazza il proletariato, deterministicamente spinto a lottare da cause materiali.

Quando parliamo di cause materiali ci riferiamo alla miseria crescente prodotta dal capitalismo. Cioè alla capacità del sistema di produrre immense quantità di merci, di beni e di servizi che si concentrano solo ad un polo della società, quell’1% che detiene la maggior parte delle ricchezze e che produce all’altro polo sociale solo diffusa povertà. Miseria crescente prodotta dal capitalismo è lo straordinario divario tra i minimi aumenti salariali ottenuti dai lavoratori e gli eccezionali profitti di banche ed imprese. La condizione dei proletari, cioè di senza riserve, non viene per niente attenuata dagli aumenti salariali ottenuti con lotte sindacali vittoriose come per esempio è accaduto nell’occidente capitalistico nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale. Ciò che la classe operaia ottiene con le lotte economiche vittoriose è sempre un risultato temporaneo, si può perdere in seguito, o per una crisi aziendale o a causa di una ciclica crisi a cui il sistema del capitale va incontro, o in seguito alla generalizzata crisi di sovrapproduzione del capitale che stiamo attraversando ora.

La lotta contro la miseria crescente non è solamente per l’aumento dei salari o per il miglioramento del tenore di vita. La miseria è la condizione del salariato, cioè dell’uomo (o della donna) costretto a lavorare alle condizioni di “mercato”, cioè a vendere sul mercato sé stesso, le proprie braccia e la propria mente per mangiare, coprirsi, dormire, riprodursi. La sua lotta contro la miseria è per liberare sé stesso, la propria classe e tutta la società dalla schiavitù del lavoro salariato, dal bisogno.

La spinta fisiologica e gli interessi economici determinano la ribellione del singolo lavoratore. Ma i lavoratori unendosi ai compagni nella lotta, sperimentano la forza che si acquisisce con l’unione e la solidarietà, concetti opposti alla concorrenza tra singoli lavoratori e alle spinte individualiste proprie della società capitalista e dell’ideologia borghese. Questo è il primo risultato positivo delle lotte proletarie, cioè lo sviluppo della solidarietà, la presa d’atto che nell’unione tra lavoratori nasce la loro forza. Poi c’è n’è un altro: lo sviluppo dell’organizzazione. Talvolta le lotte proletarie sono vincenti, ma lo sono solo transitoriamente. Ciò che è vero, ciò che si sedimenta è l’unione tra gli operai, la loro organizzazione, in poche parole la loro capacità di lottare.

Gli organismi di lotta economica, i sindacati, dapprima furono aspramente combattuti dalla borghesia appena ebbe conquistato il suo potere politico, subito dopo la rivoluzione in Francia del 1789 e nei decenni successivi; in seguito i sindacati furono tollerati e fu favorita la loro costituzione per un motivo preciso: per deviare l’energia della classe dalla prospettiva rivoluzionaria verso un orizzonte più immediato, quello delle riforme. Infine lo Stato li ha inglobati nel suo apparato, finanziati e usati come strumento della conservazione dell’ordinamento borghese.

Nel recente passato, in seguito alla crisi di credibilità dei sindacati istituzionali, sono sorte nuove organizzazioni, i sindacati di base o sindacati di lotta, meno inclini al compromesso e più combattivi. Essi hanno accolto i lavoratori più sensibili alle ragioni della lotta immediata.

Tuttavia queste organizzazioni non si possono definire “sindacati di classe” cioè organismi in cui l’influenza dei militanti del Partito li rendano strumenti utili alla preparazione, all’addestramento e all’organizzazione del proletariato in vista dei suoi obiettivi ultimi.  Siamo certi che nel futuro, la polarizzazione sociale e il riavvio di grandi mobilitazioni di massa, attesa risposta alle insanabili contraddizioni del sistema, determineranno il sorgere di nuove forme di organizzazione immediata della classe.

Quando parliamo di lotta economica, intendiamo la lotta per riconquistare almeno in parte quel plus-valore prodotto dai lavoratori e sottratto agli stessi lavoratori dall’aumento dello sfruttamento nel corso degli anni o recuperato dalla borghesia tramite i tagli al sistema della sicurezza sociale o destinando parte del bilancio dello Stato all’ acquisto di nuovi armamenti o al finanziamento dell’industria delle armi.

LA LOTTA POLITICA

Fino a quando le lotte del proletariato non si porranno sul piano politico, cioè sul piano della lotta di classe rivoluzionaria esse rimarranno nell’ambito del riformismo dove ciò che conta è il movimento e non il fine. Potremo parlare di lotta di classe quando anche solo una piccola parte del proletariato in lotta avrà precisa coscienza di quel movimento e dei suoi fini. Potremo parlare di lotta di classe quando sarà chiaro, per una parte dei lavoratori, quelli più coscienti, che il fine ultimo della lotta di classe è l’abbattimento dello Stato borghese e l’instaurazione della dittatura del proletariato.

Il fine in sé, l’obiettivo immediato è il miglioramento salariale, il fine ultimo è l’abolizione della condizione di salariato.

LA FUNZIONE DEL PARTITO

I mezzi per raggiungere il nostro fine ultimo, cioè l’abolizione della schiavitù del lavoro salariato, sono da ricercarsi nei metodi e negli strumenti che il movimento dei lavoratori ha già sperimentato in tutte le sue lotte passate. Così come la dottrina marxista anche i metodi di lotta sono invarianti: l’arma è quella dello sciopero, senza limiti di tempo, continuato anche durante il corso delle trattative con la controparte, che coinvolga il maggior numero di lavoratori delle diverse categorie e non si chiuda nel ristretto e asfittico ambito della battaglia nella singola fabbrica, nel singolo posto di lavoro, ma coinvolga l’insieme della classe.

Compito dei comunisti è agire dentro tali lotte, costruire una rete organizzativa con l’obiettivo di conquistare un’influenza significativa dentro agli organismi sindacali o alle organizzazioni di lotta, portare gli elementi più combattivi alla adesione al programma rivoluzionario.

La teoria e la prassi dei comunisti è racchiusa nel Partito, storicamente inteso come patrimonio dottrinale, di esperienze vittoriose, di sconfitte e di lezioni che da tali sconfitte ha appreso. Il Partito è insieme prodotto e fattore di storia.  Quando la lotta del proletariato lo rende possibile, il partito storico prende forma nel Partito attuale, formale, funzionante secondo il centralismo organico, che lotta per la realizzazione di un Programma per la specie umana. Il proletariato è la classe che lotta per liberare tutte le classi, per liberare l’intera umanità dalla schiavitù del lavoro salariato, per una nuova comunità, un nuovo ordine sociale, di uomini liberi, cioè liberati dal bisogno e riconciliati con la loro stessa natura umana, in armonia con l’ambiente.

Noi non siamo un partito, ma riteniamo impossibile un cambiamento sociale senza che in futuro si sviluppi il partito rivoluzionario. Esso non si può “fondare” o “costruire”, ma emergerà dallo scontro di grandi forze messe in moto dalle contraddizioni dello stesso capitalismo.

La tradizione politica a cui ci rifacciamo, la Sinistra Comunista Italiana, nasce dal vivo di lotte proletarie accadute in Italia a partire dal 1890, molto estese e radicali, sia al sud che nel nord del paese. Queste lotte coinvolsero lavoratori delle industrie manifatturiere e salariati agricoli. Nel 1892 a Genova nasce il Partito Socialista Italiano, all’interno del quale matura la corrente di Sinistra che si costituirà in frazione astensionista nel 1918 e che darà poi vita, nel 1921, al Partito Comunista d’Italia, sezione della III Internazionale. E’ li che affondano le radici del nostro lavoro politico.  Solo se si ripresenteranno quelle stesse condizioni di allora, cioè un forte ed esteso movimento operaio internazionale, che nella lotta sviluppa la sua organizzazione e la sua forza, potrà nuovamente sorgere il Partito Comunista Internazionale, guida del proletariato mondiale.

22/10/2025

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