Relazione introduttiva della riunione on line del 26 marzo 2022.
La caduta tendenziale del saggio medio di profitto, cioè l’incapacità del capitale di valorizzarsi è la causa delle crisi cicliche del sistema di produzione capitalistico. Il vulcano della produzione erutta merci largamente inutili mentre la palude del mercato non può assorbire tale produzione, anche a causa del generale impoverimento sociale.
A ciò si accompagnano processi di concentrazione di capitali (con conseguente proletarizzazione di piccola e media borghesia) per far fronte alla concorrenza internazionale; la sopraffazione del capitale più forte rispetto al capitale più debole (rapina di suolo, risorse minerarie, industriali e di forza lavoro); processi di ristrutturazione che portano all’aumento della composizione organica del capitale (più macchine tecnologicamente avanzate meno forza lavoro impiegata), con conseguente aumento della disoccupazione e miseria crescente.
La necessità di distruzione di mezzi di produzione, di merci, di risorse naturali e umane, per riavviare un nuovo ciclo di accumulazione, contrastare la diminuzione dei profitti e l’aumento della concorrenza e tentare di rianimare il cadavere capitalistico che ancora cammina è la causa dello scoppio delle guerre imperialiste del secolo scorso e di tutte le guerre locali che si sono succedute dalla fine degli anni 50 in avanti su tutto il pianeta. Questa è una costante del sistema di produzione capitalistico a cui la borghesia non può sottrarsi anche se lo volesse: per placare la fame da lupi di profitto di una classe borghese ormai parassitaria il proletariato viene sfruttato in tempo di pace e trasformato in carne da cannone in tempo di guerra.
Solamente in questo quadro è possibile comprendere l’attuale scontro militare ovvero l’invasione russa dell’Ucraina.
Dal 2008 l’economia globale sta attraversando la più grave crisi economica dal dopoguerra; se a ciò si aggiunge il rallentamento produttivo dovuto alla pandemia di coronavirus si può avere un’idea della gravità dell’attuale situazione.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale l’asse democratico tra Usa ed Europa sembrava dovesse durare in eterno, la caduta del muro di Berlino consolidava tale illusione. Ma la storia non vive di illusioni: le borghesie dei paesi emergenti forti di territori immensi, ricchi di materie prime e di una massa enorme di forza lavoro (unica fonte di plus valore) a bassissimo costo si sono affacciate sul palcoscenico della storia (B.R.I.C.S.)
Grazie agli enormi investimenti di capitale occidentale (avido di plusvalore da estorcere ai proletari nei paesi “in via di sviluppo”) in Cina, India, Vietnam, Corea, questi paesi hanno potuto sviluppare la loro potenza economica e il PIL di queste economie cresceva a doppia cifra mentre le vecchie economie occidentali arrancavano miseramente. Anche la Russia, liberatasi dal peso di paesi satelliti che drenavano ingenti risorse, ha potuto avviare un ciclo favorevole all’incremento del suo potere economico ma soprattutto del suo potere militare.
Ma come accade nei branchi di lupi selvatici, gli elementi giovani e forti emergono e mettono in discussione la guida consolidata del capo branco.
In una situazione del genere è normale un rimescolamento di carte, un cambiamento di alleanze, ogni capitale fa da sé e, come avviene all’interno di ogni nazione, il capitale più forte strangola quello più debole, le imprese maggiori assorbono quelle minori, le fanno fallire. Quante imprese piccole e medie sono state chiuse durante il periodo di lock-down, portando interi settori di piccola borghesia verso la proletarizzazione? Così accade a livello di economia mondiale.
E’ evidente che le potenze occidentali, soprattutto gli Stati Uniti (che possiedono una capacità militare di prim’ordine), cerchino di bloccare o limitare la potenza altrui: la Cina ormai è la prima potenza economica mondiale con investimenti in tutto il mondo, detiene la maggior parte del debito americano; la Russia ha occupato militarmente zone di influenza che prima appartenevano all’occidente in Asia, Africa, e America Latina (per esempio in Siria, in Libano, in Libia, nello Yemen, in Venezuela ecc.). L’Europa, con in testa la Germania, ha rafforzato le sue posizioni sui mercati internazionali ed europei, forte di un mercato europeo dell’est, sbocco per le sue produzioni e fonte di manodopera a buon mercato e rafforzato gli scambi economici con la Russia.
I contrasti per ristabilire nuovi rapporti di forza e nuovi equilibri geostrategici non sono stati giocati direttamente dai vari concorrenti: si sono manifestati attraverso guerre locali, guerre per procura, utilizzando rivolte nazionali più o meno indotte dall’esterno, fomentando rivalità etniche o religiose, cavalcando rivolte sociali reali (le “primavere arabe”), innescando una politica del caos di cui abbiamo lungamente trattato in passato.
L’attuale conflitto in Ucraina si sviluppa in questo contesto, è uno scontro per interposta persona, una guerra per procura tra l’occidente “democratico” e il governo “autocratico” russo. L’Ucraina diventa territorio di rapina per i briganti imperialisti, la sua economia è fortemente compromessa e gli appetiti capitalistici si fanno più forti. Miniere di carbone e altri minerali, un settore industriale di punta nel campo aero-militare, estensioni immense di terre fertili coltivabili, posizione geostrategica nel cuore dell’Europa dove la Cina ha progettato un importante hub della via della seta. Ma soprattutto una classe operaia a basso prezzo e altamente qualificata.
Addentrarci negli aspetti strategici militari o geopolitici non ci interessa, sarebbe fuorviante rispetto alla centralità delle cause che determinano lo scoppio dei conflitti: lo scontro tra moloch statali per il dominio sui mercati, per il controllo delle materie prime, per la ridefinizione di equilibri e alleanze. Il tutto a spese del proletariato. Questa guerra è contro i proletari ucraini già pesantemente sfruttati dalla propria borghesia e costretti ad emigrare a milioni (7 milioni di migranti economici prima dello scoppio del conflitto). Contro il proletariato russo sfruttato e oppresso da una borghesia corrotta e violenta. Contro il proletariato dei paesi europei, che sta già iniziando a pagare di tasca propria le conseguenze del conflitto (rincari di tutti i generi di consumo) e che viene imbonito dai media con una propaganda mistificatrice nazionalista, ipocrita e pietista.
La borghesia italiana, allineata alla politica dell’occidente, invia armi in appoggio al regime di Zelenski e aderisce alle sanzioni contro la Russia da una parte mentre contemporaneamente tenta di arginare le conseguenze delle stesse sanzioni per non danneggiare troppo la propria economia: gli industriali italiani hanno rapporti diretti con borghesi e operatori economici vari in Russia.
Nella generale tendenza alla guerra imperialista, negli anni 90, il conflitto armato era già arrivato nel cuore dell’Europa (culla del capitalismo borghese) con lo scontro sui Balcani e il bombardamento della Serbia. Nel 2014 con lo scontro nel Donbass. Ma ora il conflitto si è esteso, minaccia di generalizzarsi, rinfocolando nuovi nazionalismi, rinnovando la corsa all’armamento, il risorgere dello sciovinismo, dello spirito di unione sacra con cui le borghesie rivali rimbecilliscono il proprio proletariato per prepararlo a un massacro generalizzato.
La borghesia ucraina e tutte le borghesie europee ricorrono nuovamente all’appello all’unione sacra. In Ucraina si reclutano e si mandano al fronte i proletari dai 18 ai 60 anni, si stabilisce il coprifuoco e la legge marziale. La Germania approva l’aumento dei fondi destinati alla spesa per armamenti. La Francia invoca a gran voce la costituzione dell’esercito di difesa europeo. Ognuna di esse e tutte insieme fanno appello all’unità nazionale e patriottica contro il nemico esterno, ipotizzano misure da economia di guerra; quindi niente scioperi o rivendicazioni salariali ma unità (di borghesia e proletariato) a difesa dell’economia nazionale. La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi: la borghesia in tempo di pace sfrutta e affama il proprio proletariato, lo costringe a migrare per poter vivere mentre in tempo di guerra lo manda al massacro, come carne da cannone per difendere il proprio potere.
I proletari devono rifiutare ogni appello a schierarsi in difesa della propria borghesia, ogni patriottismo, ogni sciovinismo, ogni partigianeria.
I proletari non hanno patria, solo l’unione con gli altri proletari del mondo potrà salvarli dal massacro delle guerre imperialiste.
Non un soldo né un soldato per le guerre della borghesia: fraternizzazione dei soldati mandati sui fronti.
E quando la guerra scoppia, le sue conseguenze disastrose sulle condizioni di vita proletarie, devono spingere a trasformare la guerra imperialista in guerra civile, contro la propria borghesia, a fianco del proletariato mondiale, fino all’abbattimento dello stato borghese, fino all’instaurazione della dittatura del proletariato, della società socialista.
Nessuna illusione pacifista potrà fermare la guerra imperialista, solo la rivoluzione proletaria lo potrà.