La brigata Prizrak e il suo comandante: una minaccia in armi alla società capitalistica

Comandante Aleksey Mozgovoi: ad memoriam

“ESLI PADAT’, TO VMESTE” (Se cadrai, cadremo insieme)

Combatants fire their weapons in honour of Aleksey Mozgovoi, a militant leader of the separatist self-proclaimed Luhansk People's Republic, during the funeral of Mozgovoi and his subordinates in the town of Alchevsk in Luhansk region, Ukraine, May 27, 2015. Mozgovoi, a top rebel commander in east Ukraine, was killed along with around six others in an attack by an unknown group of assailants, the press service for the separatist Luhansk territory (LITs) reported on May 23. REUTERS/Alexander Ermochenko

Combatants fire their weapons in honour of Aleksey Mozgovoi, a militant leader of the separatist self-proclaimed Luhansk People’s Republic.

Il 23 maggio 2015 è morto il comandante novo-russo Alexei Mozgovoy (insieme alla sua scorta e due civili), vittima di un attentato dalla matrice oscura. La sua era una figura certamente scomoda, nel senso che probabilmente dava fastidio ai due imperialismi (Americano/Russo) in conflitto sul suolo del Donbass, e forse anche a qualche gruppo criminale-affaristico locale (anche se con il termine ‘affarismo criminale’ si può definire il capitalismo tout court). Progressivamente lui e la sua brigata erano diventati
il catalizzatore di tendenze politiche ‘socialiste’, contraddittorie, confuse, in quanto sembravano riallacciarsi (in apparenza) al defunto sistema sovietico (tendenze prontamente lette in modo distorto, e per questo strumentalmente valorizzate, da una varia brigata di orfani politici del demo-stalinismo nostrano), tendenze in cui giocava un ruolo, inizialmente, anche la solita componente nazionalista grande russa. Tuttavia, nel corso del tempo, la brigata ‘Prizrak’ (parola che significa fantasma), ha svolto compiti di amministrazione di un area abitata intorno a Lugansk, applicando e imponendo misure ‘sociali’ di distribuzione gratuita del cibo e di assistenza sanitaria gratuita, con annesso controllo dei mezzi di produzione economico-aziendali (oltre a svolgere i compiti di difesa della popolazione dalla violenza dell’esercito ucraino).

Sostenevamo, in un precedente lavoro sull’argomento, che data la natura complessa e friabile dei rapporti di classe, e assunto il conflitto fra borghesi e proletari come costante basica della società capitalistica, era prevedibile che una frazione dei combattenti presenti nei due campi, sviluppasse comportamenti non perfettamente allineati al classico copione del proletariato che si fa solo ammazzare nelle guerre imperialiste, sotto le false bandiere nazionaliste (per conto degli interessi della borghesia).
Infatti abbiamo visto crescere il fenomeno delle diserzioni in campo ucraino, e nel contempo aumentare le spinte anti-oligarchiche e ‘socialisteggianti’ nel campo novo-russo.
Scrivevamo, nell’ottobre 2014, in un lavoro presente sul sito e riguardante la vicenda ucraina.
‘Sia ben chiaro che noi non abbiamo nessuna simpatia particolare nei confronti del Moloch statale burocratico-militare russo, che dal nostro punto di vista ha lo scopo di perpetuare l’esistenza della società capitalistica allo stesso modo del Moloch statale burocratico-militare americano: questo l’abbiamo reso esplicito nelle premesse e lo ribadiamo ancora a futura memoria.
Le circostanze contingenti del conflitto in atto vanno tuttavia raccontate, anche se il loro racconto può suscitare il sospetto di essere per partito preso contro uno schieramento e a favore di un altro. In verità l’unico schieramento da noi sostenuto è il proletariato internazionale e la sua immanente lotta di classe contro il regime borghese, di conseguenza il nostro sforzo risiede, anche in questa circostanza, nel tentativo di lumeggiare l’intreccio fra le dinamiche imperialiste e il conflitto di classe.

Come dicevamo nelle  premesse il livello di sfruttamento dei proletari ucraini,senza distinzioni di nazionalità, è uno dei più alti d’Europa, pertanto abbiamo registrato in questo arco decennale, soprattutto nella zona del Donbass, delle proteste operaie di un certo rilievo. Il livello delle retribuzioni è uno dei più bassi d’Europa e le disuguaglianze sociali sono spaventose, a dimostrazione del fallimento di un sistema sociale malato.
A questo punto, su questo scenario economico-sociale disastrato si è innestato il confronto imperialista fra blocchi rivali, in cui al proletariato ucraino (senza distinzioni di lingua o di etnia), è stata destinata la parte della ottusa marionetta che diventa carne da cannone per gli interessi nazionali e internazionali del grande capitale finanziario.

Tuttavia, sembra che una parte dei miliziani del Donbass stia lottando anche per un cambiamento sociale, questa parte non sarà soddisfatta di scoprire che dopo la guerra dovrà ancora farsi sfruttare per poche centinaia di euro, e quindi di essere stata una semplice pedina nelle mani del capitalismo russo, ma anche i proletari ucraini ( quelli che hanno disertato, quelli che sono fuggiti in territorio russo, quelli che hanno affrontato il rischio della fucilazione da parte degli squadroni della morte di Kiev ) non stanno accettando passivamente il ruolo di carne da macello destinatogli dalla giunta filo-americana.
Il successo della controffensiva delle milizie popolari ha mutato i rapporti di forza fra i blocchi imperiali, e almeno in questo scenario locale l’America ha ricevuto una dura lezione.
Diversamente da quanto previsto da altre fonti, noi non abbiamo mai sottovalutato la potenza del blocco imperiale che ruota intorno alla forza economica della Cina e al mastodonte nucleare-militare Russo. Studiare le direzioni e le tendenze di sviluppo del processo storico-sociale, intravedere i segni sotterranei della lotta di classe in questo stesso processo storico-sociale, per poi tentare di fornire un armamento teorico-conoscitivo alle forze della classe antagonista, ci è sembrato e ci sembra ancora oggi il compito elementare di una forza rivoluzionaria’.

Studiare le direzioni e le tendenze di sviluppo del processo
storico-sociale, intravedere i segni sotterranei della lotta di classe in questo stesso processo storico-sociale, per poi tentare di fornire un armamentario teorico-conoscitivo alle forze della classe antagonista. Più chiari di così non si potrebbe essere…
Anche questa volta mettiamo le mani avanti, riproponendo lo stesso passaggio, e invitando i facili critici a desistere da ogni tentativo di farci passare per quello che non siamo. Non siamo così sprovveduti da ignorare che queste guerre hanno la funzione di regolamento di conti fra i blocchi capitalistici concorrenti (allo scopo di definire nuove sfere di potenza, e anche per distruggere la parte di capitale variabile e costante in eccesso). Non siamo così sprovveduti da farci abbagliare dai drappeggi rossi, e dalle bandiere con la falce e il martello utilizzate da alcune unità combattenti novo-russe (per credere di essere di fronte a fenomeni di tipo linearmente rivoluzionario).
Anche le svastiche utilizzate nel campo ucraino sono paradossali, considerando che protettore e ispiratore della giunta ucraina è l’America, vecchia nemica del nazismo. D’accordo, bisogna predicare il disfattismo, la lotta contro la propria borghesia nazionale e contro tutte le borghesie nazionali. E quindi non ci si lascia abbagliare dalle apparenze ‘sinistre’, non è marxista…eppure, se le cose fossero così semplici, potremmo anche evitare di leggere i giornali o di aggiornarci sui fatti del mondo, basterebbe conoscere a menadito i testi della sinistra, et voilà, ecco pronto il mosaico completo in cui ogni novità è già spiegata e compresa. Nel campo storico-sociale invece, le tendenze e i processi potenziali e in atto, sono un po più complessi della descrizione fatta con l’aiuto dei mosaici preconfezionanti; la semplicità, in certi casi, coincide con lo schematismo, il quale, a sua volta, è la gabbia peggiore per la nostra capacità di indagine: una parte dei fenomeni e dei processi sociali presenta dettagli e caratteristiche esteriori diverse dal passato.
Anche se la sostanza non muta, e il materialismo dialettico ci consente di inquadrare con elevati livelli di verosimiglianza le cause dei fenomeni storico-sociali, nondimeno è importante, cioè può essere decisivo per il successo di una azione politica pratica, possedere la conoscenza anche di quei dettagli e di quelle caratteristiche esteriori diversi dal passato. Facciamo ora un salto indietro nel tempo: seconda guerra mondiale, battute finali di una lotta all’ultimo sangue, la guerra totale fra imperialismi capitalistici (indossanti mascherature politico-ideologiche in apparenza antitetiche) è quasi giunta alle porte del terzo reich.
Nell’ottobre del 1944, dopo due mesi di lotta, e duecentomila morti, la comune di Varsavia si arrende ai nazisti (dopo avere atteso invano l’intervento delle truppe sovietiche, attestate a poche decine di chilometri). Ripetiamolo: seconda guerra mondiale, milioni di proletari uccidono e vengono uccisi in nome degli interessi delle rispettive borghesie, eppure a Varsavia accadde qualcosa di inaspettato: leggiamo cosa scrisse la nostra corrente nel 1944.

‘VIVA LA COMUNE DI VARSAVIA’

‘Solo il proletariato aiutato dai semi proletari può dare all’Europa un governo veramente stabile e rivoluzionario I social-comunisti dell’ «Unità» e dell’ «Avanti!» si son guardati bene dal pubblicare l’ordine del giorno del generale Monter-Chrusciel, già comandante del settore di Zolibor, diramato alle ore 19,30 del 3 ottobre. E pour cause.
Essi però si sono affrettati a diffondere l’O.d.G. del sedicente Comitato di Liberazione polacco, residente a Mosca e addomesticato alla maniera staliniana. La ragione di questo inqualificabile atteggiamento? Non è
difficile stabilirla. Basta leggere l’O.d.G. degli eroici difensori di Varsavia.

«Dopo sessantatré giorni di aspra lotta, mancandoci gli aiuti necessari, la difesa non era più possibile. Avevamo due possibilità, o trattare con i tedeschi, oppure tentare aprirci un varco verso le truppe sovietiche.
Le autorità sovietiche non ci hanno assicurato di considerarci come soldati regolari.  Si trattava quindi o di arrenderci alle truppe tedesche che tali qualità promisero di riconoscerci o di affrontare perfino la
deportazione in Siberia.»
La caduta di Varsavia avvenuta nelle condizioni ormai a tutti note è un avvenimento troppo importante perché possa essere passato sotto silenzio da noi che nella resa delle forze partigiane polacche vediamo
l’effetto di una determinata volontà di non intervento da parte dei dirigenti moscoviti.
Quali le ragioni essenziali che hanno indotto i russi a non portare aiuto agli eroici combattenti di Varsavia? 
E per quale motivo il comando russo ha rifiutato a questi strenui difensori delle libertà essenziali del popolo polacco il trattamento che è stato poi riservato loro dal Comando tedesco? I funzionari del PCI e del PSI avranno un po’ di pena a rispondere a un quesito così imbarazzante.
A meno che essi non vogliano annoverare i duecentomila caduti di Varsavia e i centomila prigionieri partigiani come membri della … Quinta Colonna! 
Ma l’interpretazione dell’avvenimento non può essere che unica ed inequivocabile.  Anzitutto le autorità non hanno valutato i partigiani polacchi per quello che essi sono realmente, cioè dei combattenti proletari senza padroni, dei combattenti autonomi della classe operaia lottanti non per la libertà della Polonia dei capitalisti e degli agrari, bensì per l’emancipazione delle classi lavoratrici contro tutti i padroni dell’Est e dell’Ovest, del Nord e del Sud. E’ contro questo atteggiamento  communard che i dirigenti russi hanno inteso reagire negando anzitutto gli aiuti militari a questi combattenti del fronte proletario mondiale e permettendo in secondo luogo il massacro da parte dei nazisti di 200.000 uomini, quasi tutti militanti nel Bund socialista rivoluzionario di Varsavia.
Così mentre la storia del tradimento di Mosca perpetrato in Spagna si è ripetuta a Varsavia, balza fuori preciso e netto quel carattere di classe che sta acquistando il movimento partigiano europeo, respinto fino
ad oggi nell’ombra, in ragione della lotta contro il nazi-fascismo. Carattere che, bisogna precisarlo, è l’elemento classista progressivo scaturito dialetticamente dalla guerra imperialista in cui la Russia gioca un ruolo di primo piano.
La resistenza dei partigiani di Varsavia al ricatto politico di Mosca ha perciò una impronta proletaria ben designata. E come tale essa rappresenta una prima tappa verso la libertà d’azione delle classi lavoratrici dell’Europa e del mondo intero’.
La comune di Varsavia: un evento storico-sociale ancora oggi poco conosciuto, così come è pochissimo conosciuto l’articolo appena riproposto integralmente. Dunque, in determinate circostanze storiche, perfino nel bel mezzo di un massacro immane di esseri viventi funzionale al sistema capitalistico (la seconda guerra mondiale), può manifestarsi la forza della lotta di classe.
L’articolo appena riproposto lo dice chiarissimamente: ‘ Anzitutto le autorità (russe) non hanno valutato i partigiani polacchi per quello che essi sono realmente, cioè dei combattenti proletari senza padroni, dei combattenti autonomi della classe operaia lottanti non per la libertà della Polonia dei capitalisti e degli agrari, bensì per l’emancipazione delle classi lavoratrici contro tutti i padroni dell’Est e dell’Ovest, del Nord e del Sud’. Rimandiamo per ulteriori delucidazioni a un nostro lavoro presente in ‘Testi marxisti’, dal titolo :COMMEMORIAMO A MODO NOSTRO IL PATTO MOLOTOV-RIBBENTROP DEL 1939‘ .
E allora cosa facciamo, tranciamo un drastico giudizio di chiusura politica sull’affare ‘Donbass’, lo inquadriamo sic et simpliciter nella casella predeterminata del mosaico interpretativo che non lasciamo mai a casa, critichiamo di seguito – con vana erudizione – chi ritiene ( come noi ) applicabile a vari e molteplici contesti storici la chiave di lettura contenuta nell’articolo del 1944, e siamo così certissimi di avere fatto il nostro dovere professorale. Nel ‘Donbass’ vengono ripetute parole d’ordine antifasciste, e noi ben sappiamo che l’antifascismo è stato impiegato, storicamente, in funzione conservativa del sistema sociale borghese, tuttavia nell’articolo del 1944 si chiarisce anche: ‘mentre la storia del tradimento di Mosca perpetrato in Spagna si è ripetuta a Varsavia, balza fuori preciso e netto quel carattere di classe che sta acquistando il movimento partigiano europeo, respinto fino ad oggi nell’ombra, in ragione della lotta contro il nazi-fascismo’.
Spiragli, possibilità, percorsi alternativi: la storia umana non è fatta solo di tasselli precisamente incasellati nel comodo mosaico del nostro schematismo teorico, uno schematismo che non vede la relazione dialettica, cioè la complessità, in cui consiste il reale divenire storico-sociale della lotta fra le classi. Alla fine del 1944, la nostra corrente vedeva le tracce di una tendenza e di una possibilità embrionale di lotta di classe perfino dentro ‘il movimento partigiano europeo’. Tale lettura derivava dal riconoscimento della invariante complessità dialettica di ogni aspetto della realtà ‘Carattere che, bisogna precisarlo, è l’elemento classista progressivo scaturito dialetticamente dalla guerra imperialista in cui la Russia gioca un ruolo di primo piano’. Bianco e nero, buono e cattivo, se le cose fossero così elementari, vivremmo tutti felici e contenti nel bucolico mondo dell’Arcadia.

La brigata Prizrak e il suo comandante: una minaccia in armi alla società capitalistica

Si ode sul Dunaj la voce di Jaroslavna, piange al mattino qual gabbiano solitario: «Volerò come un gabbiano lungo il Dunaj, nel Kajala bagnerò la mia manica di seta e al principe tergerò le sanguinose ferite sul suo corpo possente.» ‘Il canto della schiera di Igor’

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Le repubbliche popolari che si sono costituite negli ultimi mesi nelle principali città del Donbass sono guidate da “consigli” di cittadini, ma soprattutto le strutture del comparto minerario (o almeno quello che rimane dopo i bombardamenti di Kiev) è pure esso autogestito da consigli di lavoratori che versano una parte delle rimesse ottenute alla milizia. Una milizia che svolge, oltre ai compiti di difesa, anche la gestione degli approvvigionamenti e la difficile amministrazione dei flussi delle centinaia di migliaia di profughi che cercano rifugio in Russia. I fatti documentati sono questi, niente di più, ma anche niente di meno. Quindi: strutture minerarie autogestite dai consigli dei lavoratori, versamento di parte delle rimesse alla milizia, che si occupa di applicare e imporre misure ‘sociali’ di distribuzione gratuita del cibo e di fornire assistenza sanitaria gratuita. Comunismo di guerra? Infatti, lo stesso che descriveva Bordiga con toni emozionati dal suo ritorno dalla Russia, appena dopo la rivoluzione (egli era ben consapevole che si trattava di comunismo di guerra, e nondimeno narrava ugualmente l’emozione che gli avevano procurato quei primi provvedimenti del governo rivoluzionario). (1)

Riportiamo alcune dichiarazioni di abitanti e miliziani del Donbass, raccolte dalla rete: “Putin sta giocando una partita a scacchi con l’occidente…Per un po di tempo noi siamo stati addirittura i pedoni ma si sa che il diavolo fa le pentole e non i coperchi. Alla fine a forza di giocare tra diplomazie qui abbiamo fatto i soviet e questo di certo non è andato giù a nessuno”.
“Dobbiamo molto alla Russia sia chiaro, anzi dobbiamo molto ai russi. Sono i nostri fratelli. Ma noi non vogliamo annetterci alla Russia. Noi siamo la Novorossiya che vi piaccia o no.”
Pavel C., ex maggiore siberiano dell’armata rossa .” Qui ho ritrovato un motivo per combattere, nuovi compagni, non puoi non sentirti parte di qualcosa più grande di te. Io sono cresciuto e sono stato formato nel mito della lotta vittoriosa al fascismo e oggi può apparire incredibile ma sembra di essere ritornati indietro di 70 anni. “

Le interviste, al di là di ogni distinguo, sono il segnale di una effervescenza sociale e di un riorientamento su basi comunitarie dell’agire sociale, che da individualista e calcolatore (cioè concentrato sulle preoccupazioni esclusive dell’ego), si trasforma in speranza, follia creatrice, entusiasmo rivoluzionario. Possiamo usare molte coloriture e molte parole del vocabolario, tuttavia il concetto di base è che in quei territori sociali sta accadendo qualcosa che sarebbe stupido inquadrare schematicamente nella pura contesa fra imperialismi. Noi sosteniamo che nel Donbass si sta sperimentando la validità di una costante dialettica, il rovesciamento di una tesi nella sua antitesi, poiché proprio sulla base iniziale del confronto imperialista, sta germogliando dalle ceneri di un passato storico (che sembrava definitivamente sepolto), la fiamma di simboli e sogni dimenticati. Il proletariato del Donbass, accerchiato dalle forze preponderanti dell’esercito ucraino, attaccato dalla propaganda del blocco imperiale atlantista, disconosciuto e oltraggiato dai soliti misuratori dell’altrui livello di radicalismo e purezza marxista, sostenuto con sempre maggiore imbarazzo dalla sponda imperiale del Kremlino, sta resistendo e organizzandosi in vista di altre battaglie. Ci sarà naturalmente lo stolto che non riuscirà a vedere nulla di tutto questo, e ci opporrà la sua lettura e i suoi ‘fatti’ (basati normalmente sulle fonti di propaganda atlantiste) cioè, attenti compagni, vi state dimenticando di fenomeni come: rossobrunismo, contractors russi, zarismo, imperialismo russo, mercenari, gas, Putin e via dicendo. Ripetiamolo non ci sono vicende storico-sociali tutte in bianco o tutte in nero, e quindi valutiamo pure bene le variabili sul campo, nessuna esclusa, poi, tuttavia, sforziamoci di individuare le tendenze predominanti (nell’ottica della invarianza basica del conflitto di classe). Noi non abbiamo molta simpatia per il mito classista dei grandi uomini, i ‘battilocchi’, inseriamo infatti a riprova di questo un estratto dell’articolo ‘Superuomo ammosciati’…
Torniamo ai capi di Stato, uomini politici, condottieri, e se volete ai capi rivoluzionari. Fino ad oggi hanno avuto una parte negli eventi, se pure sempre riferita in modo più che distorto ed iperbolico. Tale parte non è quella di una causa primaria, di un primo motore; e non costituisce condizione necessaria… La cosa non è diversa per il capo politico: siamo anzi arrivati al punto che quelli che vogliono fare miglior carriera se hanno qualità di rilievo le smussano e non le impiegano. Alcune volte tuttavia la storia mostra di avere un protagonista, e alcune volte ancora il suo nome diviene noto all’universo mondo, benché tale identificazione non cambi nulla, e in dati casi sia un ulteriore impaccio ed un guaio nero, come per i movimenti rivoluzionari mostrammo.
Questo singolo individuo scelto nella massa della specie può in partenza essere uno qualunque’.


Ecco detto, lungi da noi il culto della personalità del grande capo: il suo ruolo, comunque presente nel corso della storia ‘non è quello di una causa primaria, di un primo motore; e non costituisce condizione necessaria’ . Il capo è invece il catalizzatore, più o meno felice, delle tendenze e dei bisogni sociali esistenti in un certo momento, in una certa società, ovvero in una certa classe.

Le guerre borghesi possono favorire, è storicamente documentato, la diffusione di fenomeni di forte contestazione dell’ordine sociale esistente. La classe borghese, d’altronde, sotto la spinta di potenti condizionamenti di tipo economico e politico (crisi da sovrapproduzione, sovrappopolazione..) è orientata alla distruzione di capitale costante e di forza-lavoro in eccesso, per rilanciare il ciclo di valorizzazione e regolare i conti al proprio interno (fratelli coltelli). La borghesia non può sottrarsi a questa esigenza di sterminio della forza lavoro in eccesso, messa in atto sia per prevenire minacce politiche al suo sistema sociale dalla massa di popolazione impoverita, sia per rilanciare il ciclo di accumulazione-valorizzazione. Tuttavia, come dimostrato da taluni eventi storici ( la comune di Parigi, la comune di Varsavia, Tall el Zathar…), le guerre borghesi possono, dialetticamente, condurre in essere delle risposte proletarie minacciose per il suo regime sociale. Questo è il senso, a nostro avviso, di una parte notevole delle dinamiche e dei processi in atto nel Donbass, e quindi in questa accezione va letta e considerata la nostra valutazione degli eventi relativi alla brigata Prizrak e al suo comandante. Il comandante Mozgovoi, nei fatti, era diventato il catalizzatore sociale di quelle tendenze immanenti di cui parlavamo in precedenza, la sua brigata accoglieva disertori ucraini, volontari europei e russi, in una intervista egli dichiarava scherzosamente di volere condurre la lotta anti-oligarchica fino a Kiev, e poi oltre ancora, fino a Varsavia, Praga, Berlino, Londra. Una variabile socio-militare che quindi (al netto di tutte le contraddizioni sopraesposte) non si allineava perfettamente ai giochi di potere in corso fra i due imperialismi. Alla fine di un processo di maturazione durato quasi un anno, la brigata Prizrak e il suo comandante erano diventati – di fatto, oggettivamente, sotto la spinta di forze sociali di classe – una minaccia in armi alla società capitalistica, senza distinzioni di bandiera: la morte di Alexey Mozgovoi viene quindi pianta dai proletari del Donbass, e non solo del Donbass, e accolta con sollievo dagli oligarchi e dai borghesi raccolti sotto tutte le bandiere nazionali.

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(1) ‘Tuttavia era bello a Mosca sentire che non si pagava il pane, il tram, il treno, non vedere negozi veri e propri (oggi scintillano di luci più che a New York), salvo qualche banchetto di mele, sentire scherzare tra limone e milione, che si dicono suppergiù come da noi, sentire che non si pagava la casa (contro Engels!) ed altre misure. Questa situazione è stata più volte descritta come comunismo di guerra, con evidente allusione alla guerra civile, dato che quella mondiale era finita dopo pochi mesi, per la Russia, e qui ci si riferisce a tutto il 1920.

Si intende forse dire, con l’espressione comunismo di guerra, che si fosse ritenuto possibile adottare subito misure comuniste, e solo ad un certo punto si sia constatato che si trattava di una anticipazione illusoria, e passata la prima esaltazione si sia cominciato a meglio definire lo sfondo economico della situazione? Mai più: il comunismo di guerra non è fatto originale di Russia o del 1917: è universale e vecchio: vigeva in ogni città assediata: come il mantenimento dell’esercito, specie moderno, si fa con formula non di economia individuale, ma collettiva, e il soldato che nel medioevo aveva un soldo, nel tempo borghese non ha salario, così in guerra nelle città assediate il mercato è sostituito dal razionamento: i topi catturati nelle fogne di Parigi nel 1870-71 non si quotavano in borsa, ma si spartivano in natura. Comunismo di guerra: non perché al potere fossero proprio i comunisti, e smaniassero di attuare Marx o Moro, ma perché la Russia, ridotta in certo momento ad un cerchio di duecento chilometri di diametro attorno a Mosca, era come una città assediata. Soldati e cittadini dovevano mangiare: gruppi di operai comunisti o di militi rossi andavano in campagna e prendevano il grano dove si trovava, lasciando o meno una carta’. Le grandi questioni storiche della Rivoluzione in Russia

Programma Comunista” n.15, 26 agosto-8 settembre; n. 16, 9-23 settembre 1955.

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L’articolo completo di immagini è presente nella pagina ‘Testi marxisti’

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