Brexit come parte di processi disgregativi/aggregativi del capitale globale

La recente consultazione sulla permanenza o sull’uscita dall’UE, svoltasi in Inghilterra, e il suo esito negativo, hanno aperto ulteriori spiragli nella direzione di un rimescolamento dei giocatori e degli schieramenti internazionali. Sembra strano, ma in fondo è comprensibile, ciò che si è verificato con la brexit, alla luce dei processi disgregativi e aggregativi del capitale globale. La Gran Bretagna è tuttora il collettore di una quota considerevole del capitale finanziario internazionale, e dunque in questa veste non può ignorare il peso della Cina nel processo di valorizzazione degli investimenti mobiliari gestiti e affidati alla city. Già nel mese di novembre 2015 avevamo analizzato in un articolo il dualismo inglese, dato dal sostegno politico – militare agli Usa, e contemporaneamente dal sostegno alle politiche di investimento del capitale cinese in Europa (anche attraverso la creazione di apposite aziende di credito).

Il business finanziario, e le pulsioni del capitale finanziario, si ripercuotono dunque sulle strategie politiche della sovrastruttura politico – statale inglese, determinando un dualismo di fatto nella sua politica estera. Come sia compatibile, nel periodo medio lungo, un sostegno integrativo/fattivo al capitalismo cinese, e al contempo l’adesione alle strategie del chaos imperium americano, può apparire alquanto problematico. Business (è) business. Il declino americano, evidentemente, sta iniziando a determinare dei fenomeni di disgregazione e ricomposizione delle pedine sulla scacchiera del capitalismo globale. L’inabissamento di una egemonia imperiale non implica il sacrificio di tutte le componenti dell’Impero, e storicamente le alleanze possono sfaldarsi quando il centro inizia a crollare.

Dopo la brexit le borse europee hanno registrato delle perdite considerevoli, rivelando in tal modo le nuove incertezze prodotte dalla consultazione inglese. La condizione di vassallaggio europea verso il centro imperiale americano, e a seguire gli stessi rapporti diseguali esistenti fra le varie economie associate nella UE, sono stati scossi dagli insuccessi del chaos imperium nel teatro mediorientale e in Ucraina. Nel tentativo di controllare le risorse energetiche e le loro vie di commercializzazione, la potenza americana è incappata nel blocco capitalistico avversario, fortemente determinato a tutelare i propri interessi geo economici. Russia e Cina, cioè potenza militare, risorse energetiche e materie prime, e sopratutto enormi masse di risorse umane da impiegare nel processo di valorizzazione del capitale. Una configurazione di potenza, nata da una alleanza di interesse, allo scopo di tutelare e promuovere i reciproci, e per ora convergenti interessi. Dopo la brexit il Pakistan e l’India hanno formalizzato la richiesta di adesione all’associazione di scambi di Shangai (a guida Cinese), Il trattato degli scambi di Shangai si pone come obiettivo la facilitazione degli interscambi commerciali fra le varie economie capitalistiche dell’area asiatica, e dunque rappresenta una alternativa alle organizzazioni preesistenti a guida americana. Nel testo dal titolo ‘the duellists’ abbiamo tentato di ricostruire le dinamiche di confronto fra le principali potenze capitalistiche, e in modo particolare gli strumenti di lotta valutaria e creditizia. L’affermazione di una banca mondiale a capitale prevalentemente cinese(Aiib) in sinergia con il trattato di Shangai, dimostra che è in atto un processo di sostituzione del dollaro e del fmi, a guida americana, con altri strumenti (che di fatto diventano il veicolo dell’influenza geopolitica di un blocco capitalistico a guida russo- cinese). Le velate minacce di uso della forza, di sanzioni o di blocchi navali/commerciali contro il rampante espansionismo economico cinese è piuttosto problematico. Basti pensare al ruolo dell’economia cinese nel contesto globale, alle sue interconnessioni con le stesse economie occidentali, ben dimostrate dalle scelte dell’Inghilterra, per comprendere come sia difficile per l’America realizzare le sue strategie di contenimento dell’avversario asiatico . Mettiamo nel conto di tali difficoltà anche lo scudo militare-nucleare russo, e avremo un quadro ancora più completo e verosimile. Sanzioni commerciali e deprezzamento del petrolio non sono serviti a far collassare l’economia russa, mentre le sanzioni hanno danneggiato le economie europee, e il calo del prezzo del petrolio ha danneggiato soprattutto Arabia saudita e stati del golfo. Quindi l’Europa e i paesi del golfo, hanno subito degli effetti di ritorno negativi dalle azioni da loro stessi decise sotto il suggerimento dell’America. Ora la brexit è il tassello ulteriore che oscura ambizioni egemoniche, perseguite in modo esclusivo e solitario dal chaos imperium,  Alcuni moderni e raffinati divulgatori del concetto di società liquida, sostengono senza ripensamenti la preponderanza delle grandi imprese trans e multinazionali sulla forma stato. Costoro sostengono che gli Stati hanno ormai perso delle prerogative che in passato erano di loro competenza esclusiva, in quanto sarebbero i grossi gruppi aziendali a dettare la politica economica, fiscale e anche estera delle nazioni.

Dunque vivremmo in una società liquida, una società basata sull’effimero quotidiano, dove le relazioni umane perdono ogni aggancio con le precedenti (discutibili) certezze, a tutto vantaggio del soggetto liquido, consumatore frenetico di merci superflue, come una parte della moderna sociologia sostiene. Questa condizione generalizzata comporterebbe anche un indebolimento degli stati, o meglio la loro esautorazione da parte del capitale transnazionale, autonomo e libero di vagare nei circuiti di valorizzazione sia finanziaria che industriale, senza obblighi e vincoli di legge e di stato che tengano. Potremmo anche non considerare del tutto peregrine le considerazioni sul fatto che al moderno membro della società capitalistica venga chiesto di consumare (e soprattutto di farsi sfruttare nel processo produttivo). Le due attività (in fondo estremamente coercitive) sono complementari, ed entrambe funzionali al dominio della minoranza sociale borghese. Tuttavia non ci sembra neanche verosimile la proposizione che afferma l’indebolimento dello strumento statale, a tutto vantaggio di un capitale autonomo (bancario, finanziario o industriale che sia).

Questo nostro scetticismo deriva da una considerazione di tipo storico: come si può sostenere una proposizione dal contenuto simile a quella appena esposta, quando l’apparato statale è notoriamente una espressione del potere di una classe sociale dominante, e quindi la sua funzione è quella di permettere a determinati rapporti di produzione, cioè interessi, attività economiche, capitali autonomi di questa classe sociale di continuare ad esistere ?

Quale esautoramento può esserci se i due termini del rapporto, cioè economia capitalistica e apparato statale borghese sono interconnessi, e l’uno implica l’altro?

Chi sostiene che la moderna economia transnazionale sta depotenziando gli stati capitalistici nazionali non si rende conto che gli stati sono depotenziati, nella realtà storica contemporanea, solo da strategie, azioni, rivolgimenti, messi in opera da stati capitalistici più potenti, evidentemente interessati ad ottenere vantaggi particolari dalla rovina di determinate aree o nazioni.

La storia recente di Libia, Siria, Iraq, e Ucraina dovrebbe spingere a riflettere sui motivi geopolitici ed economici che si nascondono dietro la disgregazione di determinati stati, evitando di parlare di processi di auto-produzione, quando la genealogia dei fenomeni in oggetto è essenzialmente di origine esogena, e rientra a pieno titolo nella tipologia del confronto/scontro fra potenze capitalistiche concorrenti. L’abbiamo detto e ridetto, alla luce di evidenze storiche inconfutabili, anche se la semplice demistificazione teorica delle illusioni borghesi non basta a convincere coloro che hanno fede in queste madornali sciocchezze. Certe pseudo verità sono di tipo apodittico, dei puri sofismi, accettati dal seguito del capo carismatico di turno in modo fideistico, mentre ogni obbligo di dimostrazione scientifica degli assunti assiomatici viene gettata alle ortiche.

Nella realtà gli stati non si indeboliscono, ma invece si rafforzano (nella loro capacità di dominio e controllo). Questa non è una affermazione apodittica o assiomatica, infatti essa non deriva da un puro ragionamento sofistico, ma poggia le sue basi su due leggi tendenziali, scientifiche, del modo di produzione capitalistico (storicamente verificate): l’incremento del grado di sfruttamento sui luoghi di lavoro (sia nei termini del plus-valore assoluto che di quello relativo), e l’aumento della popolazione inoccupata, povera, pauperizzata. Questi due fattori, sulle cui cause non ci dilungheremo, costituiscono la base materiale per un incremento potenziale della conflittualità sociale (un incremento del conflitto sociale proletario, a cui la borghesia deve opporre, dialetticamente, un rafforzamento del proprio apparato di oppressione statale). Se i due fattori elencati sono reali, come sostiene il marxismo, allora non si comprende perché anche l’incremento del dispotismo aziendale e statale (già indicati da Marx) debbano essere sostituiti dalle bislacche idee sull’indebolimento degli stati.

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