Essere, materia, pensiero

Introduzione

L’uomo, l’esperimento umano nel corso della sua evoluzione ultra millenaria, può anche (ma non solo) essere considerato come un momento del percorso di auto consapevolezza dell’essere reale sul piano storico – fenomenico. La materia pensa, sequenze di dati e memoria di essi, conservazione dei dati dell’esperienza, librerie ed archivi. L’azione produce degli effetti, rimuove delle condizioni e ne determina altre, l’uomo deve agire per esistere, e quindi non può che distruggere gli ostacoli che gli impediscono di esistere. L’azione distruttiva è interconnessa con la  costruzione di un ambiente favorevole all’esistenza umana. Semplicemente esistendo, quindi camminando, respirando, muovendosi, l’uomo provoca la morte involontaria di altre forme di vita microscopiche, non può evitarlo se vuole vivere, dimostrando la connessione dialettica fra la vita e la morte. Agire vuol dire vivere, ma non solo, perché l’azione trae efficacia dalla conoscenza degli esiti di azioni precedenti (esiti positivi o negativi), e quindi la conoscenza sorta dall’esperienza, cioè dagli esperimenti passati, guida l’azione nel campo del presente. Una sequenza di passaggi e di tappe accompagna il cammino del gruppo e dei suoi membri:  azione adattiva, esperienza, memoria, conoscenza, ripetizione. La bussola e l’orientamento da essa indicato, sono la metafora dell’esperienza umana e della conoscenza/memoria che ne deriva. Per questo motivo si dice che chi non ha memoria del passato non ha i mezzi per vincere le sfide del presente e del futuro. La sequenza vitale data dal trinomio azione, conoscenza, memoria è una realtà esperienziale del singolo in quanto membro di un gruppo (o di vari gruppi). Senza l’inserimento in un gruppo sociale preesistente (famiglia, scuola, quindi la società e i gruppi che la formano), il neonato non avrebbe possibilità di sopravvivenza (a meno di non essere adottato da altre specie viventi). Non sosteniamo nulla di nuovo, l’uomo è un animale sociale, il singolo può esistere solo in un contesto di relazioni sociali, svolgentesi all’interno di gruppi e sottogruppi. Il trinomio azione, conoscenza, memoria è dunque la manifestazione di potenza vitale di una comunità umana, cioè di un gruppo sociale permeato da relazioni comunitarie (in altre parole quelle relazioni organiche-comunitarie che sono funzionali alla conservazione della vita della totalità dei membri del gruppo). La potenza della vita (essere, materia, pensiero), si manifesta dunque nella ‘preistoria’ della specie umana, come esistenza di gruppi sociali permeati da rapporti di tipo comunitario (funzionali alla conservazione /evoluzione della specie). La rappresentazione /interpretazione della realtà generale del kosmos che deriva da tali rapporti comunitari è di tipo olistico e dialettico, il membro del gruppo è parte integrante della totalità dell’essere reale, e quindi vive in accordo con i suoi ritmi, egli non si sente ancora il signore del mondo, ma più semplicemente la parte di un organismo animato in ogni suo aspetto (animismo).

Parte prima: società di condivisione e concezione del reale

L’orizzonte del reale è intramontabile, il senso di questo predicato è nella esclusione dall’intero (della totalità dell’essere) del contenuto logico-fenomenologico (assolutamente) opposto ad esso, cioè il niente. La negazione del niente è l’autonegazione della proposizione che ne pone la realtà, che in quanto proposizione è comunque un qualcosa, e quindi è la negazione del niente assoluto, che viene così posto (astrattamente) come contenuto della proposizione, e negato (concretamente) con la stessa proposizione (in quanto ente, cioè non niente). Dunque, quasi per un paradosso logico-fenomenologico, la negazione del reale è un autonegazione, e in quanto tale è un aspetto fondativo dell’essere, cioè del qualcosa che si oppone al niente. Non è il caso di riproporre le ‘qualità’ proposizionali dell’essere eleatico, a-spaziale e atemporale, recentemente postulate dalle maggiori correnti della fisica moderna. Ritorniamo ancora al discorso presocratico del principio (archè) unitario del kosmos. In altre parole stiamo parlando del monismo; ma cosa può caratterizzare tutto il complesso quadro del piano fenomenico, cosa può unificare il reale, cosa è questo uno (monos) che pervade il piano reale? La risposta è già contenuta nella domanda, il reale è tutt’uno con il reale stesso, cioè con il principio unitario logico-fenomenologico ‘essere’. Gli echi di una visione monista e olistica del kosmos, tipica delle società di condivisione, si prolungano fin dentro la ‘fisica’ presocratica di Anassimandro, Eraclito e Parmenide. La necessità dell’essere, in quanto realtà inestricabile di materia e pensiero, si impone come evidenza e immediatezza logico-fenomenologica, ovvero come la impossibilità che il reale sia il contrario di se stesso (cioè non realtà, niente, inesistenza). Spostiamo il focus sul piano della concezione del reale di certe comunità ‘primitive’, così come essa emerge  da recenti studi antropologici. Il pensiero magico-animistico è senza dubbio caratterizzato da categorie di linguaggio ingenue e semplici rispetto alla sofisticazione della fisica quantistica, e tuttavia non ci sono abissi concettuali fra l’empatia, la sinergia, la reversibilità e l’interconnessione dei dati reali (oltre le catene dello spazio-tempo) tipici di questo pensiero ‘primitivo’ e il continuum quantistico. A livello sub-atomico le regole e i paradigmi che ci consentono di abitare nel nostro attuale tipo di esistenza/mondo, non hanno campo di validità. Tuttavia possiamo ipotizzare, sulla base del determinismo dialettico marxista, che nelle esperienze sociali delle comunità di condivisione abbiano predominato forme di pensiero antitetiche a quelle tipiche delle ‘civiltà’ (schiaviste) . Schiavo e padrone sono una separazione, un dualismo, che per quanto inquadrati in una spiegazione transizionale, non avevano comunque nessuna realtà nella socialità originaria (che sebbene non idealizzata o mitizzata, va comunque indagata nelle sue caratteristiche culturali e sociali). La base di tale socialità è stata un modo di produzione e di distribuzione sociale, semplice, al servizio dei bisogni vitali e riproduttivi del gruppo sociale comunitario. Il valore d’uso dei beni non consumati, restava ammassato/depositato al servizio dei bisogni della comunità. Il quadro sociale delle relazioni umane era di tipo cooperativo, e sulla base di queste relazioni si sviluppava una conoscenza della realtà con caratteri specificamente monistici, non dualistici. Il gruppo comunitario è il modello su cui si fonda il disvelamento della realtà in generale. La ripetizione dell’agire comunitario nel modo di produzione pre-classista, all’interno di una dimensione di inesorabile integrazione della parte nel tutto (il singolo nella comunità e la comunità nella natura/destino) forma la base della conoscenza profonda di una realtà fatta di sinergia fra i fenomeni, di sincronia/superamento della tripartizione temporale, di empatia/contatto  fra le parti oltre ogni iato spaziale. Non è forse quello che caratterizza la realtà sub-atomica postulata dalla fisica moderna?

Parte seconda: rituali sociali come connessione con la dimensione del piano reale

Sul piano dell’esperienza immediata abbiamo, come uomini comuni, la percezione sensoriale della differenza fenomenica, o meglio della discontinuità di forma e di significato fra aspetti appartenenti all’intero dell’essere. Il comune denominatore di questi diversi aspetti della realtà è l’appartenenza al reale, cioè al piano di autonegazione del niente (nel senso indicato nel capitolo precedente). I  differenti fenomeni, per usare un frammento di Eraclito, sono avvinti in una guerra instancabile, polemos, la madre di tutte le cose, ma possiamo anche dire che in ogni ente del mondo/kosmos si ritrova ugualmente luce e notte oscura (lo  scrive Parmenide, quasi contemporaneamente ad Eraclito di Efeso). Dunque intreccio e polemos, il conflitto come strumento per il trapasso/trasformazione delle forme/ rivestimenti assunti dal reale. Il reale è monos, sono solo i suoi abiti ad essere in apparenza molteplici e cangevoli. L’etnologo Marcel Mauss ha osservato in alcune popolazioni, poco toccate dalla moderna civiltà, dei modi di agire lontani dalla logica utilitaristica, in altre parole dei modi di agire imperniati sul dono e sul contro dono. Una logica in apparenza antieconomica, almeno secondo il significato di economico assunto nelle società divise in classi. La gratuità, il dono, l’ospitalità sono una obbligazione rituale. Questo significa che come tutte le vere azioni rituali il loro contenuto rimanda, ab origine, ad un evento fondativo di tipo sociale. La vita e la comunità umana dei viventi, il loro esserci come destino e necessità, il senso di una vita intrecciata con altre vite. Il dono è la dimensione di gratuità dell’essere reale, la ragione della vita nella vita stessa (i suoi intrecci, i suoi enigmi, le sue contese). Evidentemente il senso del dono rituale, e della sua reversione nel contro dono, studiati da Mauss agli inizi del secolo scorso, rimandano a una esperienza sociale di condivisione, ma anche a una concezione della realtà come evento posizionale di eventi, forme, rapporti, intrecci (l’ordito, il filo del destino tessuto e tagliato dalle Parche). Il dono e il contro dono sono una obbligazione rituale presente nelle società di condivisione, di cui restano molte tracce perfino nelle pratiche consumistiche odierne, il loro significato, in quanto atto rituale, è nella ripetizione di un evento ontologico atemporale (immortale). Se tentiamo di comprendere le forme di conoscenza delle società di condivisione non possiamo ignorare gli studi di Mauss, essi possono fornirci dei dati che potremo impiegare, sulla base del metodo dialettico, per confermare e dettagliare gli aspetti invarianti della nostra concezione marxista dell’uomo totale (onnilaterale).

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