Giugno 2019, un drone USA viene abbattuto da un missile iraniano. Secondo la versione USA il drone non stava sorvolando il territorio iraniano, ovviamente contraria la versione degli abbattitori.
Venerdì ventuno luglio, i mass media riportano la notizia di un operazione di rappresaglia USA, fermata in extremis dal presidente Trump. Secondo le ricostruzioni giornalistiche, nella dirigenza politico-militare americana sono emerse delle valutazioni non collimanti sulla opportunità di colpire tre basi di lancio iraniane, come inizialmente previsto. In modo particolare, i media contengono delle illazioni su presunte perplessità dei vertici militari, preoccupati dei rischi per il personale militare USA presente nell’area. La vicenda è complessivamente difficile da chiarire con certezza, per cui ci limitiamo ad esporre le notizie di pubblico dominio, cercando di partire da esse per tentare di fare un analisi più ampia delle attuali relazioni fra Iran e usa. Proponiamo subito un argomento: se l’Iran dovesse bloccare lo stretto di Hormuz, che in sostanza è costituito per metà da acque territoriali dell’Oman e per metà da acque dello stesso Iran, allora il prezzo del petrolio potrebbe subire una drastica impennata. Qualche analista ha ipotizzato cifre da capogiro, 100, 200, 300 dollari al barile, ma anche oltre. Si consideri che dallo stretto di Hormuz passa il 30% del petrolio utilizzato dall’economia mondiale. È facile immaginare il tipo di ricadute macroeconomiche, se uno scenario del genere dovesse davvero avverarsi. Tuttavia ci sono delle altre considerazioni, che partendo da dati esistenti, potrebbero fare ipotizzare degli sviluppi differenti. Il primo dato da valutare è il potenziale militare dell’Iran. Infatti esso, per quanto inferiore a quello USA, è comunque in grado di infliggere dei costi sensibili all’avversario. In modo particolare la portaerei Lincoln potrebbe essere vittima di una rappresaglia missilistica, già dopo i primi minuti di una attacco USA. Anche le truppe americane presenti in Iraq, Siria e altri paesi confinanti, dato il loro ridotto numero, potrebbero subire degli attacchi. Attualmente gli USA non hanno nell’area le forze di terra sufficienti per realizzare un invasione dell’Iran, oltretutto non si comprende bene da quale territorio confinante dovrebbe partire una tale invasione. Iraq e Turchia sono in buoni rapporti con l’Iran, dunque due stati che confinano ad ovest con l’Iran non sono impiegabili per eventuali progetti di aggressione via terra. Anche ad est dei confini iraniani, il vicino Afghanistan (date le caratteristiche morfologiche) non sarebbe proprio il terreno migliore da cui fare partire un attacco terrestre. Un nuovo d Day, con annesso sbarco e invasione dal mare, pur non essendo impossibile, presenterebbe dei problemi e dei costi sproporzionati. Un semplice e limitato attacco missilistico, o una perdurante campagna di bombardamenti, su siti militari o edifici politici e governativi, potrebbe non produrre i frutti desiderati. Soprattutto, un azione militare prolungata rischierebbe di allargare il conflitto agli obiettivi indiretti dell’azione USA, cioè Russia e Cina. Dunque la parola alle armi, almeno sulla base di queste iniziali considerazioni, non sarebbe una cosa molto semplice. Tuttavia gli attori sulla scena sono diversi e alcuni di essi potrebbero giocare la strategia del caos, mettendo in essere delle azioni dalle conseguenze non prevedibili. Queste azioni caotiche sono le uniche possibili quando si verifica una situazione di svantaggio per un contendente, e quest’ultimo cerca di invertire le probabilità sfavorevoli in probabilità favorevoli. Ovviamente l’azione caotica è un azzardo estremo, una specie di roulette russa, che nel corso della storia si è spesso ritorta contro i propri autori. Gli Usa hanno già sperimentato questa verità diverse volte (Vietnam, Cambogia, Afghanistan, Ucraina, Georgia, Siria, Iraq…). Purtroppo le esperienze del passato non sempre insegnano molto, inoltre la volontà di invertire il proprio declino imperiale hanno spesso sospinto gli USA verso decisioni avventate.
Fra pochi anni dovrebbero subentrare dei nuovi leader agli attuali leader di Russia e Cina ( nuove figure collegate a settori economici e militari più propensi a saldare i conti con il gigante malato USA). In un nuovo contesto internazionale, con il duo russo e cinese pronto a rispondere per le rime alla petulante prosopopea militaresca dell’avversario, gli USA potrebbero essere costretti a scoprire le carte e a rivelare il bluff. Si tratta di capire, a un certo punto, se l’attuale cabina di regia (palese e occulta) del conglomerato di interessi politico-economici che chiamiamo America è decisa a declinare velocemente o lentamente. Una guerra con l’Iran potrebbe semplicemente accelerare il declino, e favorire al contempo l’ascesa dei capitalismi concorrenti. Inoltre, all’interno degli apparati capitalistici di Russia e Cina, una guerra Iran/USA potrebbe accelerare un ricambio di leadership, ponendo in primo piano forze politico-militari poco propense a temporeggiare con il gigante malato (gli USA) come invece sembrano fare le attuali leadership (d’altronde è normale che un avversario sempre più debole induca gli altri giocatori a essere più spavaldi e determinati). Le scelte miopi, come scrivevamo già in ‘Ruina Imperii‘, sono un sicuro fattore di accelerazione della caduta rovinosa di un organismo politico-statale.