Capitolo quinto: le“banche tossiche”come riflesso della ‘bancocrazia moderna’
Attualmente quasi nessuna banca europea è valutata in borsa ad un valore superiore al suo capitale netto (in sostanza la differenza algebrica fra le attività consistenti nei crediti concessi alla clientela,e le passività rappresentate dai debiti verso i depositanti). Le azioni che formano il capitale sociale delle banche operanti nella forma giuridica di SPA non ottengono dunque il favore del mercato di borsa, gli investitori mostrano disaffezione rispetto ai titoli azionari emessi dalle banche. Tale stato di scarso interesse per i titoli azionari bancari è determinato da due fattori: in primo luogo (apparentemente) dalle sofferenze/difficoltà nel recupero dei crediti concessi alle imprese e alle famiglie a causa della crisi, in secondo luogo (realmente) dalla presenza nella pancia di queste banche di titoli tossici, i famosi ‘effetti negoziabili di ogni specie’. Nella sezione delle attività (quindi i crediti) del conto patrimoniale (soprattutto delle grandi ‘investment bank‘) ritroviamo dunque la paccottiglia tossica di cui scrivevamo nel capitolo quattro. Il rapporto fra le sofferenze bancarie, collegate alle difficoltà di recupero di parte dei crediti concessi alle imprese e alle famiglie, e le sofferenze collegate alle decine di miliardi di titoli illiquidi, che molte grandi banche europee custodiscono in pancia, mostra mediamente una certa equivalenza fra i due aspetti (anche se in certi casi di grandi banche, di cui omettiamo il nome, i titoli illiquidi o tossici rappresentano ben l’80% o il 75% delle attività patrimoniali totali). Alla luce di questi dati si comprende meglio la disaffezione dei mercati finanziari verso i titoli azionari in cui è suddiviso il capitale sociale delle banche SPA.
Credito in sofferenza, titoli tossici, valute nazionali ballerine, vanno interrelati all’attività economica capitalistica basica, produttrice di merci, cioè di valori reali e di valori astratti.
Marx analizza la contraddizione insita nella merce, il suo arcano, il valore d’uso e il valore di scambio della merce, e quindi l’attività economica capitalistica come contraddizione tra due forme di ricchezza: la ricchezza materiale espressa nella produzione di beni d’uso, e la ricchezza astratta, rappresentata nella categoria del valore di scambio monetario. La prevalenza del valore di scambio monetario, già a livello della forma merce, pone le basi per le successive difficoltà in cui si contorce l’economia capitalistica. La ricchezza astratta, il valore monetario di scambio della merce, prevale sulla ricchezza materiale, ovvero sul valore d’uso dei beni (la produzione di beni sotto forma di merci è proprio l’espressione di questa prevalenza, che tuttavia non è un fatto puramente tecnico-economico, ma viceversa rappresenta il riflesso di un rapporto violento di dominazione attuato da una classe sociale di sfruttatori). La produzione di merci (non di beni d’uso) è funzionale alla valorizzazione del capitale monetario investito, cioè alla realizzazione di un profitto in grado di reintegrare i costi sostenuti in anticipo dall’impresa e soprattutto di monetizzare (nella sfera della circolazione/scambio) il plus-valore contenuto nella merce. La produzione di beni d’uso non rappresenta il fine dell’attività economica, ma solo un mezzo per valorizzare il capitale, cioè per fare più soldi impiegando dei soldi. Quando tale obiettivo incontra delle difficoltà nel campo della produzione ‘reale’ di merci (ma abbiamo visto che lo scopo di questa produzione in regime capitalista è la ricchezza astratta, cioè l’incremento del valore monetario impiegato) allora il capitale si riversa nella sfera finanziaria.
Il rapporto credito/debito è il fulcro dell’attività finanziaria, esso è dato dall’anticipazione di un valore monetario da parte del creditore bancario a un debitore (capitalista industriale o commerciale), in cambio dell’impegno alla restituzione del valore anticipato (più un interesse) per mezzo del futuro valore prodotto (il plus-valore futuro di una ipotetica, astratta, produzione di merci, viene quindi attualizzato nel presente attraverso al concessione di credito). La somma restituita alla scadenza dell’anticipazione, cioè del prestito, viene denominata nella dottrina contabile con il nome di montante ( la somma del capitale anticipato, più l’interesse calcolato sul tempo di anticipazione a un certo tasso). Dopo la crisi degli anni settanta il capitalismo ha ulteriormente accresciuto la sfera rifugio finanziaria, nel tentativo di compensare, attraverso i più o meno lucrosi interessi ottenuti dalle anticipazioni di valore, cioè dal credito, la caduta percentuale del plus-valore (e quindi del saggio di profitto) nella sfera industriale. Un castello di carte speculativo ha tentato vanamente di sostituire la fonte della ricchezza, cioè il lavoro umano, quello stesso lavoro che andava progressivamente diminuendo nella composizione organica del capitale aziendale. Non ripetiamo le cause storiche di questa diminuzione (già spiegate nelle pagine precedenti attraverso una citazione di Marx), ci interessa invece rilevare che il volume del credito (cioè delle anticipazioni di valore rispetto a una astratta produzione futura di valore) è cresciuto a dismisura, diventando fattore di aggravamento delle crisi (ma non di certo il fattore originario, essendo la crisi del capitale una risultante della sovrapproduzione di merci e della sovraccumulazione di capitali derivata dalla caduta tendenziale del saggio di profitto). In modo compulsivo l’economia capitalistica trasferisce nella sfera finanziaria la brama di valorizzazione del valore (il fare denaro con il denaro), che costituisce già dall’origine il marchio d’infamia di questo modo di produzione.
Titoli spazzatura, tossici, illiquidi, derivati, sub-prime, in altre parole gli ‘effetti negoziabili di ogni specie’ di cui scrive Marx, continueranno a riprodursi in modo esponenziale fino a quando il capitalismo continuerà a vivere. La gestione di questi ‘effetti negoziabili di ogni specie’, surrogati del profitto aziendale storicamente calante, è ora principalmente affidata alle banche centrali e agli stati. Non bisogna stupirsene, infatti, come ricorda Marx, ‘Il debito pubblico diventa una delle leve più energiche dell’accumulazione originaria: come con un colpo di bacchetta magica, esso conferisce al denaro, che è improduttivo, la facoltà di procreare, e così lo trasforma in capitale, senza che il denaro abbia bisogno di assoggettarsi alla fatica e al rischio inseparabili dall’investimento industriale e anche da quello usurario. In realtà i creditori dello Stato non danno niente, poiché la somma prestata viene trasformata in obbligazioni facilmente trasferibili, che in loro mano continuano a funzionare proprio come se fossero tanto denaro in contanti’.
Le banche centrali, in quanto ente emittente, sono molto importanti per la formazione della massa totale di capitale monetario, circolante nel settore finanziario e industriale capitalistico: esse concedono prestiti alle banche private a tassi d’interesse zero, anche alle banche con la pancia piena di titoli tossici che avrebbero scarsa possibilità di ricevere prestiti da altre banche private. Inoltre, in questa funzione di sostegno al contemporaneo castello di carte finanziario-speculativo, acquistano pure i titoli di stato al fine di evitare che il mercato di suddetti titoli crolli rovinosamente. Questa triplice attività ha lo scopo di evitare il collasso finanziario del sistema capitalistico (o almeno di uno dei blocchi di economie capitalistiche che si fronteggiano nel contesto globale contemporaneo). Nelle condizioni attuali, svanita la fiducia fra le grandi banche internazionali a causa dei dissesti emersi a partire dalla crisi del 2008, le banche centrali devono concedere prestiti a tasso zero alle banche in difficoltà (pur di far sopravvivere il capitale finanziario che da tempo predomina nello stadio del capitalismo senescente). Tuttavia, queste operazioni di supporto creditizio, sono dei palliativi che non possono cambiare i dati macroeconomici, cioè la caduta tendenziale del saggio di profitto con la correlata sovrapproduzione di merci e sovraccumulazione di capitali. In assenza di una ripresa economica reale, e quindi in assenza del ritorno ad una adeguata valorizzazione del capitale ‘produttivo’ attraverso la reale estorsione di plus-lavoro ai proletari, le alchimie finanziarie delle banche centrali possono solo posticipare l’esplosione della futura bolla speculativa. Immettendo in modo abnorme capitale monetario nel sistema bancario in sofferenza, sia per i crediti insoluti che per il possesso di titoli tossici, le banche centrali prendono a garanzia dei prestiti concessi alle banche private i titoli tossici invendibili. In questo modo tendono a diventare esse stesse un fattore di instabilità, in quanto il valore delle loro riserve tende a deprezzarsi a causa della quantità di titoli tossici contenuta. Le politiche di austerità e di rigore invocate come un mantra dalle autorità bancarie centrali, poi applicate dai governi nazionali, nascondono la volontà di fare pagare il conto del dissesto finanziario, e quindi la crisi del capitale, alle stesse vittime del sistema, attraverso la ricetta obbligata di sempre (aumento dello sfruttamento e dura repressione delle azioni di lotta della classe sfruttata).