La concorrenza capitalistica globale come fattore determinante nei recenti scossoni politici avvenuti in Italia e altri paesi europei
Utilizziamo come premessa di questo nuovo lavoro alcuni passi già pubblicati nel dicembre 2017, evidentemente riassuntivi anche dello scopo dell’attuale ricognizione politica. Dopo la crisi istituzionale italiana di fine maggio 2018, risolta con un incarico bis alle forze politiche di Cinque stelle e Lega, peraltro dopo un tentativo di governo tecnico durato due/tre giorni, sono molti gli interrogativi sul ruolo svolto dai vari giocatori globali (Germania, Usa…).
Con l’aiuto del quadro/metodo conoscitivo marxista, proveremo a delineare i caratteri essenziali e gli obiettivi presenti nel ruolo volto dai vari giocatori globali, e le sinergie e gli antagonismi esistenti fra le diverse frazioni del capitalismo italiano con i diversi poli conflittuali del capitalismo globale. In buona parte questa analisi è già stata svolta in altri articoli, per cui ci limiteremo ora a sintetizzare e aggiornare sulla base dei recenti dati di cronaca, le posizioni generali già assodate e verificate in passato.
Premessa
«In particolare l’imperialismo, epoca del capitale bancario, epoca dei giganteschi monopoli capitalistici, mostra lo straordinario rafforzarsi della ‘macchina dello Stato’ e la inaudita crescenza del suo apparato amministrativo e militare, in seguito al rafforzarsi della repressione contro il proletariato, tanto nei paesi monarchici che nei più liberi paesi repubblicani».
Lenin, ‘Stato e Rivoluzione’
La struttura economica (forze produttive e rapporti sociali di produzione) e la sovrastruttura (stato,leggi, cultura) che caratterizzano una società esistono, nella realtà del divenire storico, non come fenomeni separati, ma come intreccio e relazione dialettica.
La macchina stato, quindi innanzitutto il complesso militare -industriale con l’annesso e funzionale apparato tecnico-scientifico, è sia l’espressione derivata di una società divisa in classi, sia la condizione necessaria alla conservazione del dominio di una classe sociale. Infatti, storicamente, senza il monopolio del ricorso alla violenza (latente o cinetica) nessuna classe sociale potrebbe conservare il proprio potere.
Quando alcune recenti posizioni teoriche sostengono lo svuotamento delle prerogative della sovranità statale, da parte del capitale monopolistico-finanziario, operano di fatto una deformazione della realtà.
Lo forza di uno stato è oggi l’espressione della potenza di una certa rete di interessi che accomuna vari soggetti e figure sociali, che noi definiamo come classe dominante. Sul piano storico lo stato (e la ragion di stato) è in fondo l’arma e lo scudo che consente a questa rete di interessi sociali parassitari di affermarsi (sui dominati) e di difendersi (dalle potenze parassitarie rivali).
La circostanza storica della circolazione di investimenti multinazionali nell’economia globale non significa affatto che il ‘capitale’ sia diventato autonomo dagli stati, o abbia indebolito la loro funzione di spada e scudo di una rete di interessi capitalistici. Due potenze economico-politiche capitalistiche possono fare affari fino a pochi minuti primi dello scoppio di una contesa militare, pensiamo ad esempio ai treni pieni di materie prime che dalla Russia sovietica procedevano verso la Germania nazista, ancora il 21 giugno 1941, giorno di inizio dell’operazione Barbarossa. Oppure agli intrecci di capitale azionario fra alcune imprese americane e tedesche nel periodo nazista.
Oggigiorno assistiamo regolarmente ad una serie di reciproci investimenti di capitale, nelle rispettive economie nazionali, da parte di potenze economico-politiche capitalistiche strategicamente avversarie. L’Irriducibilità del loro essere avversarie sta infatti nella persistenza di un piano di realtà sistemico del capitalismo, quindi nella persistenza delle leggi di funzionamento scoperte dal marxismo. Anarchia della produzione e concorrenza fra capitali differenti, e quindi contesa e conflitto interni alla stessa classe sociale dominante sono ricordati già nel Manifesto del 1848, dunque chi sostiene che gli stati si indeboliscono, di converso dovrebbe sostenere che si indebolisce anche il conflitto fra potenze statali capitalistiche. Sull’onda della vecchia teoria kautskiana, le teorie sul capitale autonomo e l’indebolimento degli stati, ipotizzano in fondo il superamento dell’anarchia della produzione e della concorrenza fra capitali, e in definitiva della società borghese, a mezzo di puri automatismi economici (economicismo), ignorando la grande lezione del materialismo storico che individua nella lotta di classe fra dominanti e dominati il motore della storia.
L’articolo ‘Inflazione dello stato’ è stato pubblicato su ‘Battaglia Comunista’, n. 38 del 1949. In esso è contenuta la confutazione, ante litteram, delle posizioni che sostengono che nel mondo reale si stia verificando l’indebolimento degli stati.
Il testo del 1949, in effetti, sostiene anche che alcuni stati sono indeboliti e ridotti al rango di vassalli, dopo le due guerre mondiali, ma che al contempo è aumentata la potenza di pochi ‘bestioni statali’ imperiali (di cui gli stati indeboliti sono ora vassalli). Dunque si riconosce lo svuotamento sostanziale della sovranità di determinati stati nazione, ma solo a causa del corrispettivo rafforzamento di altri stati. Ecco un esempio di tali argomentazioni:‘Il mondo capitalistico offre, invece, la decisa ininterrotta concentrazione su estensioni immense delle unità statali, e la dominazione sempre più totale delle grandi sulle piccole. Questo processo è del tutto parallelo all’aumento di ingerenza della macchina statale in tutte le fasi della vita delle popolazioni cui sovrasta, al diffondersi di tale influenza dal campo politico, di polizia, giuridico, sempre più esplicitamente e soffocatamente a quello sociale, economico e fisico’…’Alla vigilia della seconda guerra generale era già chiaro, sia per l’ulteriore evoluzione monopolistica del grande capitalismo, sia per quella della tecnica militare che sempre più richiedeva masse di mezzi economici formidabili, che ogni Stato avente pochi milioni di abitanti non poteva esercitare alcuna autonomia economica diplomatica o militare e doveva porsi nell’orbita e nella soggezione di uno più grande’.
Dunque nel testo del 1949 viene descritta una dinamica di segno opposto rispetto a quella contenuta negli scritti dei teorici dell’indebolimento degli stati. La macchina statale è vista come pervadente tutti gli aspetti della vita sociale, dunque ben lungi dal presupposto fenomeno dell’indebolimento (il fatto curioso consiste nella incoerenza di alcuni teorici dell’indebolimento, i quali da una parte dicono di richiamarsi alla nostra corrente marxista, e dall’altra sostengono posizioni lontanissime dai suoi capisaldi, come ad esempio quelli contenuti nel testo del 1949).
L’importanza di ‘Inflazione dello Stato’ sta nel dimostrare la stretta connessione fra lo sviluppo monopolista e imperialista del capitalismo, e il rafforzamento e la concentrazione del potere statale in alcuni Moloch di grandi dimensioni territoriali, in possesso di un potente complesso militare e industriale, con annesso apparato tecnico scientifico. Ecco delle citazioni in merito :
‘Lo Stato capitalistico, sotto i nostri occhi di generazione straziata da tre paci borghesi a cavallo di due guerre universali imperialistiche, spaventosamente si gonfia, assume le proporzioni del Moloch divoratore di immolate vittime, del Leviathan col ventre gonfio di tesori stritolante miliardi di viventi. Se veramente si potessero come nelle esercitazioni della filosofica speculazione personalizzare l’Individuo, la Società, l’Umanità, tutto l’orizzonte dei sonni di questi esseri innocenti sarebbe coperto dall’Incubo statalista’…
‘La sostanziale menzogna della costruzione giuridica e politica propria della dominante borghesia non può meglio essere posta in evidenza che con il ricordare la presentazione delle due guerre mondiali come lotte per le rivendicazioni di autonomia e di libertà di individui, di gruppi etnici e nazionali, di piccoli Stati nella loro sovranità illimitata. Si è invece trattato di tappe gigantesche e sanguinose nella concentrazione del potere statale e della dominazione capitalistica’.
Le tendenze di sviluppo del confronto fra potenze capitalistiche sono basate sull’azione dei moderni bestioni statali, i quali si muovono in base alle esigenze della rete di interessi della propria borghesia. In definitiva questi bestioni si rafforzano per concentrare sotto un unico comando mezzi militari e truppe, risorse naturali e capacità produttive, per poi controllare con mezzi adeguati il potenziale aumento del grado di conflitto interno, causato dalle contraddizioni del capitalismo (caduta del saggio medio di profitto, miseria crescente, incremento dell’appropriazione di plus-lavoro assoluto e relativo) e per difendere dalle minacce esterne (di altri bestioni statali/fratelli coltelli) gli interessi della propria borghesia.
Prima parte: fratelli coltelli
“Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura”
Sun Tzu L’arte della guerra
Una guerra politico-commerciale tra gli Stati Uniti e la Germania (e l’Europa), si svolge sotto gli occhi di chi sa guardare oltre l’ipocrisia delle narrazioni dominanti.
Assurta da decenni ad economia egemone dell’area euro, quella tedesca è una economia in grado di creare grattacapi a vari competitori internazionali, in primo luogo gli USA. In un quadro europeo fatto di declinanti/incerti risultati economici, dove la Cina investe capitali e compra intere aziende industriali, svetta la potenza dell’economia tedesca, il suo surplus commerciale con gli USA e gli altri paesi europei, il suo impiego di processi produttivi altamente tecnologici (industria 4.0), e il sapiente uso competitivo di un euro svalutato.
Le ultime fibrillazioni politico-istituzionali, avvenute nel mese di maggio in Italia, sono correlate non solo alla concorrenza capitalistica fra Germania e Stati uniti, ma anche al confronto/scontro fra i due maggiori conglomerati di potenza strutturale/sovrastrutturale esistenti (Russia e Cina da una parte e gli USA dall’altra) che si contendono il potere e il bottino di risorse energetiche, vie commerciali e masse di schiavi salariati sullo scacchiere internazionale.
Infatti, lo ripetiamo: ‘Il mondo capitalistico offre, invece, la decisa ininterrotta concentrazione su estensioni immense delle unità statali, e la dominazione sempre più totale delle grandi sulle piccole. Questo processo è del tutto parallelo all’aumento di ingerenza della macchina statale in tutte le fasi della vita delle popolazioni cui sovrasta, al diffondersi di tale influenza dal campo politico, di polizia, giuridico, sempre più esplicitamente e soffocatamente a quello sociale, economico e fisico’. Tratto da ‘Inflazione dello stato’
Nel braccio di ferro fra Berlino, Bruxelles e Washington sono per ora le strategie americane, miranti ad indebolire le velleità politiche terzaforziste di alcuni paesi dell’Unione Europea, e limitare la forza delle esportazioni tedesche, ad avere la meglio (almeno in parte) con la nascita del nuovo governo italiano. Tuttavia se la ipotetica rimessa in discussione dell’euro, e dell’Europa a trazione tedesca, potrebbe togliere dei vantaggi competitivi alle esportazioni dell’industria tedesca, è anche vero che il nuovo parlamento e l’attuale governo italiano, sono intenzionati a ricostruire un dialogo e delle migliori relazioni con il blocco economico-politico avversario degli USA, almeno in questo concordi con la Germania (pensiamo solo al progetto di gasdotto North Stream 2 con la Russia). La ricerca di migliori relazioni sarebbe innanzitutto diretta alla Russia, recentemente definita ”minaccia esistenziale” da una parte della direzione politico-militare americana.
Abbiamo in tempi non sospetti rilevato che i rapporti fra un qualsivoglia centro imperiale e i suoi alleati e vassalli, variano in base ai cambiamenti interni ed esterni al blocco imperiale. L’indebolimento di vari parametri macroeconomici USA, in concomitanza con il rafforzamento dell’economia di alcuni agguerriti concorrenti (BRICS) è un fatto reale, il risorgere della potenza militare russa è un altro fatto reale, dunque ecco esposti due esempi di cambiamenti interni ed esterni al blocco imperiale a guida USA.
Vassalli e alleati avvertono, o meglio percepiscono, che ora il gigante imperiale statunitense è in declino e combatte una lotta mortale per conservare il dominio, un dominio spietatamente conteso da potenti avversari, in certi casi dotati, come la Russia, di un potente complesso militare e industriale, con annesso apparato tecnico scientifico.
Come un branco di lupi assale e morde il vecchio capobranco che non vuole mettersi da parte, così pure le potenze capitalistiche emergenti sfidano e mordono il vecchio ‘paese indispensabile’, il ‘poliziotto globale’ sempre pronto a punire gli ‘stati canaglia’, e a favorire i ‘cambi di regime‘ per ‘esportare la democrazia’. Ora le potenze rivali fanno blocco (Cina/Russia in primis) cercando di togliere ad esso gli alleati (Turchia, Germania, Egitto, Qatar…) e le prede (Siria, Yemen, Libia…), metodicamente, spietatamente.
Lo sviluppo monopolista e imperialista del capitalismo, e il conseguente rafforzamento e concentrazione del potere statale in alcuni Moloch di grandi dimensioni territoriali, ha posto le basi per l’attuale duello fra superpotenze capitalistiche. Date le intrinseche leggi di sviluppo del capitalismo, la vittoria di un blocco non preluderebbe alla fine della lotta fra fratelli coltelli, ma solo alla successiva divisione del blocco vincente, alla rinascita immediata della concorrenza, e infine alla ininterrotta concentrazione su estensioni immense delle unità statali concorrenti.
Seconda parte: maggio 2018, Italia, la padella e la brace
Nel giugno 2017 abbiamo dedicato un articolo alla questione dei ‘sacrifici’, cioè alle politiche economiche di austerità, miranti a contenere/ridurre la spesa pubblica e ottenere il pareggio di bilancio. Abbiamo in quell’articolo mostrato la connessione fra tali politiche economiche, e la minaccia alla vita stessa di una parte della sovrappopolazione proletaria, definita da Marx ‘riserva stagnante’, non ritorniamo su tale aspetto, rinviando all’articolo suddetto.
La rigidità contabile della ‘Troika’ europea, esplosa soprattutto con il governo Monti nel 2011, continuata imperterrita con i governi successivi, lungi dal consentire il rilancio capitalistico dell’economia italiana, ha invece fatto aumentare (soprattutto nel periodo dei governi Renzi-PD) il debito pubblico e l’imposizione fiscale, con il corollario della chiusura di migliaia di imprese economiche, o con la vendita/acquisizione di importanti imprese italiane da parte di SPA estere, e con la disoccupazione e il precariato in crescita galoppante. Di fronte al peggioramento dei dati reali dell’economia e del potere di acquisto delle masse, anche la fascinazione mediatica del personaggio Renzi è crollata, e il primo forte segnale di questo crollo del consenso politico c’è stato nel dicembre 2016, con la batosta refendaria. Le ultime elezioni politiche hanno severamente punito il PD, costringendo il segretario Renzi a dimettersi (anche se tuttora egli mantiene il controllo della maggioranza del partito).
Il disastro economico-sociale in cui sguazzano sia le economie europee forti che quelle deboli (vedasi l’articolo di marzo 2108, ‘Europa capitalistica’)invece di essere attribuito alle leggi di funzionamento del capitalismo, è stato visto come un semplice risultato delle politiche di austerità imposte dalla ‘Troika’ europea (e dalla Germania), non comprendendo che gli accordi legali fra stati capitalistici sono solo una banale ratifica dei rapporti di forza esistenti (leggasi l’articolo ‘ Il Mito dell’Europa unita’). In quanto accordo fra potenze diseguali, l’Unione Europea nasce somigliante all’assemblea degli azionisti di una SPA, dove più conta chi possiede un numero maggiore di azioni. In ogni caso, come ricordato in ‘Europa capitalistica’ nel marzo 2018, le economie deboli sono funzionali alle economie forti, in quanto riserva di forza-lavoro disoccupata, e quindi terreno di investimenti a buon mercato (1). La legge capitalistica dello sviluppo economico diseguale (determinata dalla concorrenza, e dunque dalla centralizzazione dei capitali in determinate aree geo-economiche) non sarebbe affatto eliminabile con la ricetta sovranista, come invece sembrano credere una parte dell’opinione pubblica e delle forze politiche. A smentita delle credenze sovraniste citiamo alcune righe di un nostro articolo del marzo 2018 (2). Inoltre, la risposta sovranista (propugnata da vari soggetti politici europei) ai miracoli al contrario del ‘fiscal compact’ e dell’austerità della troika, ritorna oggettivamente utile alle strategie politiche e commerciali USA, miranti a controllare vassalli e alleati europei (anche a costo dell’indebolimento dell’euro-zona e della prospettiva federalista di un super stato europeo). Come sostenevamo in precedenza, il business capitalistico tedesco con la Cina e la Russia è in contrasto con gli interessi commerciali e geo-politici USA, dunque sono prevedibili, da parte degli USA, delle risposte volte alla tutela di questi interessi. Dunque quella parte di tendenza sovranista (espressione delle economie deboli) che volge la propria critica esclusivamente alla Germania che impone l’austerità, oltre a dimenticare che l’austerità è un prodotto del capitalismo, sottovaluta pure il problema rappresentato dagli Stati Uniti, a sua volta portatori di interessi capitalistici forti, proprio come la Germania. Un classico modo di dire esprime la situazione delle economie nazionali deboli europee: cadere dalla padella nella brace.
(1) Il rapporto tra debito pubblico e Pil è calato dall’84,9 % del dicembre 2015 all’83,5 % del dicembre 2016 (questo dato si riferisce ai 28 paesi UE). Sono 16 gli stati membri dell’UE che hanno evidenziato un rapporto debito/Pil superiore al parametro ‘salutare’ del 60% al dicembre 2016. Fra questi stati, in ordine di grandezza percentuale, elenchiamo la Grecia (179,0%), l’Italia (132,6%), il Portogallo (130,4%), Cipro (107,8%), Belgio (105,8%).
Fatta esclusione per il Belgio, si può osservare che l’indebitamento maggiore riguarda i paesi della fascia mediterranea/latina, a conferma della debolezza (funzionale) di alcune economie capitalistiche rispetto ad altre più solide, in linea con la regola dello sviluppo diseguale del capitalismo. Definiamo debolezza funzionale la condizione di determinate economie nazionali, inserite in un contesto di interazione con altre economie appartenenti allo stesso blocco geo-economico, perché il loro grado inferiore di sviluppo permette, alle aree capitalistiche più avanzate, di ottenere notevoli vantaggi dalla loro ‘debolezza’.
Pensiamo ad esempio all’esercito industriale di riserva (disoccupati) presente nella fascia dei paesi ‘svantaggiati’, e quindi al ruolo di contenimento che questa massa diseredata svolge sulle lotte per gli aumenti salariali nei paesi capitalistici più avanzati. Ma pensiamo anche all’elevato grado di redditività degli investimenti di capitali di economie avanzate in queste economie arretrate, in presenza di un minore costo medio del lavoro (investimenti intesi sia come semplice acquisizione di quote azionarie od obbligazionarie di imprese/SPA già esistenti in loco, oppure come trasferimento/delocalizzazione di capitale costante tecnologicamente avanzato).
Infine pensiamo pure alle conseguenze dell’elevato debito pubblico presente in questi paesi, vittime della regola dello sviluppo diseguale: spesso il debito pubblico è l’altra faccia del capitale finanziario delle economie avanzate, continuamente alla ricerca di investimenti fruttiferi.
Dunque la debolezza ‘funzionale’ delle economie nazionali, vittime della regola dello sviluppo diseguale, e quindi della concorrenza economica, presenta ad una prima analisi almeno tre vantaggi per le economie avanzate (in questo senso concreto si manifesta la funzionalità del complesso economico più debole rispetto al più forte).
(2).Una vasta schiera di oppositori appartenenti al filone politico sovranista critica il moderno esito dello sviluppo capitalistico, quello che il testo del 1962 qualifica come la contraddizione fra i processi di concentrazione dei capitali con derivata, virtuale, socializzazione della produzione, e gli interessi delle varie borghesie nazionali concorrenti. A tale contraddizione le borghesie nazionali rispondono con gli accordi sovranazionali, miranti a garantire e perpetuare anche legalmente le posizioni di forza di una economia nazionale, area economica, regione,rispetto a corrispondenti realtà capitalistiche più deboli. Nel corso del tempo i rapporti di forza fra queste realtà possono mutare, e allora intervengono dei cambiamenti anche nelle forme giuridiche assunte dai precedenti rapporti di forza inter-capitalistici.
I sovranisti interpretano le modifiche degli accordi sovranazionali, susseguenti ai cambiamenti strutturali, riguardanti la grandezza e il peso delle varie economie capitalistiche, come una sottrazione di sovranità agli stati nazionali da parte di oligarchie finanziarie e bancarie, non avvedendosi che la sottrazione di sovranità al player (x) corrisponde solo al maggiore grado di attribuzioni al player (y). E’ quello che accade in Europa da sempre, ben descritto nell’articolo del 1962 (‘Il mito dell’Europa unita’).
Il lamento sulla perdita di autonomia degli stati (alcuni stati) nelle politiche fiscali e monetarie, volendo fermare la ruota degli eventi capitalistici assume un sapore anacronistico, ed infine esprime solo, da un punto di vista sociale, la solita paura del ceto medio verso i processi di proletarizzazione congenitamente legati al divenire capitalistico.
Le critiche dei sovranisti colpiscono un target limitato (oligarchie bancarie-finanziarie e istituzioni sovrastatali), non comprendendo che questo target è l’epifenomeno di un modo di produzione basato sullo sfruttamento della classe sociale proletaria, quindi se, a rigore di logica, non si rimuove la causa, l’effetto continuerà ad esistere.
All’interno degli accordi infra-statali europei la parte del leone la fanno le nazioni capitalistiche più forti, mentre su quelle più deboli viene scaricato il costo delle leggi immanenti del capitalismo: in primo luogo l’aumento dello sfruttamento diretto (sul luogo di lavoro) e indiretto (aumento dell’imposizione fiscale), intesi come controtendenza alla caduta del saggio medio di profitto. In secondo luogo la miseria crescente, legata innanzitutto all’aumento dello sfruttamento indiretto e della popolazione inattiva, causata, quest’ultima, dal progressivo impiego del capitale costante nei processi produttivi.
La tosatura fiscale, ma anche i salvataggi bancari con i fondi pubblici, servono oggettivamente a trasferire quote di plusvalore prodotte nella sfera dell’economia industriale, alla sfera finanziaria del capitalismo (attraverso il pagamento statale delle cedole sui titoli del debito pubblico: il debito pubblico va inteso come una manifestazione del capitale finanziario).
Il sovranismo, vagamente associabile anche a ipotesi di politiche economiche keynesiane, esprime dunque un lamento contro gli attuali equilibri di forza raggiunti nello scontro permanente fra borghesie nazionali. La sua fonte sociale va individuata nelle frazioni di borghesia nazionale danneggiate dalla lotta per la concorrenza, frazioni che tentano di invertire gli sviluppi capitalistici sfavorevoli ai propri interessi. Alcuni movimenti di protesta contemporanei, sorti recentemente in Francia e negli Stati Uniti, inopinatamente considerati da qualche osservatore ‘marxista’ come fenomeni di lotta di classe proletaria, in realtà vanno inseriti anch’essi nella categoria dei tentativi del ceto medio di invertire gli sviluppi capitalistici sfavorevoli ai propri interessi.
Parte terza: Divide et impera
La recente disdetta USA dell’accordo sul nucleare con l’Iran, un accordo firmato peraltro nel 2015 da Regno Unito, Francia, Cina, Russia, Germania e Unione Europea, si profila come l’ultima occasione di divergenza politico-economica con paesi capitalistici formalmente alleati NATO ( Regno Unito, Francia, Germania).
Con l’accordo del 2015 furono sospese le sanzioni contro l’Iran, in cambio della sua rinuncia a determinate attività di ricerca e sviluppo di tecnologia nucleare.
Le ragioni strategiche generali della decisione USA sono intuibili: innanzitutto il contenimento di una potenza regionale che persegue interessi commerciali e obiettivi politici contrastanti con quelli dei propri alleati regionali (Arabia Saudita, Israele), in secondo luogo la reversione/azzeramento delle relazioni economiche dell’Europa con l’Iran (con relativo danno al business europeo), e non ultimo l’attacco ad un alleato del blocco capitalistico rivale russo-cinese. Le rinnovate sanzioni all’Iran fanno il paio, d’altronde, con le rinnovate sanzioni alla Russia. Tuttavia è sul rispetto di queste sanzioni, oggettivamente antieconomiche per le economie nazionali europee (senza distinzione fra economie forti e deboli), che ora si giocano le prospettive immediate del confronto fra vassalli o alleati europei, e il centro imperiale da noi definito ‘Chaos Imperium’. In base ai precetti della Casa Bianca, entro un periodo oscillante fra 90 o 180 giorni, le imprese europee dovrebbero conformarsi alle sanzioni contro l’Iran. In caso contrario incorrerebbero in pesanti ritorsioni nel loro business commerciale con gli Stati Uniti. L’applicazione delle sanzioni verso l’Iran da parte delle imprese europee, tuttavia, comporterebbe la fine di contratti per parecchi miliardi di dollari. La Cina e la Russia hanno condannato la decisione americana, mentre l’India ha dichiarato che non applicherà le sanzioni decise da un singolo stato, e non dall’ONU. In merito alla questione della concorrenza fra economie capitalistiche nazionali, è da ricordare che anche la decisione USA di alzare i dazi doganali sulle importazioni di acciaio, alluminio e auto dell’industria europea, va nel senso di un incremento della concorrenza (come risposta alle difficoltà dell’economia USA nella competizione globale). Si registra, anche in questa vicenda, l’ennesima verifica pratica del rapporto funzionale fra lo stato nazionale e l’economia nazionale, a totale smentita delle teorie sul capitale autonomo e l’indebolimento degli stati.
Come tutti gli imperi nel corso della storia, anche gli USA adottano la strategia del ‘divide et impera’. Chiediamoci quindi su quale tronco reale si innesti, nella fattispecie, l’attuale tentativo del divide et impera. Il rapporto capitalistico fisiologico fra aree economiche deboli e aree forti, non essendo immutabile, può produrre in linea di principio, ma come vedremo anche in pratica, delle dinamiche conflittuali fra i due lati del rapporto.
In questi giorni, qualcuno in alto loco nella cerchia bancario-finanziaria Europea, ha rilasciato un’intervista spiegando che eventuali soccorsi da parte delle istituzioni europee, quindi prestiti e acquisti di debito pubblico in grado di contrastare le vendite per frenare la corsa dello spread, in qualsivoglia paese EU, sarebbero stati condizionati all’accettazione di un ‘programma di aggiustamento strutturale’.
Dunque se un Paese chiede aiuto alla Troika, questo paese deve poi accettare un memorandum in cui le varie rate del prestito vengono collegate alla esecuzione di una sfilza di misure di austerità. In Italia, nel 2011, la corsa in salita dello spread convinse il governo di centrodestra a lasciare il posto al governo Monti, successivamente le misure di austerità, innanzitutto la Riforma Fornero, furono il prezzo da pagare per indurre la BCE all’acquisto dei titoli pubblici italiani (per ridurre l’instabilità finanziaria e la salita dello spread).
Le attuali fibrillazioni politico-istituzionali italiane, ma anche la crisi del governo spagnolo, dimostrano che la lotta per la concorrenza fra economie forti ed economie deboli è un dato di fatto, e sebbene queste ultime siano tendenzialmente condannate a subire le conseguenze della legge dello sviluppo diseguale, nondimeno bramano ugualmente di sottrarsi ai dettami della troika.
Questa brama di sottrazione si manifesta generalmente attraverso alcuni governi politici (ad esempio l’attuale governo Cinque stelle/Lega),collegabili principalmente al settore economico industriale, mentre i governi tecnici sono espressione prevalente del capitale finanziario interno/internazionale, e quindi collegabili alle ragioni del ‘programma di aggiustamento strutturale’, pareggio di bilancio, austerità e altre formule lessicali miranti a occultare delle politiche economiche di sottrazione di quote di salario diretto (retribuzioni) e indiretto (servizi sociali) dalle tasche dei proletari. Tale sottrazione, insieme all’aumento dell’imposizione tributaria a carico della classe proletaria, forma in sostanza la massa monetaria di plus-valore destinata alla rendita finanziaria, e quindi principalmente al pagamento degli interessi sul debito pubblico.
Sul conflitto fra economie deboli e forti si innesca la politica USA del ‘divide et impera’. La risposta sovranista ai miracoli al contrario del ‘fiscal compact’ e dell’austerità della troika, ritorna oggettivamente utile alle strategie politiche e commerciali USA, miranti a controllare vassalli e alleati europei (anche a costo dell’indebolimento dell’euro-zona e della prospettiva federalista di un super stato europeo).
Parte quarta: Dinamiche di potenza UE/USA
“Dovete adunque sapere come sono dua generazione di combattere: l’uno con le leggi, l’altro con la forza: quel primo è proprio dello uomo, quel secondo delle bestie: ma, perché el primo molte volte non basta, conviene ricorrere al secondo.”
NICCOLÒ MACHIAVELLI
Il declino del centro imperiale USA tende a sospingere l’Europa verso un riposizionamento sullo scacchiere capitalistico mondiale. Nuove aggregazioni di potenza e di affarismo si manifestano, insidiando i vecchi equilibri emersi dopo il crollo dell’impero sovietico. Il sogno del nuovo ordine mondiale basato sull’unipolare egemonia USA è durato poco più di un decennio, scomparendo progressivamente a causa del rafforzamento e dell’attivismo di potenze capitalistiche rivali (Russia e Cina, innanzitutto). Potenze verso cui si orienta l’attuale moto di riposizionamento di una parte degli alleati e vassalli del ‘Chaos Imperium’. Siamo in una fase di transizione verso un paradigma capitalistico nuovamente, apertamente, multipolare, in cui, oltretutto, il presunto super-imperialismo unipolare USA rischia di essere derubricato allo status di semplice potenza locale (in base agli esiti dell’attuale competizione di potere fra blocchi rivali, e quindi alle dinamiche interne ed esterne a questi blocchi). Gli eventi contemporanei su scala locale e globale sono correlati, in vario grado e misura, alla suddetta competizione di potere fra blocchi rivali.
Le recenti misure protezionistiche USA, volte principalmente ad arginare le importazioni di prodotti dalla Cina e dalla Germania, e le rinnovate sanzioni all’Iran, che per alcuni paesi europei potrebbero ben presto trasformarsi nella perdita di decine di miliardi di euro (mancati investimenti e blocco di commesse in corso d’opera), sono il segnale della accentuata concorrenza fra le differenti economie nazionali provocata dall’attuale fase del ciclo economico.
La caduta del saggio di profitto morde i processi di valorizzazione del capitale, produce miseria crescente e quindi riduce la domanda globale delle merci prodotte dall’industria capitalistica, toglie fiato al consumismo compulsivo indotto dai modelli culturali dominanti, e alla fine spinge i fratelli coltelli borghesi (singole imprese, economie nazionali, alleanze e blocchi economici e politici) a sbranarsi reciprocamente, prima su un piano prevalentemente economico-commerciale (che non esclude le guerre locali e per procura), e poi su un piano prevalentemente militare.
Un possibile scenario posteriore alle mosse americane (dazi e sanzioni), potrebbe essere quello di un avvicinamento di vari paesi dell’Europa al blocco euroasiatico. Come sostenuto già in precedenza.
Oggigiorno l’unione europea, o meglio la centralizzazione di capitali che assume questo nome, è il terzo blocco economico mondiale, un blocco i cui stati sono tuttavia soggetti, in forme e modi diversi, ai condizionamenti politico-militari degli USA (principalmente attraverso la NATO e la presenza di basi militari USA), e alle ricadute economiche negative indotte da questi condizionamenti.
Il condizionamento crea una situazione di semi-vassallaggio in alcuni paesi EU, con la conseguenza dei costi correlati al dover seguire il ‘Chaos Imperium’ nelle sue avventure militari (spesso improduttive), o nel dover applicare delle sanzioni reciprocamente dannose (al sanzionante e al sanzionato, come quelle contro l’Iran e la Russia), solo per ubbidire ancora una volta al grande fratello a stelle e strisce.
Mentre la logica dello sviluppo economico diseguale potrebbe ancora spiegare la predominanza di una economia forte (Germania), sulle economie deboli (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia), non trova invece giustificazione, sul piano della pura forza economica, l’attuale alleanza subordinata dell’Europa, terzo blocco economico mondiale, al declinante capitalismo USA.
Infatti il fattore egemonico USA nei confronti dell’Europa non è, oggigiorno, l’economia, ma il superiore complesso militare industriale con annesso apparato scientifico-tecnologico.
Senza questo poker di assi (Industria militare, esercito, scienza e tecnologia) ben poco potrebbero gli USA sul resto del mondo, e in particolare sull’Europa.
Tuttavia esistono nel mondo altre potenze capitalistiche, con una lunga tradizione imperiale, altrettanto, o anche meglio dotate di un complesso militare industriale con annesso apparato scientifico-tecnologico. Il blocco euroasiatico è tutto questo, esso comprende un piano economico in pieno sviluppo: pensiamo solo alla ”via della seta” (“silk Road”) che attrae investimenti colossali, alla ‘banca asiatica di investimento infrastrutturale‘, con cui la Cina impiega i propri capitali in Africa, Asia e America del sud, in prestiti finalizzati alla costruzione di porti, strade e reti ferroviarie, oppure alla progressiva sostituzione del dollaro (con lo yuan e il rublo negli scambi commerciali), non trascurando la vendita, da parte di molti paesi, di riserve valutarie in dollari, in cambio di oro, e infine le notevoli forniture di petrolio e metano della Russia all’Europa e il rinato progetto ‘North stream’.
L’Europa, terzo blocco economico mondiale, può essere interessata alle prospettive di investimento reciproco di capitali con questa area politico-economica euroasiatica (investimenti fra l’altro già in atto da tempo). Quindi, da un punto di vista semplicemente economico, l’interesse europeo graviterebbe principalmente verso la Cina, la Russia, l’India, cioè in definitiva l’Eurasia.
Ma può l’Europa, nell’attuale quadro di alleanze politico-militari con gli USA, galoppare liberamente verso i verdi pascoli di valorizzazione euro-asiatici?