Giornate capitalistiche: schiavitù, rivolta, repressione

 

Da quello che abbiamo esposto si ricava che ogni singolo capitalista, come anche il complesso dei capitalisti in ogni particolare sfera della produzione, hanno un interesse particolare allo sfruttamento e al grado di sfruttamento di tutta la classe operaia da parte del capitale totale non solo per solidarietà di classe, ma per un diretto interesse economico, giacché, supponendo immutata ogni altra circostanza; fra cui il valore del capitale totale costante anticipato, il saggio medio del profitto è legato al grado di sfruttamento del lavoro complessivo da parte del capitale complessivo. Il profitto medio coincide con il plusvalore medio, prodotto ‘pro’ 100 dal capitale e, quanto al plusvalore, quello che abbiamo or ora esposto è di per sé evidente. Esaminando il profitto medio, occorre considerare per giunta il valore del capitale anticipato come uno dei fattori che entrano nella determinazione del saggio del profitto. In pratica il particolare interessamento che un capitalista, oppure il capitale di una certa sfera della produzione, reca allo sfruttamento degli operai da lui direttamente impiegati, si riduce a questo, che egli sia in grado di ricavare un particolare guadagno, un profitto superiore alla media sia tramite un sopra-lavoro eccezionale, sia tramite la riduzione del salario, al di sotto della media, sia tramite una estrema produttività del lavoro utilizzato. Se tali differenze nello sfruttamento del lavoro non esistessero, un capitalista il quale nella propria sfera di produzione non utilizzasse affatto del capitale variabile e quindi non utilizzasse alcun operaio (ipotesi in pratica troppo azzardata), sarebbe interessato allo sfruttamento della classe operaia da parte del capitale e ricaverebbe il suo profitto dal plusvalore non retribuito, esattamente come un capitalista il quale (altra supposizione esagerata) utilizzasse tutto il proprio capitale in salari. Tuttavia il grado di sfruttamento del lavoro dipende, per una giornata lavorativa determinata, dalla intensità media del lavoro e, per una in intensità determinata, dalla durata della giornata lavorativa. Il grado di sfrutta mento determina l’importo del saggio del plusvalore e, una volta data la massa totale del capitale variabile, determina l’importo del plusvalore e quindi del profitto. L’interessamento particolare che il capitale di una sfera della produzione, contrariamente al capitale complessivo, reca per lo sfruttamento degli operai che esso impiega direttamente, il capitalista particolare lo reca, in contrapposizione alla sua sfera, per lo sfruttamento degli operai che lui sfrutta personalmente. Del resto ogni particolare sfera del capitale ed ogni singolo capitalista sono ugualmente interessati alla produttività del lavoro sociale attivato dal capitale totale. Difatti da questa produttività dipendono in primo luogo la massa dei valori d’uso in cui trova espressione il profitto medio, la quale ci importa doppiamente giacché il profitto medio dà vita sia al fondo di accumulazione del nuovo capitale, sia al fondo di reddito per il consumo; in secondo luogo l’ammontare del valore del capitale totale anticipato (costante e variabile) che, a importo del plusvalore o del profitto di tutta la classe capitalistica dato, determina il saggio del profitto, ovvero il profitto per una certa quantità di capitale. La produttività particolare del lavoro in una specifica sfera della produzione o in una impresa individuale di questa sfera interessa unicamente i capitalisti che vi prendono parte diretta, giacché essa dà alla sfera specifica o al capitalista singolo la possibilità di realizzare un profitto extra nei confronti del capitale complessivo o della sfera di produzione. Quanto esposto sta a dimostrare con una precisione che potremmo definire matematica i motivi per cui i capitalisti, i quali si comportano come dei falsi fratelli allorché si fanno concorrenza, rappresentano ugualmente una vera e propria massoneria nei confronti della classe operaia nella sua totalità’. Il Capitale, libro terzo, Marx.

Giornate capitalistiche, prima parte: cronache dalla Cina (la Cina è vicina)

Descriviamo alcuni aspetti della vita di fabbrica di un operaio cinese.

Siamo all’interno di una delle maggiori aziende produttrici di tecnologia elettronica di consumo, l’operaia intervistata racconta: ‘Ogni giorno eseguo dalle quattromila alle cinquemila volte lo stesso movimento’, mediamente un lavoratore salariato occupato in uno degli stabilimenti industriali di questa impresa, compie dai 18mila ai 20mila movimenti per turno. Quotidianamente compie questi movimenti in uno spazio lavorativo ristretto, angusto, isolato dal resto degli altri lavoratori. In una situazione di controllo e sorveglianza continua e asfissiante, in cui è proibito ridere e parlare ( e in ogni caso è obbligatorio raggiungere gli obiettivi di produzione giornalieri, altrimenti si lavora in modo prolungato fino alla loro realizzazione; senza recepimento di compensi straordinari).

Alla fine, si suppone agognata, della giornata lavorativa, si va a ‘riposare’ nel dormitorio comune, dove vigono altre regole onnipervasive; infatti agli operai e alle operaie è proibito lavare per conto proprio gli indumenti, è proibito usare l’asciugacapelli, è proibito rientrare oltre le 23 nel dormitorio e in caso contrario è prevista una punizione. In effetti sia dentro il luogo di lavoro, sia nella camera-dormitorio, il lavoratore è sottoposto a un ordine capitalistico totalizzante: espropriato di plus-lavoro, e nel contempo sottoposto a un regime di controllo dispotico che si estende, tendenzialmente, alle intere 24 ore della giornata. La Cina è diventata la ‘fabbrica del mondo’ estendendo ai limite del possibile le ricette tayloriste e fordiste, in un mix ‘orrorifico’ di velocità e rapidità estrema nei tempi di esecuzione dei compiti, atomizzazione e separazione del lavoratore dai suoi compagni di sventura, e tendenziale controllo e repressione di ogni comportamento non conforme al regolamento di fabbrica.
Il turn over nelle fabbriche cinesi non è un problema, dato il numero di un miliardo e 400 mila abitanti di cui il sistema produttivo può disporre. Il sistema aziendale cinese lavora quindi, tendenzialmente, 24 ore su 24, in una sequenza continua di sfruttamento e dispotismo, il cui significato autentico può essere espresso solo con la parola ‘schiavitù’.

Un aspetto grottesco della situazione è dato dal fatto che diverse imprese capitalistiche operanti in Cina forse compiono, a causa degli obiettivi previsti dal proprio forsennato ciclo di produzione aziendale, delle ‘irregolarità’ rispetto allo stesso ‘amichevole’ complesso di norme esistenti in materia di lavoro, quindi: superamento del limite massimo di ore di straordinario, mancato pagamento degli straordinari, aggiramento delle norme sui tirocinanti, mancato rispetto delle regole sulla sicurezza sul luogo di lavoro, mancata prevenzione e rispetto degli obblighi del trattamento delle malattie professionali.

Giornate capitalistiche, seconda parte: scioperi e rivolte (la Cina è vicina)

Dalla metà degli anni ’90 le lotte operaie in Cina sono aumentate, e soprattutto le richieste di aumenti salariali costituiscono un ricorrente motivo di conflittualità. Dietro la valutazione di un aumento degli scioperi c’è la maggiore visibilità delle azioni dimostrative dei lavoratori – che usano sempre di più i social network – nel contesto di una generale insoddisfazione riguardo le condizioni di lavoro nel Paese. Nel terzo trimestre del 2014 si sono verificati 375 scontri per questioni di salario o di orario di lavoro; mentre nello stesso periodo del 2013, i dati mostravano solo 188 episodi. Nel mese di settembre 2014 i lavoratori di 165 fabbriche hanno incrociato le braccia. Le informazioni in nostro possesso provengono da un sindacato con base a Hong Kong, in quanto il sindacato ufficiale cinese, organismo di rappresentanza degli operai e dei contadini – è da sempre in mano al ‘Partito comunista’ ( e quindi non ha interesse a fornire tali dati). Le proteste maggiori sono nel settore manifatturiero, con il 45% degli scioperi; tuttavia, una crescita importante si verifica nel settore delle costruzioni. Nel terzo trimestre del 2014 su 372 manifestazioni 55 erano relative al settore edile; questo aumento è collegabile alla bolla speculativa sulle costruzioni, inizialmente trainate dai prestiti di Stato e ora in tonfo libero. Altro aspetto da non sottovalutare sono gli scioperi legati al problema dei contributi e dell’assicurazione sanitaria, infatti tale tematica è emersa con forza dopo uno sciopero esteso avvenuto nel 2014, alla Yeu yeun, quando oltre 40 mila lavoratori fermarono la produzione industriale per chiedere contributi e assicurazione sanitaria. Secondo il China Labor Bulletin, dalla metà del 2011 alla fine del 2013 ci sono stati pressappoco 1.200 tra manifestazioni e proteste in Cina e il 40% ha riguardato gli operai delle fabbriche. Parliamo ora ancora dello sciopero dell’aprile 2014, dove decine di migliaia di lavoratori cinesi della fabbrica di scarpe della Yue Yuen di Dongguan arrestano l’attività di sette impianti, provocando il blocco totale della viabilità, nonostante vi siano 3000 uomini della polizia per impedire che i dipendenti scendano in piazza. Il gran numero di poliziotti armati ed agenti di pubblica sicurezza vengono circondati dagli operai della fabbrica, in questa occasione si verificano degli scontri violenti, mentre circa 300 dipendenti (non partecipanti alle proteste) restano bloccati all’interno dell’azienda o in mezzo alla strada. La polizia richiede l’intervento di un maggior numero di personale di sicurezza (anche in borghese), allo scopo di prevenire le violenze. Un dirigente aziendale dichiara: “Questa mattina dopo un paio di schermaglie, ci sono stati diversi feriti sia tra le forze dell’ordine che tra i manifestanti, ma la polizia speciale ha arrestato alcuni dipendenti, mentre agenti in borghese erano già nei dintorni.”

Il Direttore di un altra azienda dichiara: “La fabbrica è presente da tempi relativamente lunghi ed un sacco di dipendenti sono anziani con più di dieci anni di servizio, molti altri con più di 20 anni. Presto andranno in pensione ma, durante quest’ultimo periodo di proteste, essi hanno scoperto che non c’è nessuna legge, nessuna copertura economica per la sicurezza sociale, né la volontà di influenzare le prestazioni pensionistiche future.” Una piccola osservazione: cresce progressivamente il numero di imprese straniere, piazzate nei paesi dell’ex blocco sovietico (ma anche in paesi come la Spagna e l’Italia) che può contare su una vera e propria serie di agevolazioni statali realizzate per attrarre gli investimenti di capitale straniero. Investimenti di soldi asiatici, ottenuti garantendo la chiusura di un occhio sui diritti dei lavoratori (pensiamo al Jobs act). Questo meccanismo di ‘benevolenza statale’ messo in opera per attrarre capitali, produce retribuzioni mediamente inferiori a quelle precedenti. Inoltre, come in Cina, il ciclo produttivo è basato sulla velocità d’esecuzione dei compiti. In questa situazione accade che i capireparto e i capilinea mettano sotto pressione i lavoratori, al fine di mantenere un elevato ritmo produttivo, a tutto discapito della sicurezza (infatti sono aumentati gli incidenti e gli infortuni). In queste aziende ‘benedette’ dal capitale asiatico i lavoratori precari costituiscono il 60% degli occupati, inoltre in queste realtà è diffuso anche l’impiego di dormitori. Questi dati di fatto ci portano a concludere che è in atto un processo di omogenizzazione dei due mondi, quello cinese e quello europeo (in termini di paghe da fame, dispotismo, e ritmi di lavoro allucinanti), a tutto discapito delle già risibili conquiste ‘economico-sindacali’ dei lavoratori europei. Una vera nemesi storica, e soprattutto una dura lezione di realtà per gli impenitenti compagni che un tempo ripetevano lo slogan ‘la Cina è vicina’. Adesso saranno soddisfatti di sapere che il loro sogno si è finalmente realizzato.

Giornate capitalistiche, terza parte: scioperi e rivolte nel bel paese italico (con annessi scossoni tellurici nel bel mondo politicante)

Partiamo dalle lotte per la casa e per il reddito (usando una terminologia esemplificativa). Negli ultimi mesi c’è stato un aumento gli episodi di lotta collegati al problema abitativo e al problema del reddito. Sono anche numerose le “misure cautelari” che hanno colpito decine di attivisti: dai disoccupati e precari napoletani ai facchini di Bologna, fino alle azioni legali contro gli attivisti dei movimenti per il diritto alla casa romani. Con le azioni legali e poliziesche si cerca di attenuare e indebolire il conflitto sociale di centinaia di migliaia di persone, che lottano e mettono in campo pratiche di riappropriazione diretta (resistenza agli sfratti, occupazione di immobili), oppure rivendicano salari e condizioni di lavoro migliori. La repressione diventa subdola e parossistica, arrivando a concepire accuse di “terrorismo” per l’incendio di un compressore, oppure accuse di “devastazione e saccheggio” per una vetrina infranta, e arresti ai danni del movimento no tav. Il nervosismo e le reazioni spropositate dell’apparato poliziesco-giudiziario sembrano in realtà il segnale rivelatore dell’attesa di nuovi e più importanti proteste sociali (sull’onda della crisi economica che attanaglia il paese da 8 anni). Intanto il governo Renzi tira dritto sulla strada assegnatagli dal capitale, offrendo su un piatto d’argento al mondo ‘imprenditoriale’ lo scalpo dell’articolo 18, la riduzione dei diritti sul posto di lavoro, la riforma della scuola e del pubblico impiego, e una generale possibilità di sfruttare più intensamente il lavoro salariato. Tuttavia i segnali di difficoltà e di riposizionamento di una parte del mondo politico, in modo particolare nel partito democratico, smentiscono la boria e l’arroganza dell’attuale primo ministro. Come al solito l’aumento del conflitto sociale produce due risposte diverse ma complementari, entrambe provenienti dalla sfera sovrastrutturale politico-statale. Abbiamo descritto in precedenza l’aumento delle lotte sociali e – in parallelo – il consequenziale incremento dell’azione repressiva – poliziesca e giudiziaria- verso i soggetti di queste lotte. Ora, tuttavia, una situazione sociale difficile può produrre anche altre risposte, concentrate questa volta sul piano della politica politicante (vogliamo intendere risposte un po’ più raffinate della semplice repressione). Fermo restando che a nostro avviso (considerate le scarse risorse impiegabili in politiche re-distributive), la strada maestra seguita dal potere capitalistico in questa fase di conflitto e di crisi può essere solo la repressione, nondimeno risulta interessante osservare i movimenti correlati nella sfera della politica politicante. Il ‘sinistrorso’ Civati, da tempo fuoriuscito dalla casa madre del pd, ha pronto un simbolo, un tondino rosso per il suo nuovo centrosinistra. Tale progetto si appaia, al di là delle differenze di programma, con l’iniziativa dell’altro ‘sinistrorso’ Landini. Quindi abbiamo una doppia fuga a sinistra, con due soggetti fondatori, uno proveniente dal mondo politico (Civati), l’altro (Landini) proveniente dal mondo sindacale. Il buon Civati pensa a Palazzo Madama, dove i renziani restano una quindicina, non di più. Civati potrebbe progettare un’operazione dal sapore apparente di pura alchimia politico-aritmetica: quattro ex grillini + sette Sel + nove tra espulsi e dimissionari grillini + dieci grillini dissidenti + sei «civatiani». Totale: oltre 35 senatori che farebbero gola a qualsiasi governo che nascesse sulla rovina dell’attuale governissimo demo-autocratico Renzi. I numeri sono incerti e ballerini, anche se molti politici e parlamentari sperano che da qui al 4 luglio, quando Stefano Fassina (appena uscito dal pd) lancerà dalla Garbatella il suo progetto politico che si rivolge a Sel e alla coalizione sociale di Landini, altri soggetti si uniranno a lui e ai fuoriusciti Civati, Pastorino e Cofferati. Tuttavia questo progetto, utile a sminare almeno in parte il conflitto sociale, sostituendo l’odiosa e ormai logora figura di Renzi con un volto più umano, dovrebbe affermarsi non prima che l’attuale governo fosse riuscito a somministrare ai proletari tutte le stangate previste dal programma confindustriale e dall’Europa. La tempistica è quindi importante per prendere due piccioni con una fava, e quindi assestare ora un colpo alle condizioni di vita dei proletari (con il governo Renzi), e sottrarre dopo forza alla risposta di lotta (con l’inganno di un nuovo governo senza Renzi). Se ne deduce, quindi, che per servire bene il capitale un uomo politico deve ponderare attentamente il momento della discesa in campo, solitamente nella veste di innovatore e castigamatti, e poi valutare l’inevitabile uscita di scena, accompagnato dalla rabbia dei soggetti sociali danneggiati dalle politiche antipopolari messe in atto per favorire il profitto aziendale, e il dominio della minoranza sociale borghese. Sic transit gloria mundi.

Partito comunista internazionale, Schio via Porta di Sotto 43

 

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