Premessa
Questo lavoro nasce dall’esigenza di indagare sul significato della scienza, e del suo ruolo nella odierna società capitalistica. Un tema molto vasto e complesso, che naturalmente non riteniamo di potere esaurire con le pagine della presente ricerca. Il lavoro è suddiviso in sei capitoli, tutti tesi a sviluppare degli aspetti differenti sull’argomento unico, in modo consequenziale, per poi giungere, negli ultimi due capitoli, alla scoperta del vero significato della relazione socio-funzionale fra scienza, tecnologia e apparato militare – industriale. Durante il mese di agosto abbiamo pubblicato separatamente i sei capitoli che ora invece vengono pubblicati in un unico contenitore. Di recente abbiamo riproposto il sesto capitolo di questo lavoro come postilla all’interno di un testo del 1970 ‘Scienza borghese, drogatura ideologica’. Anche in quel testo del 1970, sicuramente una delle fonti ispiratrici della ricerca che ci accingiamo a proporvi, viene serratamente demistificata la pretesa ‘neutralità’ della scienza ‘borghese’.
Buona lettura
Sommario
Capitolo uno: Considerazioni sull’uso di teorie matematiche nel campo della previsione di fenomeni sociali
Secondo capitolo: Limiti e critica dell’uso di modelli euristici
Terzo capitolo: Modelli ‘scientifici’ e conoscenza umana
Quarto capitolo: Teoria matematica degli insiemi e tentativi di trasposizione nel campo filosofico. Un abbozzo di critica iniziale
Quinto capitolo: La neutralità della scienza come mito borghese
Capitolo sesto (conclusivo): Paradigma e totalità
Capitolo uno:Considerazioni sull’uso di teorie matematiche ‘pure’ nel campo della previsione dei fenomeni sociali.
Abbiamo in un recente lavoro (is e politica americana del caos) indagato sulla esistenza di nessi epistemologici fra la teoria scientifica del caos e la dialettica marxista. Il succo dell’indagine era orientato verso la conclusione che ci sono forti analogie fra questo campo d’indagine e la dialettica. Analogia non significa identità, poiché la concezione dialettico – materialistica non è riducibile nei termini di significato esclusivi della scienza moderna. All’origine essa (la dialettica) si manifesta come concezione ontologica del tutto, erede dell’apparato conoscitivo del comunismo ‘primitivo’. I suoi riverberi ed echi li ritroviamo nel pensiero taoista, nella filosofia presocratica (soprattutto in Eraclito), e naturalmente nella filosofia hegeliana. Le sue tracce sono presenti nell’alchimia, e nelle svariate pratiche magico-propiziatorie dei rituali agrari di fertilità. Le moderne teorie scientifiche riscoprono, forse loro malgrado, gli elementi di fondo di questa concezione, verificando sperimentalmente, nei più diversi campi di ricerca, la ricorrenza di strutture dialettiche sottostanti. In questo senso le stesse scoperte scientifiche sembrano confermare la verità ‘filosofica’ della dialettica degli opposti, in altre parole la concezione del divenire inteso come processo di manifestazione di una tesi (attuale e reale), a cui si oppone una antitesi (negazione potenziale, successivamente reale e attuale). Tuttavia, la manifestazione in atto di questa antitesi (cioè la negazione della tesi iniziale), è anche una sintesi e compenetrazione dei due precedenti opposti (negazione della negazione). La sintesi/compenetrazione costituisce dunque la tesi iniziale di un nuovo ciclo dialettico. La schematica descrizione ha lo scopo di esporre i contorni basilari e astrattamente ‘filosofici’ del divenire dell’essere, che in quanto tale è divenire di enti attuali o potenziali, oppure manifestati, e quindi attuali, o non ancora manifestati, e quindi potenziali. Si parla di enti che sono attuali o potenziali, entrambi racchiusi nell’intero dell’essere/materia/natura. Quindi non ci si riferisce, con il termine ‘ente potenziale’, a qualcosa che risieda nel niente, poiché il niente non può contenere nessun ente (attuale o potenziale). Con il termine ‘ente potenziale’ si allude solo a qualcosa che ha le potenzialità (le condizioni) per apparire, e quindi per attualizzarsi come realtà di fatto, in una certa fase di un processo dinamico. Pensiamo ad un caleidoscopio, ai suoi molteplici lati visibili solo in modo parziale e sequenziale all’occhio umano, e avremo una idea approssimativa della sequenza (attuale /potenziale), relativa al divenire dialettico dell’essere materia /natura /totalità. La teoria del caos può aiutarci a formulare con un linguaggio particolare, e se vogliamo chiaro e penetrante, la logica di movimento dialettico della realtà (logica conosciuta dalle antiche società comuniste, anche se espressa da esse con linguaggi differenti). Allora, se queste riflessioni hanno una base di realtà, quale senso può ancora avere un atteggiamento di soggezione verso le scoperte (sempre parziali e rettificabili) di queste moderne teorie matematico-scientifiche? La teoria del caos ipotizza che una piccola variazione iniziale nei dati interni di un sistema dinamico complesso, possa produrre delle conseguenze non lineari, cioè degli effetti imprevedibili e di scala qualitativa e quantitativa superiore alla piccola variazione di partenza dei dati di input. Il classico esempio del battito di ali della farfalla che determina, o meglio contribuisce a determinare, un uragano a distanza di migliaia di chilometri, è ben noto ai lettori. La teoria delle catastrofi, associabile in qualche modo alla matematica del caos, ha sviluppato negli ultimi tre decenni, in particolare con Thom, una interessante serie di studi sul concetto di collasso /catastrofe. Per un certo periodo una parte del mondo accademico e scientifico ha provato ad applicare questa ipotesi di paradigma ai più svariati campi di ricerca (ad esempio la linguistica e la psicoanalisi…), con risultati controversi, e in certi casi apertamente contestati e inficiati da successive verifiche. L’entusiasmo iniziale ha quindi lasciato il posto ad approcci più prudenti e realistici, proprio sotto ls spinta della verifica sperimentale della validità (locale) di questo modello interpretativo. Le nostre considerazioni epistemologiche, basate sui predetti dati storico-fattuali, hanno in fondo l’obiettivo di suggerire approcci più sobri e prudenti ai contemporanei sostenitori del trasferimento di queste teorie matematiche nel campo della previsione dei fenomeni sociali (una volta appurato che queste teorie vengono regolarmente discusse e rimodellate perfino dagli stessi matematici). Non vogliamo sostenere che esse non nascondano una limitata utilità di impiego per la ricerca sociale, ma solo asserire che vadano utilizzate ‘cum grano salis’, cioè per quello che sono realmente dal punto di vista epistemologico: modelli euristici, approssimazioni metodologico – cognitive alla complessità sociale. Marx analizza e descrive la struttura economico – sociale della società capitalistica, utilizzando la logica materialistico-dialettica (induzione/deduzione/induzione o meglio concreto/astratto/concreto), e formulando delle leggi di previsione di tipo scientifico, cioè approssimative, schematiche, tendenziali e relative a determinate regolarità economico – sociali. In questo senso possiamo parlare di dottrina storicamente invariante, poiché in assenza di un cambiamento (morte) di un certo modo di produzione, cioè della struttura basica di una determinata formazione sociale, quelle leggi (una volta svelate e verificate) non possono non continuare ad essere valide.
Secondo capitolo: Limiti e critica dell’uso di modelli euristici
Consideriamo il concetto di insieme e il correlato concetto di sistema. Molto spesso abbiamo anche noi utilizzato questi concetti nel corso delle nostre analisi di fenomeni economico-sociali. Conosciamo dunque la loro utilità metodologica e cognitiva, proprio in quanto ne facciamo regolarmente uso come parte di schemi interpretativi e descrittivi della complessità sociale. Tuttavia, quando parliamo di Marco, Gianni e Flavio come elementi di un insieme, in quanto tutti e tre sono alti un metro e settanta, non facciamo altro che astrarre e separare tre caratteristiche comuni dal resto dei tratti molteplici che caratterizzano la realtà di quei tre individui. Nel campo delle scienze sociali questo significa che tenteremo di astrarre (dalla concretezza storica) e di separare (dalla complessità sociale) una o più parti, allo scopo di ottenere un modello ideal-tipico (Weber) con cui svolgere una certa ricerca. Un ideal-tipo, cioè un modello euristico, che può aiutarci ad indagare la concretezza e la complessità storico – sociale, e che tuttavia nasce pur sempre da una separazione – astrazione di una o più parti dal tutto, e quindi è in questo senso determinato una finzione utile per conseguire una approssimazione conoscitiva del reale. Queste considerazioni trovano puntuale riscontro nel dibattito matematico in merito alla teoria degli insiemi. Questo dibattito, risalente almeno agli inizi del secolo scorso, ha infine evidenziato la natura convenzionale dello stesso concetto di insieme. Il dibattito nel campo degli addetti ai lavori, ha dunque messo in luce il carattere convenzionale della teoria assiomatica degli insiemi. Un modello di esplorazione e razionalizzazione della complessità del reale, vagamente somigliante alla logica dialettica e tuttavia diverso. Il materialismo storico-dialettico è infatti una concezione ontologica con corrispondenti implicazioni euristiche, nata dal movimento reale della lotta di classe proletaria, sintesi immediata di esperienza /percezione e pensiero /astrazione del divenire storico reale. I modelli matematici, invece, rivelano già in origine un debito teorico con l’astrattezza del numero, ovvero con la natura convenzionale dei simboli che costituiscono il suo linguaggio ( dando comunque per assodata l’utilità strumentale della matematica nel cammino evolutivo della specie umana). Come si può ben arguire, l’oggetto di questo capitolo non riguarda l’analisi o la critica delle teorie matematiche degli insiemi o delle catastrofi, compito che non ci compete e di cui non si vedrebbe neppure l’utilità politica. Ci stiamo invece limitando a segnalare, sulla scorta di una semplice analisi critica, i rischi di fraintendimento a cui vanno incontro i tentativi maldestri di adoperare alcuni modelli matematici, transitori e storicamente determinati, in modo indipendente da queste caratteristiche. Stiamo quindi cercando di criticare delle improprie modalità di impiego di determinate teorie matematiche, in vece e in sostituzione del tradizionale e opportuno piano di analisi politica e sociale. Se qualche non secondario rappresentante accademico, parla, con cognizione di causa, di convenzionalismo della teoria degli insiemi, ricordando anche il famoso esempio del paradosso logico del barbiere di Bertrand Russel, allora perché trasformare in dogma una forma di conoscenza quantomeno precaria e soggetta a continue rettifiche? Una idea e una pratica di utilizzo acritica (del sapere scientifico), è in fondo destinata ad ignorare proprio il suo aspetto più rilevante: cioè il fatto che questo sapere è un percorso in progresso, storicamente condizionato dalla struttura socio-economica esistente, e dai rapporti sociali ad essa corrispondenti. L’assurdità dello scientismo si nasconde proprio nella trasformazione di ciò che è ricerca e processo di accostamento al vero, in verità ‘deterministica assoluta’, e infine, ben più gravemente, nella trasformazione di ciò che nasce già condizionato dagli interessi e dagli scopi di un determinato apparato militare – industriale, in una autonoma e neutrale teoria scientifica ‘pura’.
Terzo capitolo: Modelli ‘scientifici’ e conoscenza umana
Convenzionalismo, insiemi, modelli matematici. Cerchiamo di rimettere con i piedi per terra la questione dell’utilizzo di queste cosiddette capitolazioni della ‘scienza borghese’ verso il pensiero marxista. Se uno degli esiti di questo utilizzo è la drastica sottovalutazione del fattore della lotta di classe e del partito (che da essa trae linfa) nei processi di mutamento sociale, allora non ci siamo affatto. Se invece l’utilizzo di modelli e terminologie corrispondenti mira solo a integrare l’analisi condotta sulla base del materialismo storico-dialettico, allora ‘nulla quaestio’ . Ma la base dev’essere il materialismo storico-dialettico, non un qualsiasi artefatto cognitivo – euristico prodotto dalla ‘scienza’ di questa società. Pensiamo agli ambiti di applicazione dei modelli previsionali matematici, implicati nella teoria del caos, degli insiemi e delle catastrofi. Pur nella loro differenza, queste tre branche di ricerca hanno fornito ottimi modelli predittivi e decisionali al management :aziendale più rampante e agguerrito. Troviamo interi trattati di organizzazione aziendale, scienza dell’amministrazione e studi di strategia militare, imperniati su questi campi della nuova matematica, a dimostrazione della utilizzazione sistematica del sapere ‘scientifico’ da parte della borghesia. Quindi una cosa è certa, questi modelli matematici sono usati con profitto da esponenti imprenditoriali, amministrativi e militari borghesi, e corrispondono, anche se in maniera contraddittoria e parziale, alla loro concezione della realtà, deve quindi ritenersi problematica e complicata anche la possibilità di un loro impiego da parte dei marxisti. Bisogna applicare a queste moderne teorie la stessa critica de-mistificatrice che Marx riservava alle teorie scientifiche del suo tempo. Il nostro impegno dovrebbe risiedere nel criticare l’apparenza di neutralità della scienza attuale, valutando con sobrietà e scetticismo anche i suoi rari cedimenti nei confronti del marxismo. Per questo motivo continuiamo a ricordare che la sua funzione sociale è, fondamentalmente, una variabile derivata dall’uso che ne può fare il capitale (anche se noi stessi,
utilizziamo in modo critico e ponderato una parte dell’armamentario ‘scientifico’ di questa società). Torniamo sul concetto di assioma, e confrontiamolo con i costi parametrici e standard del budget aziendale. Come vengono progettati questi costi? In realtà essi vengono ipotizzati allo scopo di un confronto successivo con i costi reali e consuntivi, ad esempio di una certa produzione, e il loro valore numerico – monetario è semplicemente determinato da una media aritmetica dei valori dei costi effettivamente sostenuti nei periodi passati di quella certa produzione. Dalla realtà della produzione passata, si inferiscono quindi i dati numerici per costruire il costo parametrico e il costo standard atto a prevedere il budget di spesa richiesto per una certa produzione, e infine si ottiene uno strumento di controllo concomitante e consuntivo per rilevare eventuali scostamenti in più o in meno fra il dato standard previsionale e il dato reale. Il controllo budgetario ha lo scopo di verificare, attraverso lo strumento assiomatico dei costi parametrici e standard, l’efficienza e l’efficacia della gestione aziendale complessiva, così come quella relativa a singole aree della gestione (produzione, amministrazione, commercializzazione), o perfino a singoli reparti e uffici.
Ecco quindi mostrato un pratico esempio di utilizzo di modelli assiomatico numerici, nella sfera del controllo di gestione. Dove, attraverso i budget fondati su logiche previsionali, basate sulla probabilità che i costi sostenuti nel passato recente possano riproporsi anche nel presente e nel futuro a breve termine, si ottiene una limitazione (o meglio un tentativo di limitazione) del carattere aleatorio e imprevedibile dell’attività economico – aziendale.
Nel lavoro dal titolo ‘Storia e dialettica’ abbiamo ripercorso i momenti cruciali della teoria della conoscenza, così come emergono nelle relazioni di Bordiga degli anni sessanta. In quelle relazioni è rinvenibile una gnoseologia particolare, caratterizzata da due aspetti inequivocabili. Uno di essi è il ruolo del partito, inteso come ponte di conoscenza fra i saperi sedimentatisi in epoche di trapasso rivoluzionario, poiché in queste fasi della storia umana si manifesta l’avanzamento della conoscenza (e quindi il superamento di paradigmi precedenti, ormai inadeguati a comprendere i nuovi rapporti sociali). Tuttavia solo la prassi della rivoluzione comunista porrà in essere il superamento definitivo dei dualismi e degli enigmi ‘filosofici’ caratteristici delle società divise in classi, proprio come nel caso del famoso enigma dello scioglimento del nodo gordiano, tagliato semplicemente con la spada da Alessandro Magno. Il partito, organo energetico-politico della classe, e ricettacolo della conoscenza umana sintetizzata in forma non alienata, esprime quindi la potenza formale e la conoscenza-scienza storica della classe destinata a sopprimere tutte le classi, e quindi per tale motivo si può definire come genericamente umana (non di classe) questa conoscenza. Azione e teoria, potere e sapere, assimilazione conoscitiva del pensiero umano presente e passato ( in forma non alienata già nel partito) e lancio di ponti di conoscenza e superamento dei dualismi antinomici, caratteristici dell’alienazione delle società classiste (con la rivoluzione diretta dal partito). Il cambiamento della struttura socio-economica produce (produrrà) dei cambiamenti consequenziali nella sovrastruttura culturale e quindi nei modi di percepire e conoscere la realtà. Storia dei modi di produzione e correlativa analisi dei modi di pensare, in fondo si sostanzia anche in questo uno dei compiti del materialismo storico-dialettico, cioè dello strumento migliore di conoscenza posseduto dalla specie umana e dal partito
(in altre parole la metodologia critico- cognitiva materialistica, i suoi risultati, le leggi tendenziali socio-economiche, definite anche dottrina storicamente invariante). Il secondo aspetto, inequivocabile, delle relazioni degli anni sessanta è la critica alla scienza di quel periodo, lo svelamento del suo carattere subordinato e funzionale alle esigenze del capitale, e in definitiva la sua strutturale fallacia cognitiva legata a questo stesso carattere prevalente di subordinazione derivata e funzionale al capitale. Secondo Bordiga, stante questa caratteristica inestricabile e prevalente della scienza attuale, resta solo il partito a svolgere l’attività del soggetto conoscente, in quanto arca raccoglitrice dei saperi umani in forma non alienata, e quindi conseguente traghettatore e lanciatore rivoluzionario di ponti di conoscenza fra la sponda dell’apparato conoscitivo comunista delle origini, e la sponda del potenziale-embrionale apparato di conoscenza della società comunista futura (contenuta in forma embrionale nel ventre del mostro sociale capitalistico). Chiariamo che l’embrione non è altro che una potenzialità rispetto alla vita vera e propria, e quindi non è realistico dire che esso (il comunismo embrionale ) esiste già in forma di vita vera e propria, cioè come se fosse un essere (uomo/donna) in grado di intendere e di volere, dotato di autonomia di pensiero e di volizione: invece questo embrione di comunismo esiste come un entità contenuta e, soprattutto, imprigionata nel ventre capitalistico. In questo senso la rivoluzione è la levatrice della storia, e in questo senso rifulge e si comprende il ruolo e la natura del partito, definiti da Bordiga al pari di una piccola realtà socio-cognitiva anticipatrice del comunismo, un piccolo insieme di punti (teoria dell’evoluzione punteggiata) ormai esterni al corpo della società borghese e al suo embrione comunista, e quindi proprio per questo in grado di svolgere un ruolo politico decisivo nel parto rivoluzionario. Questo ruolo è delineato con chiarezza, sulla base delle esperienze storiche pregresse, e quindi non è opera saggia sottovalutare o negare la sua funzione con espedienti teorici o sofismi di vario genere, al fine di sostenere il collasso automatico, una sorta di partenogenesi spontanea, volutamente e consapevolmente negatrice della variabile incarnata nella lotta di classe e nel partito che ne è espressione sub specie di sapienza storicamente accumulata e di potenza organizzativa formale. Se proprio vogliamo utilizzare i termini coniati nella teoria del caos, allora possiamo rilevare che il complesso sistema dinamico capitalista, e il suo orizzonte degli eventi caotico, nel capitale di Marx viene già ordinato attraverso la scoperta di leggi di sviluppo e di funzionamento di tipo scientifico-tendenziale. Leggi, oppure giocando con la terminologia predetta, attrattori anti caotici, che delineano una certa regolarità nelle orbite percorse dagli eventi, e quindi configurano una geometria del caos. Fra questi attrattori, Marx annota la lotta di classe e il partito, come variabili basilari della transizione, e tuttavia essi scompaiono quasi del tutto nella vulgata presente e passata dello spontaneismo meccanicista e fatalista.
Quarto capitolo:
Teoria matematica degli insiemi e tentativi di trasposizione nel campo filosofico. Un abbozzo di critica iniziale.
Soprattutto negli anni sessanta e settanta sono fioriti molti tentativi di ‘aggiornamento’ della teoria marxista, sotto l’influsso delle correnti strutturaliste, psicoanalitiche, o perfino della teoria matematica degli insiemi. Sarebbe opera ardua ripercorrere i sentieri tracciati da questi ‘generosi’ tentativi di rinforzamento e innovazione del marxismo, drasticamente ridotti dal trionfante neo-liberismo degli anni ottanta e novanta (neo-liberismo che sembra un po’incrinato dopo la crisi finanziaria del 2008). Il filosofo francese Badiou, come altri suoi colleghi, tenta in quegli anni a cavallo dei decenni sessanta e settanta di dare un fondamento logico-matematico alla teoria marxista. Leggendo dei ritratti presenti in rete, corredati da parti significative dei suoi ultimi lavori filosofici, emerge una elaborazione che si auto presenta come a-dialettica, cioè, si suppone, non dipendente dalla concezione dialettica dell’essere. Una molteplicità di molteplici in cui si manifesta localmente una singolarità fenomenica. Questo molteplice, se ben comprendiamo, è categorizzato in contenitori ontologici o di significato (semantici) definiti sulla scorta della nota teoria matematica degli insiemi. Leggendo le pagine (alcune) di questo autore, sembra che il concetto euristico di insieme possa costituire un valido contributo alla fondazione di una concezione logico-ontologica della realtà. A noi sembra, tuttavia, perlomeno problematico il rapporto fra una qualsivoglia ontologia e la teoria degli insiemi; poiché un discorso sull’essere in quanto tale, cioè dal nostro punto di vista un discorso sull’essere in quanto negazione logico-fenomenologica del nulla (nulla inteso come l’assoluto senza luogo sia attuale che potenziale, e non in quanto concetto opposto o contrario dialettico dell’essere), non è facilmente riconducibile a questa teoria matematica (ricordiamo l’aporia del barbiere di Russel). In modo particolare la natura di modello euristico e convenzionale del concetto di insieme, ben poco si attaglia al principio di non contraddizione, identità e terzo escluso, che dovrebbe essere alla base di un discorso ontologico. Parliamo del principio di non contraddizione concepito dalla scuola eleatica e successivamente formalizzato da Aristotele, e oggi riproponibile non solo come mero strumento di indagine o forma del ragionare, ma come la inconfutabile immediatezza ontologico-fenomenologica di un campo sintattico-semantico di manifestazione di una molteplicità di essenti (che si impone con necessità come orizzonte di negazione permanente del nulla). Alla fin fine, anche il tentativo di negare questo campo ontologico – fenomenologico, con l’impiego di proposizioni scettiche o nichiliste, è solo un’auto negazione, poiché la stessa proposizione negatrice dell’essere è costretta, nel tentativo di negare la realtà dell’essere, a porre comunque il contenuto di un ente (seppure nella veste di una proposizione che nega ogni ente) e quindi la postulazione del nulla è un atto che, in quanto affermazione in ogni caso di un qualcosa, è anche immediata auto negazione del proprio contenuto proposizionale. Quindi, sul piano logico-fenomenologico immediato, ogni negazione dell’essere vale come una auto-negazione. Di conseguenza, invece, la posizione di qualcosa come esistente, qualunque cosa essa sia, contiene, come già superata, la stessa proposizione che vorrebbe negare a questa cosa l’attributo dell’esistenza. Badiou, in alcune risposte al filosofo Severino, afferma di accettare il principio di non contraddizione e la realtà dell’essere al posto del nulla, e tuttavia resta irrisolto il problema della totalità di questo molteplice del molteplice, il quale si pone, in Badiou, come pura manifestazione di insiemi differenziati e quindi pure singolarità di insiemi, apparizioni contingenti di insiemi singolari, incorporati in insiemi più ampi, che tuttavia non sono un nuovo insieme totalità. Al di là di questo aspetto, le cui basi logiche e ontologiche non riusciamo forse a comprendere per nostra interiore inadeguatezza, ci sovviene un dubbio ulteriore in merito a questo molteplice del molteplice (o insieme degli insiemi) di cui ci sfugge la logica di sviluppo, o meglio la ragione sufficiente del suo divenire. Se davvero Badiou propone una filosofia a-dialettica, come si può poi postulare il cambiamento di stato, il movimento stesso di questo molteplice? Ci chiediamo se i fenomeni molteplici aumentano e diminuiscono, al pari di una epidemia basata su un unico agente patogeno iniziale, o per meglio dire in un modo paragonabile alla geometria dei frattali, in cui una matrice iniziale (monisticamente) si riverbera in molteplici variazioni sul tema di partenza; oppure sono innervati nella contraddizione dialettica degli opposti, duale, oppositiva, processuale? Tuttavia questa ultima ipotesi, almeno in merito al significato emerso dalla lettura di parte dell’opera di Badiou, non sembra affatto proponibile. Non stiamo qui a tentare di confutare le sottostanti argomentazioni che fondano una visione siffatta, sempre ammettendo di non avere frainteso – con la nostra lettura – il suo senso effettivo, poiché lo scopo della presente analisi è un altro. Siamo infatti convinti che adoperare la teoria degli insiemi (e non ci riferiamo a Badiou) o qualunque altra teoria matematico-scientifica, con la giustificazione che questa teoria o quell’altra teoria, hanno ormai capitolato davanti al marxismo, può invece comportare il rischio di una capitolazione reale, opposta, del marxismo al pensiero borghese.
‘Se guardi troppo a lungo nell’abisso, poi è l’abisso che inizia a guardare dentro di te’. Nietzsche
Quinto capitolo: la neutralità della scienza come mito borghese
Scienze naturali e scienze storico -sociali, sono radicate, attualmente, nel terreno alienato della società borghese. Una società costruita su una serie discendente di separazioni di tipo strutturale-economico e sovrastrutturale: l’apparato conoscitivo (e quindi la scienza), in questa situazione, è dunque esso stesso prevalentemente alienato. Usiamo il termine ‘prevalentemente’, perché ipotizziamo che insieme al primo tipo di condizionamento, cioè le idee della classe dominante, la scienza contemporanea possa essere limitatamente permeabile alla realtà potenziale del comunismo embrionale (contenuto nel grembo capitalistico). In questo senso si può parlare di capitolazioni, molto parziali, della scienza borghese davanti al marxismo. Allora possiamo meglio esprimerci dicendo che la tendenza condizionante predominante è quella borghese, mentre solo a tratti si intravedono influssi diversi agire dentro i meandri della ricerca e della sperimentazione scientifica. Questo ultimo aspetto non dovrebbe quindi spingerci a sostituire la logica dialettica marxista con la logica degli insiemi. Fondamentalmente separando l’uomo da se stesso, l’alienazione capitalistica del lavoro è la matrice materiale delle successive separazioni; quindi anche le scienze naturali e storico-sociali non possono esserne ritenute immuni. Dal punto di vista della dialettica rivoluzionaria, solo una minoranza ‘umana’, una avanguardia proletaria, può possedere già adesso il retto intendere e il retto agire e volere. Sapienza e potenza concentrata nel partito storico – formale, questa è l’equazione sostenuta fino alla nausea nei testi degli anni sessanta appena ripubblicati. Può piacere o non piacere, ma la carta canta, e quindi c’è poco da cavillare o da interpretare. Possiamo ben ricordare il ruolo complementare della innovazione tecnologica, e quindi delle collegate scoperte scientifiche, nella crescita del capitale costante in questa economia capitalistica reale, in un ciclo che partendo dall’accumulazione semplice, e poi allargata, sotto la spinta del mercato concorrenziale, diviene poi, successivamente, impulso a ridurre i costi di produzione attraverso l’impiego della tecnologia. Questa è la funzione essenziale del sapere scientifico in questo modo di produzione, e proprio per questo motivo deve essere demistificata l’apparenza di neutralità che avvolge questo sapere (così come un apparenza di neutralità avvolge da sempre lo stato borghese, il diritto, l’economia politica e tanti altri aspetti della sovrastruttura capitalistica). Socialmente condizionate, le opere dell’ingegno, le teorie pure, non sono mai state pure, poiché i loro portentosi modelli euristici, si trasformano a ciclo continuo in applicazioni tecnologiche industriali funzionali all’incremento del tasso di sfruttamento della classe proletaria.
Postilla: Apparato e scienza
Fisica relativistica, meccanica quantistica, matematica degli insiemi, teoria delle catastrofi, del caos, e varie altre narrazioni scientifiche, formano il reticolo interpretativo-cognitivo dell’attuale umanità. Si tratta di narrazioni spesso reciprocamente incompatibili, almeno dal lato della raffigurazione della realtà; pensiamo ad esempio al relativismo e alla quantistica, e quindi al contrasto fra il discreto e il continuo, cioè alle visioni opposte di ciò che viene affermato come tratto essenziale dell’essere. Il problema è anche dato dal fatto che, per l’appunto, in un modo o in un altro, si torna a parlare di spiegazioni ultime della realtà perfino in queste moderne teorie fisico-matematiche, riportando così in auge, il discorso filosofico ormai considerato da molti, semplicisticamente, morto e sepolto. Relativismo, quantistica, teoria degli insiemi e via discorrendo diventano così i moderni sostituti del vecchio discorso filosofico-ontologico o addirittura teologico. Oppure può accadere che una ontologia, pensiamo a Badiou, riconosca fra i suoi fondamenti (anche) la teoria matematica degli insiemi. In ogni caso si conferma la prevalenza della forma scientifica del sapere, sulle forme non ancora omologate al paradigma scientifico, almeno nella capacità di condizionamento della cultura del tempo. Se vogliamo tentare di essere minimamente realisti, non possiamo fare finta di credere che esista una diffusa ricerca scientifica pura, e che l’apparato militare industriale dei conglomerati capitalistici esistenti e concorrenti sia disinteressato a quello che avviene nel campo della ricerca sperimentale. Oggi lo stesso scienziato sa che le sue ricerche otterranno finanziamenti solo a patto di servire gli interessi dei finanziatori, e questi ultimi sanno bene che anche le teorie più pure e astratte, prima o poi potranno produrre le classiche uova d’oro della gallina mitologica. L’errore scientista è in fondo quello di credere a una delle più puerili e smaccate menzogne della ideologia borghese: la scienza pura, la capitolazione del sapere dominante alle ragioni del marxismo, e altre amenità varie. Dal punto di vista della realtà sociale concreta, determinata, specificamente riferita ai nostri tempi alienati, è indubbio che l’apparato militare-industriale tende a inglobare in se stesso i saperi scientifici di tutti i tipi, senza distinzioni fra scienze umane e scienze naturali. Questi saperi discendono periodicamente dall’empireo delle teoria pura, alla prosaica e terrena tecnologia utilizzabile a scopi industriali e militari. Possiamo quindi parlare, senza tema di essere smentiti, di un vero e proprio insieme composto da tre aspetti sociali interconnessi in una relazione funzionale di reciproco supporto. Quindi, in altre parole, un unico e letale apparato di dominazione militare-industriale e scientifica, come mai si è visto nella storia umana precedente. E di fronte a questa mastodontica evidenza, confermata da mille prove storiche, lo scientismo moderno continua a blaterare imperterrito il mantra della neutralità dei saperi scientifici, come se lo scopo di una ricerca non condizionasse, già in partenza, anche i mezzi impiegati e i risultati ottenuti.
Eraclito : ‘E nella notte accendono un lume, spegnendo la vista alla luce del logos’.
Capitolo sesto (conclusivo): Paradigma e totalità
Paradigma scientifico è il termine usato nella filosofia della scienza per indicare un complesso di metodi, teorie, regole di indagine e criteri di verifica, accettato e impiegato da una comunità di ricercatori. La natura del paradigma si fonda su un fatto sociale, ovvero sulla decisione che scaturisce dalla volontà di considerare una certa prassi di ricerca, orientata su certe teorie ‘scientifiche’, la corretta metodologia di ricerca. Alla base, dunque, ritroviamo una convenzione socialmente accettata dalla comunità scientifica, o meglio dalla parte dominante degli addetti ai lavori che sono membri di questa comunità. Ma quale paradigma è probabile che venga scelto come valido per l’impiego, dalla parte che decide la sua validità, e che vive in una società capitalistica, e ne subisce dunque ogni tipo di condizionamento? Possiamo porci questa domanda, oppure dobbiamo ritenere che gli operatori del settore scientifico vivano in una sfera incontaminata dai prosaici interessi del capitale, dove sono liberi di scegliere i propri indirizzi di ricerca senza alcuna pressione e condizionamento? Come si è comportata la cosiddetta comunità scientifica, o meglio la sua maggioranza, nei regimi totalitari del ventesimo secolo? Era o non era il suo lavoro, obtorto collo, asservito alle politiche di quei regimi, e alla sottostante struttura capitalistica? Per non parlare del ruolo ugualmente importante svolto nei regimi politici democratici, con annessa e sottostante struttura capitalistica. Comunità scientifica (una parte di essa) dunque, come ‘instrumentum regni’, al pari della religione nella visione del Machiavelli. Siamo spinti a ipotizzare, di conseguenza, che il paradigma scientifico venga scelto dagli addetti ai lavori, sulla base delle esigenze di potere della classe sociale dominante in una certa fase storica (in barba ai sogni di libertà delle scienze narrati dall’ideologia liberale). Inevitabilmente, le forme sintattiche, i contenuti teorici, le metodologie di ricerca e sperimentazione che formano questo paradigma, saranno quelli rivelatisi più adatti nel tempo a soddisfare gli interessi della classe sociale dominante. Altri paradigmi, altre metodologie, rivelatesi empiricamente meno efficaci a fornire tecnologia di avanguardia all’apparato militare – industriale statale, verranno gettati nel dimenticatoio e dichiarati non scientifici. Quindi, il termine scientifico o non scientifico, è spesso solo una metafora di utile o inutile rispetto ai bisogni sistemici del capitale. Domandiamo a noi stessi, quale possibilità di sviluppo applicativo potrebbe ottenere una teoria, altamente verificabile a livello sperimentale, rivolta per giunta ai bisogni collettivi della specie umana, e quindi in contrasto con gli interessi della attuale minoranza parassitaria borghese. Probabilmente non avrebbe nessuna possibilità di sviluppo e di successivo impiego di massa. Dura lex, sed lex, questa è la dura legge del capitale, e quindi non è saggio dimenticarlo o fingere di ignorarlo, per poi sostenere l’autonomia e la neutralità dell’albero scientifico (teoria pura e sviluppi applicativi) rispetto al terreno sociale in cui è radicato. I percorsi scientifici contemporanei sono invece, al di fuori di ogni dubbio e illusione, un elemento importante, e se vogliamo costitutivo, della attrezzatura di oppressione borghese, cioè dell’apparato di dominazione industriale – militare e scientifico capitalistico. Industria militare, eserciti, ricerca scientifica (teoria pura e connessi sviluppi tecnici), sono i tre elementi, reciprocamente funzionali, che formano l’attrezzatura di oppressione politico-statale borghese. Anche il pensiero e l’idea ‘scientifica’ in apparenza più lontani da una trasformazione applicativa, se dovessero possedere delle potenzialità applicative interessanti, si convertirebbero prima o poi in tecnologia per il capitale. Eppure noi sosteniamo che gli echi della lunga fase storica del comunismo delle origini, insieme agli impulsi sociali delle lotte proletarie e al comunismo embrionale imprigionato nel ventre della società capitalistica, possano determinare la realtà potenziale, e a tratti anche attuale, di un diverso paradigma conoscitivo (rispetto a quello dominante). Negli anni sessanta Bordiga concepisce l’attualità di questo paradigma conoscitivo diverso, eppure antico, legato ai bisogni umani di specie, e più in generale alle ragioni della vita, come un qualcosa di presente nel partito storico, posseduto dunque dal partito, che assurge, in fondo, al rango di soggetto collettivo di conoscenza. Ma anche nei paradigmi e nelle narrazioni scientifiche dominanti, trapelano, anche se in modo frammentario, e a volte confuso, le scintille di questa conoscenza diversa e antica insieme. Un sapere disalienato, libero dalle antinomie e dai dualismi delle società divise in classi, e quindi integralmente umano e naturale, cioè finalmente, dialetticamente, sintesi autentica del molteplice nella totalità e corrispondente apertura della parte alla totalità dell’essere diveniente.