Le neuroscienze entrano, forse loro malgrado, negli anfratti di discussioni millenarie sulla libertà o sul condizionamento del volere umano. Riportiamo alcune righe di Engels sul tema:“Hegel fu il primo a rappresentare in modo giusto il rapporto di libertà e necessità. Per lui la libertà è il riconoscimento della necessità. “Cieca è la necessità solo nella misura in cui non viene compresa.” La libertà non consiste nel sognare l’indipendenza dalle leggi della natura, ma nella conoscenza di queste leggi e nella possibilità, legata a questa conoscenza, di farle agire secondo un piano per un fine determinato. Ciò vale in riferimento tanto alle leggi della natura esterna, quanto a quelle che regolano l’esistenza fisica e spirituale dell’uomo stesso: due classi di leggi che possiamo separare l’una dall’altra tutt’al più nell’idea, ma non nella realtà. Libertà del volere non significa altro perciò che la capacità di poter decidere con cognizione di causa. Quindi quanto più libero è il giudizio dell’uomo per quel che concerne un determinato punto controverso, tanto maggiore sarà la necessità con cui sarà determinato il contenuto di questo giudizio; mentre l’incertezza poggiante sulla mancanza di conoscenza, che tra molte possibilità di decidere, diverse e contraddittorie, sceglie in modo apparentemente arbitrario, proprio perciò mostra la sua mancanza di libertà, il suo essere determinato da quell’oggetto che precisamente essa doveva dominare. La libertà consiste dunque nel dominio di noi stessi e della natura esterna fondato sulla conoscenza delle necessità naturali: essa è perciò necessariamente un prodotto dello sviluppo storico.”(Engels, antiduhring)
Engels ricorda che i bisogni della vita reale, appagabili con l’attività economica, sono in ultima istanza determinanti nell’orientamento volitivo, cioè nella costruzione di una sfera motivazionale primaria, ma tuttavia non vanno assolutizzati: “Secondo la concezione materialistica della storia la produzione e riproduzione della vita reale è nella storia il momento in ultima istanza determinante. Di più né io né Marx abbiamo mai affermato. Se ora qualcuno distorce quell’affermazione in modo che il momento economico risulti essere l’unico determinante, trasforma quel principio in una frase fatta insignificante, astratta e assurda. […] Addirittura la tradizione che vive nelle teste degli uomini ha la sua importanza, anche se non decisiva.[…] Del fatto che da parte dei più giovani si attribuisca talvolta al lato economico più rilevanza di quanta convenga, siamo in parte responsabili anche Marx ed io. Di fronte agli avversari dovevamo accentuare il principio fondamentale, che essi negavano, e non sempre c’era il tempo, il luogo e l’occasione di riconoscere quel che spettava agli altri fattori che entrano nell’azione reciproca.” Lettere, Engels.
In effetti Marx aveva posto, già nelle ‘Tesi su Fuerbach’, dei paletti concettuali alle future derive meccanicistiche: “La dottrina materialistica che gli uomini sono prodotti dell’ambiente e dell’educazione, e che pertanto uomini mutati sono prodotti di un altro ambiente e di una mutata educazione, dimentica che sono proprio gli uomini che modificano l’ambiente e che l’educatore stesso deve essere educato. Essa perciò giunge necessariamente a scindere la società in due parti, una delle quali sta al di sopra della società (per esempio in Roberto Owen). La coincidenza nel variare dell’ambiente e dell’attività umana può solo essere concepita e compresa razionalmente come pratica rivoluzionaria.”(Marx,terza tesi su Feuerbach)
In definitiva chi sostiene che il momento economico ”risulti essere l’unico determinante, trasforma quel principio in una frase fatta insignificante, astratta e assurda”, e inoltre dimentica ”che sono proprio gli uomini che modificano l’ambiente e che l’educatore stesso deve essere educato”.
Il problema del rapporto fra necessità e libertà della volontà è affrontato anche da Lenin, il quale ben considera i nessi dialettici fra esistenza e coscienza, vita e pensiero: “Engels prende la conoscenza e la volontà dell’uomo da una parte, la necessità della natura dall’altra e, invece di formulare qualsiasi definizione, dice semplicemente che la necessità della natura è primordiale e la volontà e la coscienza dell’uomo sono secondarie. Queste ultime devono inevitabilmente e necessariamente adeguarsi alla prima. […] Engels non dubita dell’esistenza della “necessità cieca”. Egli riconosce l’esistenza di una necessità non conosciuta dall’uomo” (Lenin)
Riconosciuta la primordiale necessità della natura, il pensiero marxista si guarda bene dal proporre una lettura meccanicista del rapporto fra natura e volontà umana, essere sociale e coscienza: “L’esistenza sociale e la coscienza sociale non sono affatto più identiche di quel che non lo siano in generale l’esistenza e la coscienza. Dal fatto che gli uomini, prendendo contatto tra di loro, lo fanno come esseri coscienti, non deriva affatto che la coscienza sociale sia identica all’esistenza sociale. […] La coscienza sociale riflette l’esistenza sociale: questo è il pensiero di Marx. L’immagine può riflettere più o meno esattamente l’oggetto, ma è assurdo parlare qui di identità. (Lenin)
Il processo cognitivo riguarda tutta la sfera dell’essere (materia, natura, uomo), il tradizionale dualismo fra soggetto conoscente e oggetto conosciuto scompare nelle relazioni sulla conoscenza tenute da Bordiga negli anni 60:
” …soggetto della conoscenza non è solo l’uomo. La natura, di cui l’uomo fa parte, è soggetto della conoscenza [molto prima della comparsa delle specie viventi]. La natura ha conosciuto e conosce perché, anche senza vita, anche al solo livello del mondo inorganico, quello minerale, essa lascia impronte che corrispondono alla conoscenza di sé stessa. Il processo della conoscenza, attraverso cui il pensiero conosce il mondo, non ha nulla di originale, di miracolistico, di escatologico. È un processo senza finalismi idealistici che lo facciano distinguere da tutti gli altri rapporti tra un settore della natura e un altro. Per miliardi di anni non c’è stato il “settore Uomo” nella natura; c’erano gli altri settori che influivano tra di loro. Gli effetti astronomici e interstellari – intesi nel senso fisico/chimico e non nel senso delle migrazioni di umanità viventi … influivano sul decorso della rivoluzione dei singoli pianeti. Questi fenomeni hanno scritto la loro storia. Che cos’è la conoscenza ridotta infine alla sua quintessenza? È memoria e relazione. Per la natura si tratta di avere registrato eventi e sequenze della propria dinamica evolutiva. E proprio per come e quanto ha già fatto, un miliardo o un milione di anni fa, noi possiamo conoscerla e interpretarla oggi…La natura ha una propria memoria e ha offerto a noi i risultati in essa contenuti. Noi non lavoriamo solo sulla memoria dell’uomo. Quest’ultima non è che una parte del patrimonio mnemonico trasmessoci dalla natura. Gran parte della dotazione su cui poggia l’umanità presente e, soprattutto, poggerà quella nuova attraverso il cervello sociale del nuovo partito, è di origine non umana. Persino gran parte del patrimonio del vivente si trova fossilizzato nella memoria della natura. Come si vede, il problema di una conoscenza senza spirito (ché non ci si venga a parlare di spirito in un mondo completamente minerale) è proponibile ed ha una soluzione in tre passaggi: 1) azione fisica; 2) registrazione-memoria; 3) interpretazione. Noi possiamo interpretare solo perché c’è il determinismo di un’azione che produce effetti registrabili. Noi non facciamo altro che seguire un antico itinerario di eventi predisposti. Lo facciamo con attrezzature complesse e differenziate, determinate nel tempo con lo sviluppo scientifico e tecnologico, ma la materia che ci racconta sé stessa c’è già. Perciò non abbiamo bisogno, ribadisco, di risolvere l’enigma se debba prevalere la specie pensante o la materia passiva: sono tutte e due attive, tutte e due collaboranti, sono parte integrante di un unico sistema. L’antico enigma è stato sciolto in una concezione nuova e superiore”.
La realtà e le sue molteplici articolazioni, in questo caso la dicotomia ‘specie pensante/materia passiva’ è superata nella proposizione che le pone ”tutte e due attive”, ovvero ”parte integrante di un unico sistema”.
La nostra conoscenza non è un assoluto, le parole di Bordiga sono inequivocabili:”Nel fatto ogni tentativo di sistematizzare le conoscenze è provvisorio e transitorio…una esatta immagine mentale del sistema del mondo, resta per noi e per tutti i tempi una impossibilità. Un tale risultato (cioè l’esatta immagine mentale del mondo N.C.) comporterebbe la conseguenza che qualunque avvenimento successivo, e lo stesso complicarsi e differenziarsi delle funzioni cerebrali…non potrebbe più nulla modificare nel sistema delle conoscenze”. Successivamente, in opposizione all’idea che postula nella logica una dimensione a priori della conoscenza del reale, è nettamente sostenuto; “Noi non neghiamo l’esistenza della logica come scienza e tecnica strumentale delle forme del pensiero; è anzi ben noto che nella concezione marxista al suo impiego si accompagna quello della dialettica, o scienza delle relazioni…Ma ciò che deve essere chiarito è che la logica è costruita e giustificata dalla sua applicazione e corrispondenza alla realtà e non codificata a priori nella nostra testa, e solo dopo applicata alle cose. Non è più la scienza dei principi del pensiero, che diventa scienza dei principi dell’essere, ma è soltanto la scienza delle forme del pensiero, non assolute e fisse, ma sempre pronte ad essere modificate dai risultati e dai dati del mondo esterno”.
Nella concezione del materialismo storico la conoscenza si sviluppa dalle lezioni tratte dall’esperienza, e dunque sulla base della memoria della lotta contro gli ostacoli e i pericoli incontrati nel corso della vita. Ipotizziamo che un certo organismo/gruppo sociale elabori i dati dell’esperienza, li raccolga e conservi allo scopo di impiegarli come guida per l’azione, in periodi successivi. Si tratta di un meccanismo molto semplice e comprensibile di interazione fra il gruppo sociale e l’ambiente esterno, che a un certo punto, come accade per molti altri organismi viventi, determina perfino delle mutazioni biologiche e genetiche negli organismi umani che costituiscono il gruppo. Lo sviluppo dell’organo cervello, le reti neuronali, diventano un aspetto derivato della storia dell’interazione fra il gruppo sociale e l’ambiente esterno. Nelle società classiste è il conflitto fra classe dominante e classe dominata, a marcare, in modo particolarmente drammatico, la dinamica di sviluppo della conoscenza, e quindi dell’organo biologico in cui si concentra la materialità dei processi cognitivi. Il retaggio delle centinaia di migliaia di anni in cui la specie umana è sopravvissuta cooperando e condividendo manufatti e risorse naturali, emozioni e progetti, sogni e illusioni, ha lasciato una traccia genetica nel nostro organismo, nel nostro sistema neuronale. Questo retaggio è difficilmente cancellabile dagli appena 5000 anni di storia delle società divise in classi di servi e padroni. Nel comunismo delle origini prevale un apparato conoscitivo di tipo integrale, olistico, magico-animistico-sciamanico. In effetti, anche se espresso con un linguaggio ingenuo, questo apparato conoscitivo è scienza umana, cioè funzionale ai bisogni dell’intero gruppo sociale, e non quindi al solo servizio di una minoranza di sfruttatori, come l’attuale scienza del capitale, quindi come gli odierni apparati tecnico-scientifici funzionali ai complessi militari-industriali degli imperi capitalistici contemporanei. Marx utilizza il termine ”cervello sociale” per significare il processo di sviluppo della conoscenza umana, inteso non come frutto di improbabili solipsismi individuali, ma in quanto cooperazione e intreccio di relazioni fra i membri del gruppo sociale, dunque un attività sociale tesa a comunicare con il linguaggio e la scrittura i dati dell’esperienza e le lezioni tratte da essa. Riportiamo una citazione dal testo ‘Economia marxista ed economia controrivoluzionaria’, pag.201. ”La tecnologia dapprima, poi la scienza, si trasmettono di generazione in generazione come una dotazione dell’uomo sociale, della specie, che in tutti i suoi individui vi ha lavorato e collaborato. Nella nostra costruzione il profeta, il sacerdote, lo scopritore, l’inventore, vanno verso una pari liquidazione. L’uomo sociale in queste pagine (di Marx) è detto anche individuo sociale, il cui senso non è ‘persona umana’ come cellula della società; ma invece società umana trattata come un organismo unico che vive una sola vita….Questo organismo, la cui vita è la storia, ha il suo cervello, organo costruito dalla sua millenaria funzione, e che non è retaggio di alcun teschio e di alcun cranio. Il sapere della specie, la scienza, ben più che l’oro non sono per noi privati retaggi, ed in potenza appartengono integri all’uomo sociale’.
Il comunismo è il percorso di riappropriazione dell’umanità da parte dell’uomo, scrive Marx nei manoscritti: “Il comunismo come snodamento positivo della proprietà privata, di questa alienazione e separazione dell’uomo da sé stesso, deve dunque essere la vera appropriazione della natura umana da parte dell’uomo e per l’uomo; è quindi il ritorno dell’uomo a sé stesso, ritorno totale, cosciente, che conserva tutta la ricchezza dello sviluppo anteriore. Questo comunismo, essendo un naturalismo compiuto, equivale all’umanismo, allo stesso modo che l’umanismo completo equivale al naturalismo; è la vera soluzione della disputa dell’uomo con la natura e dell’uomo con l’uomo; è il vero scioglimento del conflitto fra esistenza ed essenza, fra oggettivazione e affermazione di sé, fra libertà e necessità, fra individuo e specie. È l’enigma risolto della storia, e sa di essere questa soluzione. Perciò tutto il movimento della storia è l’atto reale della nascita del comunismo, l’atto di nascita del suo essere empirico, e insieme, per la sua coscienza pensante, il movimento compreso e saputo del suo divenire”.
Il comunismo è lo scioglimento degli enigmi e delle separazioni prodotte dalla storia dell’alienazione, dunque dalla storia infame delle società divise in classi.
Lotta di classe, conoscenza, partito, mutamento sociale.
Un testo del 1961, ‘Origine e funzione della forma partito’ descrive la sequenza appena riportata:‘Il proletariato tende a contrapporre la sua Gemeinwesen, cioè l’essere umano, a quella del capitalista (Stato oppressore). Per giungere a realizzare tale opposizione reale, bisogna ch’egli si appropri questo essere, e non può farlo se non si organizza in partito, – partito che è appunto la rappresentazione di questo essere, la prefigurazione la cui vita è movimento per l’appropriazione di questo essere. Qui si trova espressa in modo preciso la coscienza della missione del proletariato: l’appropriazione della natura, dell’essere umano’…La scoperta del movimento della società umana come movimento verso la società comunista, è concomitante a quella della riscoperta dell’uomo; è quindi la manifestazione simultanea della necessità dell’appropriazione della sua natura. Ciò definisce il programma comunista…. per il marxismo l’uomo è la specie umana, l’uomo sociale che ha un legame umano con la specie e un legame umano con la natura. Ma questo fine, questa liberazione, è appunto ciò cui tende l’umanità intera; quindi la liberazione del proletariato è la liberazione dell’umanità (affermazione costante del marxismo). Il programma, nato dalla lotta, non potrà essere affermato che mediante la lotta. Ecco posto il problema delle condizioni della lotta contro il capitale, il problema del legame fra i proletari e il programma, quello dell’individuazione dei periodi di rivoluzione e controrivoluzione’. ‘Origine e funzione della forma partito’.
La riappropriazione della propria totalità umana, non è nient’altro che la conquista della libertà, la liberazione, essendo quest’ultima, in fondo, il movimento verso il comunismo, cioè verso il superamento dell’alienazione. Ma questo processo storico, drammatico, di perdita (alienazione) del proprio essere umano autentico, e di successiva riappropriazione (disalienazione), trova nel partito il suo catalizzatore e strumento: ‘Ne deriva una caratteristica importante del partito. Essendo la prefigurazione dell’Uomo e della società comunista, esso è la base mediatrice di ogni conoscenza per il proletario, cioè per l’uomo che rifiuta l’ordine borghese e accetta quello del proletariato, lotta per imporlo e, quindi, per imporre l’Essere umano.La conoscenza del partito integra quella di tutti i secoli passati (religione, arte, filosofia, scienza). Il marxismo non è dunque una pura e semplice teoria scientifica (fra le tante!); ma ingloba la scienza e si serve delle sue armi rivoluzionarie di previsione e di trasformazione…Perché? Ed ecco la caratteristica essenziale del proletariato: “La classe operaia è rivoluzionaria, o non è nulla” (1). ‘Origine e funzione della forma partito’.
‘Ne risulta che il proletariato non esiste se non quando è rivoluzionario, quando ha la sua anima, il suo programma, e oppone il suo Stato, cioè l’Essere umano, alla società borghese. Altrimenti si avvilisce e la sua anima è borghese, una cosa della società borghese; allora non ha più vita, perché la sua vita è la rivoluzione.
Classe, programma, partito e rivoluzione, tutto ciò è precisato. La classe non agisce e quindi non esiste se non quando si costituisce in partito, che a sua volta si caratterizza mediante il programma (e questo ne è l’anima)…Marx…”Io intendo il termine ‘Partito’ nella sua larga accezione storica”, cioè come prefigurazione della società futura, dell’Uomo futuro, dell’Essere umano che è il vero Gemeinwesen dell’uomo. È l’attaccamento a questo Essere, che nei periodi di controrivoluzione sembra negato dalla storia (come oggi la rivoluzione sembra alla generalità un’utopia), è questo attaccamento che permette di resistere. La lotta per restare su questa posizione è la nostra “azione”.
Il partito deve essere la soluzione di tutti gli enigmi, e deve saperlo essere. Deve presentarsi come il rifugio del proletario, il luogo in cui la sua natura umana si afferma in modo ch’egli possa mobilitare tutte le sue energie nella lotta contro il nemico di classe.
Era necessario precisare questi caratteri che soli permettono di capire la funzione del partito e di averne una visione integrale. Il partito è una forza impersonale al di sopra delle generazioni; rappresenta la specie umana, l’essere umano infine ritrovato, la coscienza della specie. Questa non può manifestarsi che in date condizioni (come l’azione del proletariato): in una situazione rivoluzionaria è possibile il rovesciamento della prassi, che è rovesciamento di ogni sviluppo attuale e passato; il Partito decide la presa del potere per la distruzione della società borghese; la preistoria umana è finita: in questo momento tutto converge, esso è il punto culminante della teoria mediante la previsione esatta del momento favorevole, e dell’azione (l’insurrezione è un’arte). I due fenomeni si sommano: è allora che la coscienza dell’azione appare, la coscienza che precede l’azione.
Il marxismo è una teoria dell’azione umana e una teoria della produzione della coscienza, ma è per ciò stesso riflessione di questa azione, di questa prassi, è per ciò stesso la sua coscienza, è questa coscienza prodotta; dunque, è la sua verità assoluta. Perciò noi possiamo dire che è una guida per l’azione (il partito, in quanto azione organizzata del proletariato, è il soggetto della storia), una guida dell’azione umana, una guida che conduce verso la liberazione dell’uomo, verso la sua presa di coscienza, verso la società comunista: è la guida alla emancipazione umana’. ‘Origine e funzione della forma partito’.
(1)“Se gli autori socialisti attribuiscono al proletariato questo ruolo storico mondiale, non è, come pretende di credere la Critica Critica, perché considerino i proletari degli dei. È piuttosto il contrario. Proprio perché nel proletariato pienamente sviluppato è praticamente compiuta l’astrazione di ogni umanità, perfino dell’apparenza della umanità; proprio perché nelle condizioni di vita del proletariato si condensano nella forma più inumana tutte le condizioni di vita della società attuale; proprio perché in lui l’uomo si è perduto ma, nello stesso tempo, non solo ha acquisito la coscienza teorica di questa perdita, ma è anche direttamente costretto a ribellarsi contro questa inumanità dal bisogno ormai ineluttabile, insofferente di ogni palliativo, assolutamente imperioso – espressione pratica della necessità -; proprio perciò il proletariato può e deve liberarsi. Ma non può liberarsi senza sopprimere le sue stesse condizioni di esistenza. Non può sopprimere le sue condizioni di esistenza senza sopprimere tutte le inumane condizioni di esistenza della società attuale, che si condensano nella sua situazione. Non invano il proletariato passa per la dura ma tonificante scuola del lavoro. Non si tratta di ciò che questo o quel proletario, o perfino l’intero proletariato, s’immagina di volta in volta come il suo fine. Si tratta di ciò che esso è, e di ciò che sarà storicamente costretto a fare in conformità a questo essere. Il suo fine e la sua azione storica gli sono irrevocabilmente prefissati nelle sue condizioni di vita, come nell’intera organizzazione della presente società borghese. Non occorre qui dimostrare che una gran parte del proletariato …è già cosciente della sua missione storica e lavora costantemente a sviluppare questa coscienza fino ad una chiarezza completa”.