Dell’indebolimento degli Stati: Miscellanea

Dell’indebolimento degli Stati: Miscellanea

Presentiamo una raccolta delle analisi pubblicate sul sito sull’argomento dell’indebolimento degli stati.
Esiste un discreto numero di testi, dichiarazioni, commenti originati da fonti diverse, che sostengono la realtà dell’indebolimento degli stati. Noi abbiamo iniziato a percepire la diffusione di questa innovativa problematica almeno da un paio di anni, tentando di comprendere le sue ragioni politiche, i suoi eventuali fondamenti teorici marxisti, e infine la posizione da assumere nei suoi confronti. Se fosse storicamente possibile bypassare le fasi del programma comunista, allora sarebbe bello entrare nel nuovo mondo tanto agognato senza sforzi di lotta e di azione rivoluzionaria. Tutti noi vorremmo che questa utopia si avverasse, ma le utopie sono spesso illusorie, e spesso nascono da una tendenza a spostare sul piano fantastico il faticoso lavoro per cambiare la realtà. Certo, sono anche il segnale di un disagio sociale e della capacità di alcuni gruppi umani di prefigurare mondi alternativi, ci direte, tuttavia raccontare che gli Stati si dissolvono da soli, e quindi il capitale uccide se stesso, può anche rassicurare la classe dominata che è meglio aspettare questi eventi ineluttabili, senza agitarsi troppo. Capitale autonomo, stati che si dissolvono, elementi di socialismo nell’economia sono i tre lati di un teorema fatalista che abbiamo analizzato e de-costruito in vari momenti, tentando di ragionare sul senso di posizioni lontane (a nostro parere) dal marxismo. Il senso politico di queste posizioni innovative è la rivalutazione del gradualismo (lo stato si dissolve lentamente), e al contempo del catastrofismo (il sistema collasserà bruscamente). Sono due posizioni reciprocamente antitetiche, ma non tocca a noi spiegare come possano coesistere nello stesso modello teorico. Noi riteniamo che il vizio ‘filosofico’ originario risieda nel pensiero apodittico, un pensiero che considera come già presupposte delle proposizioni che invece dovrebbero essere prima dimostrate sul piano storico e sociale. Un sofisma apodittico contenente idee astratte dalla verifica storica, non è sottoposto neppure all’obbligo di una interiore coerenza logica, può dunque sostenere (a) e il contrario di (a) senza problemi. La proposizione apodittica potrebbe anche essere formalmente logica, o illogica, perché l’essenziale non è questo aspetto, ma la persuasione che i suoi contenuti siano degli assiomi auto evidenti, già dimostrati in se stessi. Su queste basi di s/ragionamento si può costruire un castello di carte, precario e privo di verifica storica. I testi della miscellanea dimostrano i nessi determinati dell’errore teorico contenuto nella posizione sul dissolvimento degli stati, criticando punto per punto i suoi risvolti non materialisti.

Tratto dalla nota redazionale a ‘Inflazione dello stato’ del 30 agosto 2016.

Quando da qualche parte viene posta come vera l’autonomizzazione del capitale (dai precedenti rapporti di interdipendenza con l’apparato statale), o viene prefigurato un processo di indebolimento degli stati borghesi, si compiono degli errori teorici madornali. Errori che non derivano, chiaramente, dal fatto che un testo del 1949 sostenga delle tesi nettamente e indiscutibilmente opposte alla presunta autonomia del capitale o all’indebolimento degli stati. Quello che conta sono le argomentazioni che, in quel testo, stanno dietro la tesi dell’inflazione (ergo rafforzamento) dello stato. Essendo tesi fondate su una valutazione ‘materialistica’ della funzione dello stato, esse non sono confutabili sul piano della realtà storica. «Lo Stato è un prodotto della Società in una certa fase del suo sviluppo» (Engels). Lo Stato compare quando la società si divide in classi economicamente antagoniste, quando appare la lotta di classe. Lo Stato «è la macchina per l’oppressione di una classe su di un’altra»(Marx).  

Dunque, senza abbagli e concessioni alla comune vulgata democratica, ‘Inflazione dello stato’ definisce il significato della funzione storica dello stato citando a supporto Engels, Marx e infine Lenin:Il mondo capitalistico offre, invece, la decisa ininterrotta concentrazione su estensioni immense delle unità statali, e la dominazione sempre più totale delle grandi sulle piccole. Questo processo è del tutto parallelo all’aumento di ingerenza della macchina statale in tutte le fasi della vita delle popolazioni cui sovrasta, al diffondersi di tale influenza dal campo politico, di polizia, giuridico, sempre più esplicitamente e soffocatamente a quello sociale, economico e fisico. Già in Stato e Rivoluzione (Cap. II Par. 2) Lenin dà di tale processo interno una decisiva analisi riferita a tutti i paesi d’Europa e di America, e soprattutto ai più parlamentari e repubblicani.
«In particolare l’imperialismo, epoca del capitale bancario, epoca dei giganteschi monopoli capitalistici, mostra lo straordinario rafforzarsi della ‘macchina dello Stato’ e la inaudita crescenza del suo apparato amministrativo e militare, in seguito al rafforzarsi della repressione contro il proletariato, tanto nei paesi monarchici che nei più liberi paesi repubblicani».
Parole scritte nel 1917′.

La citazione tratta da ‘Stato e Rivoluzione’ collega senza ombra di dubbio ‘lo straordinario rafforzarsi della ‘macchina dello Stato’, al ‘rafforzarsi della repressione contro il proletariato’. Il collegamento è decisivo, infatti il testo del 56 parla di analisi decisiva, perché illustra l’interdipendenza  fra due fenomeni reali, dove la mostruosa inflazione dello stato non avrebbe senso se non fosse finalizzata a uno scopo pratico, ovvero al maggiore livello di repressione contro il proletariato. Basterebbe solo questa circostanza per smontare la tesi di opposto contenuto. 

Tuttavia i teorici dell’indebolimento degli stati borghesi potrebbero ancora opporre una obiezione di merito, proviamo a riassumerla: perché dovrebbe verificarsi (nel mondo reale) il ‘rafforzamento della repressione contro il proletariato’ e non , invece, una sua integrazione ‘pacifica’ nel welfare semi corporativo delle società borghesi contemporanee? 

Inoltre, mettendo accanto a tale obiezione la solita teoria dell’immanenza inesorabile del comunismo, inteso come movimento che abolisce fatalisticamente l’ordine di cose esistente (senza nessun rapporto con le sequenze storiche sperimentate, date da fasi successive e concrete come lotta di classe, partito, rivoluzione, dittatura), allora avremo il quadro più o meno completo del retroterra teorico (almeno di una parte) dei critici dell’inflazione dello stato. Se il movimento opera come una forza naturale, o meglio fatale, nell’abolizione della struttura e sovrastruttura capitalistica, allora queste ultime saranno necessariamente erose dal movimento. Da queste premesse infondate potremo poi dedurre, continuando il cammino della astrazione dai dati empirici , che la struttura economica non può che essere già di fatto comunista, e anche la sovrastruttura statale borghese non si sente poi troppo bene e si indebolisce a ogni piè pari. Spieghiamo il sofisma: la sovrastruttura borghese si indebolirebbe in quanto condizionata da una struttura economica sostanzialmente ‘socialista’. Queste ardite argomentazioni, dei veri e propri sofismi astratti, separati da ogni contatto con la vita vera, nascondono un contenuto politico di marca gradualista, oseremmo dire transizionista, nel senso di essere rivolte esclusivamente verso le secolari fasi di passaggio da una formazione economico-sociale (modo di produzione) ad un altra. Ma il marxismo e la storia reale ci insegnano che un movimento tende verso uno scopo, e questo non è generalmente raggiungibile attraverso l’inerzia di un attesa di fatali eventi catastrofici. Proprio in ‘Dialogato con i morti’ si ricorda, a titolo di smentita di ogni fatalismo finalista, che anche tenendo conto dei fattori socio-economici che condizionano e tendenzialmente vanificano la cosiddetta libertà della volontà individuale, è pur vero, di converso, che il partito, in determinate situazioni storiche, non solo è soggetto detentore di scienza (teoria invariante), ma anche di volontà e libertà ( nel senso della possibilità di fare, scegliere, concentrare la libera volontà nella scelta di strade differenti, e quindi di esercitare un influenza diretta sul corso degli eventi storici ). Dunque, in termini schematici e generali, possiamo sostenere che un movimento tende a uno scopo, di cui, molto spesso, solo una frazione dei partecipanti è consapevole. Sul piano storico-sociale, gli ostacoli materiali che fanno da freno alla realizzazione dello scopo, vengono superati da una sequenza di azioni coscienti e libere (da parte di pochi) e non libere e non consapevoli da parte di molti (vedasi ‘Dialogato coi morti’). Il momento della realizzazione dello scopo del movimento storico è brusco, violento, può essere confuso con una catastrofe naturale, ma non lo è. Esso è invece l’acme di un processo di lotta in cui è sintetizzata la necessità e la libertà, il cieco impulso e la scienza, il piano oggettivo dei condizionamenti economici e quello soggettivo della libertà della volontà nella forma partito. Dialettica storica fra coppie di contrari, polemos (eraclitea) al posto dei gradualismi in cui il movimento è tutto (Bernstein) e il fine conta niente. Polemos prima di tutto, quindi lotta di classe, conflitto, guerra madre di tutte le cose, soprattutto nel divenire delle fasi storiche di transizione. Torniamo all’obiezione di partenza, perché allora non ha senso veritativo l’astratto sofisma sull’indebolimento degli Stati? 

La proposizione sull’indebolimento degli stati borghesi è confutata dall’esperienza storica reale, ovvero dai processi socio-economici capitalistici studiati ed esposti principalmente nell’opera di Marx. Ci riferiamo, in questo caso, alle chiare previsioni di Marx in merito all’aumento del dispotismo capitalistico di fabbrica. L’aumento della repressione contro il proletariato (e la conseguente inflazione dello stato) è collegata all’aumento dello sfruttamento della forza-lavoro, cioè all’esigenza economico-aziendale di incrementare l’estrazione/appropriazione di plus-lavoro/plus-valore assoluto e relativo (in conseguenza di una ‘storica’ tendenza alla caduta del saggio medio di profitto). Non bisogna dimenticare che anche l’impoverimento crescente, legato all’aumento dell’esercito industriale di riserva (e dunque al maggiore impiego di capitale costante nel processo produttivo aziendale) gioca un ruolo, insieme alla spaventosa concentrazione di masse umane diseredate nelle metropoli urbane, nell’aumento della repressione.

Dunque possiamo ipotizzare una interdipendenza dialettica fra l’azione capitalistica di aumento dello sfruttamento, l’incremento dell’esercito industriale di riserva, la spaventosa concentrazione di masse umane diseredate nelle metropoli urbane e la conseguente tendenza della classe borghese al rafforzamento dell’attrezzatura di oppressione statale.  Infine questo rafforzamento, finalizzato a una maggiore ‘repressione contro il proletariato’ è allora da intendersi come un mezzo per contrastare il maggior grado di antagonismo – potenziale o attuale – del proletariato, posto in essere dal progressivo peggioramento della propria condizione di vita oppressa, sfruttata e impoverita. Inoltre non è da trascurare la circostanza della lotta basica, permanente, fra aggregati di potenza capitalistici: ‘La inflazione dello Stato ha nel mondo modernissimo due direzioni, quella sociale e quella geografica, territoriale. Sono intimamente connesse. La seconda è fondamentale. Stato e territorio sono nati insieme. Engels nell’Origine della famiglia della proprietà e dello Stato dice infatti: Lo Stato in primo luogo si distingue dinanzi all’antica organizzazione della gens della tribù o del clan, per la ripartizione della popolazione secondo il territorio’….Quanto alla estensione del territorio, il mondo antico ci presenta piccole unità statali ridotte alla città e grandi Imperi derivati da conquiste militari, il Medio Evo ci mostra piccoli autonomi Comuni e grandi complessi statali. Il mondo capitalistico offre, invece, la decisa ininterrotta concentrazione su estensioni immense delle unità statali, e la dominazione sempre più totale delle grandi sulle piccole’….Alla vigilia della seconda guerra generale era già chiaro, sia per l’ulteriore evoluzione monopolistica del grande capitalismo, sia per quella della tecnica militare che sempre più richiedeva masse di mezzi economici formidabili, che ogni Stato avente pochi milioni di abitanti non poteva esercitare alcuna autonomia economica diplomatica o militare e doveva porsi nell’orbita e nella soggezione di uno più grande.Fu così evidente che nel nuovo gioco diplomatico e militare avrebbero contato solo i grossi bestioni statali, i quali solo potevano far conto su forze apprezzabili nella guerra soprattutto dei mari e dell’aria, lunga, ingombrante, costosa a preparare, richiedente oltre che immensi capitali grandi distanze geografiche tra le basi e i confini politici’.

Non è dunque il caso di aggiungere altre riflessioni, l’inflazione dello stato emerge come una caratteristica inconfutabile, dall’intero testo del 1949, perché la ‘macchina dello Stato’ e la inaudita crescenza del suo apparato amministrativo e militare,  (deve) rafforzarsi (a causa) della (maggiore)repressione contro il proletariato, e poi perché ‘nel nuovo gioco diplomatico e militare avrebbero contato solo i grossi bestioni statali’.

Tratto da ‘Complessità e metodo dialettico’ luglio 2016

Nell’ultimo anno abbiamo dedicato un certo spazio allo studio di talune posizioni, a nostro modesto avviso minate da gravi errori teorici. Proviamo ora a riepilogare il contenuto di una parte di queste posizioni,  sfocianti regolarmente in letture deformate della realtà socio-economica. Il fatto che gli autori di queste letture  presuppongono di utilizzare una metodologia marxista, è un dettaglio che non deve meravigliare, o trarre in inganno. Nel marasma caotico della decadenza  sociale borghese vale la stessa critica che la scuola eleatica riservava agli uomini dalla doppia testa, cioè a coloro che dicono tutto e il contrario di tutto, nello stesso istante, contemporaneamente. Fare ossequio formale al metodo e alla teoria marxista, e poi sostenere delle letture della realtà lontane dal contenuto scientifico di questa teoria è un segno dei tempi (oltre che espressione di una incallita ars funamboli degna di miglior causa). Dunque entriamo nel dettaglio delle posizioni, a nostro giudizio, distanti dal realismo marxista. Una delle prime ‘stranezze’ che abbiamo letto e criticato, è quella sugli stati borghesi che si starebbero indebolendo/devitalizzando. Bene, abbiamo in passato esposto alcune evidenze storiche in obiezione a tale lettura, e mai abbiamo ricevuto risposte o contro argomenti da chicchessia. L’evidenza principale è questa: il marxismo sostiene il rafforzamento degli apparati burocratici e polizieschi statali, in ragione del fatto che aumentando nel corso dello sviluppo capitalistico i  proletari senza occupazione e reddito, e il grado di sfruttamento dei proletari occupati, dovrà aumentare anche il potenziale di scontro sociale di classe, e dialetticamente lo stato borghese dovrà rafforzarsi per fare fronte al pericolo della bomba a orologeria sociale innescata dalle dinamiche stesse del capitalismo. Allora, chi sostiene il contrario, quali argomenti può opporre? Non abbiamo ricevuto nessuna risposta alle evidenze storiche elencate, infatti la tesi che sostiene l’indebolimento degli stati è una tesi apodittica, non dimostrabile, basata su sofismi astratti dalla realtà storica. In garbata polemica qualcuno ci ricorda che il pensiero e la metodologia di indagine marxista sono imperniati su processi logico dialettici induttivi e deduttivi, che fanno impiego di schemi astratti. Lo sappiamo anche noi. Gli schemi e le astrazioni (nate da precedenti verifiche esperienziali) sono delle fasi di un processo conoscitivo che si conclude, però, con il ritorno al concreto, attraverso la verifica scientifica storico/fattuale. E questo non è empirismo o concretismo, ma corretta metodologia di ricerca basata sull’uso di schemi astratti, leggi tendenziali socio-economiche, storicamente invarianti, tasselli non di metafisiche verità assolute (il presunto determinismo assoluto), ma parti necessarie di un processo conoscitivo composto da approssimazioni successive al vero, al complesso, al non ancora svelato. Ora ci chiediamo da dove nasce la strana idea degli stati borghesi in via di indebolimento. In primo luogo da un altro errore, quello del comunismo inteso come movimento meccanico, fatalista, di abolizione della società capitalistica (movimento in cui la lotta di classe e il partito, stranamente, sono assenti o quasi ). Questo è un errore a sua volta originato dall’adesione a una concezione materialistica volgare, pre-marxista, basata sull’idea di scienza (borghese) come sostituito della teologia, e quindi come corollario della verità vera e assoluta (il presunto determinismo assoluto). Le chiare lettere di Marx, Engels e Lenin sulla conoscenza materialistico-dialettica, da intendere come processo di approssimazione al vero, evidentemente, per i moderni scientisti non significa nulla. Dunque, se nella storia umana viene erroneamente postulato un processo meccanico finalistico (alias movimento reale) verso il comunismo, allora è inevitabile che gli stati borghesi vengano erosi e indeboliti da questo movimento. Tale sillogismo è formalmente corretto, anche se infondato dal punto di vista della realtà economico sociale svelata dalle scoperte scientifiche del marxismo. Dunque il sillogismo è corretto, ma solo a patto di accettare come vera l’idea di un movimento che erode gradualmente gli assetti di potere della società esistente, e quindi anche gli stati. Chiunque può notare la vicinanza al riformismo gradualista, come esito finale di questa concezione. Sul piano sociale effettuale il movimento reale è la lotta di classe, lotta che determina (in un certo momento di acuto scontro e quindi di massima percezione dei processi reali ) una teoria invariante (storicamente), e un partito (storico e formale) che si richiama a quella teoria, e ne fa programma politico. Il fatto che il cambiamento storico (e quindi il movimento reale) , nel marxismo, avvenga sulla base di bruschi salti dialettici (risultanti dell’interazione di oggettivo e soggettivo) , non ha importanza per gli assertori delle transizioni naturalistiche, graduali e meccaniche. In questa visione (meccanico/scientista) gli stati si indeboliscono perché la società capitalistica è vecchia, e poiché i vecchi sono notoriamente deboli, anche lo stato borghese deve essere debole. La controprova negativa presente nella storia reale, controprova data dal fatto che gli stati borghesi non si spengono da soli, non si suicidano, ma vengono soppressi/distrutti dal conflitto sociale proletario (comune di Parigi, Russia), o temporaneamente disgregati dall’azione di altri stati borghesi, non ha nessun rilievo. Nel caso iniziale, la soppressione violenta produce una nuova impalcatura statale proletaria, i cui scopi e funzioni sono antitetici alla precedente attrezzatura borghese. Nel secondo caso, la disgregazione è il momento di partenza di una successiva ricostruzione, funzionale agli interessi capitalistici endogeni ed esogeni che hanno favorito la disgregazione del preesistente apparato statale. Ricordare questi dati ci espone all’accusa di empirismo e concretismo dai cultori delle proposizioni apodittiche, ignari degli esiti storici e concettuali aporetici di queste proposizioni, in definitiva prive di uscite sul piano della storia reale, e dunque chiuse in una prigione di astratti sofismi e rudimentali tautologie.

Brexit …7 luglio 2016

Alcuni moderni e raffinati divulgatori del concetto di società liquida, sostengono senza ripensamenti la preponderanza delle grandi imprese trans e multinazionali sulla forma stato. Costoro sostengono che gli Stati hanno ormai perso delle prerogative che in passato erano di loro competenza esclusiva, in quanto sarebbero i grossi gruppi aziendali a dettare la politica economica, fiscale e anche estera delle nazioni.

Dunque vivremmo in una società liquida, una società basata sull’effimero quotidiano, dove le relazioni umane perdono ogni aggancio con le precedenti (discutibili) certezze, a tutto vantaggio del soggetto liquido, consumatore frenetico di merci superflue, come una parte della moderna sociologia sostiene. Questa condizione generalizzata comporterebbe anche un indebolimento degli stati, o meglio la loro esautorazione da parte del capitale transnazionale, autonomo e libero di vagare nei circuiti di valorizzazione sia finanziaria che industriale, senza obblighi e vincoli di legge e di stato che tengano. Potremmo anche non considerare del tutto peregrine le considerazioni sul fatto che al moderno membro della società capitalistica venga chiesto di consumare (e soprattutto di farsi sfruttare nel processo produttivo). Le due attività (in fondo estremamente coercitive) sono complementari, ed entrambe funzionali al dominio della minoranza sociale borghese. Tuttavia non ci sembra neanche verosimile la proposizione che afferma l’indebolimento dello strumento statale, a tutto vantaggio di un capitale autonomo (bancario, finanziario o industriale che sia).

Questo nostro scetticismo deriva da una considerazione di tipo storico: come si può sostenere una proposizione dal contenuto simile a quella appena esposta, quando l’apparato statale è notoriamente una espressione del potere di una classe sociale dominante, e quindi la sua funzione è quella di permettere a determinati rapporti di produzione, cioè interessi, attività economiche, capitali autonomi di questa classe sociale di continuare ad esistere ?

Quale esautoramento può esserci se i due termini del rapporto, cioè economia capitalistica e apparato statale borghese sono interconnessi, e l’uno implica l’altro?

Chi sostiene che la moderna economia transnazionale sta depotenziando gli stati capitalistici nazionali non si rende conto che gli stati sono depotenziati, nella realtà storica contemporanea, solo da strategie, azioni, rivolgimenti, messi in opera da stati capitalistici più potenti, evidentemente interessati ad ottenere vantaggi particolari dalla rovina di determinate aree o nazioni.

La storia recente di Libia, Siria, Iraq, e Ucraina dovrebbe spingere a riflettere sui motivi geopolitici ed economici che si nascondono dietro la disgregazione di determinati stati, evitando di parlare di processi di auto-produzione, quando la genealogia dei fenomeni in oggetto è essenzialmente di origine esogena, e rientra a pieno titolo nella tipologia del confronto/scontro fra potenze capitalistiche concorrenti. L’abbiamo detto e ridetto, alla luce di evidenze storiche inconfutabili, anche se la semplice demistificazione teorica delle illusioni borghesi non basta a convincere coloro che hanno fede in queste madornali sciocchezze. Certe pseudo verità sono di tipo apodittico, dei puri sofismi, accettati dal seguito del capo carismatico di turno in modo fideistico, mentre ogni obbligo di dimostrazione scientifica degli assunti assiomatici viene gettata alle ortiche.

Nella realtà gli stati non si indeboliscono, ma invece si rafforzano (nella loro capacità di dominio e controllo). Questa non è una affermazione apodittica o assiomatica, infatti essa non deriva da un puro ragionamento sofistico, ma poggia le sue basi su due leggi tendenziali, scientifiche, del modo di produzione capitalistico (storicamente verificate): l’incremento del grado di sfruttamento sui luoghi di lavoro (sia nei termini del plus-valore assoluto che di quello relativo), e l’aumento della popolazione inoccupata, povera, pauperizzata. Questi due fattori, sulle cui cause non ci dilungheremo, costituiscono la base materiale per un incremento potenziale della conflittualità sociale (un incremento del conflitto sociale proletario, a cui la borghesia deve opporre, dialetticamente, un rafforzamento del proprio apparato di oppressione statale). Se i due fattori elencati sono reali, come sostiene il marxismo, allora non si comprende perché anche l’incremento del dispotismo aziendale e statale (già indicati da Marx) debbano essere sostituiti dalle bislacche idee sull’indebolimento degli stati.

Tratto da ‘L’assalto del dubbio revisionista…nota redazionale 2 giugno 2016

Nota redazionale: Pubblicato sul numero 5 della rivista Prometeo del 1947, il testo si pone retoricamente la domanda se è ‘ sempre valida la impostazione critica formulata dal marxismo’. La domanda è posta come pretesto, all’interno di un percorso argomentativo in cui si utilizza l’ars retorica nella sua accezione positiva: cioè quella di uno strumento per conseguire la dimostrazione di un contenuto opposto al senso della domanda iniziale. Le verifiche storiche precedenti al 1947 contengono già la risposta al quesito retorico: non ci sono possibilità di trasformazione sociale alternative al percorso autenticamente marxista-rivoluzionario. 

Quindi cosa rispondere a coloro che  si chiedono ‘suggestivamente se non era (è) possibile, evitando il sanguinoso epilogo della guerra di classe, inserire in un placido graduale tramonto della società borghese il generarsi delle nuove forze della società del lavoro’.

Il testo del 1947 affronta tali dubbi, chiarendo che ‘Dinanzi a questi recenti e vecchi dubbi critici, va riproposta nei suoi termini essenziali la posizione critica propria del partito di classe del proletariato al confronto dei dati dei nuovi tempi’. 

Il marxismo, inteso come teoria storicamente invariante, ha svelato la correlazione delle varie formazioni sociali con determinati modi di produzione, ha descritto il loro sorgere e il loro trapasso sulla base di condizioni oggettive e soggettive interdipendenti di tipo economico-sociale e politico. Questa teoria è dunque l’arma teorica più efficace di critica e lotta alla società capitalistica (da parte del proletariato e dei transfughi della classe dominante). Le linee guida di questa teoria sono state fissate nella fase di un acuto scontro di classe, intorno alla metà del 1800, quando più nitida è apparsa la scena reale del conflitto sociale fra forze opposte, portatrici di opposte visioni dell’esistenza e di antitetiche missioni storiche.

I sostenitori della variabilità del contenuto qualitativo del programma comunista, nei suoi aspetti sia di tattica che di strategia, fanno continuo appello alla evidente mutevolezza dell’esistenza, per giustificare l’esigenza di innovare il corpus teorico marxista. Tuttavia se qualcosa muta, è anche vero che prima del mutamento c’era qualcosa che non mutava, qualcosa che per un certo tempo ha mostrato dei caratteri fondamentalmente (storicamente) costanti, caratteri su cui è in seguito intervenuto il mutamento. Fintanto che l’organismo socio-economico capitalistico esiste, le sue caratteristiche fondamentali sono quelle descritte dal marxismo, e quindi resta valida per la classe proletaria l’indicazione programmatica marxista che ‘è quella della organizzazione di essa (la classe) in un partito politico, depositario della teoria critica rivoluzionaria, che inquadra le forze avverse alla classe dominante, e le conduce nella lotta contro di questa (…) che realizzerà la trasformazione del vecchio meccanismo economico.

Il testo del 1947 fornisce lumi, almeno a nostro avviso, anche su un altro errore ricorrente fra le file dei ‘modificatori/innovatori’ della teoria marxista: questo errore presenta generalmente una articolazione triadica nella lettura della realtà sociale, ovvero; meccanicismo, economicismo, scientismo. Vediamo di cosa si tratta, provando a riassumere brevemente le note distintive di tale errore, un errore che si sostanzia prima di tutto nella ingenua formulazione di un rapporto assoluto (uni-lineare) fra causa ed effetto (meccanicismo): in modo particolare le cause puramente economiche (aumento del capitale costante, centralizzazione aziendale, crisi economica) sarebbero le determinanti univoche del mutamento sociale (al di là di ogni aspetto politico/sociale collegato ai rapporti reali di forza fra le classi). Quindi, ritagliando sulla realtà sociale l’abito della propria concezione deformata del mutamento sociale, l’economicismo meccanicista sfocia infine nello scientismo, cioè nella lettura dei fatti umani alla luce della scienza borghese. Il socialismo scientifico diventa semplice utilizzazione dei parametri della scienza che c’è in questa società, in nome dei presunti cedimenti teorici dell’apparato scientifico contemporaneo al marxismo. Il concetto di ideologia si applicherebbe, per i nostri scientisti, al diritto, all’economia politica, a certe produzioni filosofiche e letterarie, mentre l’attuale scienza ne sarebbe in parte immune, in modo da consentirci poi di teorizzare/prevedere anche sulla scorta dei suoi progressi, collassi e catastrofi naturali del sistema borghese. Vediamo cosa dice invece il testo del 1947:(il modo di produzione capitalistico) ad un certo stadio dello sviluppo, non può più contenere nei suoi schemi di organizzazione sociale, statale e giuridica queste enormi forze (che ha contribuito a sviluppare), e cade in una crisi finale per il rivoluzionario prorompere della principale forza di produzione, la classe dei lavoratori, che attuerà un nuovo ordine sociale…La via attraverso la quale questa classe raggiunge il suo posto di nuova protagonista della storia è quella della organizzazione di essa in un partito politico, depositario della teoria critica rivoluzionaria, che inquadrale forze avverse alla classe dominante, e le conduce nella lotta contro di questa‘.

I fattori principali della crisi finale del regime borghese sono dunque di tipo economico e socio-politico,ovvero ‘il rivoluzionario prorompere della principale forza di produzione, la classe dei lavoratori’.  Dunque è una forza umana, sociale, che apre la via, verso un nuovo ordine sociale, organizzandosi in un partito politico, partito funzionale all’inquadramento (di questa stessa forza sociale) in efficace energia di lotta contro la classe dominante.

Dunque è il conflitto di classe, tendente, è vero, ad acutizzarsi a causa del periodico, sistemico, incremento del grado di sfruttamento e oppressione messo in atto dal regime socio economico borghese, a costituire il motore del mutamento. In definitiva è la principale forza di produzione, la classe dei lavoratori, con le sue lotte coscientemente indirizzate dal programma comunista del partito, depositario della teoria critica rivoluzionaria, ‘che attuerà un nuovo ordine sociale‘. 

L’errore meccanicista/scientista converge infine nel gradualismo, anzi potremmo sostenere, a ragion veduta, che esso è solo l’altra faccia della medaglia gradualista. Infatti, se si sostiene che il mutamento sociale trova origine su un piano semplicemente uni-lineare di causa ed effetto, come per il riflesso condizionato studiato in da Pavlov negli anni venti, allora il progetto cosciente umano, il programma politico del ‘partito politico,depositario della teoria critica rivoluzionaria, che inquadra le forze avverse alla classe dominante, e le conduce nella lotta contro di questa’( quindi la rete di interdipendenza dialettica della totalità dell’essere reale, sul piano storico e sociale), perde il senso e il ruolo decisivo nei processi di cambiamento, ruolo che invece il testo del 1947 continua ad attribuirgli, è il caso di dirlo, senza nessuna ombra di ‘dubbio revisionista’.

6 giugno 2015. Sul cosiddetto indebolimento degli stati borghesi.

Proviamo ora, con tanta pazienza, a considerare la seguente proposizione ‘Il de-potenziamento del potere degli apparati statali nel governo della società è un dato reale, e i borghesi ne sono coscienti ’.

Il corsivo è nostro, e ha lo scopo di ricordare l’aspetto cruciale del passaggio ai fini del significato complessivo del periodo. Quali dati a noi ancora sconosciuti consentono di fare affermazioni siffatte?

Sarebbe interessante saperlo, perché così potremmo anche noi archiviare finalmente le valutazioni contenute nel testo ormai vetusto degli anni 50: ‘Imprese economiche di Pantalone ’.

Cosa diceva quel testo ‘Poiché nella situazione storica del XVII, XVIII, XIX secolo la rivoluzione capitalista doveva avere forme liberali, nel XX ha forme totalitarie e burocratiche. La differenza dipende non da fondamentali variazioni qualitative del capitalismo, ma da enorme divario di sviluppo quantitativo, come intensità in ogni metropoli, e diffusione sul pianeta. E che il capitalismo alla sua conservazione come al suo sviluppo e ingrandimento adoperi sempre meno ciancia liberale, e sempre più mezzi di polizia e soffocamento burocratico, vista bene la linea storica, non induce ad esitare menomamente che questi stessi mezzi dovranno servire alla rivoluzione proletaria. Maneggerà questa violenza, potere, stato, e burocrazia: dispotismo, dice col termine peggiore il manifesto di 103 anni addietro; poi saprà disfarsi di tutto‘.Imprese economiche di pantalone p.63.

Abbiamo scritto, a proposito di tali considerazioni, in un lavoro pubblicato sul nostro sito:

Se abbiamo ben compreso, il capitalismo, nella fase di massima intensità in ogni metropoli, e diffusione sul pianeta, proprio a causa del suo enorme sviluppo quantitativo, e quindi delle tensioni e dei conflitti che si innescano per la contraddizione esistente fra accumulazione capitalistica e crescita della sovrappopolazione, ha il vitale bisogno sistemico di operare in forme totalitarie e burocratiche, cioè di manifestarsi con sempre più mezzi di polizia e soffocamento burocratico ’. ‘Dalla guerra come difesa e offesa….’

Potremmo citare altri passi del lavoro teorico della corrente convergenti verso le stesse posizioni, ma ci sembra inopportuno, perché, a questo punto, vorremmo solo chiedere ai sostenitori del de-potenziamento degli apparati statali di renderci edotti sulle loro fonti, sulla documentazione, sicuramente attendibile, che li conduce a esprimere valutazioni così diverse dalle considerazioni contenute nei testi degli anni 50 e oltre. Sarebbe importante per noi avere queste informazioni, così potremmo lietamente condividere il giubilo di questi compagni quando affermano che il potere degli stati sta venendo meno, e i borghesi se ne stanno rendendo conto (Come sappiamo che i borghesi se ne stanno rendendo conto ? E’ stato fatto un sondaggio in rete, porta a porta, oppure è stato consultato un astrologo?). In fondo è proprio vero, l’esistenza del filone di pensiero meccanicista-collassista lo dimostra, l’essere umano può venire imprigionato nella cella più buia e angusta, ma il pensiero resterà comunque libero di volare in alto, nelle dimensioni della fantasia e dell’immaginazione dove nessuna gabbia può imprigionarlo. Nella realtà sociale (al di fuori del regno beato della fantasia e dell’immaginazione ) il moderno Moloch statale si rinforza ogni istante di più, proprio perché, in un processo di risposta dialetticamente determinista, deve fronteggiare il disordine sociale e le minacce politiche causate dalle leggi immanenti della economia capitalistica. Se si indebolisse, se non fosse così dispoticamente onnipervasivo, vorrebbe significare che la società classista ha smesso di esistere. Vorrebbe significare che il sistema è giunto al collasso meccanico, senza neppure il fastidioso bisogno di azioni pratiche, politiche, soggettive, accessorie e complementari all’implosione oggettiva, meccanica, della formazione economico-sociale capitalistica. Il conflitto di classe, la sua valenza di motore della storia, in quanto urto colossale di processi sociali incarnati da esseri umani reali (senzienti e volitivi), nelle interpretazioni meccanicistiche del marxismo, viene completamente azzerato e assorbito dalle meccaniche celesti della dimensione economico-strutturale. Siamo al riflesso condizionato pavloviano: dal momento che i fondamentali economici non ci sono più, ergo il sistema collassa, deve collassare, non può non collassare. (Ma già negli anni 50 era un cadavere, eppure ancora camminava…)

Marx scrive, in varie occasioni, che il capitale è il nemico di se stesso, cioè che il suo sviluppo pone le condizioni per il suo superamento, e una di queste condizioni basiche è l’esistenza del proletariato: la classe sociale storicamente destinata a chiudere i conti con il modo di produzione borghese. Quindi si parla di attori sociali umani, che operano all’interno di circostanze storiche determinate, relative a una certa struttura economica e a una certa sovrastruttura politico-ideologica. Classi sociali che entrano in conflitto e innescano giganteschi processi di mutamento sociale sulla scorta della contraddizione esistente fra il grado di sviluppo delle forze produttive e i rapporti di produzione capitalistici: rivoluzione e controrivoluzione si contendono il campo storico dei nostri tempi, ma la controrivoluzione è solo la risposta dialettica alla potenza della minaccia rivoluzionaria determinata dalle stessi leggi immanenti dell’economia capitalistica. Alcune volte può sembrare che le vicende sociali che vediamo scorrere sul rullino del tempo storico siano assolutamente inevitabili, essendo innegabile la forza dei fattori condizionanti, gli attrattori sistemici economico-sociali, svelati dall’analisi marxista. Tuttavia questa considerazione può fuorviare e allontanare dalla corretta valutazione del rapporto esistente fra dimensione oggettiva e soggettiva nella genealogia dei fenomeni storico-sociali, cioè del rapporto esistente fra volontà politica soggettiva e determinanti di causa oggettivi. A tal proposito i nostri amici meccanicisti scrivono, il comunismo diviene, non viene realizzato… è vero, a patto di ricordare che il divenire non è un semplice terremoto naturale, una semplice meccanica indipendente dalla volontà cosciente dell’uomo ( materialismo volgare con annesso finalismo), ma il movimento reale degli esseri umani (azione, volontà, pensiero), inserito in un orizzonte di circostanze storiche condizionanti (attrattori sistemici, leggi immanenti della produzione capitalistica).
Ma queste circostanze storiche condizionanti, dipendono in gran parte dall’uomo, è l’uomo stesso ad averle poste in essere, e quindi è l’uomo che crea il Moloch capitalista, ed è l’uomo che supera questo Moloch attraverso la lotta di classe che consente il rovesciamento della prassi (vedi traiettoria e catastrofe, nella parte in cui si parla del lavoro morto, cristallizzato in capitale costante, che da elemento di asservimento dell’umanità -nella forma sociale capitalistica- si trasforma in condizione materiale di emancipazione dal tempo di lavoro -nella forma sociale senza classi, in cui la legge del valore ha smesso di essere nella forma capitalistica)

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