Demistificazione della ideologia democratica (ricognizioni storico-teoriche)

Demistificazione della ideologia democratica (ricognizioni storico-teoriche)

1) Dal 1848, sia Marx che Engels, si mostrarono favorevoli all’appoggio dei comunisti alle rivoluzioni democratico-borghesi contro l’assolutismo feudale. Col trionfo della borghesia che conquistò il potere politico definitivamente sradicando i residui dei rapporti di proprietà feudali, sia i radicali, i repubblicani che i liberali si dimostrarono frange politiche rispettivamente della piccola, media e grande borghesia, si scostarono dai tumulti operai in Francia e in Europa e assunsero connotati anti-proletari coagulando la forma democratica in una politica borghese repressiva nei confronti delle rivendicazioni sia pur immediate della classe operaia; pertanto Marx, sulla base di tale esperienza politica, riconobbe l‟ambiguità del termine “democratico” assimilandolo ad una rappresentatività politica borghese dissociata dal carattere politico autonomo della classe operaia. Di essa rivendicò dunque l’autonomia nella lotta di classe, anche dagli stessi interessi politici dei radicali e dei repubblicani, coniando il corollario della dittatura della classe operaia. (K. Marx, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850).

2) Anche lo scioglimento dell’Assemblea Costituente e l’imporsi del partito bolscevico come unico partito di governo dopo la rivoluzione sovietica del 1917 è un prodotto dell’esperienza storica della lotta rivoluzionaria. Partendo dal compromesso dei bolscevichi sul decreto sulla terra con i socialisti rivoluzionari, che rivendicavano la spartizione in parti eguali dei latifondi espropriati ai grandi proprietari fondiari, quindi partendo dal compromesso con l’interesse della piccola proprietà privata contadina fondata sul lavoro personale che entrava in conflitto con l‟interesse della collettivizzazione (socializzazione) terriera avanzata dai bolscevichi, interesse che non poteva germogliare non esistendo nella Russia del 1917 un proletariato agricolo salariato, cioè privo di mezzi di produzione propri (aspetto invece essenziale nel modo di produzione capitalistico sviluppato dove i braccianti, gli operai agricoli, lavorano su grandi distese terriere con mezzi di produzione accentrati nelle mani di grandi capitalisti agrari), si arriva alle elezioni della Costituente che furono costellate, prima e durante, dalle manovre sotterranee, miranti a destabilizzare l’ordine di Stato rivoluzionario, messe in atto da cadetti, menscevichi e socialisti rivoluzionari per un governo di coalizione che includesse i bolscevichi e ai quali si chiedeva, facendo pressione sul cedevole e camaleontico Zinoviev, la testa di Lenin e Trotsky, per restaurare di fatto la grande proprietà privata agraria in connessione con la piccola proprietà rurale (compromesso tra cadetti e socialisti rivoluzionari) e contrastare, annientare, sotto la spinta politica dei menscevichi, favorevoli al potere della borghesia industriale in Russia, il controllo operaio delle fabbriche decretato dal partito bolscevico, ma poco allettante per i socialisti rivoluzionari, interessati solo alla piccola proprietà privata contadina. Fronteggiarono queste manovre destabilizzanti, in un’atmosfera di piena tensione, i presidii dei proletari urbani e delle guardie rosse con armi puntate dai tetti e per le strade del Palazzo di Tauride, fino a far fuoco su manifestanti, sindacalisti della Ferrovia e impiegati della Duma in uno sciopero pilotato da cadetti, menscevichi e socialisti rivoluzionari. Quindi, le truppe rosse sciolsero di forza l’Assemblea Costituente per bocca di un marinaio di Kronstadt, che entrò nella sala del Palazzo di Tauride e gridò: “la Costituente è sciolta, tornatevene a casa!”. Le macchinazioni di cadetti e dei social riformisti furono così stroncate e il solo Partito bolscevico si impose alla guida dello Stato rivoluzionario.

3) Il concetto stesso di democrazia e uguaglianza di tutto il “popolo” che sgorga dalla Rivoluzione Francese, è insito nell’apparenza della forma capitalistica di produzione, che nasconde la formazione del plusvalore, e che porta in primo piano la circolazione delle merci, dove sembra manifestarsi l’eguaglianza tra produttori e consumatori, tra venditori e compratori di merci, tra il venditore della forza lavoro, l’operaio, e il compratore della forza lavoro, l‟imprenditore, che in realtà nel processo di produzione riceve dall’operaio più lavoro, che si cristallizza in salario + plusvalore, di quanto ne paghi: all’operaio paga il solo salario. Nel processo di circolazione delle merci sembra invece manifestarsi l’eguaglianza tra quantità di lavoro offerta e quantità di denaro o merce che si ritira in proporzione a quel lavoro offerto. Un capitalista, dunque, è uguale ad un operaio e in quanto tale paga come tassa la stessa aliquota proporzionale d’imposta di un operaio.

Nello specifico dell’Italia, il concetto di popolo parallelo a quello della democrazia, come forma politica rappresentativa tipicamente borghese, si ricollega alle aspre lotte tra nobili feudali e borghesia per il controllo o l’estensione dei diritti o del potere politici nell’amministrazione dei Comuni tra la seconda metà del 1200 e il 1300. I nobili e possessori di titoli nobiliari inizialmente al governo delle città comunali, si scontrarono con il popolo in quanto detentore dei diritti di borghesia: grandi mercanti e banchieri (popolo grasso, Arti Maggiori), artigiani, bottegai, garzoni di bottega (popolo minuto, Arti Minori). Da questa lotta per il potere politico Comunale da parte del popolo contro i nobili o classe magnatizia, erano esclusi i salariati giornalieri, cioè il proletariato urbano. I proletari, cardatori della lana, a Firenze, chiamati Ciompi, scatenarono una rivolta per partecipare democraticamente al potere politico detenuto dall’oligarchia mercantile e bancaria; per essere quindi rappresentati, insieme all’oligarchia e al popolo minuto o piccola borghesia, nell’amministrazione del Comune; non quindi per il controllo o per il dominio proprio, autonomo proletario del potere politico. Si trattava, è chiaro, di una lotta per l’estensione democratica dei diritti politici a questi proletari detti popolo magro accanto al popolo minuto e al popolo grasso. Sta di fatto che la rivolta e le giornate dei Ciompi si risolsero in una stroncatura e nell’abolizione della loro corporazione quando avanzarono la richiesta di abolire i loro debiti nei confronti dei mercanti imprenditori per i quali lavoravano a salario nei laboratori di cardatura della lana. I Ciompi furono vittima di intrighi e di un accerchiamento di forza e di piazza operati da popolo grasso e dal popolo minuto alleati tra loro, con il risultato di escludere definitivamente questo proletariato dai diritti politici nel Comune di Firenze.

Nella storia contemporanea del capitalismo, d’altra parte, la piccola borghesia, non ha mai visto di buon occhio il proletariato come classe che mira al potere politico in autonomia. La piccola borghesia ha da sempre come braccio politico, lo dimostrano l’intera storia del 900 e l’attualità stessa, la destra populista, quindi il fascismo, il nazismo e movimenti affini. Pertanto, appaiono di sicuro problematiche le strategie di quei Partiti pseudo ‘proletari’ che tentano di sottrarre dall’abbraccio della destra (in vista di vantaggi elettorali) i commercianti e la media e piccola borghesia schiacciata dal capitale europeo ed internazionale, che impone prezzi di produzione con i quali gli agricoltori e gli allevatori italiani medio piccoli non coprono il plusvalore e parte del capitale, venendo scacciati dal mercato. La centralizzazione dei capitali e quindi la proletarizzazione delle classi medie o della piccola borghesia, cioè la loro trasformazione in lavoratori salariati, lungi dall’essere contrastata da diatribe politiche e competizioni elettorali, è invece la base materiale dell’incremento dei livelli quantitativi e qualitativi dello scontro di classe , incremento che può sgorgare solo dal massimo sviluppo delle forze produttive del lavoro messe in moto dal capitale stesso ( esso, ad un certo punto, non riesce più a contenere lo sviluppo tecnologico del lavoro perché la crescita della massa del capitale si scontra con la crescente riduzione della sua valorizzazione, cioè con la caduta del saggio generale di profitto causata dalla disoccupazione, cioè dal minor numero di operai occupati in rapporto al voluminoso capitale, quindi in rapporto alla crescita della massa di capitale fisso e dei mezzi di lavoro – capitale costante – a scapito del capitale variabile, cioè della massa dei salari).

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