L’Isis ha rivendicato sui social media la paternità dei recenti attacchi terroristici. Quindi paesi come Tunisia, Francia, Kuwait e Somalia sono sotto attacco della furia fondamentalista: la jihad si è sfrenata nel venerdì del Ramadan colpendo tre continenti quasi contemporaneamente. Esponevamo, nel dicembre del 2014, alcune considerazioni ancora attuali sul ruolo terroristico dell’Isis e sulla sua funzione di supporto oggettivo alle strategie di dominio imperiale (almeno di uno degli attori concorrenti presenti sulla scena storica, cioè l’America). Purtroppo la scia di sangue lasciata in giro dalle azioni di questo e anche di altri gruppi integralisti non accenna a diminuire, e diciamo noi difficilmente diminuirà, fintanto che non saranno rimosse le condizioni strutturali (economico-sociali) e sovrastrutturali (politico-statali) che ne hanno determinato l’esistenza.
Riproponiamo l’introduzione di quel lavoro presente da tempo sul nostro sito.
Isis: cronaca di un inganno
‘Ordo ab chao’
Non riteniamo che sia nostro compito svelare, attraverso questo articolo, i complotti misteriosi del capitale americano (a dispetto di quanto si potrebbe pensare osservando le immagini relative ai simboli e al motto iniziatico ‘ordo ab chao’). Certo, la segretezza del potere è un elemento sistemico, basico, nella funzionalità operativa del comando politico, infatti tale aspetto presenta dei caratteri ricorrenti in ambienti storico-sociali differenti, eppure riteniamo (come sempre) che sia indispensabile indagare prima di tutto i cambiamenti avvenuti nella struttura socio-economica e successivamente intraprendere una descrizione analitica dei corrispondenti processi sovrastrutturali. In ogni modo, prima di approfondire l’analisi delle dinamiche socioeconomiche strutturali che sono all’origine degli attuali sommovimenti in medio oriente, vorremmo tentare di spiegare l’apparente paradosso semantico del motto ‘ordo ab chao’: come può sorgere l’ordine dal caos si chiede una mente ingenuamente democratica, la mente di un cittadino credulone che vede l’apparato statale americano come un sincero difensore dei valori della libertà e della pace nel mondo? Noi non siamo complottisti, ma non siamo neppure degli ingenui che fingono di ignorare il ruolo della massoneria nella sovrastruttura politica della società americana, ecco quindi svelata la connessione fra il motto massonico e l’attuale politica americana del caos. Sia ben chiaro; non vogliamo sostenere che la politica del caos derivi dal motto, ma solo che il motto rispecchia, suo malgrado, una realtà operativa del potere politico (già svelata dal Machiavelli) finalizzata all’efficacia e all’efficienza del comando di un soggetto dominante su un soggetto dominato. ‘Divide et impera’ dicevano i latini, ben prima del Machiavelli, alludendo alla necessità di separare e dividere il bersaglio delle mire imperiali, per poi meglio asservirlo e controllarlo. La politica del caos, in definitiva, svolge una funzione di consolidamento e conservazione del dominio di un apparato statale, e quindi di una classe sociale (considerando lo stato com’espressione del dominio di classe), in una determinata situazione storico-sociale. I soggetti che operano in funzione direttiva nella sfera del comando politico statale borghese, sono costretti ad usare tutti i mezzi per conservare la dittatura di classe del capitale: la politica del caos è solo un mezzo, di sicuro fra i più estremi e disperati, cui è costretta a ricorrere la borghesia (o una sua frazione) per salvare gli affari e i profitti insidiati dalla crisi economica e dalla concorrenza feroce d’altre frazioni di borghesia nazionale e internazionale. Nell’apparato statale si condensa l’autorità e la forza pratica della borghesia sul proletariato, ma esso, non dimentichiamolo, è anche uno strumento per supportare la lotta concorrenziale con le altre borghesie nazionali. Come nell’economia capitalistica osserviamo senza dubbio di sorta i fenomeni di concentrazione e centralizzazione dei capitali, così anche nella sovrastruttura politica internazionale assistiamo alla formazione di conglomerati imperialistici sulla base di convergenze di comuni interessi geo-economici. Questi conglomerati di potere economico-politico sono interessati alla conservazione e possibilmente all’ampliamento del proprio giro d’affari, cioè alla solita conquista di quote crescenti di plus-valore ottenuti mediante lo sfruttamento degli schiavi salariati. Alla fine, il tutto si riduce ad un semplice problema di tutela degli interessi di bottega e di portafoglio, un fatto normale e prevedibile in una società basata sul valore assoluto del mercantilismo e dell’aziendalismo. L’accaparramento e il consolidamento di quote di mercato, il possesso o il controllo di sezioni importanti di capitale costante e variabile, il possesso o il controllo delle risorse energetiche necessarie per fare proseguire il folle ciclo della produzione capitalistica, sono fatti storicamente inconfutabili, evidenze oggettive, legate al funzionamento fisiologico del sistema, esigenze e brame che sono messe in pratica attraverso i disegni politici imperiali dei due blocchi geo-politici esistenti. L’urgenza drammatica d’efficaci disegni politici di dominazione si manifesta particolarmente nei periodi di crisi, quando la sovrapproduzione di capitale costante e variabile impone la distruzione delle risorse tecniche e umane in eccesso (per consentire il successivo rilancio del ciclo di investimenti e di valorizzazione). Nella realtà contemporanea la politica del caos si manifesta come il tentativo estremo, condotto dal blocco raggruppato intorno agli Stati Uniti d’America, di conservare e mantenere inalterato il proprio ruolo di comando all’interno della società capitalistica globale. E’ un tentativo estremo, perché parte da una situazione di fatto d’indebolimento del peso economico dell’America sul mercato mondiale, una decadenza che spinge quindi il gigante americano a tentare ogni stratagemma pur di conservare il passato predominio. Gettare nel caos i territori e i mercati che vogliono liberarsi dal controllo imperiale, oppure diffondere il caos nei territori e nei mercati ancora liberi dal controllo imperiale, sono i due poli complementari della politica americana internazionale, finalizzata all’obiettivo unico del dominio globale: una tecnica antica e raffinata di dominazione, degna, oseremmo dire, delle migliori tradizioni storiche delle élite schiaviste americane. Una delle fasi più importanti attraverso cui si dispiega questa raffinata arte della dominazione è la disgregazione degli stati nazionali, intendiamo in questo caso – ovviamente – la disgregazione degli apparati statali relativi ai territori e ai mercati che vogliono liberarsi dal controllo imperiale, oppure ai territori e ai mercati ancora liberi dal controllo imperiale. La decomposizione di questi apparati statali preesistenti, nasce, generalmente, da pressioni imperiali esterne, associate, talora, a spinte interne provenienti da quelle frazioni di borghesia nazionale desiderose di accaparrarsi quote maggiori di plus-valore, cioè un ruolo economico– politico migliore dentro il quadro nazionale. Abbiamo in un precedente lavoro ipotizzato una sequenza socio-economica costante, fondata sulla lettura della realtà contenuta principalmente nel primo e nel terzo libro del Capitale di Marx, alla base delle ricorrenti vicende belliche della società contemporanea. Il meccanismo sociale capitalistico, svelato potentemente nel testo di Marx, ci induceva ad ipotizzare che la guerra svolgesse un’importante e fondamentale funzione di riequilibrio dei parametri d’operatività ‘normali’ del dominio borghese. Una risposta ricorrente alle crisi ricorrenti del capitale, dove l’eccesso di capitale costante e variabile, mezzi tecnici di produzione e forza lavoro umana, sono distrutti in qualche modo per consentire il rilancio del processo di valorizzazione, la cosiddetta crescita economica, sulle macerie del surplus appena eliminato. Questa sequenza causale ci sembra fondamentale per leggere correttamente il percorso socio-economico alla base delle turbolenze belliche contemporanee. Tuttavia abbiamo sempre pensato che accanto ad una causa principale possano ipotizzarsi, nella genealogia degli eventi storici, delle cause secondarie, derivate e collaterali, rispetto alle determinanti di base materialisticamente individuate. Le vicende belliche poste in essere nei vari teatri regionali si presentano sotto forme fenomeniche variegate, bizzarre, apparentemente legate alle rivendicazioni nazionaliste e religiose più che alla realtà del conflitto di classe fra capitale e lavoro. Eppure se noi tentiamo di vedere sotto e oltre l’apparenza dei fenomeni che emergono sulla superficie della storia, allora dobbiamo scendere nella realtà della divisione ‘strategica’ , generale e di lungo periodo della società esistente in classi contrapposte, e di seguito nella ulteriore divisione ‘tattica’, particolare e di breve periodo, che può prodursi all’interno di una stessa classe sociale. In periodi di congiuntura economica sfavorevole come quello attuale, caratterizzati da una profonda e diffusa crisi da sovrapproduzione, non appare peregrino ipotizzare delle turbolenze sociali interne alla stessa classe borghese, finalizzate alla ripartizione del residuo bottino di plus-valore ancora estraibile dal lavoro vivo della classe proletaria. Una dura e spietata resa dei conti si svolge sotto i nostri occhi, e diventa visibile al di fuori del mascheramento ideologico nazionalista e religioso, tra frazioni sociali interne alla stessa classe borghese irachena, siriana, egiziana, libica…con l’apporto determinante nella contesa delle borghesie imperialiste europee, americana, russa, cinese e così via, al puro scopo di ridefinire la quota di plusvalore da accaparrarsi e il conseguente livello di dominio politico-militare da rivendicare sulla scena globale. Osserviamo sbigottiti il proliferare di conflitti su base apparentemente religiosa in varie zone del globo, sedicenti neo-emirati contendono il dominio d’uomini e territori alle vecchie strutture di potere, spesso legate all’imperialismo a stelle e strisce. Garantendo ove possibile un minimo d’assistenza alle componenti sociali più povere e bisognose d’aiuto, e ottenendo in cambio un corrispondente consenso politico. Cercando di forare il velo dell’illusione nazionalistico-religiosa, ci accingiamo a descrivere i fattori sociali reali che si nascondono dietro questi movimenti integralisti, svelando inoltre la loro funzione al servizio delle mire di potere di componenti importanti della borghesia americana e dei suoi alleati internazionali.