‘Macchinismi’ di ieri e di oggi

 

Nota redazionale: ecco ancora una riproposta, stavolta presentiamo degli stralci da un articolo che ha visto la luce nel 1975, sulla rivista ‘programme communiste’, in Francia. L’intento, diciamo polemico, emerge già nel titolo, in cui si parla di ‘superatori del marxismo’, e infatti tutta l’esposizione successiva va a criticare in modo dettagliato e inesorabile determinate posizioni liquidatrici.

Diciamo senza alcuna finzione che abbiamo deciso di pubblicare l’articolo del 1975 perché anche oggi, anno 2016, ci sono in giro posizioni essenzialmente analoghe a quelle sottoposte a dura critica nell’articolo del 1975. Gli errori possono commetterli tutti, si dirà, tuttavia quello che cambia e fa la differenza, è la gravità dell’errore e la tendenza dell’errante alla sua ripetizione. Quando l’errore rimette in discussione i capisaldi teorici della dottrina marxista, come quando si sostiene che la crescita del macchinario impiegato nei processi economico-aziendali, è un sicuro, e sottolineiamo la parola sicuro, indicatore della imminente trasformazione socialista dell’economia, o addirittura del grado di comunismo già in essa presente, allora è chiaro che questa posizione errata è una gravissima distorsione mistificatoria del senso autentico della realtà. Possiamo dissertare sulle cause sociali dell’errore, indicando nelle sconfitte pratiche della classe proletaria sul terreno storico l’origine delle elaborazioni opportuniste. Tuttavia questo non basta, poiché le posizioni opportuniste, pur comprese nella loro genesi sociale, vanno poi smontate teoricamente e denunciate nella loro funzione invariante di puntello al sistema sociale borghese. Quindi possiamo pure sbellicarci dalle risate leggendo le attuali fatiche fanta-economiche dei nostri contemporanei utopisti, tuttavia, passata l’ilarità, diventa necessario rimboccarsi le maniche per analizzarne gli errori, e smontare le pericolose mistificazioni in essi contenute, proprio come è stato fatto dai compagni nell’articolo del 1975. Anche nel 1975 qualcuno sosteneva che l’automazione avrebbe aperto la via di un nuovo mondo, anzi, che di fatto questa via e questo mondo erano già quasi del tutto realizzati; leggiamo perciò la risposta che viene data nell’articolo di ‘programme communiste’ a questa idea. Ci siamo permessi di omettere l’identità della persona oggetto della critica (sostituita con il nome generico di posizione ‘xyz’), omettendo anche il titolo dei testi criticati, essendo a nostro avviso superfluo fare nomi e cognomi quando si tratta di ragionare su tendenze e posizioni con una certa base di diffusione, ed essendo importante criticare l’errore e non l’errante di turno.

Buona lettura

CAPITALE FITTIZIO E CLASSE UNIVERSALE

Il momento di dire qualche parola della «nuova» teoria dei fatti «nuovi» della (posizione ‘xyz’ ) è venuto; e vediamo come la costruisce questa nuova teoria. (Essa) prende come «punti di partenza» effettivamente delle affermazioni marxiste che traducono tendenze reali della società. Ma … isola queste affermazioni dall’insieme della teoria, ignora il processo storico contraddittorio nel quale queste tendenze si manifestano; (essa) eleva queste affermazioni ad assoluto, e considera queste tendenze già realizzate. Si tratta del vecchio metodo metafisico e logico, incapace di cogliere e immaginare un processo dialettico. Si può citare un esempio classico dell’applicazione di questo metodo, non molto distante da questo, delle idee del Sig.Tizio: è la teoria del «super-imperialismo» di Kautsky. Anche quest’ultimo «partiva» da affermazioni marxiste incontestabili, esprimendo la tendenza del capitale alla concentrazione e alla centralizzazione sia economica che politica; e, nella sua testa, spingeva questa tendenza fino al suo sbocco «logico» immaginando un super-Stato che concentra e centralizza l’oppressione e lo sfruttamento imperialista del mondo intero. Lenin ha sgonfiato questa «scoperta teorica» rimettendo molto semplicemente questa tendenza al suo posto; perché se la tendenza al super-Stato esiste effettivamente, la tendenza opposta, la tendenza centrifuga, egualmente esiste. Analizzando i fatti più «nuovi» (e noi ci sforziamo di fare lo stesso) Lenin ha confermato la buona vecchia teoria che conosceva le due tendenze, e prevedeva che la contraddizione fra loro due e le scosse sociali che questa contraddizione produceva, si amplificassero nella misura in cui il capitale si concentra. Se Kautsky rimane ancora prudente e misurato nell’utilizzazione di questo metodo metafisico, la (posizione ‘xyz’ ) lo spinge decisamente fino in fondo e all’assurdo. A Bordiga che «confuta coloro che pensano che lo sviluppo dell’automazione sia una negazione in atto della teoria del valore di Marx», come questa (posizione xyz) afferma molto giustamente, lo rimprovera però perché lui «non tira tutte le conseguenze logiche dall’affermazione che il tempo di lavoro vivo tende sempre più a diminuire nel modo di produzione capitalistico, che l’attività dell’operaio diventa pressoché superflua». Un rimasuglio di pudore gli ha fatto inserire quel «pressoché», ma non è che una concessione formale! In realtà, la sua critica non si indirizza tanto a Bordiga ma alla storia, che si ostina a non realizzare le conseguenze «logiche» di… questa affermazione, e che non ha ancora reso il lavoro degli operai «del tutto» superfluo. Che se questo non avviene, «il partito è l’anticipazione», ci pensa la (posizione xyz) a dare freddamente lo sviluppo «logico» di questa tendenza come già acquisito. Alla nostra affermazione secondo la quale la tendenza del capitale è di ridurre la parte del lavoro vivo nei prodotti per contrastare così dialetticamente la legge del valore che è la base della sua esistenza, affermazione che esprime il fatto che il capitalismo è contraddittorio e che le sue contraddizioni tendono ad accentuarsi, la (posizione xyz) oppone l’idea «logica» del lavoro (degli operai) già superfluo, del valore già eliminato dal capitale stesso, una specie di: «Da un giorno all’altro è possibile distruggere realmente il valore». Più generalmente, per il fatto che storicamente la società capitalistica tende dialetticamente (dunque contraddittoriamente) al comunismo,  la (posizione xyz) tira la conseguenza «logica» che «nella fase finale del capitale (…) questo scimmiotta la società avvenire e realizza le rivendicazioni immediate del proletariato». Ma va ancor più lontano nella ardita anticipazione e non teme di affermare che «il capitale ha realizzato in effetti (sic!) lo stadio di transizione e in una certa misura il socialismo inferiore». Così, prendendo come «punto di partenza» un testo che mostra che non vi è socialismo in Russia, la (posizione xyz) scopre che il capitale ha realizzato il socialismo dappertutto! E farà ancor meglio. Partendo dall’analisi di Marx ed Engels ricordata da Bordiga, che mostra che lo sviluppo del capitale tende ad eliminare la figura del capitalista classico, e dalla dimostrazione marxista di Bordiga che in certe circostanze il modo di produzione capitalistico può svilupparsi senza una classe borghese classica, egli ne deduce, e rimprovera Bordiga di non averlo fatto, che «se le cose stavano così, il modo di produzione capitalistico poteva lui stesso superare le classi, assorbirle, riducendo tutti gli uomini in schiavitù». In trappola, dunque, Bordiga, che ha ricordato con forza che il capitalismo non poteva nemmeno giungere ad uno stato «puro» al punto da eliminare le classi medie! In trappola Engels, che ha mostrato che il capitalismo il più «puro», il più totalmente concentrato e spersonalizzato (cosa del tutto irrealizzabile) resta ancora capitalismo, che non si avvicina al socialismo che per le sue contraddizioni, sempre più esplosive. Engels, che diceva che le classi sociali non sono la causa, ma i prodotti dei rapporti di produzione e di scambio. In trappola soprattutto il vecchio Marx, per il quale solo la dittatura del proletariato e la distruzione dei rapporti capitalistici di produzione potevano abolire le classi! In trappola Lenin, e tutto il movimento comunista: Tizio ha «dedotto» che il capitale può lui stesso superare le classi. Ma che diciamo, «può»? E’ già fatto! Le classi sono superate, non vi è più borghesia, non esiste più la piccola borghesia, il proletariato è scomparso, ma esiste una sola e unica «classe universale» oppressa dal capitale! Se non vi sono più classi, non vi è più lotta fra le classi; che cosa o chi rovescerà la dominazione del capitale? Forse che la (posizione xyz) ci ha lasciato almeno la prospettiva di una lotta di questa classe universale contro il capitale che l’ha ridotta in schiavitù? No, niente di niente. Perché, nello stesso tempo in cui il capitale supera le classi, «il capitale supera i suoi limiti diventando capitale fittizio». Andate a battervi, se potete, contro un capitale fittizio! E, naturalmente, è ancora dallo stesso Bordiga «che siamo partiti per comprendere che cos’era il capitale fittizio, e arrivare finalmente all’affermazione che il capitale non è che una rappresentazione». In altri termini, «partendo» dalla constatazione che, in certe circostanze, del capitale che non esiste ancora e che forse non si realizzerà mai, può funzionare come capitale, Noi, (posizione xyz), Noi abbiamo compreso che cos’è il capitale fittizio: noi abbiamo scoperto che il capitale è diventato fittizio, e Noi affermiamo finalmente che il capitale non è che una rappresentazione. E finì col culo per terra! Eh sì, è partito da Marx e Bordiga, aveva fatto una così bella partenza, che è arrivato agli antipodi! Per il marxismo il capitale è un rapporto sociale, un rapporto reale fra gli uomini, nella produzione prima di tutto; un rapporto contraddittorio che genera classi antagoniste, che le riproduce, ma la cui lotta, culminando nella rivoluzione e nella dittatura del proletariato, deve trainare la sua distruzione materiale. Per la (posizione xyz), non è che una rappresentazione, cioè un’idea che «parassita il cervello di ognuno». Ed eccoci ritornati al 1845, ai più bei giorni dell’ideologia tedesca tanto presa in giro da Marx ed Engels: liberiamo i cervelli degli uomini dalle rappresentazioni che li parassitano… ed essi saranno liberi. E’ semplice, ancora bisognava pensarci! Non parleremmo della (posizione xyz) se non pretendesse conciliare queste (posizioni) inconciliabili, se non tentasse di gettare un ponte dall’una all’altra, e di costruire questo ponte precisamente con i nostri testi marxisti. E, più che combattere questo tentativo, ci importa di vedere come … procede, per premunirci contro gli «slittamenti» che, senza andar così lontano, rischiano di buttarci fuori dalla nostra strada. * * * Abbiamo già visto due aspetti del suo metodo, il fatto di isolare una tendenza di un processo dialettico e di svilupparla in astratto, e il fatto di «anticipare» e di dare questo sviluppo logico per già realizzato. Vi è un terzo aspetto, anche più pericoloso, che serve da veicolo per gli altri: è la passione delle formule, il fatto di gorgheggiare con delle parole o delle frasi diventate formule magiche, di continuare a ripetere formule accostandosi alla loro lettera e dimenticando il loro senso reale. Ci si potrà dire che basterebbe non utilizzare delle formule suscettibili di essere svisate. Ma è impossibile.

LA PASSIONE DELLA FORMULA

Il movimento operaio ha sempre utilizzato degli slogan, delle formule di propaganda che, senza essere assolutamente precise e rigorose, dicono bene ciò che vogliono dire. Citiamo ad esempio le classiche «Espropriazione degli espropriatori!» e «Abolizione della proprietà privata!», che molti hanno rivoltato contro di noi assimilando il socialismo alle… nazionalizzazioni. Di più, è impossibile che in una frase si esprima correttamente il rapporto dialettico di una realtà complessa; inevitabilmente certi aspetti saranno più accentuati di altri. In ogni modo, il «formulista» trova la sua soddisfazione dappertutto e fa stuzzicadenti di ogni foresta. Engels ha utilizzato la «vecchia buona parola tedesca Gemeinwesen (comunità)»?, ed ecco che il nostro se ne impossessa, se ne riempie la bocca e la ripete fino alla nausea, mettendoci dentro solo dio sa cosa. Si spiega che il capitale tende a negare la legge del valore, si parla a proposito del credito di «capitale fittizio»?, ed ecco che il nostro si getta su queste espressioni e le rimugina con grande diletto fino a convincersi che il valore è abolito e il capitale è diventato fittizio, E così avanti… * * * Egli opera nello stesso modo nella questione del partito. In effetti, una delle formule che noi abbiamo usato e che usiamo a proposito del partito dice: «Il partito – è il programma». E’ una formula formidabile, una palla rossa tirata in faccia a tutti gli immediatisti, operaisti, spontaneisti e attivisti. A coloro che si immaginano che è la «volontà rivoluzionaria» che definisce un partito; a coloro che credono che il partito sia la sua composizione sociologica; a coloro che credono che «il movimento è tutto e il fine è nulla»; a coloro che non hanno principi fermi né politica definita, ma attendono che le masse li scoprano spontaneamente; a coloro che chiamano tutti i «rivoluzionari di buona volontà» a unirsi pensando che il programma emergerà democraticamente. Era ed è necessario lanciare quella formula-choc per affermare che ciò che definisce un partito politico è il suo programma, cioè il suo fine storico e le vie e i mezzi che vi conducono.

PARTITOREALE O IDEA DI PARTITO

Evidentemente vi sono stati molti che han preso la formula «alla lettera» e che riducono il partito al programma; bisogna essere «logici», non è vero?: se il partito è il programma, il programma è il partito. Insomma, contro i rospi che, col pretesto che saltano, si prendono per aquile, abbiamo lanciato la formula «l’uccello, sono le ali». Ed è vero che sono le ali che caratterizzano l’uccello: niente ali, niente uccello. Ma la formula diventa stupida se la si prende alla lettera e se si «identifica» l’uccello alle ali. Un paio d’ali che volano da sole non sono un uccello, è un’astrazione, un «angelo» se volete. Rigorosamente l’uccello non è un paio di ali; è un animale che ha le ali, un animale con tutto ciò che questo comporta, delle ossa, dei muscoli, una testa, un becco, un nido, escrementi, ecc. Egualmente, il partito non è il programma: è un’organizzazione militante che «ha» il programma comunista come l’uccello ha le ali. E’ ben vero che questa organizzazione subisce i contraccolpi della lotta fra le classi e che, in un periodo controrivoluzionario, può al limite trovarsi ridotto alla sua più semplice espressione, ad un filo sottile che assicura la continuità e trasmette le acquisizioni del passato alla nuova generazione rivoluzionaria. Ma se bisogna saper accettare e sopportare questo stato di «disincarnazione» del partito – che resta «partito» nella misura in cui compie la sua funzione in questa situazione, è assurdo idealizzarlo, considerarlo come il suo stato «normale» e compiacersene. Ma vi sono stati quelli che l’hanno idealizzato. Se essi hanno potuto credere per un certo periodo di avere qualche cosa in comune con la sinistra, ossia col marxismo, è perché noi eravamo effettivamente ridotti a questo stato di quasi-disincarnazione, e che questo fatto andava incontro ad affermazioni di principio che non abbiamo mai smesso di difendere. Allorché per noi il partito – armato va da sé, della buona teoria, del buon programma, dei buoni principi, della buona tattica e della buona organizzazione – deve non tanto «essere», ma tendere a diventare la direzione effettiva delle lotte proletarie, vi è stato chi l’ha trasformato in una astrazione, in un archivio di posizioni rivoluzionarie. Ci sono stati anche quelli che non sono caduti nel delirio…, ma hanno comunque completamente falsificato la concezione marxista del partito, riducendolo ad un ruolo di educatore, di illuminatore delle coscienze, se non al ruolo ancor più grottesco di editore delle Opere complete del marxismo, di volgarizzatore della dottrina in collezioni tascabili. E’certo che il rimuginare sulla formula «il partito, è il programma» è stato non la causa ma il mezzo di questa deviazione che noi abbiamo già combattuto all’epoca (vedi nel volumetto «In difesa della continuità del programma comunista» le Tesi degli anni 1965 e 1966), e che combattiamo instancabilmente (…..) La teoria del «capitale fittizio» e della «classe universale» diventano formule «magiche», delle ricette, delle sentenze la cui ripetizione incantatoria ne soffoca lo spirito a vantaggio della lettera.

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