Starless (stelle cadenti)

 

Nota redazionale: Due anni fa abbiamo pubblicato un articolo dal titolo in lingua inglese: ‘Starless’. Tradotto, significa stelle, o meglio, nel senso dai noi attribuitogli, stelle cadenti.

Gli USA sono stelle cadenti, stelle che tramontano sull’orizzonte crudele del permanente confronto fra moderni apparati di potenza capitalistici (simbiosi di struttura economica e sovrastruttura statale). L’articolo dell’inverno 2016 spiega le ragioni della caduta della stella americana, puntando l’attenzione sul declino economico, il debito pubblico e privato, l’emergere di concorrenti agguerriti.

Le spiegazioni di allora sono essenzialmente valide ancora oggi. Infatti, a due anni di distanza, esse vengono confermate da alcuni dati di fatto (dati che ora ci prepariamo ad esporre).

Il primo dato su cui riflettere è l’attuale costruzione di North stream due, il gasdotto che collegherà la Russia all’Europa, esso è realizzato da parte di un consorzio di imprese russe ed europee (particolare interessante: la costruzione avviene in barba al malumore e alle critiche del grande Fratello USA e di alcuni paesi dell’ex patto di Varsavia, timorosi dell’aumento della dipendenza europea dalle forniture energetiche della Federazione Russa).

L’imponente opera di ingegneria edile-meccanica, basata innanzitutto su robusti tubi posati sul fondale del mare Baltico, dovrebbe coprire oltre il 25% del fabbisogno di risorse energetiche dell’economia europea. Operativo dal 2019, il nuovo gasdotto collegherà le riserve di gas naturale della Russia all’Europa. Il Nord Stream 2 raddoppierà il volume delle forniture già offerte dal Nord Stream 1, giungendo quindi ad un volume totale di oltre 110 miliardi di metri cubi all’anno. Il metano viaggerà lungo un percorso superiore ai 1.200 chilometri, partendo dalle coste del nord della Russia fino alla Germania, attraversando (dettaglio interessante per comprendere lo scollamento fra USA e alleati europei) le acque territoriali della Russia, ma anche di Svezia, Danimarca, Finlandia e Germania (le quali partecipano direttamente alla costruzione del gasdotto). Il principale finanziatore del progetto resta comunque il colosso russo Gazprom, che ha investito quasi cinque miliardi nell’impresa (pari al 50% del totale).

Nonostante le sanzioni contro la Russia, volute dall’America per l’annessione della Crimea, e fatte proprie, obtorto collo, dagli europei, nel 2017 oltre il 37% del metano acquistato dai paesi europei proveniva dalla Russia (per un ricavo di vendita annuale pari a 38 miliardi di euro). North stream 1 e 2 stanno di fatto sostituendo le vie di fornitura che in passato attraversavano l’Ucraina, nazione ormai considerata inaffidabile dai produttori/estrattori russi di metano (a causa delle ben note vicende degli ultimi 4 anni: piazza Maidan, Crimea, Donbass). Risulta significativo, inoltre, che anche i territori di altri ex paesi del patto di Varsavia (Polonia, repubblica Ceca) non vengano presi in considerazione dai russi come possibile alternativa per il passaggio di gasdotti. Questi paesi hanno un minore fabbisogno energetico rispetto ai paesi caratterizzati da economie forti come Svezia, Danimarca, Finlandia, Francia e Germania, e quindi hanno maggiore possibilità di protestare contro la costruzione di un opera da cui non traggono benefici immediati, ma soprattutto il grosso degli ex paesi del patto di Varsavia ha una maggiore dipendenza/assonanza nei confronti delle strategie geopolitiche USA ( fondamentalmente di contrasto al rivale apparato russo).

Ulteriori considerazioni: North stream 2 e 1 sostituendosi al gasdotto che passava sul territorio ucraino, di fatto tolgono all’Ucraina gli introiti relativi ai diritti di passaggio, rendendo ulteriormente precarie le condizioni del bilancio pubblico, e più in generale dell’economia di questo paese (con le ovvie ricadute sul piano del confronto fra i due big Russia e Usa, dal momento che l’Ucraina’, almeno dal 2014, gioca apertamente nel campo Usa, e quindi un suo indebolimento…).

Dal 2016, data di pubblicazione di ‘Starless’, si sono ulteriormente accentuate le difficoltà degli USA, sia in campo economico (i dazi e il protezionismo ne sono un sintomo), sia in campo geopolitico: basti pensare allo scollamento delle vecchie alleanze con paesi come la Turchia, il Qatar, l’Egitto…

Bisogna anche considerare che nell’area mediorientale le strategie Usa sono state ripetutamente battute: basti ricordare la Siria, l’Iraq, lo Yemen, la stessa Libia, a tutto vantaggio dell’ampliamento dell’influenza dell’avversario russo/cinese.

A proposito della Cina, ricordiamo che le mosse americane degli ultimi dieci anni hanno contribuito a cementare un alleanza fra Russia e Cina, fondamentalmente reattiva rispetto alla minaccia Usa. Un alleanza di tipo economico-militare, che, di fatto, costituisce il principale fattore concorrenziale/antagonista verso l’egemonia Usa ( ormai dovremmo dire nei confronti della pretesa egemonia).

Nel corso del tempo vari analisti ‘marxisti’ hanno teorizzato la presenza di un imperialismo unico egemone, adesso che fatti storici innegabili (auto-evidenti) li hanno smentiti, sarebbe interessante avere qualche spiegazione da costoro sulle ragioni del loro errore (ammesso che siano disposti a riconoscerlo come errore).

 

 

 

Starless

Introduzione

Parte prima: ‘Admiral Kuznetsov’.

Parte seconda: La fascia della ruggine che attraversa gli USA

Parte terza: Vae victis 

 

Introduzione

Le cose fuori del loro stato naturale né vi si adagiano né vi durano.

Vico Giambattista

 

 

 

Eletto Trump, nuovo presidente americano, si delineano meglio alcuni scenari di sviluppo del conflitto siriano. Una tendenza interna al blocco imperiale USA, quella isolazionista, sembra prendere forza, supportata dalla necessità di contenere le spese militari degli ultimi anni. Un momento di pausa, forse, dettato da un rigurgito di realismo economico e strategico. Realismo economico, in quanto lo spropositato debito totale (60.000 miliardi) non suggerisce altre dispendiose avventure militari, e poi strategico, perché l’avversario russo possiede armamenti nucleari missilistici (offensivi e difensivi) superiori. Dunque l’agenda contemporanea USA prevede in primo luogo il taglio delle spese non sostenibili (alcune basi militari posizionate ai quattro angoli del mondo, progetti di arma farlocchi, welfare…) e in secondo luogo investimenti in sistemi d’arma in grado di rivaleggiare con gli avversari.
Dalla caduta del muro di Berlino, segnale simbolico di una esplicita crisi del concorrente imperiale russo, la nazione indispensabile, l’America, ha cercato di dettare legge univocamente per almeno 25 anni. Il problema è che nello spazio geopolitico reale esiste da secoli un impero continentale da non sottovalutare, l’impero russo. Dopo la crisi del 1991 il capitalismo russo ha lentamente ripreso la sua tradizionale proiezione di potenza, stipulando alleanze e soprattutto investendo nel proprio apparato militare-industriale (grazie ai proventi della vendita di gas e metano). Troppo tardi sono scattate le sanzioni economiche occidentali verso la Russia (con il pretesto della occupazione/annessione della Crimea), e il calo pilotato del prezzo del petrolio ( allo scopo di compromettere una importante entrata del bilancio russo). Troppo tardi per impedire il riarmo e il sorpasso tecnologico da parte dei nuovi sistemi di arma russi, l’America deve ora affrontare i contraccolpi di varie avventure militari dagli esiti geopolitici improduttivi. In ‘Ruina Imperii’ abbiamo esposto alcune tendenze economiche che si associano, nel corso della storia, al declino di una condizione di predominio geopolitico interno alla società capitalistica. Innanzitutto la crescita della sfera finanziaria, a discapito degli impieghi di capitale monetario in attività economico aziendali reali, pensiamo alla declinante Venezia, finanziatrice del nascente impero coloniale olandese. Dunque quando un ciclo di sviluppo capitalistico, centrato su alcune economie nazionali si conclude, il testimone viene passato a nuove realtà capitalistiche (potenti sul piano strutturale e sovra strutturale). L’elezione di Trump, al netto della critica che da sempre rivolgiamo al meccanismo elettorale in quanto impostura funzionale alla conservazione del dominio borghese, può comunque fornirci qualche spunto di riflessione su queste dinamiche di ascesa e decadenza di potenze capitalistiche. Proviamo a individuare i processi strutturali che possono avere influito sulla sovrastruttura politica USA. Una parte del capitalismo americano è stata danneggiata dal ribasso del prezzo del petrolio, le imprese del settore primario, ramo estrattivo/petrolifero, a fronte dei costi aziendali sostenuti, hanno subito delle perdite fatali. I problemi sociali sono tuttora presenti come un macigno davanti alla strada del governo, di qualsiasi governo USA, aggravati dell’impossibilità di adoperare per politiche di welfare le migliaia di miliardi di dollari spesi dal 2001 in poi nelle guerre dell’impero. I segnali di ricomposizione sociale verso il basso, della piccola e media borghesia americana, sono rivelati anche dal sorgere di movimenti come OWS, incautamente valutati da qualcuno come il nuovo orizzonte della lotta di classe. Il debito totale gigantesco, la sostituzione del dollaro in una certa quota di transazioni commerciali internazionali, la presenza di nuove istituzioni creditizie internazionali (AIIB), concorrenti del FMI (dove il peso del socio USA è preponderante), la creazione della nuova via della seta che collegherà la fabbrica del mondo (la Cina) a molti mercati commerciali dall’Asia all’Europa, rappresentano dei fattori di condizionamento oggettivi per ogni politica di potenza americana (nel senso di fattori che non possono essere trascurati). Il senso di queste considerazioni può essere meglio compreso alla luce di altre analisi presenti sul sito, soprattutto ‘Chaos Imperium’, ‘Ruina Imperii’, ‘ I Duellanti’.

 

Parte prima: ‘Admiral Kuznetsov’.

Il fulmine governa ogni cosa’. (frammento 64)

Eraclito

Nei quartieri di Aleppo ancora occupati dalle milizie della variegata galassia fondamentalista si combatte senza sosta, anche la popolazione inizia a manifestare contro i cosiddetti ribelli, i quali reprimono nel sangue le proteste popolari. Un vortice di sangue e morte, torture e violenza segna le giornate di Aleppo. Le forze scelte dell’esercito siriano, di Hezbollah e di varie altre formazioni, forti di una superiore potenza di fuoco, si preparano a chiudere i conti con l’avversario, lo incalzano senza pietà, causandogli perdite ingenti, ormai non più facilmente rimpiazzabili. Dall’aria piovono i missili degli aerei siriani e russi, dal mare giungono le salve di missili Kalibr, lanciati direttamente dalle unità della potente squadra navale russa che staziona al largo delle coste siriane.

La squadra navale russa ha il suo punto di forza nell’incrociatore pesante port-aeromobili missilistico ‘Admiral Kuznetsov’. Questa potente unità è stata costruita intorno alla metà degli anni ‘80, diventando operativa solo nel 1995. La nave è stata progettata per colpire grossi bersagli di superficie e difendere le rotte marittime dalle incursioni nemiche, la sua capacità di trasporto comprende un tetto di 52 velivoli ad ala fissa e rotante. Insieme a questa unità sono presenti altre navi da guerra e sommergibili. La presenza di questa squadra navale non lascia dubbi sulla determinazione della Federazione russa, innanzitutto nella malaugurata ipotesi di un tentativo americano di imposizione di una ‘no fly zone’ sui cieli della Siria. Ogni residuo tentativo ‘occidentale’ di riprendere i giochi del caos e del ‘regime change’ in Siria, deve dunque fare i conti anche con questo altro macigno, cioè con questa ulteriore modificazione dei rapporti di forza militari in questa area di conflitto interimperialistico.

Parte seconda:La fascia della ruggine che attraversa gli USA

Governare è far credere

Machiavelli

La ‘fascia della ruggine’, con questa definizione si intendono gli stati dell’America dell’est dove l’economia industriale rappresenta una vecchia gloria sul viale del tramonto. Stati deindustrializzati come il Michigan, Wisconsin, Ohio e Pennsylvania, paesaggi alla Blade Runner punteggiati da infrastrutture arrugginite, invase dalle erbacce e da branchi di cani randagi e orde di topi, fabbriche vuote e piccole città disabitate. Non parliamo neanche delle condizioni socio-economiche di una porzione rilevante della popolazione, ridotta a fare a meno delle cure mediche, a volte del cibo e della scuola per i figli. Pignoramenti, sfratti, cause giudiziarie per contenziosi relativi a debitori insolventi, tutto questo, insieme all’inevitabile corollario di disperazione sociale e perdita di senso della vita, formano il retroterra materiale del disastro elettorale subito dal candidato democratico. Sia pure nel modo distorto e impotente dell’inganno democratico-elettorale, (quindi attraverso l’illusorio strumento della scheda elettorale) una parte del corpo sociale degli stati sopracitati ha mandato un messaggio di scontento verso il suo essere vittima dellalegge della miseria crescente.

In America si svolgono gli stessi processi basici del modo di produzione capitalistico, comuni quindi a tutte le economie capitalistiche. La legge del profitto ha spinto verso altri lidi (delocalizzazione) una parte considerevole del capitale industriale che aveva contribuito alla precedente crescita economica di stati come il Michigan, Wisconsin, Ohio e Pennsylvania. Una parte del capitale costante è stata trasferita in aree economiche dove il costo del lavoro è più basso, mentre un altra parte è rimasta in loco ad arrugginire. Cattedrali di acciaio e ferro che si innalzano verso il cielo, come una fredda invocazione al segreto dio del nulla di questa società.

Lo scontento sociale ha prodotto effetti paradossali, milioni di proletari minacciati dai processi di riorientamento degli investimenti capitalistici(delocalizzazione, finanziarizzazione…), hanno creduto che uno dei due attori in gara per la presidenza degli States potesse garantire reddito e occupazione. Il candidato repubblicano ha anticipato alla Ford che avrebbe promosso una tariffa doganale del 35% su ogni auto se questa azienda avesse trasferito la produzione di autovetture in Messico, alla Apple ha invece richiesto di spostare la sua produzione dalla Cina in America.

Come si può arguire è un programma economico protezionista, non si comprende fino a che punto realizzabile, tuttavia efficace almeno sul piano dell’immaginario del popolo elettore. Al protezionismo si accoppia in tale programma l’ostilità verso i patti commerciali come il Nafta e l’embrionale TTP. Il grado di partecipazione alle elezioni serve a verificare la persistente potenza ingannatrice dell’ideologia dominante, è vero, tuttavia può anche segnalare in questo caso delle dinamiche socio-economiche (legge della miseria crescente) che cercano una soluzione illusoria nella cabina elettorale.

Parte terza: Vae victis 

Se i vincitori rispetteranno gli dei e i templi dei vinti si salveranno’

Eschilo

Dal 2013 seguiamo l’evoluzione del conflitto siriano, dal momento in cui esso è diventato il paradigma di una vasta sequenza di contese fra i blocchi imperiali concorrenti. Iraq, Georgia, Libia, Yemen, Siria, Ucraina, tanto per ricordare le principali aree di confronto capitalistico. Primavere arabe, regime change, guerre per procura. Abbiamo ipotizzato una compresenza di fattori endogeni ed esogeni nella genealogia dei fenomeni denominati primavere arabe: in primo luogo un doppio fattore endogeno, ovvero la rivolta di una parte del proletariato sotto la spinta della legge della miseria crescente, e la resa dei conti fra i fratelli coltelli delle borghesie nazionali per il controllo delle risorse e della forza lavoro. In questo ultimo caso hanno giocato anche le differenti prospettive economiche legate alla rendita petrolifera e al profitto legato alle attività aziendali estrattive. Dal punto di vista dei fattori esogeni ritroviamo l’immancabile intervento del capitale internazionale, sub specie di eserciti, consiglieri militari, flotte navali, aerei, appartenenti ai due grandi blocchi statali-militari ed economici esistenti oggigiorno (America/EU e Russia/Cina e stati vari). Il confronto è di tipo economico e geopolitico, essendo in gioco il controllo di importanti risorse energetiche e delle loro vie di trasferimento (ambito economico), e la decisione/esito (esistenziale) su chi avrà alla fine conquistato lo scettro del comando sottraendo al rivale il controllo delle risorse energetiche (ambito geopolitico).

Quando uno dei contendenti ( America/EU ) ha mostrato segni di indebolimento, e quindi non è stato più in grado di occupare militarmente un territorio (Iraq) precedentemente invaso, allora ha preso piede la politica del caos, del terreno bruciato, del divide et impera.

Un disperato tentativo di rallentare l’avanzata dell’avversario imperiale russo, i cui frutti alla fine sono stati magri e deludenti. Non ci riferiamo solo alla Siria, ma anche allo scollamento dell’alleato turco e al suo riavvicinamento alla Russia, agli accordi di cooperazione militare russo-egiziana (e l’Egitto era fino all’altro ieri un fedele alleato degli USA), alle richieste di alleanza con la Russia da parte delle autorità della regione libica ai confini con l’Egitto, alle batoste militari subite dai sauditi nello Yemen.

Nel mese di ottobre 2016 le conferenze stampa di John Kerry e Boris Johnson hanno pubblicamente riconosciuto i rapporti di forza militari nello scacchiere siriano.

Agli inizi di ottobre era stata scartata da Obama l’opzione militare, cioè l’imposizione di una no fly zone, dopo che le autorità politico-militari russe avevano dichiarato di essere pronte ad abbattere gli aerei americani.

In seguito era anche fallito il tentativo ‘occidentale’ di isolare la Russia al consiglio di sicurezza delle nazioni unite, facendo passare una mozione di condanna sui presunti crimini di guerra russi e siriani.

Risultando molto incerto l’esito di un confronto militare aperto con l’apparato di potenza dispiegato dai russi in Siria, ed essendo anche precluso il ripiego di una condanna dell’ONU, non esistendo quindi la volontà politica generale (in occidente) di uno scontro militare con l’avversario russo, siamo giunti alle recenti dichiarazioni stampa di John Kerry e Boris Johnson.

Riportiamole a futura memoria: Kerry “Non ho visto un grande desiderio da parte dei governi europei di andare in guerra. Non vedo i Parlamenti dei Paesi europei pronti a dichiarare guerra. Non vedo molti paesi scegliere questa possibilità quale soluzione migliore. Quindi stiamo perseguendo la via diplomatica, perché quello è lo strumento che abbiamo, e stiamo cercando di trovare una via d’uscita’.

“…quando una grande potenza è coinvolta in una lotta come questa, come la Russia ha scelto di esserlo intervenendo in Siria e dispiegando i suoi missili per contrastare qualsiasi azione militare, cresce il rischio di un confronto diretto…”.

Boris Johnson ‘in linea di principio nessuna ipotesi è fuori discussione. Ma non c’è alcun dubbio che queste opzioni militari siano estremamente complesse e c’è, per usare un eufemismo, una mancanza di volontà politica nella maggior parte delle capitali europee e certamente in Occidente per quel tipo di soluzione. Così abbiamo dovuto lavorare con lo strumento che avevamo a disposizione, la via diplomatica…”.

Parafrasiamo le parole di Kerry : ‘quando una grande potenza è coinvolta in una lotta come questa, come la Russia ha scelto di esserlo intervenendo in Siria e dispiegando i suoi missili per contrastare qualsiasi azione militare, cresce il rischio di un confronto diretto’.

La Russia ha dispiegato i suoi missili, presenti come batterie di ss300 e ss400 posizionate a terra , in mare, sulle unità della squadra navale guidata dall‘Admiral Kuznetsov’, sotto la superficie del mare, nei sommergibili che accompagnano la squadra navale russa, e soprattutto è intenzionata ad usarli.

Real-politik si diceva una volta, e come sempre nella storia umana quando si profila la vittoria di un esercito, la parte sconfitta chiede pietà. Boris Johnson:‘Ora, sta a loro cogliere l’opportunità di mostrare grandezza e di dare prova di leadership…sta proprio a loro in questo momento ascoltare e mostrare pietà – mostrare pietà per quelle persone in quella città…’.

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