Nota redazionale: La crisi sociale colpisce la famiglia monogamica/mononucleare e provoca vari fenomeni correlati, fra questi registriamo il cosiddetto poli-amore, alias ‘menage a trois’. Non si tratta di un fenomeno nuovo, poiché in tutte le epoche di transizione sociale (pensiamo al declino dell’impero romano o alle correnti libertine sorte alla fine del feudalesimo) si sono manifestati analoghi fenomeni disgregativi (dei vecchi modelli di comportamento).
Dunque, quando si affrontano questi temi, bisogna evitare l’errore di scambiare l’effetto, cioè la cosiddetta liberalizzazione dei costumi, per la causa, che è invece l’attuale crisi sociale.
Il marxismo studia i fenomeni economici e sociali fondamentalmente sotto tre aspetti: nella loro genesi, nella loro interiore articolazione, e infine nella relazione che presentano con il tutto di cui sono solo una parte.
Se conosciamo l’origine del fenomeno, sarà più facile scoprire da quali elementi è composto, e dunque vedere i suoi rapporti con l’insieme sociale.
La crisi sociale, definibile anche semplicemente come transizione da uno stato di cose esistente (attuale) a uno stato non ancora esistente (potenziale), produce, nell’ambito delle relazioni affettive di coppia, e quindi anche delle relazioni matrimoniali, delle forme di scollamento, perdita di senso, confusione.
La novità odierna consiste solo nella loro maggiore diffusione quantitativa, negli ultimi due secoli troviamo dei precisi riferimenti a questi fenomeni, in varie correnti artistiche e opere letterarie. Il periodo della contestazione giovanile degli anni 60 e 70 li ha poi portati ulteriormente alla luce.
Un probabile causa aggiuntiva di questi fenomeni risiede nel progressivo passaggio dalla campagna alla città di grosse masse umane, sotto la spinta dell’industrializzazione dell’economia. Nelle attuali grosse metropoli viene meno il controllo sociale tipico dei piccoli borghi rurali, dove tutti conoscono tutti, e il giudizio negativo della comunità di borgo o di villaggio esercita un certo condizionamento sulle scelte individuali e di coppia. Nella grande città prevale invece l’anonimato, e quindi la possibilità di agire nell’indifferenza totale dei milioni di persone sconosciute che vi risiedono.
Ipotizziamo, in guisa di ulteriore causa aggiuntiva, la stessa produzione seriale di merci, basata sulla ripetizione di un modello di partenza in una serie di copie potenzialmente illimitate.
La produzione seriale di merci, pone in essere un mondo stracolmo di copie, copie di un originale senza traccia, o quantomeno di cui si è persa memoria. Questa circostanza può contribuire alla perdita di senso della vita, che diventa come un labirinto di specchi, sulle cui superfici vengono proiettate immagini di una realtà inafferrabile. Se tutto è copia di una copia, come si può concepire l’autenticità, l’esclusività, tipiche dell’idea/mito/aspirazione della vera amicizia e del vero amore?
Oltre alla crisi sociale, nel capitalismo è essenzialmente l’alienazione, quindi la perdita/separazione dell’uomo dal prodotto del proprio lavoro e dalla propria essenza di essere onnilaterale, che rendono inautentica l’intera esistenza, e le relazioni vissute nel suo corso.
La mercificazione, cioè la riduzione dell’uomo a merce di scambio, e la reificazione, cioè la riduzione dell’uomo a cosa, oggetto utilizzato dal prodotto del proprio lavoro sociale ( il capitale costante), sono altri fattori di inversione della realtà.
Il parassitismo sociale borghese, in ultima analisi, produce alienazione, reificazione, mercificazione e infine la metamorfosi della realtà umana in irrealtà, il mondo alla rovescia dove il prodotto controlla il produttore, lo strumento di lavoro domina il lavoratore.
Si può ipotizzare che questa concatenazione di circostanze e fattori contribuisca potenzialmente (almeno in certi casi, ed entro certi limiti) a togliere ogni autentico significato e realtà umana a svariati ambiti dell’esistenza sociale.
La dissoluzione della morale sessuale borghese è opera dello stesso capitalismo
Viviamo, si dice da tutte le parti, in un’epoca di «dilagante immoralità». Vuol dire allora che la società è condannata a morte. Tutte le società di classe sorgono nella storia come portatrici anche di una «idea morale» cioè un complesso di regole che disciplinano la vita pratica degli uomini. Quando le società diventano «immorali», ciò accade perché la classe dominante, depositaria e custode – tramite la scuola, la chiesa, la polizia e la letteratura – della morale vigente si accorge che i precetti etici inculcati nelle masse sfruttate e difesi con mezzi coercitivi non ce la fanno a bloccare l’azione delle forze erosive che minano le fondamenta economiche e sociali della società. Da quel momento la classe dominante, cessa di credere fermamente, o non crede più, nei suoi decaloghi morali. Si avverte che essi sono inutili, che solo l’impiego della corruzione e della violenza può allontanare il giorno della resa dei conti. In una parola diventa «immorale» cioè si mette a vivere in contrasto con le sue stesse teorie morali.
Il disfacimento di una società inizia soprattutto nella classe dominante e si manifesta come dissoluzione morale. Ciò non significa che il processo degenerativo si svolge nel chiuso del mondo delle idee. Accade invece che le regole morali che prima presiedevano alla attività pratica si rivelino insufficienti, perché l’evoluzione economica ha modificato profondamente la realtà sociale. Consideriamo la morale sessuale, cioè l’insieme di consuetudini e di precetti morali che regolano, nella società borghese i rapporti tra i sessi.
La famiglia borghese in crisi
Fondamento della organizzazione sociale borghese è la famiglia basata sul matrimonio monogamico. Nella lotta ideologica contro l’aristocrazia feudale, folleggiante nelle dorate Versailles del secolo XVIII, la borghesia allora rivoluzionaria tuonò contro il libertinaggio dei nobili e si presentò come l’araldo del rinnovamento della famiglia e della santità del matrimonio; espresse nei confronti delle mollezze d’alcova e le perversioni sessuali dei Casanova e dei De Sade lo stesso sacro furore di indignazione che, molti secoli addietro aveva spinto i cristiani delle catacombe a maledire le scostumatezze dei patrizi romani. In una parola, la borghesia si rizzò contro l’aristocrazia feudale, dispregiatrice cinica della continenza carnale, come l’incarnazione della Virtù. Anzi, come redentrice degli stessi corrotti rappresentanti dell’ancien regime, rispecchiandosi compiaciuta nei personaggi di Giorgio Ohnet e di Octave Feuillet. Ma a che punto sono i discendenti del morigerato «Terzo Stato», puritano e regicida? Sono all’orgia. Certamente non deve accadere a caso il fatto che la decomposizione morale delle classi dominanti si manifesti nella tendenza a dare il massimo della pubblicità, per così dire, a certi atti che normalmente, specialmente se «peccaminosi», si compiono in segreto. Ad un certo stadio della evoluzione della classe dominante compare l’orgia. Ma l’esperienza storica insegna che quando tale forma di divertimento dei potentati compare, la Rivoluzione è alle porte. E ciò si comprende. La moda orgiastica esplode quando la classe dominante sente suonare la campana a morto. Non a caso i signori babilonesi amavano ornare con simboli di morte il luogo dei loro festini. Orgiasti sfrenati furono i patrizi del Basso Impero, gli incipriati aristocratici del Settecento, la nobiltà russa stretta intorno a Rasputin. E’ la coscienza della propria impotenza a frenare la disgregazione e la rovina della società che spinge la classe dominante a vendicarsi masochisticamente della paura che incute la Rivoluzione. L’orgia è l’antidoto contro la paura e la disperazione.
Però ci tocca render così giustizia agli organizzatori delle cene trimalcioniche della antichità, come agli zerbinotti e alle damine settecenteschi. Se potessero resuscitare costoro certamente proverebbero un immenso disgusto al sordido spettacolo dell’orgia borghese. Lo spirito bottegaio, conteggiatore di lurido denaro, non abbandona il borghese, nemmeno quando posa a eroe della disperazione esistenzialistica. I luoghi dove si svolgono le riunioni d’ambo i sessi, essendo d’obbligo il … costume adamitico, o i «balletti rosa», debbono puzzare lontano un miglio di casa di tolleranza. Né è praticamente possibile separare il libertinaggio dei nostri ricchi dalla prostituzione. Certamente il borghese che «pecca» sa quanto gli viene a costare in biglietti di banca… lo strappo alle regole.
Se la classe dominante si mette sotto i piedi la propria morale sessuale, i suoi lacchè intellettuali non potrebbero essere da meno. Ed ecco la pornografia che invade la letteratura e le arti, la stampa e il cinema. Principi morali che un tempo furono dei veri tabù: la verginità delle ragazze, la riservatezza delle donne maritate, la occhiuta sorveglianza dei mariti, oggi sono il bersaglio favorito della stampa specialmente quella dedicata ad un pubblico femminile. Il rigore puritano in materia amorosa fa sorridere i discendenti di Robespierre e di Cromwell. Siamo al «laissez faire, laissez aller» non solo nei rapporti tra i sessi, ma nello stesso sesso. L’adultera non ispira più le roventi invettive dei catoni. Si continua a biasimare, è vero, chi abbandona il legittimo coniuge per soddisfare una improvvisa passione omosessuale, come il caso di quella nobildonna romana; ma si bolla a fuoco come suprema barbarie il delitto passionale, per non parlare del delitto di onore, ancora in auge presso le popolazioni della ex Magna Grecia… La classe dominante tende a universalizzare l’orgia.
Tutto ciò non accade a caso. Accade perché l’evoluzione economica e sociale del capitalismo ha minato alle fondamenta l’istituzione alla quale corrispondeva la morale sessuale borghese, cioè il matrimonio.
Il matrimonio monogamico non è, come noto, una istituzione sociale esclusivamente borghese. Il capitalismo – e anche in ciò si rende evidente il suo carattere di società di classe – l’ha ereditato dal feudalesimo. che a sua volta l’aveva in comune con l’antichità classica. Ma la storia dice che è sotto il capitalismo che il matrimonio monogamico è caduto in frantumi. Il comunismo non potrà certamente ereditarlo; non si eredita un morto. Al più gli toccherà di stendere l’atto di morte che l’ipocrisia borghese, la borghesia delle orge e della prostituzione universale, si rifiuta di redigere.
Condizione necessaria della conservazione del matrimonio monogamico era la soggezione della donna all’uomo. Esso si manteneva sul privilegio del marito al quale la condizione di unico procacciatore dei mezzi di sussistenza conferiva il diritto di dare il proprio cognome alla moglie e ai figli. La incapacità della donna a provvedere al proprio sostentamento la cacciava in una posizione di inferiorità, dalla quale era pressoché impossibile evadere. Ma il capitalismo, ad un certo stadio del suo sviluppo, ha dovuto spezzare il millenario rapporto di subordinazione. Oh! non è stato indotto a ciò da un ideale morale. No di certo. L’immissione della donna nel processo produttivo è stato imposto da imprescindibili necessità economiche. La corsa al profitto ha portato alla produzione (e al consumo) di massa, e quindi all’accrescimento della mano d’opera.
Il lavoro extra domestico, il lavoro che un tempo era compito esclusivo dell’uomo ha cominciato a trarre fuori dalle pareti domestiche per prime le donne delle classi inferiori. Per lungo tempo, le classi medie hanno giudicato cosa disonorevole, o almeno sconveniente, inviare la propria figlia o moglie a lavorare dietro il banco di un negozio o la scrivania di un ufficio. Poi il processo di macinazione dei ceti medi indusse i casalinghi borghesucci a «modernizzarsi», cioè a soggiacere al potere dispotico del Capitale. Oggi, inutile dirlo, siamo al punto, nei paesi capitalistici, che il processo produttivo resterebbe certamente sconvolto, e in certe branche addirittura paralizzato, se, per ipotesi, la mano d’opera femminile, manuale e intellettuale, venisse rimandata alle occupazioni domestiche.
Le menti «illuminate» della borghesia e gli opportunisti pseudo socialisti che scioccamente li imitano, sono pronti ad inneggiare alla famiglia «moderna», dove il marito e la moglie sono egualmente «indipendenti». Ma è un fatto incontrovertibile che la lavoratrice-moglie e la lavoratrice-madre non riescono ad accordarsi nella donna-lavoratrice. Né può essere diversamente. E’ assurdo pretendere che una donna che è obbligata a lavorare per otto ore, svolgendo quasi sempre mansioni faticose e mal retribuite, possa, ritornata fra le pareti domestiche, sobbarcarsi alle pesanti faccende domestiche. Necessariamente accade che la donna lavoratrice debba trascurare le sue funzioni di madre. Ma un inadeguato impegno nell’allevamento della prole risolve senza dubbio in un danno sociale. D’altra parte, la maggiore «libertà» di azione acquisita dalla donna inevitabilmente la induce a sottrarsi alla mentalità di abitatrice di harem musulmano. E ciò rende difficile l’adempimento dei suoi doveri di moglie, anche quando non si arriva all’adulterio.
Ciò non significa che l’emancipazione della donna dalla schiavitù domestica sia fonte di corruzione come pretende il filisteo reazionario. Significa soltanto che il lavoro sotto il capitalismo, schiavizza la donna come l’uomo. Né del resto l’immissione della donna nel processo produttivo pone fine alla subordinazione della donna all’uomo. L’acquisizione del diritto al lavoro extra-domestico da parte della donna ha messo in crisi il matrimonio ma non ha liberato né l’uomo né la donna dalle pesanti restrizioni che rendono difficile la loro vita sessuale.
Il capitalismo ha distrutto il matrimonio monogamico. Anche se tale istituzione formalmente sopravvive, la sua base storica viene mano a mano sgretolandosi. Il lavoro femminile ha dimostrato ormai che tranne gli impedimenti transitori connessi alla maternità, la donna può sostituire con successo l’uomo in qualsiasi attività produttiva. Un tempo si credeva che solo alla guerra la donna fosse negata. Ma oggi anche questa estrema limitazione è caduta. Proprio come l’uomo, la donna, oltre che produrre beni economici, ha imparato anche a macellare i propri simili. Che si vuole di più.
Il capitalismo, nella sua inarrestabile corsa verso il baratro, ha determinato una evoluzione sociale alla quale la morale sessuale ufficialmente vigente non corrisponde più. Ma è incapace di sostituire nuove forme matrimoniali alle vecchie. Da questa contraddizione scaturisce la «corruzione dei costumi» che nella stessa classe dominante trova le manifestazioni più clamorose. In teoria, le regole della morale sessuale continuano a sussistere. Nel Codice penale, specialmente in quello che delizia questa «civile» Italia, continuano a vigere articoli che sanzionano lo stato di inferiorità della donna: il marito è musulmanamente padrone dei beni e del corpo della moglie fino al punto che impone il proprio cognome anche ai bambini che la moglie ha avuto per una relazione adulterina; lo stesso adulterio viene fatto pagare alla moglie con pene maggiori che quelle irrogate per lo stesso «reato» al marito; l’attribuzione di capo-famiglia è diritto esclusivo del marito, anche quando la moglie guadagna da sola di che sostenere la famiglia, ecc. Nella consuetudine, almeno verbalmente, si continua a censurare le trasgressioni alle regole morali, ma chi lo fa con impegno e convinzione? Ciascuno avverte, più o meno chiaramente, ‘l’inutilità della recriminazione’. All’atto pratico, ci si avvede che la teoria morale non corrisponde più ai bisogni sociali. E ciò riempie di orrore e di sgomento il filisteo reazionario, il piccolo borghese che confondendo curiosamente l’effetto con la causa, scorge nell’avanzare delle sotterranee forze rivoluzionarie, la dissoluzione morale della società.
Il programma comunista, n. 8, 29 aprile – 12 maggio 1960
Raccolta di articoli sul tema della dissoluzione della morale sessuale borghese
Precarietà lavorativa e amorosa a confronto: giornate capitalistiche
Un articolo pubblicato sul solito quotidiano a larga tiratura nazionale racconta della generazione del precariato sentimentale: un problema dei nostri tempi, a detta del giornalista, collegato alla diffusione del lavoro atipico e a tempo determinato. Fior di psicologi e di sessuologi vengono citati, nell’articolo, al fine di descrivere il problema, evidentemente di grande peso per le sorti della moderna vita di coppia. La visuale del problema è concentrata sulle nuove caratteristiche relazionali di tipo sentimentale, e non sulla piaga del precariato lavorativo, oramai tanto diffuso da determinare degli effetti anche nella sfera sentimentale. Il precariato viene assunto come un dato di fatto, una costante oramai invariante della vita sociale, sebbene individuato come causa principale di successivi fenomeni sociali. In un recente articolo abbiamo affrontato il fenomeno del ‘poli-amore ‘, inquadrandolo nella categoria della decadenza borghese (a confutazione di chi vi vedeva un segnale del comunismo che avanza). Non vorremmo che anche l’avanzamento di questa nuova (presunta) flessibilità e liquidità dei rapporti sentimentali, potesse essere scambiata per un segnale del comunismo incombente ( mentre, addirittura, uno dei maggiori quotidiani della borghesia nazionale collega, giustamente, il fenomeno della maggiore incertezza e brevità delle relazioni affettive contemporanee al grado di precarietà del lavoro, e quindi a condizionamenti materiali decisamente diversi dal comunismo avanzante). Dicevamo che il taglio dell’articolo è concentrato sulle nuove dimensioni della vita (effimera) di coppia, e quindi sulla percezione di queste nuove dimensioni da parte dei soggetti direttamente coinvolti. Sembrerebbe, a parere dei sociologi e psicologi citati, che in fin dei conti la precarietà affettiva non sia molto gradita, ma venga in effetti vissuta come una semplice conseguenza dell’impossibilità di fare progetti duraturi di vita in comune. Dover accettare le opportunità di lavoro dove capita, quindi nei luoghi e nelle città più diverse, per periodi limitati a pochi mesi o settimane, non è molto propedeutico (sia economicamente che psicologicamente) per i progetti di vita di coppia. Il fenomeno della precarietà lavorativa è già stato studiato da Marx, nel Capitale, quando vengono delineate le varie tipologie di sovrappopolazione proletaria (l’esercito industriale di riserva). Dunque la precarietà, lungi dall’essere un fenomeno nuovo, in realtà è solo una variabile capitalistica in costante crescita quantitativa, correlata alla legge della miseria crescente. Descrivere gli effetti dei processi economici capitalistici sulle relazioni umane di tipo amoroso può essere utile, quantomeno come mezzo di denuncia del degrado esistenziale indotto da questi processi. Tuttavia, l’articolo da cui traggono spunto le nostre riflessioni non ha, chiaramente, questa pretesa, esso invece aleggia sottile e lieve sulla condizione esistenziale dei precari dell’amore, prendendo atto del mondo così com’è, senza esprimere alcuna critica reale nei suoi confronti. Considerando che i gruppi umani, nel corso dei successivi adattamenti alle mutevoli condizioni dell’esistenza, sono stati costretti a non fermarsi al mondo così come è, non sarà peregrino ipotizzare che la critica della società esistente è invece il comportamento più naturale, almeno dal punto di vista evolutivo. La nostra è una società malata proprio perché, al suo interno, prevalgono le forze economico-sociali conservatrici, espressione del parassitismo borghese. Ma una specie vivente sopravvive, in definitiva, solo se dimostra una forza di adattamento ai mutamenti ambientali incessanti, rivelando l’energia e l’intelligenza per cambiare/adeguare i suoi parametri di comportamento. Il capitalismo putrescente, in quanto dato di fatto presente nell’attuale spazio storico ( scambiato nella percezione di massa per una realtà immutabile), è solo un segno della forza della classe sociale parassitaria borghese e, al contempo, della debolezza adattiva (intesa come capacità di sopravvivenza) della specie umana nel suo complesso (ma in particolare del proletariato). Nel ‘Manifesto’ del 1848 si descrive – in modo chiarissimo – la prospettiva/possibilità storica di una ‘rovina comune delle classi sociali in lotta’, in barba ad ogni successiva lettura finalistica compiuta da singoli – o anche da interi gruppi – ‘marxisti’. La teleologia è il discorso sul limite (fine, scopo) inevitabile della storia. Ma nel Capitale si delineano solo delle possibilità di sviluppo storico (crisi economiche e fenomeni correlati di tipo socio-politico) determinabili sulla base dell’esistenza di specifiche contraddizioni, inerenti al modo di produzione capitalistico. Queste contraddizioni esistono realmente, e sono continuamente verificate – in quanto fattori agenti – nel divenire storico del modello economico e sociale capitalistico. Un modello sociale basato sulla divisione fondamentale fra una classe di sfruttati e una di sfruttatori implica, inevitabilmente, un certo grado variabile di conflitto fra le classi suddette. Il conflitto è definito variabile in relazione proprio ai progressivi stadi di intensificazione delle contraddizioni capitalistiche, sfocianti in fenomeni come le crisi economiche ricorrenti, la sovrappopolazione/disoccupazione, la povertà crescente, il degrado sociale, le guerre. L’ultimo fenomeno (la guerra) viene utilizzato dal capitalismo principalmente come fattore di distruzione (di capitale costante e variabile in eccesso), funzionale alla rigenerazione del ciclo di valorizzazione del capitale. Nella categoria del degrado/alienazione della vita umana ritroviamo, invece, le condizioni di sfruttamento e di estraneazione dai mezzi di produzione e da una parte del prodotto del proprio lavoro. Partendo da questa base di estraneazione/alienazione capitalistica del lavoro sorgono, successivamente, anche le correnti di comportamento come il ‘poli-amore’ o l’amore precario. Espressione dell’impossibilità di vivere in modo non alienato, ogni ulteriore sfera dell’esistenza, quando la sfera fondamentale, cioè quella economica della produzione, è invece prigioniera dell’alienazione. L’articolo del quotidiano a larga tiratura nazionale ha il pregio di mettere in correlazione il precariato lavorativo con il precariato sentimentale, e tuttavia si ferma a questo, senza spiegare la natura (alienata) del lavoro (precario o a tempo indeterminato) nella società capitalistica reale, e quindi senza neppure comprendere il senso autenticamente alienato dell’amore precario/flessibile.
Giornate capitalistiche: dal valore di scambio allo scambio di coppia
Una importante rivista statunitense pubblica un articolo, con il corollario della pruriginosa intervista ad una simpatica e moderna signora della middle Class americana. L’argomento riguarda la vita sessuale e affettiva della signora, felicemente sposata e dedita da vari anni alla pratica della ‘coppia aperta’. L’articolo indulge con occhio complice e divertito sulla descrizione di questa ormai vetusta ‘novità’ del parco giochi borghese, riportando le spiegazioni e il racconto della simpatica protagonista. Il giornale descrive l’esperienza di questa coppia aperta come, in definitiva, un valido modo di rinsaldare il rapporto coniugale e la famiglia stessa. Infatti, attraverso la complice soddisfazione di curiosità reciproche con soggetti terzi è stata ottenuta, a detta della signora intervistata, una migliore qualità della vita di coppia e quindi dell’armonia domestica. In definitiva, paradossalmente, per cementare l’unione duale di marito e moglie, la coppia ha dovuto aprirsi a un mondo di incontri con vari elementi di complemento addetti alla sfera affettivo-sessuale. Un modello interattivo, dunque, fondato su dinamiche programmate e volute di rapporti con soggetti esterni, persone utilizzate, naturalmente a fin di bene, come fonte di riequilibrio di un rapporto matrimoniale un tantino logoro e polveroso. Al pari di una Spa in difficoltà con i conti e le prospettive di sviluppo sul mercato, è stata allora lanciata una pubblica sottoscrizione di nuove azioni, con successivo ingresso temporaneo di nuovi soci. I nuovi soci aiutano la vecchia coppia di maggioranza a rinsaldare il legame societario, e quindi a riprendere di buona lena la gestione aziendale – familiare arrugginita. L’istituto della famiglia è salvo, e in fondo l’apparente trasgressione si rivela funzionale al mantenimento dell’ordine sociale, i buoni sentimenti trionfano ancora come in una favola a lieto fine. Una strada aperta di studio e analisi per tutti i sociologi e i consulenti familiari, sempre affannosamente alla ricerca di validi metodi per curare la crisi contemporanea della famiglia. Un nuovo percorso che procede dall’autarchia familiare borghese delle origini, all’apertura degli scambi commerciali, pardon affettivi, con i benemeriti soggetti esterni occasionali dei nostri giorni (il vero trionfo della logica del libero mercato anche nei rapporti coniugali). La famiglia patriarcale e monogamica, segno del triste passaggio dalle società organiche comunitarie alle società classiste, non sta più tanto bene e deve oggigiorno fare i salti mortali per conservarsi. E allora, quando la mancanza di senso della vita, incluso il senso della vita di coppia, si fa più dirompente nella assurda monotonia delle nostre giornate capitalistiche, nulla di meglio che tornare alle origini mercantili della società borghese, e darci sotto con gli scambi di coppia, nella piena apertura liberal-liberista alle esigenze del mercato sessuale-affettivo. Come scriveva negli anni sessanta la nostra corrente, la società borghese, in questa fase putrescente, assume i costumi e i modi di vivere tipici del tramonto della classe aristocratico-feudale che l’ha preceduta. Nessuna parola, nell’articolo della prestigiosa rivista, sull’incremento delle violenze familiari, sull’aumento dell’uso e abuso di alcolici e psico-farmaci, sulle difficoltà di relazioni autentiche in questa società alienata, niente sulle separazioni coniugali collegate alle difficoltà economiche, e infine sulle ripercussioni traumatiche di tutto questo sui figli. Nell’articolo si parla di una coppia, benestante e in apparenza felice, che come ai tempi del tramonto del feudalesimo indulge in pratiche amorose libertine, comunque funzionali alla stessa conservazione del rapporto coniugale borghese. Quasi un ripescaggio, in ambito matrimoniale, del machiavellico ‘il fine giustifica i mezzi’. Lo scambio di coppia, esercitato in nome della superiore ragion di stato familiare, e dunque funzionale alla conservazione del modello sociale esistente. Nessuna critica, quindi, al modello folle e oppressivo di società e di famiglia che ci circondano, nessuna allusione alla funzione di controllo sociale e di trasmissione dell’ideologia dominante assegnate alla istituzione famiglia dal modo di produzione capitalistico. L’articolo è a modo suo un segno dei tempi, un segno delle giornate capitalistiche che opprimono le nostre vite e ogni interstizio della realtà quotidiana. Una descrizione involontaria della potente mercificazione dei rapporti umani, all’interno di un certo tipo di società. Il corpo come merce di scambio, in una società dove ogni aspetto della realtà è negoziabile in base a un calcolo puramente strumentale, e appunto per questo lo scambio di coppia è appropriatamente definito ‘scambio’. Il commercio, lo scambio, in questi casi il baratto di corpi e sensazioni contro altri corpi e sensazioni, in un miserevole balletto di fantocci ignari di essere totalmente condizionati da una società putrescente; una società in cui il simulacro del reciproco interesse mercantile ha sostituito, anche nei rapporti di coppia, il senso umano dell’amore, cioè il senso di una comunicazione intensa fra due esseri umani, che si aprono l’uno all’altro, in accordo e armonia con la comunità umana e la natura di cui sono parte.
Pseudo libertà e mercificazione
Da qualche parte, nella rete, si sostiene che è possibile osservare l’incipiente affermazione del comunismo da mille segnali, e uno di questi è il poli-amore. Molto bene, prendiamo in esame questa proposizione, e dedichiamo qualche riflessione all’ipotesi sul poli-amore come segnale del comunismo incipiente. Normalmente si dovrebbe supporre che sia la presenza di un massiccio movimento di lotte proletarie, indirizzate da un partito politico marxista, a fare presagire una trasformazione sociale profonda. Dovrebbe essere così, almeno per chi si richiama al marxismo. E invece no, secondo taluni è il poli-amore, ad annunciare la prossimità sociale del comunismo. Ci chiediamo se
chi sostiene queste cose è consapevole di ripercorrere strade già esplorate in passato da altri viandanti, forse si. Ci riferiamo, ovviamente, alle correnti di pensiero che negli anni sessanta sostenevano che la liberazione sessuale avrebbe cambiato la società nel suo insieme. Una liberazione relegata nella sfera sessuale avrebbe attivato, secondo costoro, delle sopite energie, in precedenza inibite dai costumi autoritari e repressivi tipici delle società classiste patriarcali, facendo da volano a un cambiamento più ampio. Oggi viviamo in una società (almeno in occidente) ormai libera dai tabù e dalle restrizioni presenti nella fase iniziale dell’economia borghese. Restrizioni e tabù che avevano lo scopo non secondario di supportare il processo produttivo capitalistico (ma il cambiamento generale non si è verificato ).
Perché la liberazione sessuale o il poli-amore non hanno funzionato?
La società contemporanea è basata sulla triade economica di capitale, denaro e merce.
La triade regna sugli umani, e trasforma, infine, indirettamente, anche le relazioni interpersonali a propria immagine e somiglianza. Poli amore si svela come un aspetto della ormai datata liberazione sessuale, da cui il sistema capitalistico non ha mai temuto nessuna minaccia. Anzi esso è l’ulteriore segnale della mercificazione generale dei rapporti umani. La sacra famiglia oppressiva, tradizionalmente utile all’economia capitalistica, non è l’unico elemento che ingabbia la libertà dell’uomo, l’nsieme degli oppressivi e mercificati rapporti di produzione esistenti in una società priva di valori umani comunitari, una società fondata sulla riduzione a merce di ogni aspetto della vita, è ciò che rappresenta la forma basilare di alienazione e oppressione. Perché definire il poli-amore un segnale della società futura, quando esso è solo una traccia della decadenza dell’attuale società borghese?
Ritorniamo ai parametri storici di base.
Patriarcato, famiglia mononucleare, riproduzione di una prole funzionale al processo di valorizzazione del capitale. Sono queste, grosso modo, le basi fondanti di certi costumi e di una cultura puritana e repressiva sul piano sessuale. L’evoluzione dell’economia capitalistica ha reso obsolete una parte di queste condizioni, infatti la crescita quantitativa dell’esercito industriale di riserva, attingibile/reperibile dalle aree economiche meno avanzate, ha sottratto peso e importanza alla famiglia mononucleare patriarcale (in quanto unità riproduttiva di prole per il capitale). Inoltre la diffusione quantitativa della produzione seriale di merci, e la conseguente esigenza di persone indotte a consumare a ciclo continuo queste merci, vagando da un offerta all’altra, ha prodotto dei riflessi anche nella mentalità di massa, favorendo una percezione/visione liquida, libera, poliedrica, dei rapporti sessuali, vissuti come una ennesima merce da consumare in modo differenziato e veloce. La libertà sessuale è dunque analoga al ventaglio di merci offerte sul mercato, e corrisponde alla libertà fasulla del consumatore, libero solo di essere condizionato e di acquistare in modo compulsivo delle merci spesso inutili e dannose.
Se il comunismo viene declinato con la formula esclusiva del movimento che abolisce lo stato di cose esistenti, anche il poliamore può essere presentato come un fenomeno sociale innestato su questo movimento storico. Alla fine si mette in opera una operazione di riduzione ad uno del complesso dei fenomeni sociali, in cui poli-amore, movimenti interclassisti, aumento del capitale costante, diventano le prove di un assioma, di un sofisma apodittico formalmente perfetto sul piano della logica astratta (il comunismo è già presente fra di noi, come realtà in atto). Il problema delle posizioni apodittiche è la loro indimostrabilità storico-fattuale. Non solo, il problema è spesso anche il loro contenuto di negazione della realtà di fatto. Negli anni sessanta, la corrente affrontava in un articolo la questione dei costumi sessuali relativi alle fasi di decadenza di una certa società. Si ricordava, in quell’articolo, il marasma dei periodi terminali dell’Impero romano o della società feudale. E per contro, veniva opposta a queste evidenze storiche, il puritanesimo della famiglia borghese nelle fasi iniziali del capitalismo. L’articolo ricordava il collegamento deterministico fra le varie fasi del ciclo di esistenza di un organismo sociale e il complesso di relazioni, mentalità, abitudini e costumi in esso prevalenti. Allora, se davvero esiste questo collegamento deterministico, come dovremmo interpretare il moderno poli amore? Lo interpretiamo come un segno del futuro comunista o come lo sfaldamento dei rapporti umani, caratteristico della fase estrema di mercificazione e perdita di senso della società borghese? Ma davvero qualcuno crede che gli stili di comportamento sessuale possano incrinare il dominio capitalistico? La libertà, ci insegna la storia e il marxismo, è il superamento dell’alienazione capitalistica del lavoro, sono dunque i rapporti di produzione capitalistici a dovere tramontare, sotto l’urto del conflitto sociale della classe oppressa. La soppressione dello stato borghese, ricordano Engels e Lenin è la strada, storicamente verificata, percorsa dal movimento reale che abolisce l’esistente società borghese (comune di Parigi). Dunque la soppressione, come atto del conflitto sociale, e non di certo l’estinzione /indebolimento, sono i cardini storici e teorici corretti in merito alla questione dello Stato borghese e del suo divenire. L’estinzione è, invece, il più o meno lungo processo storico e sociale riguardante lo stato proletario, sorto dalla soppressione dello Stato borghese. Chi è prigioniero di concezioni evoluzioniste del corso storico, troverà di sicuro una riga di citazione, ovviamente decontestualizzata, per portare acqua al suo mulino, e tentare di confutare la nostra critica. Bene, la borghesia non teme le libertà come il poli-amore, e non teme neppure le utopie in merito agli Stati che si devitalizzano e indeboliscono astrattamente, per moto proprio. Gli Stati vengono disgregati da altri stati, oppure soppressi da una classe sociale avversaria (i fatti storici concreti sono questi, il resto sono sofismi astratti dalla realtà).