Come tanti altri osservatori seguiamo da tempo le vicende relative all’affare Siria, Isis, Iraq, tentando di decifrare, sotto il mistero della nascita del cosiddetto stato islamico terrorista, le tracce ricorrenti del confronto/scontro fra i blocchi capitalistici predominanti sulla scena geo-storica contemporanea. Non torniamo sulle caratteristiche fondamentali di questo confronto/scontro fra blocchi concordi/discordi, esse vengono esposte nei seguenti testi presenti sul sito: ‘Dalla guerra come difesa e offesa, alla guerra come sterminio di forza-lavoro in eccesso’, ‘Isis e politica americana del caos’, ‘Dinamiche di confronto e scontro fra blocchi imperialistici contemporanei’.
Inutile ripercorrere i ragionamenti svolti in quei testi, diamo per assodato che il lettore di questo articolo conosca il contenuto dei testi suddetti, e quindi possa avere ben presente il quadro storico-sociale generale in cui vanno inserite, a nostro modesto avviso, le attuali turbolenze politico-militari siriane fra i blocchi di potere incentrati militarmente da una parte sulla Russia, e dall’altra parte sull’America. Come avevamo previsto, in difformità da altri osservatori propensi a formulare ipotesi dal segno opposto, la risorta potenza militare russa sta mettendo nell’angolo facilmente il rivale a stelle e strisce nei due attuali teatri di confronto, cioè Donbass e Siria. Nel Donbass si prevedeva, dopo la batosta di Debaltsevo, subita dagli ucraini fra gennaio e febbraio, una nuova offensiva dell’esercito di Kiev entro il mese di agosto, o al massimo entro la metà di settembre. Infatti c’erano dei segnali abbastanza rivelatori di tali progetti, come l’ammassamento di 90 mila soldati ucraini a ridosso della frontiera della Novorossia, e la frenetica attività degli istruttori inviati ufficialmente dall’America per addestrare l’esercito di kiev. Nel recente articolo di agosto (Dinamiche di confronto e scontro fra blocchi imperialistici contemporanei) avevamo espresso delle considerazioni fortemente scettiche su queste ipotesi, e sembra che allo stato attuale il nostro scetticismo sia pienamente confermato dai fatti. Nel mare magno della disinformazione, e del segreto militare praticato come regola aurea dai vari apparati statali di oppressione, probabilmente non sapremo mai con certezza quali ragioni hanno impedito che la prevista offensiva d’estate del malconcio esercito di Poroschenko diventasse realtà. Le forze militari degli indipendentisti del Donbass ammontano all’incirca a 60 mila unità. Un numero inferiore di un terzo rispetto alle forze ammassate dalla giunta di Kiev, anche se la dotazione di mezzi militari e armamenti dei due eserciti (artiglieria, tank pesanti e medi, autoblindo, lanciamissili, semoventi, autocarri), dopo le precedenti sconfitte subite dagli ucraini, sono quasi equivalenti; una nuova offensiva ucraina, in queste condizioni, poteva anche avere qualche probabilità di successo, soprattutto considerando la maggiore massa di soldati impiegabile nelle operazioni belliche. Se facciamo qualche giro in rete troviamo alcune notizie, a nostro avviso verosimili, sulle ragioni ‘materiali’ che hanno sconsigliato la messa in opera della progettata offensiva d’estate. Il copione di agosto/settembre 2015 ricalca in parte gli eventi verificatisi (pensiamo con molta probabilità) nell’agosto 2014 intorno alla città di Ilovaisk, quando nel momento decisivo dello scontro bellico fra indipendentisti e forze regolari, in una pericolosa fase di stallo, sono (forse) intervenute per pochi giorni sul campo 2 mila o 3 mila unità scelte russe, determinando la successiva catastrofe dell’accerchiamento di quasi settemila militari ucraini.
Questa volta sembra che siano comparse preventivamente, sul possibile campo di battaglia dell’offensiva ucraina, le forze scelte dell’esercito russo, determinando senza colpo ferire la rinuncia alla stessa offensiva programmata da parte dei politici di Kiev.
Probabilmente si è trattato di soldati appartenenti ai corpi speciali, Spetnaz, destinati ad operare senza insegne e distintivi all’estero, per difendere gli interessi dello stato russo. Un confronto senza possibilità di vittoria per le demoralizzate truppe dell’esercito regolare ucraino, e soprattutto un confronto fatale per i battaglioni di volontari neonazisti impiegati in Donbass. Messo militarmente in sicurezza il Donbass, fortificata fino all’inverosimile Sebastopoli e la Crimea, l’apparato militare russo ha rivolto la sua mano imperiale, punitiva e vendicatrice, sulla Siria minacciata dall’Isis e dalle intrusioni aeree della coalizione a guida americana. A partire dall’inizio di settembre, verificata l’inanità delle minacce ucraino-statunitensi al Donbass, la Russia ha fatto partire un ponte aereo-navale per trasportare uomini e mezzi verso i porti e gli aeroporti di Tartus e Lakatia in Siria. Anche in questo caso la portata e gli scopi dell’operazione sono stati sottaciuti e dissimulati ( le dichiarazioni ufficiali di esponenti politici e militari russi parlano solo di assistenza di intelligence e di forniture all’esercito siriano previste da tempo). Le dichiarazioni di esponenti politici e militari americani sono state complementari e opposte a quelle russe, indicando, ovviamente con realismo, le vere ragioni dell’intervento del rivale imperiale (ovvero consolidare il regime siriano e quindi le proprie basi navali e la presenza russa nel mediterraneo, colpire l’Isis e mettere in sicurezza la costa siriana alauwita, troncare, dopo oltre tre anni, l’azione destabilizzatrice dell’America e della sua creazione, l’Isis).
L’America si limita a dichiarazioni impotenti, trovandosi in presenza di un’azione militare avversaria che non può essere impedita, almeno allo stato attuale delle cose, poiché i russi hanno avuto l’accortezza di dispiegare sul terreno intorno a Tartus (una loro storica base navale) e Lakatia, in meno di 48 ore, dei moderni e letali sistemi missilistici terra-aria, in grado di abbattere i caccia americani che osassero attaccare le basi militari russe in via di costruzione. Inoltre sono stati trasferiti oltre 70 aerei da combattimento, decine di tank e autoblindo, qualche migliaio di fanti di marina e verosimilmente un numero uguale di Spetnaz. Come già accaduto in Cecenia, uno dei compiti particolari di questi corpi scelti sarà quello di infiltrarsi nel territorio controllato dall’Isis per assassinare i suoi capi militari, al fine di far serpeggiare il terrore fra le truppe dello stato islamico.
La improbabile coalizione anti-Isis a guida statunitense, dopo avere inutilmente tentato di bloccare la spedizione militare punitiva dei russi, spingendo la Bulgaria e altri paesi a negare il sorvolo del proprio spazio aereo all’aviazione russa, ha dovuto patteggiare con l’avversario imperiale delle regole di ingaggio predefinite per impedire incidenti di ogni tipo. Anche Israele, nella persona del leader Nethaniau, ha dovuto patteggiare condizioni e regole d’ingaggio dell’aviazione per evitare incidenti pericolosi. Il battistrada russo apre il campo anche al maggiore intervento della guardia rivoluzionaria sciita iraniana, i pasdaran, ai suoi alleati sciiti libanesi di Hezbollah, e alla presenza economico-aziendale cinese in veste di finanziatore e ricostruttore. Sono in gioco dei grossi interessi collegati allo sfruttamento, da parte di multinazionali russe, dei giacimenti di materie prime al largo delle acque territoriali siriane, e alla costruzione di oleodotti e gasdotti che colleghino la costa e il terminale di Kirkuk in Iraq . L’economia cinese ha molto bisogno di metano e petrolio,e quindi il progetto di sfruttamento di queste risorse siriane è di cruciale importanza, come abbiamo già sostenuto in ‘Isis e politica americana del caos’. Una prudente valutazione degli eventi tuttora in corso non può evitare di ammettere che con l’intervento in Siria, ancora una volta, l’iniziativa è passata in mano al blocco imperiale rivale dell’America.
Le forme assunte dal confronto/scontro fra i due giganti militari contemporanei, nell’attuale impossibilità di uno scontro totale, foriero di scenari atomici apocalittici, gioca sul doppio binario della minaccia e della destrezza militare – diplomatica. Giochi di potenza, in cui gli apparati statali militari-industriali di oppressione dispiegano la loro esistenza al servizio degli interessi e dei privilegi della classe sociale borghese, alla lotta contro altri apparati statali-militari per il controllo di risorse e proletari da sfruttare, e quindi alla distruzione di capitale costante e variabile (1), per consentire ancora una volta alla propria classe sociale di riferimento di tornare a crescere e prosperare sulla ricostruzione delle rovine da essa stessa create.
- Vedere l’articolo presente sul sito, ‘Dalla guerra come difesa e offesa, alla guerra come sterminio di forza-lavoro in eccesso’.
Postilla
Aggiungiamo questo aggiornamento sulla situazione mediorientale, perché ci sono, al 27 settembre 2015, almeno due notizie degne di rilievo: l’incursione – per la prima volta – di aerei francesi in Siria contro posizioni di terroristi islamici, e in secondo luogo la notizia della nascita di un inedito e ufficiale coordinamento, con sede a Baghdad, fra Russia, Siria, Iran e Iraq, per individuare e contrastare le iniziative dell’Isis. La prima notizia va letta, con un buon grado di probabilità, come una risposta all’attivismo russo in Siria; risposta condotta da parte dei francesi, in modo da evitare la pericolosa esposizione militare diretta del peso massimo americano. I francesi dichiarano peraltro di agire nel quadro della coalizione antiterrorismo internazionale (a guida statunitense) e a tutela dei propri interessi nazionali. Si riservano inoltre di tornare a intervenire con la propria aviazione, discrezionalmente e autonomamente, ogni qual volta decidessero che esiste un rischio per la propria sicurezza nazionale. Sarebbe interessante sapere se le regole di ingaggio concordate fra gli apparati militari israeliani e americani con il corrispettivo russo, valgono anche per i francesi.
Riteniamo che l’aviazione francese seguirà le stesse regole degli altri due attori (anche se non le ha contrattate direttamente con la Russia, come invece hanno fatto America ed Israele).
L’altra notizia, se vogliamo, è quasi il riflesso speculare della prima, cioè una risposta dell’attore russo alle azioni di contenimento e di contrasto finora tentate dall’avversario.
L’alleanza politico-militare (formale e di fatto) fra Iran, Siria e Russia, viene ora ufficialmente e formalmente allargata all’Iraq a guida sciita, nella prospettiva della lotta comune al Frankstein Isis, prodotto (2) dagli avversari imperiali americani con il supporto dei regimi arabi sunniti del golfo e la collaborazione di varie potenze regionali interessate a trarne vantaggio (Turchia, Israele). La stessa strana e inefficace guerra aerea all’Isis da parte della coalizione internazionale (a guida americana), è solo un pretesto, ci sembra evidente, per imporre nell’altrui spazio aereo almeno la presenza della propria aviazione (essendo fallita la precedente fase della presenza con un esercito di terra in queste aree particolarmente importanti a causa delle risorse petrolifere ivi sepolte). L’adesione dell’Iraq ad un coordinamento di intelligence e di lotta, insieme alle forze militari siriane, iraniane e russe rappresenta un corollario inevitabile dei processi in atto da vari anni. Il confronto/scontro fra blocchi di potenza imperiali ha trovato nell’area mesopotamica uno snodo cruciale, e se vogliamo, almeno a partire dal settembre 2015, un punto di svolta a favore di uno dei due attori globali. L’attore più favorito è adesso il blocco economico e militare russo-cinese, alleato di Iran e Siria e ora anche dell’Iraq. L’apparato militare-industriale capitalistico americano, non essendo riuscito a controllare militarmente l’area con il proprio esercito di terra, ha lasciato sul territorio (che è stato costretto ad abbandonare) il frutto avvelenato dell’Isis: un copione di comportamento già visto in altre vicende belliche (pensiamo alla strategia della terra bruciata e dell’avvelenamento dei pozzi praticata dall’esercito zarista in ritirata davanti all’offensiva dell’armata napoleonica, oppure alla stessa strategia scelta dalla Wermacht che si ritirava sotto la spinta delle offensive sovietiche del 1943/1944). L’Isis, un vero e proprio pozzo avvelenato, costruito ad arte, il cui scopo principale è quello di intralciare l’avanzata dell’avversario economico-militare, ritardarne i movimenti, in modo da avere il tempo di riorganizzare le forze e tornare a combattere con maggiori probabilità di successo (per il controllo delle risorse presenti sul territorio conteso). Certo, non ci troviamo davanti a un arma intelligente, e quindi è da mettere nel conto che i veleni di questo pozzo possano avvelenare anche i nostri amici ( minacce ai regimi sunniti del golfo, attentati nei paesi europei, sgozzamento di occidentali), ma come si dice, ‘in guerra e in amore ogni mezzo è lecito’.
L’orso russo possiede tuttavia la tecnologia, l’armamento, gli uomini addestrati e soprattutto l’ars bellica appresa nel corso della sua millenaria esistenza di compagine statale (al servizio delle classi dominanti), bastevoli a fargli disinfestare e bonificare il terreno mesopotamico dai veleni islamo-terroristi, lasciati in giro dagli avversari di stesso rango imperiale.
Quando la tragica farsa del Frankstein Isis giungerà all’epilogo, ed esso sarà definitivamente schiacciato dalla violenza risolutrice della spedizione militare russa, in una nemesi vendicatrice per il terrore precedentemente disseminato, allora le attività economiche di estrazione delle risorse petrolifere al largo delle coste siriane potranno riprendere (sotto il controllo russo-cinese). E questa volta vedremo quale coniglio tirerà ancora fuori dal cilindro l’amabile zio Sam.
(2). Tentiamo di chiarire il senso in cui intendiamo la parola ‘prodotto’, almeno nel contesto del discorso riferito alla genealogia dell’Isis. Non vogliamo affatto sostenere che questo fenomeno sfaccettato (militare, religioso in senso fondamentalista, e perfino sociale-assistenziale) derivi unicamente da fattori esogeni al contesto economico-sociale in cui opera (nella fattispecie il fattore esogeno sarebbe la congiura/complotto americana, o per meglio dire la sua politica del caos). Noi ipotizziamo l’esistenza di un fattore endogeno alla base della sua ‘auto-produzione’, soprattutto nella fase iniziale; mentre in una fase successiva, la fase dell’ampliamento del suo orizzonte di azione militare e di proselitismo diffuso, ha giocato secondo noi un ruolo fondamentale l’incontro con l’esigenza – tipica di un esercito in ritirata – di avvelenare i pozzi e fare terra bruciata davanti ai vincitori ( pensiamo all’esercito americano, per intenderci, che il presidente Obama, obtorto collo, è stato costretto a ritirare dall’Iraq). Quindi, la nostra ipotesi si orienta sulla compresenza di aspetti causanti endogeni ed esogeni, con la prevalenza dei primi nella fase iniziale di sviluppo, e dei secondi nella fase di espansione vorticosa successiva. Non siamo portati a pensare che i fenomeni manifestantisi sul piano storico siano realtà isolate dal contesto economico-sociale, nazionale e internazionale in cui si sviluppano. L’Isis, inteso come fenomeno ‘auto prodotto’, viene partorito sul piano delle realtà locali nazionali (Iraq e Siria), un piano relativo alle attività di un area economica con caratteristiche determinate, in cui si svolge una lotta feroce, accentuata dalla fase economica, fra fratelli coltelli borghesi per il controllo delle risorse naturali, della risorsa lavoro, e per il controllo, indispensabile alla realizzazione di tutti gli altri, dell’attrezzatura di oppressione statale. Le dinamiche di disgregazione e ricostruzione degli stati, che osserviamo in certi contesti contemporanei, sono dunque ipotizzabili come il risultato della doppia spinta data dalla lotta fra frazioni di classe borghese, e dall’intervento esterno di attori imperiali. Nel caso specifico, la dissoluzione dello stato iracheno subisce un accelerazione dall’intervento americano del 2003, poiché tale intervento contribuisce a modificare i rapporti di forza fra le frazioni della borghesia locale e le aree economiche ad essa riferibili. In modo particolare la borghesia sunnita perde il controllo esclusivo dei pozzi petroliferi nel nord dell’Iraq, a vantaggio, di fatto, degli interessi della componente ‘sciita’ che ora controlla per la prima volta l’esercito e la polizia.
Anche in Siria la crisi economica globale favorisce la rimessa in discussione degli equilibri inter-borghesi precedenti, causando la rivolta ‘democratica’ iniziale della borghesia sunnita, maggioritaria nel paese (dove tuttavia l’apparato militare è controllato dalla frazione borghese di credo alawita, concentrata soprattutto nella ricca area geo-economica costiera). Possiamo dunque ipotizzare che tali conflitti interni alle borghesie arabe di Siria e Iraq abbiano dato origine anche al mostro Isis, come risposta dialettica iniziale al bisogno di tutela degli interessi socio-economici di una frazione borghese ‘sunnita’. Anche in questo caso, ed è abbastanza intuibile, l’aspetto religioso o nazionale costituisce solo la bandiera ideologica sotto cui si cela la lotta reale per il potere economico e politico dei fratelli coltelli borghesi. La resa dei conti, nel vero senso ragionieristico della parola, ha anche la funzione di riposizionare in una posizione dominante, dentro il ricostruito apparato statale, la frazione di borghesia vincitrice al fine di fargli godere la parte maggiore del bottino di plus-valore (continuando a soggiogare e sfruttare il proprio proletariato, che forse ha combattuto perfino sotto le sue bandiere pseudo nazionali e religiose).