Introduzione
Le condizioni di vita del proletariato giovanile nell’Italia contemporanea sono caratterizzate da due linee di tendenza principali: in primo luogo la precarietà delle prospettive di lavoro, nella certezza di lunghi periodi di disoccupazione, e in secondo luogo la manifestazione di tentativi di aggregazione, in funzione di atti di conflitto con la società capitalistica (per ora da parte di una minoranza, mentre passività e ricerca di soluzioni individuali sono ancora predominanti nella maggioranza).
Non crediamo che l’età anagrafica modifichi l’essenza sociale della condizione proletaria, cioè il suo essere alienata ed espropriata dai mezzi di produzione, dal prodotto del proprio lavoro, dai tempi e dalle modalità organizzative in cui questo lavoro si svolge. Il dispotismo parassitario del capitale sussume e ingloba le vite dei proletari, all’interno dell’infernale ambiente aziendale, senza distinzione di età, così come avveniva con i rematori delle antiche galere, che erano letteralmente incatenati ai remi dell’imbarcazione.
Tuttavia i dati statistici rivelano un maggiore livello percentuale di disoccupazione nelle fasce di età comprese fra la soglia minima dei 18 anni e la soglia massima dei 35 anni (rispetto alle fasce di età successive). Una parte di questi senza-lavoro riesce a sopravvivere con l’assistenza delle famiglie (quando le famiglie sono in grado di provvedere), altrimenti finisce nel giro dei lavori precari o anche nella microcriminalità.
La società capitalistica, nata lorda di sangue e fango già dall’inizio, continua imperterrita a produrre masse umane di diseredati e disperati, attratti e respinti al contempo dalle sirene del consumo di merci inutili e dementi, in un folle caleidoscopio di sogni e bisogni omologati e inautentici.
L’uomo merce desidera l’oggetto merce, ignaro di essere vittima di una doppia schiavitù (la schiavitù del suo essere una semplice merce dentro il processo di valorizzazione del capitale, e la schiavitù-dipendenza verso i modelli di vita consumistici e individualisti indotti dall’ideologia
dominante).
L’acutizzazione della crisi economica rappresenta, almeno per una parte della società, un brusco addio al bisogno compulsivo di oggetti inutili, improbabili e ricercati status-symbol di agognate scalate sociali. In fondo alla scaletta dei desideri la legge dell’impoverimento tendenziale, innestata immanentemente nei processi economici dell’organismo capitalistico, ha preteso il suo prezzo dai milioni di proletari ormai superflui rispetto alle esigenze di valorizzazione del capitale. In attesa di una ripresa del ciclo economico, subordinata alla distruzione fisiologica – mediante qualunque mezzo – dell’eccesso di capitale costante ( macchinari, merci, impianti e attrezzature…) e variabile (forza-lavoro umana), la società borghese si trova a dover gestire l’accresciuta conflittualità dei numerosi gruppi di proletari senza riserve, relegati dentro una condizione di semi-digiunatori (mentre le capacità produttive dell’economia sono sottoutilizzate perché la produzione di merci, in questa fase, non determinerebbe un adeguato tasso di redditività per il capitale investito). Il sistema, guidato dalla logica disumana del profitto, non riesce quindi nemmeno a garantire l’adeguato rifornimento di beni elementari di sussistenza a una parte dei suoi schiavi salariati. In questo snodo drammatico si innesta la ribellione di importanti segmenti di proletariato giovanile, in molti casi su obbiettivi di lotta non direttamente classisti (no Tav, no dal Molin), e tuttavia sintomatici di un primo confuso bisogno di opposizione al sistema. In altri casi il conflitto assume caratteri anarcoidi, disorganizzati e intermittenti, evidenziando ancora una volta la ricorrenza delle forme storiche di lotta caratteristiche delle fasi iniziali di un conflitto sociale più ampio. Probabilmente il passaggio a fasi più acute di conflitto sociale è presentita come una possibilità reale (da parte della classe sociale schiavista), tale presentimento spiegherebbe anche la svolta autoritaria dell’apparato di dominio politico-statale, registrata negli ultimi anni (dittatura della maggioranza parlamentare, prevalenza dell’esecutivo sul parlamento, approvazione di leggi miranti a ridurre i residui ‘diritti’ dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali più combattive). Questa svolta autoritaria, per ora concentrata nella sfera politico-legislativa, andrebbe concepita come il preludio al successivo impiego di mezzi di repressione violentemente polizieschi (verificabile qualora il livello del conflitto sociale dovesse ulteriormente acutizzarsi).
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