Nota redazionale: riproponiamo un breve articolo del 1960, in esso ritroviamo validi spunti per un confronto con i moderni scandali della politica italica contemporanea. Nulla di nuovo, dunque, sotto il sole che riscalda le giornate capitalistiche passate e attuali. Il personale politico intercambiabile del capitale (di varia coloritura), intrallazza sempre, oggi come allora, per svolgere un ruolo di supporto al meccanismo sociale-economico esistente, ritagliando per se stesso uno spazio di privilegio dentro il baraccone del potere statale. Tuttavia la questione morale è fuorviante e mistificatoria, ecco cosa è scritto nel testo ‘Intrallazzo? Prostituzione? Queste immagini vorrebbero dire che tutta la quistione italiana è una questione morale e l’invettiva vale quella di un discorso Merzagora? Mai più: è solo il fine di brevità che giustifica certe drastiche figurazioni. Dall’altro secolo distingue i marxisti dai buoni radicali borghesi il rifiuto delle quistioni morali e dell’uso dello scandalismo, in cui guazzano sempre più i rinnegati della nostra fede. Quando si pone, come risolutiva, la domanda: da quale parte sono i porci? la risposta giusta è sempre quella: da ambo le parti! Per il marxista la domanda risolutiva è quella delle posizioni di classe, e sempre abbiamo sostenuto che per porla dialetticamente si deve dire: ammesso che dalle due parti siano non porci, ma puliti ed onesti, quale delle parti va combattuta?’
Ci viene da pensare alle attuali battaglie moralizzatrici di certi movimenti politici, eredi a loro volta di altri partiti e movimenti (ormai scomparsi) che nel corso degli ultimi venti anni hanno svolto una analoga funzione di denuncia del malcostume e degli scandali in nome della ‘buona politica’: ovvero la politica dalle mani pulite opposta al malcostume e all’affarismo. Su questo ci sarebbe tanto da scrivere, tuttavia ci limitiamo a due osservazioni. L’intrallazzo, inteso come una prassi volta al cambio spregiudicato di schieramento, da parte di taluni attori politici, è un elemento regolare della sovrastruttura politico-statale borghese; la sua funzione è quella di assicurare un referente politico che metta in atto (dalla cosiddetta stanza dei bottoni governativa) gli input del capitale. Quindi il cambio di schieramento, l’intrallazzo, hanno spesso il fine di assicurare la formazione di una maggioranza parlamentare, e quindi un esecutivo ad essa corrispondente, che possano tradurre in azione legislativa gli input del capitale (nazionale e internazionale, quando si tratta di stati vassalli come l’Italia). Non bisogna dunque approcciarsi in modo ingenuo a queste dinamiche, operanti in modo regolare nella sfera politico-sovrastrutturale del capitale, esse svolgono, al di là degli aspetti più umanamente discutibili, una funzione di ripristino dei parametri sistemici alterati dalle ricorrenti crisi politiche (espressione a loro volta del conflitto fra diversi e contrastanti interessi di frazioni della classe borghese). I contrasti inter-borghesi non possono prolungarsi oltre una certa soglia temporale, pena la stessa solidità del comando sul corpo sociale dominato, e quindi alla fine il personale politico-amministrativo del capitale deve giocoforza trovare una quadratura del cerchio fra i diversi interessi, fornendo agli input della frazione vincente di capitale un adeguato strumento parlamentare – governativo per la loro trasformazione in output legislativi. Accennavamo in un articolo, pubblicato ad agosto sul sito, della fretta con cui l’attuale esecutivo cerca di realizzare le riforme necessarie al sistema economico del capitale (soprattutto alla sua frazione finanziaria). Le politiche dell’attuale maggioranza si innestano, in modo tautologico, sul solidissimo ramo di azione politica ricorrente dei governi borghesi: un ramo che consiste nel conservare il modo di produzione capitalistico espressione della classe sociale borghese (di cui i governi e i parlamenti sono a loro volta espressione e strumento legislativo). In questi ultimi anni le riforme del capitale hanno colpito le condizioni di vita dei proletari, intensificando la ‘produttività’ del lavoro (ovvero l’aumento della quantità reale di plus-lavoro rubata al lavoratore, sia con le sotto-retribuzioni dei nuovi contratti di formazione-lavoro, sia con il jobs act e il blocco dei contratti), e inoltre mortificando il potere d’acquisto delle retribuzioni ( con l’aumento dell’IVA sui beni primari, con la tassazione delle case, l’aumento dei servizi comunali, etc,etc).
Dunque, al di là delle contingenti coloriture pittoresche dell’intrallazzo politicante, non bisogna mai distogliere l’attenzione dal quesito posto nel testo del 1960: ‘ammesso che dalle due parti siano non porci, ma puliti ed onesti, quale delle parti va combattuta?’
La risposta è implicita nella stessa domanda, l’azione di lotta della classe che viene derubata quotidianamente di una porzione di plus-lavoro nelle imprese del capitale riguarda entrambe le parti, in quanto entrambe le parti sono parte del personale politico funzionale alla continuazione di questo stesso furto di plus-valore.
D’altronde già in origine la ‘riscrittura delle regole’ post-fascista nasce dal compromesso fra frazioni borghesi.
‘La costituzione del 1946 è di un tempo di compromesso tra preti massoni e marxisti (!) pur mò usciti dal blocco partigiano o dai nascondigli in convento’.
Si tratta dunque di ribadire ancora una volta la natura prettamente mistificatoria della maschera di neutralità della sovrastruttura politico-statale borghese. ‘Antifascismo, antiporcismo? Ti conosco mascherina!’
La definizione forte di vomitorium montecitorii nasce proprio dalla conoscenza marxista del rapporto dialettico fra la sovrastruttura politico-statale e la struttura economica della società capitalistica. Può apparire schematico, dogmatico, ma alla fine la spiegazione più efficace è proprio quella più semplice.
Dal nostro punto di vista gli attuali giocatori lanciati nell’agone politico sono delle maschere, sotto cui si nasconde il volto unico della dominazione di classe borghese.
Il compito specifico di un partito marxista è quello di ricordare e riproporre queste elementari acquisizioni conoscitive, patrimonio storico invariante di tesi e analisi sorte sull’onda della lotta di classe in particolari svolte storiche dell’umanità.
Alla fine dell’articolo del 1960 si ricorda che ‘il geniale ironista Petronio Arbitro si poneva il problema della migliore tecnica per poter vomitare. Il tale, narrava, usa un bastoncello di avorio e si vellica l’ugola – un altro si fa mettere in gola le dita da uno schiavo – un terzo ingoia acqua tiepida con gocce di olio. Io, sorrideva Petronio, mi limito a leggere una poesia di Nerone. Se fosse vivo oggi, potrebbe leggere l’ultimo voto del C.C. del P.C.I.’
A distanza di 55 anni dal 1960, lasciamo al lettore attento l’imbarazzo della scelta dei testi ‘politici’ adeguati all’inevitabile vomitorium ( che sorge dallo spettacolo del vano agitarsi di personaggi transitori, comete, dietro cui si nasconde il volto unico della dominazione di classe borghese).
VOMITORIUM MONTECITORII
In un modo o nell’altro – seguiamo poco i particolari stufosi di tale prassi – siamo usciti fino a nuovo ordine dal periodo di crisi ministeriale. Dicono che abbia avuto il primato della lunghezza: non sappiamo se il governo Tambroni avrà un primato della brevità: è chiaro che non ce ne frega nulla.
Ma sulla «sinistra democratica», popolare, socialcomunista, e così via, e (a dire dei suoi portavoce) sulle masse lavoratrici, settore timidamente ammesso nel gran corpo dei veri italiani e dei cittadini onesti, il lutto è sceso, nella caligine della delusione e della tristezza, ancora una volta. La democrazia cristiana è, ancora una volta, al potere con un governo di amministrazione e di affari. Ma è questo che punge i disillusi di oggi: l’Italia non può avere che governi che fanno fare affari, governi di intrallazzo. La rabbia della nobile opposizione è che proprio questo, a destra e a sinistra, è il suo traguardo.
La borghesia italiota, passando dalla destra del regime fascista alla sinistra della costituzione libero-partigiana, ha marciato decisa verso il più alto intrallazzismo. E’ fatto palese nella generica e nella specifica della sua funzione storica.
Lutto dunque a sinistra; non siamo più nel roseo tempo di crisi. Se avessero inventati i contatori Geiger per la tensione della libidine politica, questi da qualche giorno avrebbero cessato di impazzire gioiosamente. E nell’oscuro delle note botteghe si sarebbe ridotti a consultare nelle gramaglie del segreto ansioso, le immobili lancette. Non che lì si sia tanto ingenui da credere sul serio che nella parentesi di crisi l’intrallazzo sosti preoccupato. Oh!, que nenni! può dire in francese…Nenni: l’intrallazzamento vi celebra i migliori suoi saturnali. Fabbricate l’altra crisi, e l’amministrazione statale italiota dal vertice in giù varerà un’altra flotta di classici suoi carrozzoni nelle more (dite così in gergo?) di essa.
Finita la crisi come si sapeva, nella esecrata combine clerico fascista, non si doveva, nel deludente silenzio del corteggiato vertice, dare corso all’appello alla base? Non si era minacciato l’intervento delle masse?
Le masse si muovono forse a Seoul o ad Istanbul; ma a Roma o a Milano o a Napoli, come le stelle, stanno a guardare: esse dormono; ed Intrallazzo lavora.
Da quarant’anni la castrazione della forza rivoluzionaria si fa con la vantata nuova dottrina della spontaneità delle masse, in nome della quale si è ucciso il partito rivoluzionario e la lotta di classe, soli aspetti storici della loro vitalità e dinamica. Le masse spontaneamente dormono davanti al peggiore degli intrallazzi: quello dei traditori della rivoluzione, quello del partito ex comunista. La dottrina della spontaneità consiste nella fede nella illimitata coglionabilità delle masse, a cui oggi si può tutto propinare, anche consegne che mezzo secolo fa avrebbero indignato il più riformista dei socialisti, come la invocazione di un governo democratico amico della Costituzione e dei lavoratori.
Le masse che attendevano salvezza dalla costituzione e dalle decisioni di Gronchi, come promesso dai loro «esponenti», se sono rimaste di ghiaccio, che colpa ne hanno? Presidenzialmente e costituzionalmente il clerico fascista Tambroni è in regola. Le masse slittano di un altro scalino nel nullismo. Crediamo aver ricordato un episodio del 1948. Un vero compagno, comunista da Livorno, marittimo che nel ventennio ci veniva a trovare ad ogni viaggio atlantico, era, il poveraccio, come tanti altri passato al centrismo elettorale; e sognava. Sapemmo della sua morte. La compagna ci scrisse da Genova: è andato giù giù dopo questa sconfitta! Era la vittoria DC del 1948… Al proletariato i rinnegati hanno tolto virilità, vitalità e la stessa vita.
Costituzione! Contiene già tutta la salvezza; basta vegliare a che sia rispettata. Questo, o merda delle merde, sarebbe il principio leninista sullo Stato!
Nel 1898 la borghesia italiana voleva abolire le garanzie costituzionali per reprimere gli insorti. La sinistra radicale di allora (i socialisti erano un pugno in Parlamento, e Turati era in piazza) chiamò eresia il principio che con la maggioranza della Camera si poteva votare lo statuto. Questa era una posizione analoga a quella, che si vanta modernissima, dei «Marxisti» di oggi.
Ma allora si trattava di difendere la costituzione albertina del 1848, la cui data di storica nascita era data di rivoluzione borghese sì ma degna allora di sangue proletario. La costituzione del 1946 è di un tempo di compromesso tra preti massoni e marxisti (!) pur mò usciti dal blocco partigiano o dai nascondigli in convento. La protesta di sessant’anni fa era contro la violazione di una vergine quella di oggi è contro il commercio di una puttana.
Intrallazzo? Prostituzione? Queste immagini vorrebbero dire che tutta la quistione italiana è una questione morale e l’invettiva vale quella di un discorso Merzagora? Mai più: è solo il fine di brevità che giustifica certe drastiche figurazioni. Dall’altro secolo distingue i marxisti dai buoni radicali borghesi il rifiuto delle quistioni morali e dell’uso dello scandalismo, in cui guazzano sempre più i rinnegati della nostra fede.
Quando si pone, come risolutiva, la domanda: da quale parte sono i porci? la risposta giusta è sempre quella: da ambo le parti! Per il marxista la domanda risolutiva è quella delle posizioni di classe, e sempre abbiamo sostenuto che per porla dialetticamente si deve dire: ammesso che dalle due parti siano non porci, ma puliti ed onesti, quale delle parti va combattuta?
Questa formola sola ci avrebbe salvato dallo scandalismo mefitico italiano, vecchio di un secolo, e tra l’altro dalla sua folle impostazione della questione meridionale (regionale in genere, oggi di moda).
Un nobile paese, la Sicilia, dal grande passato rivoluzionario, è presa oggi per unità di misura della corruzione. L’esempio dei disgustosi episodi serve bene per illustrare la formola: quali i porci? Tutti e due!
Le bombe scandalistiche sono scambiate in 48 ore. Il democristiano Santalco annunzia (da mammoletta) che lo volevano comprare perché lasciasse la D.C.: il denaro lo aveva offerto il milaziano Corrao e il comunista Marraro. Come far capire alle grosso-beventi masse che non è vera l’accusa di corruzione? Controscandalo, contro bomba: Santalco non è una mammoletta, è un porco, un intrallazzatore concussore nella amministrazione comunale messinese. Colpo parato! Ah, poveri proletari, quanto è debole la parata! Se Santalco è venale, ben verosimile che proprio lui fosse scelto per comprare quel voto o due, che invertivano la maggioranza incerta. E la formola va proprio bene: gara morale? Porci da tutti e due i lati!
Importa a noi che nella valle di Giosafat sia bianca o nera l’anima di Santalco Corrao o Marraro? Ma nemmeno un copeco falso! A noi importa che i lavoratori non siano deviati senza speranza dalla giusta impostazione. Il senso di questa storia lurida è che i voti missini, che servono per chiedere la testa di Tambroni a Roma, furono accettati dai comunisti a Palermo quando fu varato il primo governo Milazzo spezzando la D.C.; governo poi rovesciato nel descritto episodio intrallazziere. Buoni quelli, buono Santalco.
La stessa manovra è il clou del pensiero storico delle botteghe oscure. Fare a Roma quello che si fece a Palermo. Spezzare il blocco voti della D.C. in modo di varare un governo aperto a sinistra. Domani per far tracollare la bilancia servissero i voti missini? Giusta la sua strategia, Togliatti li prende; anche se restassero smarriti i Nenni e i Saragat (nessuno con ciò è per noi mammoletta! traditore e nemici tutti).
Antifascismo, antiporcismo? Ti conosco mascherina!
I romani antichi usavano dopo consumato il lauto banchetto nel triclinium, passare in un cubicolo detto vomitorium ove vuotavano gli stomaci pieni per ritornare e ripranzare. Atleti e guerrieri, i romani della classe dominante avevano solidi stomaci, che mancano ai borghesi moderni. In Francia si limitano oggi al «trou normand» o buco normanno che consiste in una bevuta di liquori ultralcoolici che danno l’impressione che il ventre sia vuoto di nuovo.
Plebei schiavi e proletari stanno ancora studiando il modo di chiudere il buco la prima volta.
Comunque, il geniale ironista Petronio Arbitro si poneva il problema della migliore tecnica per poter vomitare. Il tale, narrava, usa un bastoncello di avorio e si vellica l’ugola – un altro si fa mettere in gola le dita da uno schiavo – un terzo ingoia acqua tiepida con gocce di olio. Io, sorrideva Petronio, mi limito a leggere una poesia di Nerone.
Se fosse vivo oggi, potrebbe leggere l’ultimo voto del C.C. del P.C.I. La parola ultimo vale per quelli di ieri e quelli di domani. Chi li legge più?
Noi non abbiamo triclinium.
il programma comunista, n. 9, 26 maggio 1960