Imperium: la parola alle armi (Venezuela, golfo Persico, Siria, Donbass, repubblica centrafricana).

Imperium e guerra: alcune recenti mosse dei duellanti imperiali (Venezuela, golfo Persico, Siria, Donbass, repubblica centrafricana).

Proponiamo una breve ricognizione su alcuni teatri attuali di confronto/scontro fra apparati capitalistici concorrenti. Il linguaggio e le mosse dei due Big, i Moloch statali di Russia e America, diventano sempre più minacciosi e letali, eppure la nostra analisi esclude che lo scontro interimperialistico possa trasformarsi in una guerra totale, all’ultimo sangue. Ovviamente lo escludiamo perché i due Big desiderano continuare ad esistere, e sanno bene che una guerra totale, senza esclusione di uso delle armi nucleari, significherebbe la distribuzione reciproca.

Dunque ci limitiamo, per tale motivo, ad assistere ad una crescita delle minacce e delle occasioni di scontro, fra i due Big, ma sempre per interposta persona, cioè attraverso milizie ed eserciti terzi.

Abbiamo scritto e riscritto che la guerra, intesa come distruzione di forza lavoro in eccesso e capitale sovraccumulato è una costante capitalistica. Dunque le guerre locali contemporanee svolgono anche questa funzione, oltre all’altra importante funzione di definire i rapporti di forza fra gli apparati capitalistici (l’apparato è la simbiosi della struttura economica con la sovrastruttura politico-militare).
Partiamo dal Venezuela, questo paese da almeno due decenni rappresenta una spina nel fianco per gli interessi economici e geopolitici USA. Con l’avvento al potere di Chavez, un colonnello dei paracadutisti, fortemente sostenuto da importanti settori dell’esercito e della borghesia, il business dell’estrazione e vendita del petrolio nazionale è stato sottratto al controllo USA.
Ancora vivo Chavez gli USA hanno sfruttato i contrasti interni al popolo del Venezuela (fratelli coltelli borghesi), per tentare di condizionare a proprio favore questi contrasti. Tuttavia la saldezza del sostegno dell’esercito ai governi di Chavez e poi di Maduro, uniti al sostegno russo e cinese ( aiuti militari, prestiti e investimenti di capitali), hanno sempre vanificato ogni progetto di regime change.
Tuttavia le sanzioni economiche imposte dagli USA, e le dinamiche intrinseche del capitalismo come la miseria crescente ( il Venezuela è una società capitalistica), rinnovano continuamente le condizioni da cui nasce lo scontento sociale, e dunque la possibilità di interferenze da parte defli USA.
La farsa attuale vede la recita di un politico venezuelano anti-Madero, sostenuto dagli USA, autoproclamatosi presidente legittimo.
Su tale autoproclama i vecchi marpioni a stelle e strisce hanno inscenato la solita pantomima basata sulla richiesta di nuove elezioni democratiche, indispensabili per mandare a casa il cattivo Maduro e mettere al suo posto un vero democratico. Ovviamente l’ONU, in questi casi, si trasforma in un luogo di scontro delle opposte fazioni, o se vogliamo degli opposti appetiti imperiali.
In verità il tentativo di regime change venezuelano sembra essere abortito ancora prima di nascere, e questo a dispetto delle aperte minacce di intervento militare USA. I motivi di tale aborto sono i seguenti:1) non si sono registrate proteste di massa contro Maduro, 2) l’esercito sta dalla parte del governo Maduro, 3) Russia e Cina sostengono Maduro, 4) marzo 2019, la Russia ha avvertito gli USA che in caso di un loro intervento militare, si ripeterà lo scenario siriano.

Passiamo ora alla Siria, questo paese è la prova vivente di una cocente sconfitta della strategia del caos USA. Inutile tornare sugli antefatti, ampiamente presenti in vari articoli categorizzati sotto la voce imperialismo. Diciamo che la novità del giorno è rappresentata dalla ripresa dell’offensiva russo-siriana contro le milizie jihadiste ancora presenti nella provincia settentrionale di Idlib, si tratta di qualche decina di migliaia di combattenti, spesso provenienti da altre province siriane progressivamente tornate sotto controllo governativo, arresisi all’esercito siriano in cambio del trasferimento nell’enclave di Idlib, le milizie presenti nella provincia di Idlib rispondono a potenze diverse, una parte è ancora collegata alla Turchia, mentre la parte restante trova un punto di riferimento nei paesi del Golfo come l’Arabia Saudita. Nel corso del tempo non sono stati infrequenti gli scontri fra le diverse milizie jihadiste, composte sia da personale siriano, sia da miliziani stranieri. La situazione a Idlib è stata congelata da un accordo fra Russia, Siria e Turchia, dall’inizio di settembre 2018, ora le cose stanno cambiando, e sembra che ci sia un accordo fra i tre stati prima citati, per fare piazza pulita delle milizie ‘ribelli’ che fanno riferimento a certi paesi del Golfo, e quindi agli USA. Sono già iniziati i movimenti di truppe siriane ai confini della provincia, e i bombardamenti dell’aviazione russa e siriana sulle postazioni dei cosiddetti ‘ribelli’. La nuova escalation militare conferma dunque l’intesa fra Russia e Turchia, e la marginalità degli USA e dei suoi alleati nello scacchiere siriano.

Scriviamo ora due parole in merito al teatro della Repubblica Centrafricana. L’ex dominio dell’imperatore Bokassa, preda di lotte fratricide fra differenti settori socio-economici borghesi, era in un recente passato assistito dall’immancabile (almeno in Africa) presenza militare francese. Poi anche i francesi hanno dichiarato forfait, e le residue vestigia di potere politico della Repubblica Centrafricana hanno chiesto aiuto ai russi, i quali non hanno fatto attendere molto la risposta a queste invocazioni di soccorso. Da qualche mese si registra nella capitale del paese la presenza di centinaia di militari di evidente etnia slava, probabilmente dei contractors, ingaggiati da un agenzia che ha fornito e fornisce dei servizi similari anche all’esercito siriano e all’esercito libico del generale Haftar. L’utilizzo di una agenzia di contrattisti presenta il vantaggio, per gli stati imperiali duellanti, di evitare l’intervento diretto e le conseguenze di immagine derivate (ad esempio in caso di sconfitte, o in azioni particolarmente violente che dovessero coinvolgere i civili).
Resta il fatto che l’apparato capitalistico russo, sebbene in modo indiretto, rinforza una presenza, o almeno dei rapporti di collaborazione, in medio Oriente/Nordafrica ( Siria, Libia, Algeria, Egitto, Turchia, Iraq, Iran, Qotar, Yemen) e in Africa ( Repubblica Centrafricana, Mozambico…), a evidente detrimento dell’influenza del rivale apparato di potenza USA.

 

I russi hanno testato con successo il primo missile al mondo che supera la velocità del suono. Tale ordigno viaggia ad una velocità di 20 volte superiore a quella del suono. Allo stato attuale della tecnologia missilistica non ci sono sistemi in grado di intercettarlo. Il nome della nuova arma è Avangard. Il progetto è stato sviluppato nell’arco di oltre vent’anni. L’altissima velocità e la temperatura elevata (2000 gradi) conferiscono uno stato di invisibilità a tale ordigno, che potrebbe colpire a sorpresa ogni angolo del pianeta. Questa è solo l’ultima arma prodotta dal complesso militare-industriale della federazione Russa. Abbiamo in altri articoli descritto le caratteristiche essenziali del missile intercontinentale ‘Sarmat’, e del sistema antimissile ‘Autocrat’. Ad essi si accompagnano altri due nuovi ordigni: il missile antinave Kinzal, montato su appositi aerei da caccia, teoricamente non intercettabile, e il missile sottomarino ‘Poseidon’, altrettanto silenzioso e furtivo. Come ha potuto la Russia, una nazione con un PIL inferiore a quello dell’Italia, si chiedeva un giornalista, dotarsi di sistemi d’arma così avanzati?
La risposta è semplice: 1) la potenza economica di una nazione non si calcola solo in base a un parametro. La Russia è un continente ricco di materie prime, risorse minerarie, e possiede industrie e laboratori scientifici quantomeno paragonabili al livello di quelli del capitalismo europeo e statunitense. 2) un background scientifico e tecnologico come quello della federazione Russa non è in possesso, oggi, neppure degli USA. Questo è un dato di fatto. Sono gli USA e l’Europa, oggi, ad essere arretrati in campo militare, rispetto all’apparato di potenza russo. L’economia è importante, ma se gli USA, con un budget di spesa cinque volte superiore a quello russo, non sono in grado di opporre armi di pari livello al rivale imperiale russo, allora vuol dire che sono sbagliati i criteri di analisi della potenza di un apparato, oppure i dati in nostro possesso, o magari entrambe le cose. Alcuni vascelli da guerra della flotta russa del nord sono da qualche settimana in viaggio verso le acque del Mediterraneo, con probabile destinazione Yemen/golfo Persico, mar rosso. Si tratta di una ipotesi formulata da vari analisti militari. Qualcuno ha infatti pensato che i vascelli da guerra russi potrebbero fungere da deterrente verso un eventuale blocco navale USA verso l’iran, o servire a dissuadere identiche azioni nei confronti del martoriato Yemen. È difficile intravedere con chiarezza lo scopo della missione della fregata lanciamissili ‘Admiral Gorshov’ e delle due navi di appoggio, che eventualmente potrebbero cordinarsi con la squadra navale russa presente al largo delle coste siriane, o con le forze navali iraniane, e addirittura con le divisioni missilistiche e aerospaziali presenti nel sud della federazione. In ogni caso la fregata lanciamissili ‘Admiral Gorshov’ potrebbe essere armata con i missili antinave Kinzal, in grado di colpire un vascello nemico entro un raggio di 2000 km, senza possibilità di intercettazione da parte del bersaglio. Se davvero gli USA dovessero tentare di alzare l’asticella del confronto con l’Iran e lo Yemen, potremmo assistere ad uno scontro aeronavale di grande intensità, potenzialmente catastrofico per le armi a stelle e strisce. Probabilmente non vedremo uno scontro di questo tipo, perché, semplicemente, la presenza delle navi da guerra russe fungerà da fattore di deterrenza verso la realizzazione pratica dei progetti USA. Ancora una volta, come già accaduto in Georgia, in Siria, in Crimea e Donbass, le strategie USA dovranno fare i conti con una forza militare avversaria di pari grado, o forse di grado superiore, e prudentemente ripiegare. Quando si dimentica che sono i rapporti di forza a condizionare la direzione degli eventi, e quindi è il grado di potenza di un apparato ( sinergia del complesso militare-industriale con i laboratori di ricerca scientifico-tecnologica), è facile sottovalutare i dati reali, e restare stupiti e increduli di fronte alla piega presa dagli eventi. È quello che accade alla maggioranza dei media occidentali, restii a riconoscere i reali rapporti  di forza, oggi esistenti fra i due Big imperiali. Ovviamente la guerra è anche propaganda e occultamento della verità, dunque è inevitabile che i media occidentali, almeno una parte consistente di essi, tendano a ignorare le attuali caratteristiche degli armamenti in possesso dei due Big imperiali, e di come il pendolo della bilancia penda ora a favore del complesso militare-industriale della federazione Russa.

Torniamo a un elemento della scacchiera:   lo Yemen.

Da quasi quattro anni le popolazioni di questo paese subiscono i bombardamenti dell’aviazione Saudita, le condizioni igieniche, la diffusione di malattie epidemiche, la penuria di farmaci hanno raggiunto soglie critiche, mettendo a rischio la vita di decine di migliaia di yemeniti. L’intervento dei sauditi e di altri paesi del Golfo Persico, coadiuvato dalla presenza di contractors vari, è stato giustificato con la scusa del sostegno a una delle fazioni borghesi yemenite in lotta. Come spesso accade il conflitto fra fratelli coltelli borghesi nazionali, fornisce il pretesto per l’intervento delle potenze borghesi nazionali confinanti, e dell’immancabile ulteriore intervento delle superpotenze imperiali.

Il controllo dello Yemen, data la sua posizione geografica, potrebbe rappresentare un vantaggio per i vari contendenti in campo.

I progetti di ‘pacificazione’ sauditi, sostenuti da vari attori statali locali e internazionali, tuttavia risultano tecnicamente falliti. Infatti, una parte significativa dell’esercito yemenita, in cooperazione con le agguerrite milizie sciite houthi, hanno ripetutamente rintuzzato i tentativi di penetrazione degli eserciti avversari (segmenti dello stesso esercito yemenita, sauditi, contractors…).

Inoltre, le milizie houthi hanno spesso portato l’attacco alle regioni saudite di confine, distruggendo basi militari, mezzi e soldati.

L’esercito yemenita si è dimostrato in grado di produrre e lanciare missili a lungo raggio, verso le installazioni petrolifere e gli aeroporti sauditi, dimostrando capacità di risposta inattese. L’ultimo tentativo della coalizione a guida Saudita di conseguire un successo strategico, è stato l’assedio ad una città portuale. Anche questo tentativo è fallito da almeno quattro mesi.

Allo stato attuale delle sue capacità belliche, la federazione Russa può essere in grado di affondare senza sforzo le navi da guerra USA, e alleate, presenti nell’area del Mar Rosso, rimuovendo ogni possibile ostacolo ai rifornimenti necessari allo Yemen e sventando in anticipo ogni progetto di blocco navale all’Iran.

A nostro avviso non si giungerà a questo, per i motivi accennati già all’inizio dell’articolo.

Uno scontro bellico con armi convenzionali non conviene agli USA, almeno in questo momento, in cui risulta appurata la superiorità dell’armamento avversario. L’opzione nucleare è sempre stata una forma di suicidio per entrambe le superpotenze, ergo è sostanzialmente da escludere, quindi resta sul tavolo da gioco solo la carta della rinuncia ai sogni di gloria, a meno di non volere l’affondamento delle proprie navi da guerra. Esclusa l’opzione dello scontro diretto con l’apparato avversario, gli USA continueranno con la sterile politica delle sanzioni economiche verso i paesi ‘ canaglia’, tentando di convincere anche i cosiddetti partners europei a fare lo stesso.

Ultime considerazioni: Il Donbass.

In questa regione ancora formalmente parte dell’Ucraina, si è di fatto verificata una secessione, sancita dalle ripetute sconfitte subite dall’esercito ucraino da parte dei ribelli filorussi. Le prime sconfitte catastrofiche risalgono all’agosto 2014, in seguito c’è stato il disastro di Debaltsevo, nel febbraio 2015. Anche in questo caso si è verificato un confronto dissimulato fra Russia e Usa. I ribelli del donbass hanno validamente respinto le minacce dell’esercito ucraino, anche grazie ai volontari russi e al supporto di Mosca. Vari osservatori prevedevano una nuova iniziativa militare dell’esercito ucraino, fra il mese di gennaio e quello di marzo, tuttavia sul campo non si è mossa neanche una foglia. Nel novembre 2018 i russi hanno imprigionato i marinai ucraini e sequestrato le piccole imbarcazioni con cui questi ultimi avevano tentato di forzare i controlli della marina russa. La vicenda è stata utilizzata dagli USA e da alcuni vassalli europei per montare il solito polverone propagandistico.

Nonostante le condanne verbali e gli strali diplomatici, i russi hanno mantenuto una calma olimpica, evitando di rilasciare i marinai entrati nelle acque territoriali russe, rimandando tutto alle decisioni della magistratura. Da vari anni alcuni paesi, che erano in passato inseriti nel patto di Varsavia, hanno fatto una scelta di campo di segno opposto, entrando nella NATO, e diventando l’antemurale USA verso la federazione Russa.

Nell’epoca del capitalismo monopolistico gli stati di piccole e medie dimensioni (vedasi il testo ‘inflazione dello stato’), vengono attratti nell’orbita dei Big imperiali, si tratta di un processo politico inesorabile, poiché solo gli stati che controllano vasti territori dotati di risorse naturali in abbondanza, masse proletarie copiose, e potenti armamenti, possono sopravvivere nella dimensione antagonistica della società borghese. Dunque gli stati piccoli e medi sono risucchiati dalla forza attrattiva degli stati di maggiore forza e potenza, diventandone alleati o semplicemente vassalli. È il caso di alcuni paesi dell’ex patto di Varsavia, che alla fine dell’impero sovietico sono stati attratti nell’orbita dell’impero rivale, e ora si ritrovano nella scomoda posizione di confinanti con il rinato impero di cui un tempo erano vassalli.

Il caso dell’Ucraina è paradigmatico. I costi pagati da questo paese, nel passaggio da una sfera imperiale ad un altra, sono stati molto elevati, elenchiamoli: 1) perdita di porzioni di territorio nazionale (Crimea, Donbass), 2) peggioramento della situazione economico-sociale, 3) perdita di mezzi e soldati nel vano tentativo di impedire la secessione .del Donbass. Una catastrofe.

L’attuale classe dirigente Ucraina si trova ora di fronte ad un bivio: 1) continuare sulla strada delle provocazioni contro il gigante statale confinante, nella vana attesa di un intervento della NATO, 2) liberarsi dai condizionamenti di marchio USA-NATO, e prendere atto della propria posizione geografica, e dei legami storici e commerciali con la Russia. Ovviamente è più probabile che si verifichi il primo scenario, appurata  l’esigenza di alcuni stati borghesi occidentali di continuare la sterile strategia delle provocazioni- punzecchiature verso il rivale stato borghese russo.

 

 

 

Postilla: capacità tecnica e volontà di potenza

L’architetto umano è diverso da un ape, la seconda agisce in base a regolarità istintive, geneticamente codificate, mentre l’essere umano è in grado di adattarsi con più velocità ai cambiamenti ambientali, calcolando e programmando i mezzi migliori per raggiungere un certo scopo. Questo si chiama efficienza, o volontà di potenza. Il calcolo che prevede l’uso dei mezzi più adeguati, per conseguire un determinato scopo, è di tipo razionale, non ciecamente istintivo come accade nel comportamento dell’ape.

Il pensiero dell’architetto valuta, discerne, e soprattutto prospetta e programma in anticipo i mezzi atti alla realizzazione di un certo progetto.

Sulla base delle esperienze storiche concrete, determinate classi dominanti (parliamo di quelle russe) hanno appreso ad impiegare meglio dei rivali le sopracitate caratteristiche dell’architetto umano, ovvero della sua progettualità.

Chiediamoci perché.

La risposta è semplice. Sono state le vicende storiche a favorire l’acquisizione di certe caratteristiche progettuali, ovvero di una tecnica di dominio efficiente ed efficace, prima  alla classe feudale e poi alla classe borghese russa.

Mentre la borghesia americana non ha mai dovuto seriamente combattere con degli eserciti invasori, sul proprio territorio nazionale, la classe feudale e poi la borghesia russa hanno continuamente guerreggiato, per oltre mille anni, con vari eserciti avversari: peceneghi, mongoli, tartari, turchi, cavalieri teutonici, svedesi, polacchi e lituani, armee napoleonica, wermacht ed eserciti alleati (Italia, Finlandia, Croazia, Romania, Bulgaria, Ungheria…).

Se davvero sono le esperienze reali della vita a favorire l’evoluzione genetica e quindi cognitiva degli organismi viventi, cosa dire delle esperienze storiche, non sono forse esse un fattore materiale, oggettivo, concreto di condizionamento e sviluppo degli organismi sociali?

La struttura economica, il suo grado di sviluppo tecnico e industriale sono importanti per dotare la sovrastruttura statale di una adeguata potenza militare, tuttavia le vicende storiche giocano a loro volta un ruolo nella capacità di impiegare al meglio il complesso militare industriale, e di fronteggiare con  maestria bellica le minacce alla propria esistenza. Senza un impiego ottimale delle risorse industriali e tecnico scientifiche disponibili, e senza una adeguata strategia militare, anche un paese con un PIL dieci volte superiore all’avversario può soccombere. Infine è la qualità a fare la differenza.

 

 

 

 

 

 

 

 

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