Premessa
Il 24 novembre, intorno alle ore nove e trenta, un cacciabombardiere russo della classe sukhoj 24 è stato colpito da un f.16 turco, l’ azione è stata preceduta – a detta delle autorità turche – da almeno dieci comunicazioni di avvertimento. Sembra che i velivoli russi in azione contro le milizie turcomanne presenti in quell’area fossero due, quindi uno dei due sukhoj 24 si è messo in salvo, mentre l’altro è stato colpito. Successivamente il pilota e il navigatore si sono lanciati con il paracadute, uno dei due (il pilota) è stato ucciso dai ribelli turcomanni mentre ancora era attaccato al paracadute, il navigatore invece è stato portato in salvo dall’intervento congiunto di recupero russo-siriano (durante l’intervento un fante di marina russo è morto e anche l’elicottero in cui viaggiava è andato distrutto). La vicenda ha provocato diverse conseguenze sul piano politico-diplomatico e sul piano strettamente militare, sul piano politico-diplomatico abbiamo registrato una perplessa solidarietà della NATO verso l’alleato turco, lo stesso Obama ha ribadito che la Turchia ha diritto a difendere il proprio spazio aereo, invitando tuttavia Erdogan ad attivare una immediata linea di comunicazione con Mosca per buttare acqua sul fuoco. Sarebbe arduo ricostruire le spinte e i motivi reali che si nascondono dietro la facciata di comunicati, dichiarazioni e interviste susseguenti ai fatti del 24 novembre. Bisognerebbe esaminare gli interessi specifici delle varie borghesie coinvolte nel dramma siriano, questo esame proveremo a farlo in seguito, proviamo invece a riprendere i fili del discorso della guerra come sterminio di forza-lavoro in eccesso. A nostro avviso è venuto il momento di analizzare ancora una volta il contesto sistemico in cui si svolgono le attuali vicende siriane, confrontandoci con il testo dal titolo ‘Dalla guerra come difesa e offesa, alla guerra come distruzione di forza-lavoro in eccesso’. L’Investigazione dei fenomeni distruttivi immanenti al modo di produzione capitalistico svolta in questo precedente lavoro, era basata essenzialmente sulle tracce contenute nel capitale di Marx. Lo scopo di tale rilettura risiede nella possibilità di fare ulteriore luce sui fenomeni concatenanti della economia capitalistica, sfocianti nella distruzione permanente (cronica) di capitale tecnico e ‘capitale vivo’, e infine nella acutizzazione del conflitto bellico come distruzione rigeneratrice. Potremmo essere vicini al momento in cui i fenomeni distruttivi del capitalismo si intensificano e passano dallo stato cronico a quello acuto. In altre parole lo scontro in Siria potrebbe preludere a un conflitto interimperialista di vaste proporzioni belliche su ampia scala territoriale, con la prevedibile distruzione di enormi masse umane, capitali, merci, città. Tuttavia tale scenario potrebbe anche non avverarsi, o meglio essere differito ad altri momenti, e nondimeno questo non significherebbe che il presente capitalistico è meno mortifero e letale.
Capitolo uno
Volontà di dominio e volontà di plus-valore: alle radici della violenza
Riproponiamo alcune pagine tratte ‘Il regime capitalista e l’esigenza di sterminio della forza-lavoro eccedente: alle radici della moderna concezione della guerra’.
‘Tale è il volto dell’attuale guerra cronica, latente, potenziale e in prospettiva acuta e palese, finalizzata non più solo alla conquista e all’asservimento, ma addirittura allo sterminio e al genocidio della forza-lavoro proletaria eccedente. Il capitalismo sogna e pratica l’eliminazione delle masse umane non impiegabili con profitto nel processo produttivo, infatti, da molti decenni, stermina con l’arma della fame e della miseria i proletari dei paesi poveri, li costringe a morire di fame, di stenti e di malattia, consapevole che la loro crescita numerica è un potenziale nemico per la propria sicurezza. Nel presente lavoro, tenteremo di dimostrare il passaggio da una prassi bellica incentrata sul tradizionale binomio difesa e offesa, all’attuale guerra di sterminio del capitale contro quella parte di genere umano, non impiegabile ai fini riproduttivi del ciclo economico. Una guerra non dichiarata formalmente, perseguita in comune dai vari aggregati imperialisti che si contendono le sorti del globo, con lo scopo eminentemente economico e politico di dismettere dal processo di valorizzazione del capitale la parte eccedente dell’esercito industriale di riserva (concentrato essenzialmente nelle aree capitalisticamente arretrate). Il cosiddetto problema della sovrappopolazione di maltusiana memoria si trasforma, alla luce dei fatti, nella semplice esigenza economica d’eliminazione d’interi rami improduttivi della popolazione umana, come accade sempre, d’altronde, in una normale ristrutturazione aziendale. In altre parole, quella parte d’umanità disoccupata, misera, senza riserve patrimoniali, minacciata d’estinzione (e quindi proprio per questo prolifica), è l’obiettivo principale e reale della contemporanea ars bellica capitalista. Un bersaglio che il capitale vuole colpire con il doppio scopo, politico ed economico, di rimuovere una potenziale minaccia alla propria esistenza e, in secondo luogo, per rilanciare il proprio ciclo di valorizzazione sulle macerie della distruzione di capitale costante e variabile (in questo caso soprattutto variabile, vale a dire forza lavoro umana). Cercheremo di chiarire, nel corso delle analisi successive, come i blocchi geo-storici che si confrontano sulla scena globale, non siano la causa dell’attuale guerra cronica, bensì dei semplici attori recitanti il ruolo assegnatogli dal modo di produzione capitalista (un modo di produzione conflittuale, antagonista, che ha la necessità immanente di annientare quantità eccedenti di mezzi e persone per ovviare alla crisi da sovrapproduzione e alla caduta tendenziale del saggio di profitto). In quanto tali i contendenti imperialisti sono una semplice espressione scenica, degli attori diligenti di quella sceneggiatura obbligata scritta dall’unico regista reale: il modo di produzione capitalista. Sotto il velo della pace apparente, seguita all’ultimo conflitto mondiale, la guerra non ha mai smesso di operare con la sua funzione di supporto al dominio economico-politico della classe borghese internazionale. L’obiettivo della distruzione di forza-lavoro eccedente è stato raggiunto con le armi principali dell’impoverimento, della fame, della malattia, e in parallelo, ma in forma secondaria, attraverso guerre convenzionali locali, coinvolgenti variamente i tradizionali predoni imperialisti. Al pari di un racconto gotico in cui la vicinanza dell’epilogo coincide con l’apice della violenza, sottintesa già dall’inizio nella presenza sulla scena di vari segni rivelatori, così anche il moderno Moloch capitalista rivela la propria natura mostruosa al culmine delle crisi ricorrenti da sovrapproduzione. Sterminio, genocidio, ecatombe ed altro ancora, sono i movimenti di questa sinfonia infernale che solo la rivoluzione delle vittime predestinate può finalmente interrompere, consentendo a tutta la specie umana, e a tante altre forme di vita presenti sul pianeta, di crescere e progredire in modo diverso. Il segreto è una pratica ricorrente e forse imprescindibile della vita delle società divise in classi: pensiamo ai segreti militari, ai segreti industriali, oppure ai segreti di stato, sembra proprio che la vita reale non possa privarsi dell’occultamento d’alcuni suoi aspetti particolarmente importanti per la sopravvivenza del potere. Diversamente andavano le cose prima che la società si scindesse in classi contrapposte, come appare dallo stupore e dallo sdegno del pellerossa di fronte al bianco che parlava “con lingua biforcuta”. Il potere politico, in modo particolare, pretende di essere sguardo, visione chiara dell’oggetto del dominio, e nello stesso tempo sottrazione della visione di sé alla vista dei rivali e dei soggetti dominati. Il potere vuole essere il soggetto che osserva, giammai l’oggetto osservato. In quanto visione dell’oggetto sociale il potere è sapere, conoscenza delle dinamiche di subordinazione e di potenziale ribellione dei propri dominati, e proprio in quanto una tale conoscenza gli appartiene saldamente, esso può pretendere di esercitare con efficacia il proprio ruolo di dominio. Nascondere alla vista degli altri le proprie intenzioni, simulare un volto diverso da quello reale, avvolgere nel segreto la propria esistenza e perfino negarla, sono queste le caratteristiche del moderno principe machiavellico. La filosofia politica contemporanea ha un grande debito verso il Machiavelli, al quale bisogna riconoscere un realismo fuori del comune, sicuramente estraneo alle tante favole democratiche narrate da opportunisti e sedicenti marxisti d’ogni specie. La moderna guerra imperialista, il cui fine principale è la distruzione di forza-lavoro eccedente, rispetto alle esigenze di valorizzazione del capitale, si dispiega su un piano diverso dalle vicende belliche delle precedenti guerre mondiali, il suo modo di operare è difficilmente percepibile in modo palese dalle masse sfruttate. Il segreto è parte integrante e premeditata di questa moderna guerra imperialista, in cui la dimensione di distruzione e di genocidio è sapientemente velata dalla cortina fumogena della morte naturale per fame, malattia, eventi climatici nefasti e via discorrendo. Nessuno deve sospettare che il capitale ha il bisogno vitale di sterminare la sovrappopolazione da esso stesso prodotta, nessuno deve percepire la vera natura del meccanismo infernale che si nasconde dietro le mille banalità rassicuranti dell’ideologia dominante. La manipolazione mediatica, il controllo sociale articolato attraverso la famiglia, la scuola e le altre forme della vita associata, hanno la funzione oggettiva di veicolare il pensiero dominante e la sua distorsione e banalizzazione della realtà nelle coscienze dei moderni sudditi di sua maestà il capitale. Manipolare le coscienze, favorire la formazione di una percezione deformata dei fatti reali, offuscare la vista dei propri sudditi: è in questo modo che il potere nasconde la propria esistenza ed esercita l’antica arte del segreto. Ripetiamolo ancora una volta, il segreto è un importante mezzo connaturato alla pratica del dominio, una condizione preliminare della sua efficacia operativa e della sua sopravvivenza. Il potere dunque agisce nell’ombra, le sue intenzioni vanno celate alle masse, perfino la sua esistenza deve essere negata affinché l’oggetto del dominio non abbia mai la possibilità di concepire una rivolta contro la vera causa della propria sventura. Polifemo, accecato da Ulisse, urla il proprio dolore ai fratelli ciclopi, ma quando questi gli chiedono l’origine del suo male egli risponde ‘nessuno’, poiché l’astuto re d’Itaca gli aveva in precedenza detto di chiamarsi ‘Nessuno’, dimostrando di ben comprendere l’importanza dell’arte politica del segreto. Abile mistificatrice e manipolatrice, la sfera del potere capitalista, soprattutto nella sua essenziale articolazione statale, sia ammanta d’ombra e di nebbia per irretire e ingannare le masse proletarie schiavizzate. Violenza coercitiva e terrore di stato, servizi segreti, segreto di stato e ragion di stato sono in successione operativa i mezzi e i fini dell’apparato statale borghese, in cui, tuttavia, solo la ragion di stato rappresenta lo scopo, mentre gli altri aspetti elencati sono essenzialmente dei mezzi, impiegati in vista della conservazione dell’ordine sociale borghese. La ragion di stato, concetto presente variamente in diversi trattati di filosofia politica dal rinascimento ai nostri giorni, si manifesta innanzi tutto come una dimensione extralegale, o meglio sovra-legale, poiché l’effettività e l’efficacia delle norme legali, private del supporto dell’apparato statale e della sua forza poliziesca e militare, non sarebbero nulla senza questo supporto. La conservazione dell’apparato di forza statale diventa quindi preminente rispetto all’ossequio di qualunque norma giuridica o morale, e la ragion di stato non esprime altro che questa circostanza, concreta e paradossale, per cui ciò che consente alle leggi di essere rispettate – lo stato- può a sua volta violarle -in certi momenti- al puro scopo di preservarle, cioè di preservare il piedistallo coercitivo su cui esse poggiano. Potrà sembrare schematico, ma la borghesia lega sempre i suoi destini alla possibilità di corrompere e comprare una frazione della classe antagonista, e nello stesso tempo alla possibilità di poter continuare a maneggiare lo strumento statale, evidentemente creato e finalizzato per il controllo e la repressione dell’avversario di classe. La ragion di stato, insieme al segreto che ne rappresenta uno dei mezzi realizzativi, si configura quindi come la realtà di fronte alla quale le illusioni democratiche e legalitarie dei sognatori riformisti e pacifisti svaniscono come neve al sole. Quale illusione legalitaria possiamo ancora coltivare di fronte alla pretesa di uno stato di violare per ragioni superiori, nonché segrete e incomunicabili, le norme comunemente vigenti nell’ordinamento ? In effetti, il concetto di ragion di stato rivela fino in fondo l’anima nera delle moderne società classiste, consentendo al critico attento di scoprire, dietro il mito del bene superiore incarnato nell’apparato statale, la semplice bugia mistificatrice, e quindi permette a tale ipotetico critico, successivamente, di interrogarsi su quale bene superiore può essere incarnato in uno stato che si riserva di usare tutti i mezzi, leciti e illeciti, pur di difendere un’oscura e segreta ragion di stato. La pratica del segreto, la sua necessità, avvolge come un’ombra la dimensione politica delle moderne società classiste, e anche la guerra – definita non a caso la continuazione della politica con altri mezzi – si ammanta di segreto e di nebbia. Nella nostra indagine cercheremo di sondare le cause storiche ed economiche che impongono, ad un determinato tipo di società, di risolvere le proprie tensioni intrinseche con lo strumento della guerra. A questo punto occorre chiederci cosa significa il termine guerra nella situazione storica contemporanea. La nostra ipotesi è che in base al principio della ricerca del massimo risultato con il minimo sforzo, le attuali formazioni sociali tentino di risolvere le proprie contraddizioni interne, caratteristiche del modo di produzione capitalista, con il minimo dispendio di mezzi, economizzando sulle spese belliche tradizionalmente intese. Dovendo distruggere ingenti masse di capitale umano e tecnico, capitale variabile e capitale costante, allo scopo di rilanciare il ciclo di valorizzazione economico, le attuali classi dominanti si trovano di fronte due tipi di priorità: in primo luogo politiche (svolgere questo compito in modo segreto e nascosto, al fine di impedire, per quanto possibile, la conoscenza delle cause reali della propria imminente distruzione alle masse umane avviate verso questo destino). Pensiamo per un attimo al noto passaggio dei ‘Promessi sposi ’ di Manzoni, il passaggio in cui si descrive un carro pieno di capponi, che mentre litigano e si azzuffano fra di loro sono beatamente inconsapevoli di essere incamminati verso il macello. Possiamo azzardare che il motto ‘dividi e comanda’ sia tuttora una politica valida per le moderne classi dominanti, anche se, in fondo, si comanda meglio non solo quando i dominati litigano e sono divisi al loro interno, ma anche quando ignorano le stesse cause della propria condizione e il destino finale riservatogli dai propri padroni. In secondo luogo le classi dominanti hanno delle priorità di tipo economico, poiché non possono più permettersi di distruggere la forza lavoro eccedente e una parte del capitale costante in eccesso, con lo strumento della guerra classica e dichiarata adoperato in fasi storiche precedenti. Questo tipo di guerra è oggi improponibile perché troppo costosa, e quindi antieconomica. Almeno per un certo periodo, date le stesse caratteristiche dell’immane opera di distruzione e di sterminio di masse umane eccedenti di cui il capitalismo ha un vitale bisogno per fare ripartire il ciclo di valorizzazione, è pensabile che la guerra si dispieghi su piani prevalentemente differenti dalle esperienze del passato. In altre parole, come già sostenuto nella premessa, è ipotizzabile che, accanto a forme residuali di guerra convenzionale, si manifestino fenomeni massicci di distruzione di forza-lavoro eccedente attraverso mezzi apparentemente non bellici, come la fame e la malattia’.
Consideriamo la seguente espressione contenuta nel testo riportato nelle righe precedenti ‘Dovendo distruggere ingenti masse di capitale umano e tecnico, capitale variabile e capitale costante, allo scopo di rilanciare il ciclo di valorizzazione economico, le attuali classi dominanti si trovano di fronte due tipi di priorità: in primo luogo politiche (svolgere questo compito in modo segreto e nascosto, al fine di impedire, per quanto possibile, la conoscenza delle cause reali della propria imminente distruzione alle masse umane avviate verso questo destino)’. Nel testo è presente un forte riferimento al segreto, alla ragion di stato, all’occultamento e alla dissimulazione. Sono questi gli elementi basilari dell’azione pratica, del modus operandi delle sovrastrutture statali-militari all’opera in medio-oriente e in Siria. Nell’introduzione al lavoro da cui è tratta la lunga citazione scrivevamo ‘le guerre imperialiste non sono dei veri scontri interimperialisti, in cui la posta in gioco è la supremazia dell’uno o dell’altro dei contendenti, ma sono degli scontri in cui delle masse umane enormi sono scagliate le une contro le altre da apparati statali conniventi e tra loro coordinati che si limitano ad agitare delle false flags davanti agli occhi della carne da cannone: altro non furono, infatti, le “crociate” anti-feudali messe in campo su entrambi i lati del fronte all’epoca del primo conflitto mondiale e quelle antiplutocratiche piuttosto che per la difesa della democrazia e del “socialismo” messe in scena nel corso del secondo conflitto mondiale’ . Spieghiamo meglio: Gli apparati statali sono di certo conniventi e coordinati (forse) nel comune obiettivo di distruggere masse umane, o meglio forza-lavoro in eccesso rispetto alle esigenze di valorizzazione del capitale. Tale connivenza deriva dal fatto di essere espressione del dominio di classe della borghesia, la quale al di là delle differenze nazionali e religiose, o di interessi particolari, persegue il comune obiettivo economico-politico di rilanciare il ciclo di valorizzazione distruggendo forza-lavoro e capitale tecnico, annientando masse umane potenzialmente pericolose per la stabilità del proprio dominio. Anche il periodo ‘le guerre imperialiste non sono dei veri scontri interimperialisti, in cui la posta in gioco è la supremazia dell’uno o dell’altro dei contendenti’, sta a significare che l’aspetto della contesa per la supremazia geo-politica (che pure esiste e gioca un ruolo) appare secondario rispetto alla esigenza fondamentale di mettere in atto il conflitto bellico come distruzione ‘rigeneratrice (1). La contesa geo-politica perde importanza, anche se sembra mantenere il primo posto sulla scena internazionale, mentre è fondamentale quello che si muove di nascosto, dietro la scena ufficiale, e che accomuna gli attori concordi discordi, i fratelli coltelli che recitano sullo stesso palcoscenico del capitale. Anche in Siria le ambizioni imperiali di varia scala, incarnate nelle armate militari dalle diverse bandiere, nascondono la comune esigenza della borghesia mondiale di rilanciare il ciclo di valorizzazione economica attraverso cui conservare il dominio politico-sociale. Una volta fatta questa premessa chiariremo nel capitolo successivo gli ingranaggi e le circostanze determinate, attraverso cui si realizza tale esigenza basica del sistema capitalista.
(1)
il capitalismo è una macchina sociale ed economica distruttrice nella sua essenza, il dominio di una classe su un’altra, nel corso della storia, è violenza allo stato puro, le crisi ricorrenti si acutizzano nel momento in cui i fenomeni violenti si attivano per ripristinare l’equilibrio capitalistico sconvolto. La guerra, nella fase cronica o acuta, come realtà potenziale o attuale, è il vero orizzonte in cui si concretizza la risoluzione delle contraddizioni interne al modo di produzione capitalistico. Inoltre, essendo ormai prioritario il problema della insostenibilità dell’attuale massa di forza lavoro proletaria in eccesso ( in eccesso per i parametri di regolare funzionamento socio-economico del Moloch capitalista ), appare secondario, nella genealogia della guerra, l’aspetto del conflitto tradizionale inteso come scontro interimperialistico di potenze per la conquista di spazi vitali, materie prime e mercati. Non neghiamo una presenza residuale di tale aspetto, tuttavia, da un punto di vista funzionale e sistemico – per il capitale – lo scopo oggettivo, principale, della guerra è oggi lo sterminio di forza lavoro eccedente; di conseguenza si deve anche immaginare una qualche forma di collusione e complicità di fondo, fra i blocchi economici e politici capitalistici contemporanei, contro il proletariato mondiale. La guerra, dunque, sia nella fase cronica (attuale) che in quella acuta (futura), assolve una funzione oggettiva di tipo sistemico, mirante al riequilibrio temporaneo dei parametri economico-sociali alterati dalle stesse contraddizioni prodotte dallo sviluppo antagonistico del modo di produzione su base capitalista. Riepiloghiamo, la variazione inversamente proporzionale fra parte costante e parte variabile del capitale, determinata dall’accumulazione e dalla concentrazione economico-aziendale di determinati capitali iniziali, e dall’azione del concomitante progresso tecnico-scientifico applicato ai processi produttivi, espelle periodicamente forza lavoro proletaria da alcuni rami dell’economia, rendendola d’altronde disponibile per ulteriori impieghi in altri rami in quel momento in espansione e rapido sviluppo. Il capitale di Marx ci conduce all’interno di un modello di spiegazione della realtà del movimento economico moderno, si tratta di un modello scientifico che inquadra, sulla base di osservazioni empiriche e sullo studio di dati storico-fattuali, suffragati da ampia e articolata documentazione, le caratteristiche e le condizioni necessarie perché il processo di produzione e valorizzazione del capitale possa venire alla luce e continuare ad esistere. La periodicità dei cicli economici di espansione e contrazione, con il corollario di tutti i fenomeni annessi e conseguenti, costituisce la regola di questo sistema economico. Dato e assunto quest’aspetto come un fenomeno regolare e ineliminabile della moderna economia capitalista, si tratta poi di comprendere come si sviluppi, in un certo periodo storico determinato e specifico, il movimento alterno di espansione e contrazione dell’economia. Noi abbiamo postulato, all’inizio di questa ricerca, che oltre una certa soglia quantitativa, l’esercito industriale di riserva inizi a rappresentare un problema di ordine politico per la stabilità del regime borghese. Quella soglia quantitativa è superata nelle fasi di contrazione, in altre parole nei momenti in cui molti rami dell’economia globale incontrano difficoltà e impedimenti nella realizzazione di profitti adeguati ai propri investimenti di capitali. Quest’incapacità di realizzare profitti adeguati può essere definita, seguendo la traccia marxista, ‘caduta tendenziale del saggio medio di profitto ’, ed è determinata dalle stesse cause che sono all’origine della crescita della forza lavoro eccedente, cioè la modificazione del rapporto fra parte costante e parte variabile del capitale. Alla fine di un ciclo economico di valorizzazione del capitale, nei vari rami della produzione, si manifesta il fenomeno della saturazione, esso significa grossi quantitativi di merci invendute, mezzi tecnici inutilizzati e forza lavoro in eccedenza: in altre parole è la crisi da sovrapproduzione. A questo punto la classe borghese si pone il doppio problema di come far ripartire l’economia, realizzando adeguate condizioni di profitto ai propri capitali, e di come garantire sicurezza e stabilità al proprio regime sociale schiavista, disinnescando la mina del surplus di forza lavoro proletaria disoccupata o occupata a metà. Il dato quantitativo che costituisce un ostacolo e un problema, di ordine sia politico sia economico, è dunque la sovrappopolazione operaia e l’eccesso di mezzi tecnici di produzione. Le guerre moderne, al di là delle cause scatenanti contingenti e formali, ma anche al di là delle ragioni di potenza e di predominio che le accomunano con quelle del passato, mostrano oggi una caratteristica nuova, poiché esse sono soprattutto, oggettivamente, una funzione collegata alla necessità economica di distruzione di mezzi tecnici, merci e forza lavoro eccedente. In altre parole sono principalmente una funzione derivata economica, legata alla periodicità dell’alterno ciclo di espansione e contrazione dell’economia capitalista. Da un punto di vista scientifico non escludiamo, naturalmente, l’esistenza di altre funzioni, ugualmente imputabili al fenomeno guerra, per così dire di tipo più tradizionale (conquiste territoriali, pulizia etnica, etc., etc.,) e tuttavia, considerando che al centro del moderno sistema sociale si pone la valorizzazione del capitale posseduto dalla minoranza borghese, allora dobbiamo per forza concludere che la funzione principale della guerra, all’interno del regime capitalista, in ultima istanza è quella di supporto a questa valorizzazione, proprio in quanto essa è l’aspetto centrale del sistema. Il regime capitalista e l’esigenza di sterminio della forza-lavoro eccedente: alle radici della moderna concezione della guerra’.
Capitolo due: la contesa multipolare si dispiega nello spazio-tempo delle soglie di frattura
La Siria è lo spazio dove per motivi economici si dispiega in modo intenso l’attuale confronto multipolare fra blocchi capitalistici concorrenti. Abbiamo chiarito che tale confronto si svolge all’interno di una cornice di complicità e connivenza di fondo (fra gli apparati statali e le borghesie) in merito all’esigenza sistemica di rilanciare il ciclo di accumulazione e valorizzazione del capitale attraverso la distruzione rigeneratrice di capitali e forza-lavoro in eccesso. Le energie distruttive del capitale convergono storicamente verso delle soglie di frattura, volendo usare un linguaggio apocalittico/millenarista potremmo parlare di ‘porte dell’inferno’, ovvero dei luoghi particolari in cui si concentrano le tensioni accumulate in un certo ciclo economico-sociale. Queste tensioni sono inerenti alle modalità di esistenza dell’economia capitalistica, non ritorniamo su di esse, in quanto le abbiamo ulteriormente esposte nel primo capitolo ( e sono inoltre esposte nel lavoro ‘Il regime capitalista e l’esigenza di sterminio della forza-lavoro eccedente: alle radici della moderna concezione della guerra’ ). La soglia di frattura, in termini astro-fisici, è come un buco nero che assorbe la luce e la materia che si avvicina al suo orizzonte degli eventi, alla sua soglia – oseremmo dire- infernale. Il punto di collisione e convergenza delle energie distruttrici del capitale è quindi la soglia di frattura. Nella situazione internazionale contemporanea constatiamo l’esistenza di almeno tre punti di torsione delle energie distruttrici (e in fondo, successivamente, temporaneamente, rigeneratrici del sistema capitalistico). Il primo punto di torsione (ora apparentemente inattivo) è l’Ucraina, il secondo e il terzo punto di torsione, entrambi molto attivi, sono invece la Siria e lo Yemen. Parliamo per ora della Siria, rinviando a una trattazione successiva il caso Yemen.
Nel mese di novembre sono aumentate le azioni dell’aviazione russa a sostegno dell’esercito siriano, il quale ha ottenuto una significativa vittoria riconquistando una base aerea assediata da due anni, non lontano da Aleppo. Ed è proprio su Aleppo che convergono le forze siriane e anche elementi di supporto sciiti (iraniani e libanesi), oltre che forze di terra speciali russe supportate dai moderni carri t90, invulnerabili ai missili anticarro TOW. Inoltre a nord di Lakatia, dove si trova acquartierato il dispositivo militare russo, sono in corso intense operazioni di ‘pulizia’ contro le milizie turcomanne protette e rifornite di armi dalla Turchia (la Turchia ha interesse a mantenere un piede nel territorio siriano attraverso la creazione di un protettorato turcomanno, e quindi in questo senso vanno lette le sue continue richieste di creare una ‘no fly zone’ in quell’area). Possiamo collegare l’abbattimento del jet russo innanzitutto a questa circostanza contingente ( e sembra d’altronde che ci fossero state delle richieste per via diplomatica da parte turca ai russi di interrompere l’offensiva nella zona turcomanna). Dunque la Turchia fa i suoi giochi di potenza capitalistica regionale, cercando di ritagliarsi delle sfere di influenza all’interno della disgregazione della nazione siriana. Tale gioco di potenza si interseca con le ambizioni economico-politiche di Qutar e Arabia saudita, interessate politicamente – come la Turchia – a impedire la rinascita di un impero iraniano-sciita che dal golfo Persico si sviluppi senza soluzione di continuità fino al mare mediterraneo, attraversando e comprendendo l’Iraq a guida sciita, la Siria del regime Baasista- Alawuita e il Libano di Hezbollah (inoltre, tali potenze regionali, sono interessate dal punto di vista economico, a controllare le vie di trasferimento delle risorse energetiche che passano sul territorio siriano). Il ruolo dell’America è duplice, da un lato essa, ufficialmente, sostiene il diritto turco alla difesa dei propri spazi aerei, dall’altro lato invita alla calma, e ufficiosamente prende le distanze dall’alleato nato turco ( e in questo senso va letta la notizia dell’agenzia ‘Reuters’ che citava un anonimo ufficiale americano che intenzionalmente faceva sapere che l’aereo russo è stato abbattuto nello spazio aereo siriano, tenendo conto anche della rilevazione delle tracce di calore). Se ipotizziamo che fra le conseguenze dell’azione sconsiderata dei turchi ci sia il blocco del progetto ‘turkish stream’ da parte dei russi, che metterebbe in quarantena la creazione di un nuovo canale di trasferimento del metano e del petrolio russo verso l’Europa, allora risulterà chiaro il vantaggio competitivo ottenuto degli Stati uniti (indipendentemente dal fatto che essi abbiano o meno manipolato machiavellicamente l’alleato turco al fine di ottenere questo risultato). Il vantaggio competitivo del capitale americano sarebbe ottenuto danneggiando contemporaneamente i rivali economici europei, la stessa Turchia e infine la Russia. Un altro aspetto che può aiutare a formulare delle ipotesi interpretative sul duplice ruolo dell’America, è il Kurdistan. E’ prevedibile che i russi intensifichino, come forma di ritorsione verso la Turchia, l’invio di armi ai curdi siriani (e quindi ai curdi del Pkk per utilizzarle contro l’esercito turco). E’ probabile che la Russia decida di impartire una reazione asimmetrica alla Turchia, ampliando l’appoggio militare indiretto al PKK. Inoltre potrebbe interrompere le forniture di gas del Blue Stream, provocando grossi disagi alla popolazione turca e conseguenti rischi di instabilità politica per l’élite di potere ( e quindi maggiori possibilità politiche e spazio di azione per il PKK). In questo senso bisogna ricordare che gli Stati Uniti sono interessati, o almeno non sono indifferenti a un Kurdistan indipendente, sorto in parte sotto il loro patrocinio, poiché in prospettiva questo ipotetico Stato svolgerebbe un ruolo geo-politico simile a quello di Israele, cioè un ruolo funzionale al condizionamento di una intera area ricca di risorse compresa tra Siria, Turchia, Iran e Iraq. La Russia ovviamente vedrebbe di buon occhio la creazione di uno stato curdo nell’attuale Kurdistan turco, mentre è escluso che possa essere interessata a favorire lo stesso processo nei territori dei propri alleati (Siria, Iraq, Iran). Da quanto appena ipotizzato appare improbabile che gli eventi del confronto multipolare, concentrato nella faglia geo-politica siriana, possa preannunciare delle immediate conseguenze belliche su larga scala. Le azioni e le risposte rilevabili sulla soglia di frattura vanno per ora nel senso della ricerca di un vantaggio competitivo multiplo dell’America (rispetto alla Russia e anche rispetto agli alleati politici europei). Tuttavia nulla esclude che i differenti giochi del Chaos imperiale convergano infine verso una terza guerra mondiale, sotto la comune spinta sistemica del bisogno di rilancio del ciclo di valorizzazione e quindi dell’annessa e connessa esigenza di un conflitto rigeneratore. Come forza politica marxista non possiamo fare altro che denunciare le tendenze sopraesposte, ben consapevoli che non si tratta di esecrare la violenza e la guerra implicite in questo tipo di organizzazione sociale ed economica capitalistica globale, ma di comprendere invece come la potenziale guerra imperialista può trasformarsi in rivoluzione delle vittime predestinate.