Nota redazionale: il testo ‘Inflazione dello stato’ è stato pubblicato su ‘Battaglia Comunista’, nel 1949. Abbiamo già attinto in passato da questo testo, inserendo alcuni suoi passaggi (tre anni addietro) nell’articolo intitolato ‘Lampedusa: morte nel mare ai confini dell’Europa’. Inflazione dello stato è molto importante, anche per contribuire a confutare alcuni errori teorici ricorrenti. Infatti, quando da qualche parte viene posta come vera l’autonomizzazione del capitale (dai precedenti rapporti di interdipendenza con l’apparato statale), o viene prefigurato un processo di indebolimento degli stati borghesi, si compiono degli errori teorici madornali. Errori che non derivano, chiaramente, dal fatto che un testo del 1949 sostenga delle tesi nettamente e indiscutibilmente opposte alla presunta autonomia del capitale o all’indebolimento degli stati. Quello che conta sono le argomentazioni che, in quel testo, stanno dietro la tesi dell’inflazione (ergo rafforzamento) dello stato. Essendo tesi fondate su una valutazione ‘materialistica’ della funzione dello stato, esse non sono confutabili sul piano della realtà storica. «Lo Stato è un prodotto della Società in una certa fase del suo sviluppo» (Engels). Lo Stato compare quando la società si divide in classi economicamente antagoniste, quando appare la lotta di classe. Lo Stato «è la macchina per l’oppressione di una classe su di un’altra» (Marx).
Dunque, senza abbagli e concessioni alla comune vulgata democratica, ‘Inflazione dello stato’ definisce il significato della funzione storica dello stato citando a supporto Engels, Marx e infine Lenin: ‘Il mondo capitalistico offre, invece, la decisa ininterrotta concentrazione su estensioni immense delle unità statali, e la dominazione sempre più totale delle grandi sulle piccole. Questo processo è del tutto parallelo all’aumento di ingerenza della macchina statale in tutte le fasi della vita delle popolazioni cui sovrasta, al diffondersi di tale influenza dal campo politico, di polizia, giuridico, sempre più esplicitamente e soffocatamente a quello sociale, economico e fisico. Già in Stato e Rivoluzione (Cap. II Par. 2) Lenin dà di tale processo interno una decisiva analisi riferita a tutti i paesi d’Europa e di America, e soprattutto ai più parlamentari e repubblicani.
«In particolare l’imperialismo, epoca del capitale bancario, epoca dei giganteschi monopoli capitalistici, mostra lo straordinario rafforzarsi della ‘macchina dello Stato’ e la inaudita crescenza del suo apparato amministrativo e militare, in seguito al rafforzarsi della repressione contro il proletariato, tanto nei paesi monarchici che nei più liberi paesi repubblicani».
Parole scritte nel 1917′.
La citazione tratta da ‘Stato e Rivoluzione’ collega senza ombra di dubbio ‘lo straordinario rafforzarsi della ‘macchina dello Stato’, al ‘rafforzarsi della repressione contro il proletariato’. Il collegamento è decisivo, infatti il testo del 56 parla di analisi decisiva, perché illustra l’interdipendenza fra due fenomeni reali, dove la mostruosa inflazione dello stato non avrebbe senso se non fosse finalizzata a uno scopo pratico, ovvero al maggiore livello di repressione contro il proletariato. Basterebbe solo questa circostanza per smontare la tesi di opposto contenuto.
Tuttavia i teorici dell’indebolimento degli stati borghesi potrebbero ancora opporre una obiezione di merito, proviamo a riassumerla: perché dovrebbe verificarsi (nel mondo reale) il ‘rafforzamento della repressione contro il proletariato’ e non , invece, una sua integrazione ‘pacifica’ nel welfare semi corporativo delle società borghesi contemporanee?
Inoltre, mettendo accanto a tale obiezione la solita teoria dell’immanenza inesorabile del comunismo, inteso come movimento che abolisce fatalisticamente l’ordine di cose esistente (senza nessun rapporto con le sequenze storiche sperimentate, date da fasi successive e concrete come lotta di classe, partito, rivoluzione, dittatura), allora avremo il quadro più o meno completo del retroterra teorico (almeno di una parte) dei critici dell’inflazione dello stato. Se il movimento opera come una forza naturale, o meglio fatale, nell’abolizione della struttura e sovrastruttura capitalistica, allora queste ultime saranno necessariamente erose dal movimento. Da queste premesse infondate potremo poi dedurre, continuando il cammino della astrazione dai dati empirici , che la struttura economica non può che essere già di fatto comunista, e anche la sovrastruttura statale borghese non si sente poi troppo bene e si indebolisce a ogni piè pari. Spieghiamo il sofisma: la sovrastruttura borghese si indebolirebbe in quanto condizionata da una struttura economica sostanzialmente ‘socialista’. Queste ardite argomentazioni, dei veri e propri sofismi astratti, separati da ogni contatto con la vita vera, nascondono un contenuto politico di marca gradualista, oseremmo dire transizionista, nel senso di essere rivolte esclusivamente verso le secolari fasi di passaggio da una formazione economico-sociale (modo di produzione) ad un altra. Ma il marxismo e la storia reale ci insegnano che un movimento tende verso uno scopo, e questo non è generalmente raggiungibile attraverso l’inerzia di un attesa di fatali eventi catastrofici. Proprio in ‘Dialogato con i morti’ si ricorda, a titolo di smentita di ogni fatalismo finalista, che anche tenendo conto dei fattori socio-economici che condizionano e tendenzialmente vanificano la cosiddetta libertà della volontà individuale, è pur vero, di converso, che il partito, in determinate situazioni storiche, non solo è soggetto detentore di scienza (teoria invariante), ma anche di volontà e libertà ( nel senso della possibilità di fare, scegliere, concentrare la libera volontà nella scelta di strade differenti, e quindi di esercitare un influenza diretta sul corso degli eventi storici ). Dunque, in termini schematici e generali, possiamo sostenere che un movimento tende a uno scopo, di cui, molto spesso, solo una frazione dei partecipanti è consapevole. Sul piano storico-sociale, gli ostacoli materiali che fanno da freno alla realizzazione dello scopo, vengono superati da una sequenza di azioni coscienti e libere (da parte di pochi) e non libere e non consapevoli da parte di molti (vedasi ‘Dialogato coi morti’). Il momento della realizzazione dello scopo del movimento storico è brusco, violento, può essere confuso con una catastrofe naturale, ma non lo è. Esso è invece l’acme di un processo di lotta in cui è sintetizzata la necessità e la libertà, il cieco impulso e la scienza, il piano oggettivo dei condizionamenti economici e quello soggettivo della libertà della volontà nella forma partito. Dialettica storica fra coppie di contrari, polemos (eraclitea) al posto dei gradualismi in cui il movimento è tutto (Bernstein) e il fine conta niente. Polemos prima di tutto, quindi lotta di classe, conflitto, guerra madre di tutte le cose, soprattutto nel divenire delle fasi storiche di transizione. Torniamo all’obiezione di partenza, perché allora non ha senso veritativo l’astratto sofisma sull’indebolimento degli Stati?
La proposizione sull’indebolimento degli stati borghesi è confutata dall’esperienza storica reale, ovvero dai processi socio-economici capitalistici studiati ed esposti principalmente nell’opera di Marx. Ci riferiamo, in questo caso, alle chiare previsioni di Marx in merito all’aumento del dispotismo capitalistico di fabbrica. L’aumento della repressione contro il proletariato (e la conseguente inflazione dello stato) è collegata all’aumento dello sfruttamento della forza-lavoro, cioè all’esigenza economico-aziendale di incrementare l’estrazione/appropriazione di plus-lavoro/plus-valore assoluto e relativo (in conseguenza di una ‘storica’ tendenza alla caduta del saggio medio di profitto). Non bisogna dimenticare che anche l’impoverimento crescente, legato all’aumento dell’esercito industriale di riserva (e dunque al maggiore impiego di capitale costante nel processo produttivo aziendale) gioca un ruolo, insieme alla spaventosa concentrazione di masse umane diseredate nelle metropoli urbane, nell’aumento della repressione.
Dunque possiamo ipotizzare una interdipendenza dialettica fra l’azione capitalistica di aumento dello sfruttamento, l’incremento dell’esercito industriale di riserva, la spaventosa concentrazione di masse umane diseredate nelle metropoli urbane e la conseguente tendenza della classe borghese al rafforzamento dell’attrezzatura di oppressione statale. Infine questo rafforzamento, finalizzato a una maggiore ‘repressione contro il proletariato’ è allora da intendersi come un mezzo per contrastare il maggior grado di antagonismo – potenziale o attuale – del proletariato, posto in essere dal progressivo peggioramento della propria condizione di vita oppressa, sfruttata e impoverita. Inoltre non è da trascurare la circostanza della lotta basica, permanente, fra aggregati di potenza capitalistici: ‘La inflazione dello Stato ha nel mondo modernissimo due direzioni, quella sociale e quella geografica, territoriale. Sono intimamente connesse. La seconda è fondamentale. Stato e territorio sono nati insieme. Engels nell’Origine della famiglia della proprietà e dello Stato dice infatti: Lo Stato in primo luogo si distingue dinanzi all’antica organizzazione della gens della tribù o del clan, per la ripartizione della popolazione secondo il territorio’….Quanto alla estensione del territorio, il mondo antico ci presenta piccole unità statali ridotte alla città e grandi Imperi derivati da conquiste militari, il Medio Evo ci mostra piccoli autonomi Comuni e grandi complessi statali. Il mondo capitalistico offre, invece, la decisa ininterrotta concentrazione su estensioni immense delle unità statali, e la dominazione sempre più totale delle grandi sulle piccole’….Alla vigilia della seconda guerra generale era già chiaro, sia per l’ulteriore evoluzione monopolistica del grande capitalismo, sia per quella della tecnica militare che sempre più richiedeva masse di mezzi economici formidabili, che ogni Stato avente pochi milioni di abitanti non poteva esercitare alcuna autonomia economica diplomatica o militare e doveva porsi nell’orbita e nella soggezione di uno più grande.Fu così evidente che nel nuovo gioco diplomatico e militare avrebbero contato solo i grossi bestioni statali, i quali solo potevano far conto su forze apprezzabili nella guerra soprattutto dei mari e dell’aria, lunga, ingombrante, costosa a preparare, richiedente oltre che immensi capitali grandi distanze geografiche tra le basi e i confini politici’.
Non è dunque il caso di aggiungere altre riflessioni, l’inflazione dello stato emerge come una caratteristica inconfutabile, dall’intero testo del 1949, perché la ‘macchina dello Stato’ e la inaudita crescenza del suo apparato amministrativo e militare, (deve) rafforzarsi (a causa) della (maggiore) repressione contro il proletariato, e poi perché ‘nel nuovo gioco diplomatico e militare avrebbero contato solo i grossi bestioni statali’.
Inflazione dello Stato
Una conquista così chiara e solida nel campo teorico e politico come la sistemazione della questione dello Stato in Marx Engels e Lenin – talché nel primo dopoguerra sembrava che il movimento comunista rivoluzionario dovesse lavorare su questioni di organizzazione e di tattica, ma mai più su questioni di programma – è seriamente compromessa quando si può permettere di dirsi esponente di partiti marxisti e leninisti chi prospetta e propone nel campo nazionale una intesa programmatica coi partiti borghesi sul piano della «costituzione»; sul piano internazionale una collaborazione storica e sociale tra Stati «proletari» e Stati capitalistici.
I nostri testi di base fanno anzitutto giustizia della visione dello Stato propria delle concezioni teocratiche ed autoritarie, e di quella propria delle vedute immanentistiche democratico-borghesi.
Entrambi i sistemi pongono a traguardo di tutta la corsa del pensiero e della storia la edificazione dello Stato perfetto ed eterno.
Nel Vecchio Testamento quale è ancora dogmaticamente accettato dalle chiese prevalenti in gran parte del mondo avanzato, lo stesso Padre Eterno è mobilitato a dettare a Mosé una vera e propria Costituzione per il popolo eletto in tutti i suoi dettagli. Nella organicità di questo sistema chiesa, giustizia, Stato ed esercito formano tutt’uno, sono perfino tracciate la statistica e la divisione amministrativa del territorio geograficamente definito, e le norme per passare a fil di spada i vecchi occupatori se non intenzionati a sgomberarlo. Verrà poi il cristianesimo ad allargare i confini del popolo eletto a tutta l’umanità, a distinguere la città di Dio dalla città di Cesare, la gerarchia sacerdotale da quella militare, ben guardandosi però dal rinnegare le norme di autorità di dominazione e di sterminio del primo e massimo dei profeti.
Nei nuovi sistemi del moderno critico pensiero borghese il dogma e l’autorità da rivelazione vengono scossi, ma fra tanti miti quello dello Stato rimane intatto e ancora più ossessionante. Da Lutero ad Hegel ad Hobbes a Robespierre si levano le definizioni del nuovo Leviatano, che Marx Engels Lenin verranno a deridere scarnificare e demolire: «realtà dell’idea morale» – «immagine e realtà della ragione» – «realizzazione dell’Idea», frasi che Lenin assimila a quella di «Regno di Dio sulla terra» nei reiterati violenti attacchi alla ignobile «superstizione dello Stato».
«Lo Stato è un prodotto della Società in una certa fase del suo sviluppo» (Engels). Lo Stato compare quando la società si divide in classi economicamente antagoniste, quando appare la lotta di classe. Lo Stato «è la macchina per l’oppressione di una classe su di un’altra» (Marx).
In tutti i paesi capitalistici, in qualunque parte del mondo e in qualunque periodo della loro storia, non potendovi essere capitalismo senza lotta di classe, questa macchina è presente, ed ha la stessa funzione di esercitare la «dittatura della borghesia» (Lenin) tanto nella monarchia come nella più democratica delle Repubbliche (Marx).
Diciamo una volta ancora che in questa nostra costruzione lo Stato della borghesia capitalistico non è l’ultima macchina statale della storia (come mostrano di pensare gli anarchici). La classe operaia non può «utilizzarla» (come sostengono tutti i riformisti ed opportunisti), deve «infrangerla», e deve costruire un nuovo Stato nella dittatura rivoluzionaria del proletariato.
Questo Stato operaio, dialetticamente opposto allo Stato capitalistico, andrà, nel corso della costruzione della economia comunista, dissolvendosi, sgonfiandosi, deperendo, fino a scomparire.
Si torni ora al processo storico di sviluppo del presente, concreto Stato capitalistico per vedere il suo corso storico, in attesa che si consumi secondo la visione marxista il suo affossamento, ed in seguito anche l’affossamento dello Stato senza aggettivi.
Lo Stato capitalistico, sotto i nostri occhi di generazione straziata da tre paci borghesi a cavallo di due guerre universali imperialistiche, spaventosamente si gonfia, assume le proporzioni del Moloch divoratore di immolate vittime, del Leviathan col ventre gonfio di tesori stritolante miliardi di viventi. Se veramente si potessero come nelle esercitazioni della filosofica speculazione personalizzare l’Individuo, la Società, l’Umanità, tutto l’orizzonte dei sonni di questi esseri innocenti sarebbe coperto dall’Incubo statalista.
Di questo Mostro pauroso noi (che al nostro Stato rivoluzionario prevediamo la dissoluzione graduale, l’Auflösung) di tempesta in tempesta attendiamo invece la Sprengung calcolata da Marx, la paurosa, ma luminosa Esplosione.
La nostra rivendicazione non è dunque quella di chiedergli di ingentilirsi, assottigliarsi e ridarsi una «linea» umana, ma di affrettare, sotto la pressione delle sue leggi interne inesorabili, e del loro odio di classe, la sua orribile enfiagione.
La inflazione dello Stato ha nel mondo modernissimo due direzioni, quella sociale e quella geografica, territoriale. Sono intimamente connesse. La seconda è fondamentale. Stato e territorio sono nati insieme. Engels nell’Origine della famiglia della proprietà e dello Stato dice infatti: Lo Stato in primo luogo si distingue dinanzi all’antica organizzazione della gens della tribù o del clan, per la ripartizione della popolazione secondo il territorio.
Ciò vale per lo Stato antico, per quello feudale, per quello moderno. Se Mosé dittatorialmente diede ad ognuna delle dodici tribù una precisa e sconfinata provincia della promessa terra di Israele, se Papi ed Imperatori investirono i Signori medievali di Terre e di Vassalli, i moderni civili e democratici Stati di oggi smistano tra i territori masse di popolazione come mandrie di bestie da lavoro, maneggiano come stock di merci folle di prigionieri di guerra, di internati politici, di profughi dalle invasioni, di rifugiati senza terra, di proletari emigrati; il Peplo della Libertà cui bruciano incensi è ormai intessuto di filo spinato.
Quanto alla estensione del territorio, il mondo antico ci presenta piccole unità statali ridotte alla città e grandi Imperi derivati da conquiste militari, il Medio Evo ci mostra piccoli autonomi Comuni e grandi complessi statali. Il mondo capitalistico offre, invece, la decisa ininterrotta concentrazione su estensioni immense delle unità statali, e la dominazione sempre più totale delle grandi sulle piccole.
Questo processo è del tutto parallelo all’aumento di ingerenza della macchina statale in tutte le fasi della vita delle popolazioni cui sovrasta, al diffondersi di tale influenza dal campo politico, di polizia, giuridico, sempre più esplicitamente e soffocatamente a quello sociale, economico e fisico.
Già in Stato e Rivoluzione (Cap. II Par. 2) Lenin dà di tale processo interno una decisiva analisi riferita a tutti i paesi d’Europa e di America, e soprattutto ai più parlamentari e repubblicani.
«In particolare l’imperialismo, epoca del capitale bancario, epoca dei giganteschi monopoli capitalistici, mostra lo straordinario rafforzarsi della ‘macchina dello Stato’ e la inaudita crescenza del suo apparato amministrativo e militare, in seguito al rafforzarsi della repressione contro il proletariato, tanto nei paesi monarchici che nei più liberi paesi repubblicani».
Parole scritte nel 1917.
La sostanziale menzogna della costruzione giuridica e politica propria della dominante borghesia non può meglio essere posta in evidenza che con il ricordare la presentazione delle due guerre mondiali come lotte per le rivendicazioni di autonomia e di libertà di individui, di gruppi etnici e nazionali, di piccoli Stati nella loro sovranità illimitata. Si è invece trattato di tappe gigantesche e sanguinose nella concentrazione del potere statale e della dominazione capitalistica.
Nella teoria del diritto borghese come sono salve all’individuo singolo una serie di illusorie prerogative di fronte al pubblico potere nel pensare, parlare, scrivere, associarsi, votare, in qualunque direzione – non nel mangiare! L’affamato potrebbe scegliere quella del desco cui siede il disinteressato corpo dei Soloni! – così è affermato che entro nei propri confini territoriali, girino essi dieci o diecimila chilometri, ogni Stato è sovrano e può amministrarsi come vuole.
Ma già nel quadro roseo e madreperlaceo della fine Ottocento si distingueva tra Grandi e Piccole Potenze. Lasciando stare l’America che «non faceva politica estera» in Europa se ne avevano sei, Inghilterra splendidamente sola, Russia e Francia nella Duplice Alleanza, Germania, Austria-Ungheria e Italia nella Triplice. In Oriente cresceva la forza del Giappone aspirante a controllare l’Asia, come già la falsa maltusiana America del Nord diffondeva la sua egemonia su quella del Centro Sud. Volta a volta già la storia aveva ridotto al rango di ex-potenze Svezia, Spagna, Portogallo, Olanda, Turchia…
A sentir le chiacchiere, esplose la guerra non già perché i più forti Stati capitalistici avessero fame di più vasti imperi e mercati, ma perché la sovranità di un piccolo libero Stato, la Serbia, era stata offesa dalla tracotanza del dispotico impero di Vienna.
La sconfitta dei tedeschi eliminò due potenze mondiali e la Rivoluzione Russa ne mise fuori causa una terza nel sistemare la pace. La bugiarderia liberale proclamò ai quattro venti la autodecisione delle piccole nazionalità e la liberazione delle genti oppresse. I cinque grandi Stati militari vincitori permisero la nascita, in apparenza, di piccole potenze nuove, più o meno storiche, nella vecchia Europa, non mollando tuttavia un chilometro quadrato dei loro propri imperi su genti della più varia lingua e colore. Polonia, Cecoslovacchia, Croazia e Slovenia (unite alla Serbia), Albania, Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania furono costituite in Stati «sovrani».
In effetti tutta questa pleiade di staterelli, in uno a quelli tradizionali, per i motivi e i caratteri del moderno organamento produttivo e mercantile mondiale, non servirono che a formare costellazioni di satelliti per le egemonie che tentavano di sorgere. Francia ed Inghilterra fecero in questo campo le loro prove dividendosi in sfere di influenza l’Europa centro-orientale, concordi tuttavia negli attentati alla Russia proletaria di allora; la stessa Italia scese in tale campo col successo ben noto, mentre negli Stati Uniti nell’Ovest e il Giappone nell’Est seguitavano a slargare i limiti visibili ed invisibili della propria dominazione.
Alla vigilia della seconda guerra generale era già chiaro, sia per l’ulteriore evoluzione monopolistica del grande capitalismo, sia per quella della tecnica militare che sempre più richiedeva masse di mezzi economici formidabili, che ogni Stato avente pochi milioni di abitanti non poteva esercitare alcuna autonomia economica diplomatica o militare e doveva porsi nell’orbita e nella soggezione di uno più grande. Risorgeva intanto la Germania e seguendo la legge storica generale – non inventandola come si faceva credere agli allocchi – riassorbiva i pezzi rimasti del dissolto Impero Austro-Ungarico (che, sia detto tra parentesi, se aveva la peggiore letteratura aveva pure la migliore più seria e più onesta amministrazione contemporanea). La Russia svolgendo un ciclo storico del massimo interesse partito dalla rivendicazione delle autonomie nazionali nel pieno della lotta tra vecchio e nuovo regime, si sistemava a sua volta in un potente complesso unitario statale.
Fu così evidente che nel nuovo gioco diplomatico e militare avrebbero contato solo i grossi bestioni statali, i quali solo potevano far conto su forze apprezzabili nella guerra soprattutto dei mari e dell’aria, lunga, ingombrante, costosa a preparare, richiedente oltre che immensi capitali grandi distanze geografiche tra le basi e i confini politici. Ne sanno qualcosa i paesi a popolazione fitta, cioè che hanno anche, con molta popolazione e magari ricchezza, relativa poca estensione. Anche tra le «grandi potenze» di ieri Germania Inghilterra Francia Italia Giappone, con vario esito politico, hanno dovuto subire tremendi pestaggi militari.
Anche questa guerra di più feroce dominazione e concentrazione di potere distruttivo fu presentata come rivendicazione di libertà e sovranità offese dai prepotenti nei «piccini» della storia. Si partì per impedire che Hitler sopraffacesse la libera Polonia, fresca ancora della riattaccatura con la colla democratica dei tre storici pezzi. Fu immediatamente rotta in due e divisa tra i due colossi che la fiancheggiavano. Sparito uno dei due, sta di nuovo in un solo pezzo al servizio di un solo padrone. La peggiore sorte per una romantica, generosa, civile e libera Nazione con la N grande è questa di oggi, la «spartizione in uno».
Gli Stati veramente superstiti sono quelli che hanno vinto nella corsa senza freni all’Inflazione territoriale. Si cominciò ben presto, pur senza rinunciare alla quotidiana litania alla libertà, a parlare di Grandi. Furono Tre, Quattro, Due o Cinque? Importa poco. Erano almeno otto alla partenza della guerra.
I veri Grandi sono quelli che alla vastità del territorio loro proprio e alla numerosa popolazione (per l’effetto di questi dati va seguita la Cina ove veramente vi sorgesse un grande Stato di tipo capitalistico moderno malgrado il profondo ibridismo sociale) aggiungono una vasta costellazione di Satelliti, lasciati a giocherellare colla finzione di Sovranità, mentre il loro personale dirigente è sempre più ubriacato corrotto e comprato nelle case da tè e da cocaina che sono i grandi convegni e consigli politici internazionali.
Caduta l’Italia nel satellitame più vile, Gran Bretagna e Francia vedranno se contentarsi del posto di primo Lord e prima Lady nella Costellazione Americana. Resta dall’altra parte la Costellazione russa, alle prese con qualche pianetino indisciplinato che vorrebbe saltare fuori dalla sfera di attrazione primitiva.
I Grandi Mostri sono così ridotti a due in sostanza. Andranno verso la unificazione col mezzo della Pace o con quello della Guerra? Sarà in ambo i casi tremendo. Ma sarà altrettanto tremendo che per la terza volta, dopo aver ciascuno divorato per metà le grandi e piccole specie zoologiche della carta politica della terra, si aggrediranno reciprocamente accusandosi di voler divorare la sacra libertà dell’ultimo topino.
Tratto da «Battaglia Comunista», n. 38 del 1949