Europa capitalistica: il caso Italia dopo le elezioni politiche del marzo 2018

Europa capitalistica: il caso Italia dopo le elezioni politiche del marzo 2018

Introduzione

Parte prima: Ottobre 2018, la commissione europea e la manovra del governo italiano

Parte seconda: il grande gioco del parassitismo

 

Introduzione

Abbiamo già trattato, in alcuni articoli pubblicati sul sito nei mesi di marzo, maggio e giugno, degli scenari politici prevedibili dopo le elezioni del marzo 2018.

Le previsioni dei possibili scenari, poi effettivamente verificatisi, facevano perno sulle leggi basilari del capitalismo, e sulle esigenze del capitale industriale finanziario che sono sempre alla base dell’azione dei governi borghesi. La legge della concorrenza economica fra singole aziende, aree e distretti infra-nazionali o su scala superiore fra economie nazionali, e il correlato sviluppo economico-industriale diseguale delle realtà capitalistiche suddette, sono alla base delle relazioni fra stati europei.

Abbiamo sostenuto che lo sviluppo economico-industriale diseguale, e dunque il dualismo debole/forte presente nell’economia capitalistica globale, cioè fra i suoi elementi di base (aziende, aree e distretti, economie nazionali) è funzionale alla conservazione della stessa economia capitalistica.

La debolezza relativa di una economia nazionale, o di una singola realtà aziendale, è il risultato della lotta commerciale precedentemente consumatasi ai danni di un concorrente e a vantaggio del suo avversario.

In primo luogo la sconfitta inferta al rivale, nel campo della concorrenza economico-industriale, consente al vincitore di ‘invadere’ il mercato dell’avversario con i propri prodotti, offerti a prezzi di vendita competitivi (è quello che è accaduto nei rapporti commerciali fra la Germania e gli USA, almeno fino al ripristino dei dazi da parte degli USA).

In secondo luogo, nell’economia debole, il mercato del lavoro è caratterizzato da un offerta di forza-lavoro a prezzi di vendita mediamente più bassi di quelli delle economie forti, dunque da tale condizione di fatto susseguono due fenomeni: uno, il movimento di capitali proveniente dalle economie forti verso le economie deboli, a causa del basso costo del lavoro; due, il movimento di risorse umane/forza lavoro proveniente dalle economie deboli verso le economie forti. Lo scopo di entrambi i movimenti è di permettere ai capitali più forti di fagocitare/divorare energie di lavoro, alle migliori condizioni di sfruttamento o impiego esistenti in un dato momento dei rapporti capitalistici globali. Quest’ultimo termine indica il livello dei rapporti di forza intercorrenti fra le frazioni di classe borghese in lotta (su base nazionale e infra-nazionale), e ovviamente fra borghesia e proletariato (ancora su base nazionale e infra-nazionale).

In questi processi socio-economici possiamo osservare che la causa (y) produce un effetto (x), che a sua volta tende a trasformarsi in fattore di causa di un ulteriore fenomeno (z).

Nel caso in questione la concorrenza (Y) favorisce lo sviluppo diseguale (X), il quale a sua volta diventa fattore di causa del fenomeno del doppio movimento (Z) descritto poche righe sopra.

A sua volta il doppio movimento da effetto (Z) derivato si trasforma in causa di altri due fenomeni (Z”): primo fenomeno, poiché il movimento di forza-lavoro ‘migrante’ dall’economia debole verso l’economia forte, funge di fatto da esercito industriale di riserva, il capitale può attingere da esso risorse aggiuntive di lavoro ad un prezzo di acquisto inferiore a quello mediamente pagato ai lavoratori occupati, e di conseguenza, può anche esercitare un ricatto verso i lavoratori occupati, inducendoli alla moderazione nelle richieste di aumenti retributivi; secondo fenomeno, nel corso del tempo gli investimenti di capitali nelle economie deboli possono, in certi casi, contribuire a risollevare i parametri fondamentali di queste economie (principalmente con l’ammodernamento tecnologico del settore industriale). A questo punto può verificarsi che l’economia debole diventi un concorrente pericoloso per l’economia forte (esempio: chi avrebbe previsto negli anni 40 che Cina e India sarebbero diventate così forti dal punto di vista economico?).

Ulteriori considerazioni: nel rapporto fra economie forti e deboli non si manifesta solo una simbiosi funzionale relativa alla ottimale valorizzazione e crescita del capitale industriale (delle economie forti, inizialmente, e successivamente delle stesse economie deboli), ma si manifesta anche una simbiosi relativa alla valorizzazione del capitale finanziario.

Spieghiamo il perché: i titoli del debito pubblico delle economie deboli offrono (di norma) dei tassi di rendimento percentuali superiori a quelli delle economie forti (si consideri lo spread fra titoli italiani e tedeschi), a causa del loro maggiore grado di rischio (collegato alle incerte prospettive dell’economia debole). Tuttavia, per il capitale finanziario disposto ad affrontare il rischio, questa circostanza è una ottima opportunità di valorizzazione.

Nel caso dell’Italia il debito pubblico totale, che si avvicina ormai ai 2400 miliardi di euro, è detenuto quasi per la metà da investitori internazionali, in gran parte germanici.

I governi borghesi impostano le loro politiche economiche cercando di barcamenarsi fra le – non sempre coincidenti – esigenze di valorizzazione dei segmenti (finanziario e industriale) del capitale complessivo.

Abbiamo già scritto, in precedenti articoli, che le politiche economiche di austerità, intese come taglio della spesa pubblica, aumento del prelievo fiscale e dell’età pensionabile, o anche il blocco degli aumenti retributivi, si configurano come erosione del salario diretto (ad esempio il blocco degli aumenti retributivi in presenza di un aumento del costo della vita) e indiretto (l’aumento del prelievo fiscale e i tagli al welfare, a loro volta incidenti sull’aumento del costo della vita).

In apparenza, il limite delle politiche di austerità, richieste peraltro in modo ossessivo dai mercati finanziari e dalle autorità sovranazionali europee, è quello di favorire nel medio termine soprattutto il capitale finanziario, che vede garantito il pagamento delle somme relative agli interessi sul debito pubblico (grazie al prelievo fiscale e ai tagli alla spesa pubblica), mentre il capitale industriale non è favorito dall’austerità, che evidentemente deprime la domanda di beni e servizi prodotti dall’industria.

Le cose, ad un analisi più attenta, non stanno proprio così. In primo luogo perché il prelievo fiscale, con cui gli stati pagano gli interessi sul debito pubblico, può avvenire solo se c’è un reddito nazionale da tassare, mentre le politiche di austerità, deprimendo la domanda, e di conseguenza il reddito d’impresa e da lavoro dipendente, contribuiscono a ridurre la base imponibile su cui vengono annualmente calcolate le imposte. Il problema di base da cui nascono queste situazioni aporetiche, cioè senza vie di uscita, è sempre lo stesso: il capitalismo. Nel capitale di Marx è scritto: i rendimenti del capitale finanziario e fondiario-immobiliare sono basati sulla ripartizione del plus-lavoro/plus-valore, che si manifesta solo nel processo produttivo industriale.

La caduta del saggio di profitto nell’economia industriale spinge i capitalisti ad investire nella finanza, anche se il rimedio si rivela con il tempo peggiore del male, poiché gli stati borghesi, pressati dalle richieste del capitale finanziario, mettono in essere delle politiche economiche (austerità), destinate a comprimere i redditi da lavoro dipendente e da impresa, da cui in ultima analisi vengono prelevate le imposte con cui gli stati pagano gli interessi sul debito pubblico. Un vero e proprio serpente che si morde la coda.

Tuttavia, anche le politiche espansive di tipo keynesiano, non possono invertire la causa di fondo che spinge i possessori di capitali verso gli investimenti finanziari, questa causa è sempre la caduta storica del saggio medio di profitto. Tale caduta è determinata dalla costante variazione della composizione organica del capitale aziendale, cioè dalla costante sostituzione della forza lavoro umana (da cui unicamente il capitale estrae plus-lavoro/plus-valore) con il macchinario. In una società attenta ai bisogni umani generali questa circostanza si potrebbe tradurre nella riduzione costante del tempo di lavoro, mentre nell’attuale società capitalistica si traduce in un aumento dello sfruttamento, della disoccupazione e quindi della miseria.

 

Parte prima: Ottobre 2018, la commissione europea e la manovra del governo italiano

La commissione europea, custode del rispetto dei parametri di bilancio pubblico fissati nel corso del tempo fra i vari soci dell’unione capitalistica europea, ha espresso un netto giudizio negativo sulla manovra economica del governo cinque stelle-lega.

Una notizia che non stupisce, considerati i segnali degli ultimi mesi.

Il confronto fra le due linee di politica economica abitualmente perseguite dai governi del capitale (austerità o Keynesismo), si manifesta dunque alla luce del sole. Queste due linee trovano nemici e sostenitori nel variegato mondo politico che si incarica di rappresentare gli interessi dei diversi segmenti di borghesia (industriale o finanziaria) esistenti, non dimenticando che le banche, l’industria e la finanza sono in molti casi un unico blocco di interessi (basti ricordare gli intrecci di capitale finanziario e industriale esistente nelle S.P.A, realizzati attraverso l’intermediazione delle banche, le quali investono i risparmi dei clienti consenzienti, nell’acquisto di titoli di proprietà – azioni – o di credito – obbligazioni – emessi dalle suddette S.P.A). L’Europa nasce da accordi che riflettono il livello dei rapporti di forza esistenti fra le varie economie nazionali capitalistiche. Lo svuotamento di parte della precedente sovranità nazionale di alcuni soci deboli (intesi come strutture economiche in simbiosi con specifiche sovrastrutture politico-statali nazionali) non deve meravigliare, perché è inevitabile che il socio più forte imponga al più debole le proprie condizioni.

Scrivevamo nel marzo 2018 ‘Una vasta schiera di oppositori appartenenti al filone politico sovranista critica il moderno esito dello sviluppo capitalistico, quello che il testo del 1962 (Il mito dell’Europa unita) qualifica come la contraddizione fra i processi di concentrazione dei capitali con derivata, virtuale, socializzazione della produzione, e gli interessi delle varie borghesie nazionali concorrenti. A tale contraddizione le borghesie nazionali rispondono con gli accordi sovranazionali, miranti a garantire e perpetuare anche legalmente le posizioni di forza di una economia nazionale, area economica, regione,rispetto a corrispondenti realtà capitalistiche più deboli. Nel corso del tempo i rapporti di forza fra queste realtà possono mutare, e allora intervengono dei cambiamenti anche nelle forme giuridiche assunte dai precedenti rapporti di forza inter-capitalistici.

I sovranisti interpretano le modifiche degli accordi sovranazionali, susseguenti ai cambiamenti strutturali, riguardanti la grandezza e il peso delle varie economie capitalistiche, come una sottrazione di sovranità agli stati nazionali da parte di oligarchie finanziarie e bancarie, non avvedendosi che la sottrazione di sovranità al player x corrisponde solo al maggiore grado di attribuzioni al player y. E’ quello che accade in Europa da sempre, ben descritto nell’articolo del 1962 (‘Il mito dell’Europa unita’).

Il lamento sulla perdita di autonomia degli stati (alcuni stati) nelle politiche fiscali e monetarie, volendo fermare la ruota degli eventi capitalistici assume un sapore anacronistico, ed infine esprime solo, da un punto di vista sociale, la solita paura del ceto medio verso i processi di proletarizzazione congenitamente legati al divenire capitalistico.

Le critiche dei sovranisti colpiscono un target limitato (oligarchie bancarie-finanziarie e istituzioni sovrastatali), non comprendendo che questo target è l’epifenomeno di un modo di produzione basato sullo sfruttamento della classe sociale proletaria, quindi se, a rigore di logica, non si rimuove la causa, l’effetto continuerà ad esistere.

All’interno degli accordi infra-statali europei la parte del leone la fanno le nazioni capitalistiche più forti, mentre su quelle più deboli viene scaricato il costo delle leggi immanenti del capitalismo: in primo luogo l’aumento dello sfruttamento diretto (sul luogo di lavoro) e indiretto (aumento dell’imposizione fiscale), intesi come controtendenza alla caduta del saggio medio di profitto. In secondo luogo la miseria crescente, legata innanzitutto all’aumento dello sfruttamento indiretto e della popolazione inattiva, causata, quest’ultima, dal progressivo impiego del capitale costante nei processi produttivi.

La tosatura fiscale, ma anche i salvataggi bancari con i fondi pubblici, servono oggettivamente a trasferire quote di plusvalore prodotte nella sfera dell’economia industriale, alla sfera finanziaria del capitalismo (attraverso il pagamento statale delle cedole sui titoli del debito pubblico: il debito pubblico va inteso come una manifestazione del capitale finanziario).

Il sovranismo, vagamente associabile anche a ipotesi di politiche economiche keynesiane, esprime dunque un lamento contro gli attuali equilibri di forza raggiunti nello scontro permanente fra borghesie nazionali. La sua fonte sociale va individuata nelle frazioni di borghesia nazionale danneggiate dalla lotta per la concorrenza, frazioni che tentano di invertire gli sviluppi capitalistici sfavorevoli ai propri interessi. Alcuni movimenti di protesta contemporanei, sorti recentemente in Francia e negli Stati Uniti, inopinatamente considerati da qualche osservatore ‘marxista’ come fenomeni di lotta di classe proletaria, in realtà vanno inseriti anch’essi nella categoria dei tentativi del ceto medio di invertire gli sviluppi capitalistici sfavorevoli ai propri interessi”.

 

Parte seconda: il grande gioco del parassitismo

Per comprendere l’essenza del dominio di classe della borghesia bisogna inevitabilmente fare un paragone con il fenomeno del parassitismo. Un fenomeno che ritroviamo in molti domini e forme della natura: zecche, pulci, pidocchi, larve, infestano alle volte i nostri animali domestici, e alle volte anche l’uomo. Il parassita vive della vita altrui, assorbe i fluidi vitali del corpo in cui è insediato arrecandogli dei danni di variabile gravità.

Il parassitismo economico della minoranza sociale borghese possiede le stesse caratteristiche essenziali di quanto abbiamo appena descritto. Il corpo fisico del proletariato, la sua forza lavoro, in definitiva la sua energia vitale tiene in vita la classe sociale borghese. La borghesia gareggia al proprio interno, spietatamente, per controllare i processi produttivi, che in quanto produzione capitalistica di merci, sono innanzitutto appropriazione di plus-lavoro, tempo di lavoro non retribuito. Come il corpo infestato dai parassiti mantiene in vita i propri nemici, così il lavoro salariato mantiene in vita il parassitismo economico della borghesia. Eppure, nel film horror del capitalismo, c’è spazio anche per fenomeni di sopraffazione interni alla stessa classe dominante.

Abbiamo appena descritto la simbiosi funzionale fra economie deboli e forti, diciamo pure il colonialismo economico dei forti sui deboli, il doppio fenomeno in precedenza descritto: uno, il movimento di capitali proveniente dalle economie forti verso le economie deboli, a causa del basso costo del lavoro; due, il movimento di risorse umane/forza lavoro proveniente dalle economie deboli verso le economie forti.

Abbiamo poi aggiunto come terzo incomodo la simbiosi relativa alla valorizzazione del capitale finanziario, in quanto i titoli del debito pubblico delle economie deboli offrono (di norma) dei tassi di rendimento percentuali superiori a quelli delle economie forti.

Proprio questo terzo incomodo sembra giocare un ruolo importante nell’attuale querelle fra governo italiano e istituzioni europee.

Il governo cinque stelle-lega ha ignorato le raccomandazioni della Commissione europea, aumentando di qualche numero infinitesimale la spesa pubblica, a causa di provvedimenti come il reddito di cittadinanza e l’abolizione della riforma Fornero. Ora c’è da dire che il moderato impianto keynesiano di queste due misure rappresenta un dito nell’occhio per il capitale finanziario, in modo specifico per le banche estere che detengono quasi la metà dei titoli del debito italiano. Gli interessi annuali sul debito pubblico italiano sono elevati, essi ammontano a quasi 150 miliardi di euro, in altre parole la metà delle entrate fiscali annue.

Dunque è una questione di bottega e di interessi, è il caso di dirlo, ma anche di potere. Cioè di volontà di mantenere in vita lo status quo fra economie capitalistiche (deboli/forti), impedendo che ci sia una modificazione dei rapporti di forza fra economie nazionali concorrenti, ovviamente questa volontà appartiene ai soci europei più forti, che cercano di imporre ai più deboli le proprie condizioni. Gli attori europei che incarnano operativamente questa volontà di mantenere in vita lo status quo sono di tipo sia tecnico-istituzionale che economico, e infine anche di tipo politico e mediatico (come al solito non facciamo nomi di persone e tanto meno di sigle, trovandoci di fronte delle semplici maschere di carattere, attori di una recita invariante, scritta dal sistema, e funzionale alla sua perpetuazione).

Tuttavia nel corso del tempo i rapporti di forza mutano, soprattutto quando l’iniziativa ‘eretica’ locale di un competitore capitalista nazionale, incrocia le strategie economiche e politiche di uno o addirittura di due pesi massimi del capitalismo imperiale (USA e Russia). Stiamo ovviamente parlando del potenziale sostegno che, per motivi opposti, i due big della ionosfera capitalistica potrebbero concedere al governo italiano, e ai suoi intendimenti keynesiani. L’azzardo e la scommessa comune dei due big potrebbe essere quella di scompaginare la ‘terza forza europea’, usando la leva del crescente malcontento sovranista, presente in vari paesi europei, Italia inclusa.

Gli USA otterrebbero, almeno a livello di ipotesi, il ridimensionamento del concorrente germanico, non più in grado di sfruttare il vantaggio competitivo dell’euro debole nelle esportazioni. Mentre i russi, in modo opposto e complementare, ma sempre a livello ipotetico, otterrebbero lo sganciamento dal blocco atlantico a guida USA, di paesi come la Germania e l’Italia.

Ovviamente il sostegno contingente USA all’Italia potrebbe essere di tipo finanziario (acquisto di titoli del debito pubblico e successivo raffreddamento dello spread), mentre l’aiuto contingente della Russia all’Italia sarebbe politico, ovvero la garanzia di facilitare un futuro rapporto economico-commerciale con il blocco delle economie emergenti euroasiatiche, sostitutivo dell’attuale rapporto con l’Europa.

L’Italia si trova dunque in mezzo ad una partita più grande di lei, dove in primo luogo, su un piano mondiale, la concorrenza fra blocchi di economie capitalistiche è intimamente connessa all’operato geopolitico delle rispettive sovrastrutture statali (al loro confronto/scontro permanente). E in secondo luogo, su un piano locale, il capitale finanziario, espressione di alcune economie forti europee (Germania e Francia in primis) tenta di mantenere, con il mezzo di pressione del debito pubblico, la politica economica dell’Italia nel solco dell’austerità, per poi ottenere un aumento dello sfruttamento del proletariato locale attraverso l’erosione del salario diretto e indiretto, e in prospettiva l’incameramento di una parte dello stesso capitale industriale nazionale.

Sul piano mondiale, il confronto/scontro fra Russia/Cina da una parte, e USA/Europa dall’altra, si manifesta anche con i tentativi di incrinare e dissolvere le alleanze rivali.

Da una parte gli USA tentano (per ora vanamente) di suggerire alla Russia che il suo vero rivale geopolitico sarebbe la Cina, sperando di spezzare l’attuale alleanza Cina/Russia(rinforzata proprio dall’aggressività degli USA verso i due alleati); la Russia, a sua volta, tenta di utilizzare i contrasti di interesse commerciale fra gli USA e alcuni paesi europei, e fra gli stessi paesi europei, per incrinare innanzitutto l’alleanza politico-militare NATO.

Le misure protezionistiche USA verso le merci cinesi e tedesche, la richiesta agli alleati europei di maggiori contributi al bilancio della NATO e al contempo la richiesta di adesione alla politica di sanzioni verso la Russia e l’Iran, in realtà non sono esattamente un regalo per alcuni di questi alleati.

In realtà le economie capitalistiche europee (forti e deboli), al di là dei disegni e dei desideri geopolitici del grande fratello a stelle e strisce d’oltreoceano, e in ragione del previsto calo della produzione autoctona nel mare del nord, hanno un maggiore fabbisogno di forniture energetiche (a prezzi realistici) da parte di altri fornitori (innanzitutto Russia e Iran). Si comprende dunque, come da questa semplice realtà di fatto, si possano inferire delle previsioni di un aumento delle turbolenze interne all’alleanza USA/UE.

Queste turbolenze generali a loro volta potrebbero interferire con le dinamiche locali di appropriazione di plus-lavoro, e capitale costante delle economie deboli, messe in campo dal capitale finanziario delle economie forti europee ( dinamiche nascoste, ad esempio, sotto l’attuale querelle fra il governo nazionale italiano e alcune entità sovranazionali europee).

Ultima considerazione, i tentativi di incrinare e dissolvere le alleanze rivali, almeno per ora, sembrano premiare il giocatore russo (ricordiamo come esempio la Turchia, il Qatar, e l’Egitto).

Nel tempo andato si usava dire ‘vinca il migliore’, ora ci sembra difficile indicare con certezza matematica dove penderà l’ago della bilancia, anche se i semplici dati economici mostrano un notevole protagonismo delle economie emergenti: pensiamo alla via della seta, alla banca asiatica di investimenti infrastrutturali, e alla perdita di peso del dollaro come valuta dii scambio internazionale.

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