Siria: scenari di sviluppo dopo l’attacco USA

L’attacco missilistico USA, diretto contro una base aerea siriana, tiene banco da diversi giorni sui mass media più diffusi. Fior di opinionisti alla ‘page’ si cimentano nell’arte della lettura ‘intelligente’ dell’atto di aggressione militare della superpotenza USA contro una potenza statale-militare di livello inferiore. Sembra che l’atto di aggressione discenda, nella lettura massmediatica dominante, dai calcoli politici dell’attuale inquilino della casa bianca (e del suo staff), desiderosi di smarcarsi dalla cattiva reputazione di essere troppo accomodanti con la Russia (alleata della Siria), e quindi, a tal fine, di riaffermare un proprio ruolo di gendarme del mondo. Anche in questa narrativa prevale la mistificazione ideologica (più o meno cosciente e voluta da parte degli autori), basata sulla sopravvalutazione del ruolo della personalità nella storia (l’uomo/donna soli al comando). Raramente si tenta di analizzare la realtà del fenomeno contingente, inserendolo nella rete di connessioni socio-economiche, cioè nel sistema complesso, di cui è una componente funzionale derivata. Nel corso della storia gli imperi nascono, crescono e declinano. L’impero marittimo USA è in declino, il capitalismo americano è in declino: partiamo da alcuni dati incontrovertibili; il debito totale degli USA , 60.000 miliardi di dollari (pubblico, famiglie e imprese) è pari al debito pubblico di tutto il mondo. Il PIL nazionale, in rapporto al PIL mondiale, è passato dal 50% del dopoguerra al 20% attuale. Un parte non irrisoria del debito pubblico USA è in mani straniere, mentre il ruolo del dollaro e del FMI viene progressivamente depotenziato dall’adozione di valute come lo yuan e il rublo nelle transazioni internazionali, mentre Aiib (la banca asiatica per gli investimenti infrastrutturali, promossa dalla Cina), si propone da tempo come valida alternativa al FMI. Inoltre i principali rivali capitalistici stanno costruendo a tambur battente delle vie commerciali sicure (via della seta, ma anche una via ferrata dal nord della Russia fino ai porti iraniani), in grado di bypassare eventuali tentativi di blocco navale USA. La Cina investe da tempo ingenti capitali nella costruzione di una flotta di cargo volanti, in grado di sostituire parzialmente il commercio marittimo come mezzo di trasferimento della produzione nazionale sui mercati internazionali. Dal canto suo la Russia dovrebbe disporre (entro pochi anni) di una flotta di cargo volanti, in grado di trasferire entro 24 ore una intera divisione corazzata in ogni parte del mondo (una metamorfosi dall’imperialismo delle portaerei USA, all’imperialismo dei cargo volanti). In America la situazione sociale interna è estremamente grave, il progresso tecnico produttivo (macchinismo) è stato accompagnato da un forte incremento della riserva proletaria disoccupata, e quindi dalla miseria crescente di vasti strati della popolazione. Le rivolte sociali (Ferguson, Dallas ) sono tendenzialmente in aumento negli ultimi anni, spesso innescate da apparenti motivi di lotta contro la discriminazione razziale nei confronti degli afroamericani, sono in realtà, fondamentalmente, dei conflitti di classe proletari. D’altronde l’enorme flusso di investimenti nel settore finanziario è un segnale sicuro della difficoltà di valorizzare adeguatamente i capitali (nel settore della produzione e circolazione delle merci). La diffusione di nuovi strumenti finanziari (Derivati, sub-prime, titoli tossici) è il risultato di questa difficoltà basica del capitalismo USA e mondiale ( determinata dalla caduta tendenziale, storica, del saggio medio di profitto). Veniamo ora ai venti di guerra di questi giorni: le crisi ricorrenti, intese come momento di acutizzazione dei processi basici del capitalismo, sono accompagnate da fenomeni violenti (terzo libro del Capitale), una violenza in cui i fratelli coltelli borghesi, gettando la maschera delle buone maniere, iniziano a lottare con tutti i mezzi per sottrarre al proprio vicino il controllo della residua produzione di plusvalore, la massa di capitali aziendali costanti, le risorse energetiche e le vie commerciali. Le guerre imperialiste sono scontri fra padroni di schiavi (Lenin), ogni partigianeria è dunque fuori luogo, poiché i duellanti lottano solo per il controllo del processo produttivo di plusvalore ( tuttavia svolgono poi, in modo accelerato, la distruzione funzionale – alla ripresa del ciclo di valorizzazione- di  capitale costante e variabile in eccesso: in un sistema in cui la distruzione di capitale vivo è una costante cronica). C’è del metodo, dunque, nella follia delle guerre di rapina imperialiste (per citare Amleto). La Siria rappresenta in ultima analisi una soglia di frattura, dove si focalizzano la sete di potere e la voracità di opposte frazioni di borghesia nazionale siriana , in sinergia con gli appetiti di opposte fazioni borghesi internazionali. Petrolio, metano, e soprattutto una posizione geografica cruciale per lo sblocco sul mediterraneo del petrolio dei paesi del golfo, rendono la Siria un boccone prelibato per la fame da lupi di plusvalore (Marx) dei players capitalistici. Incapace (anche a causa del suo declino economico ) di occupare stabilmente un territorio ribelle (vedasi solo la vicenda irachena e afgana) l’Impero USA è costretto ad utilizzare la strategia della terra bruciata, da noi definita politica del caos, per rallentare il successo degli avversari. Se non si considerano questi aspetti di sistema, le azioni del presidente-amministratore di turno del conglomerato capitalistico americano restano un mistero avvolto in un enigma. La Russia ha migliorato, negli ultimi dieci anni, il proprio arsenale nucleare e convenzionale, sviluppando sistemi d’arma più avanzati di quelli in possesso del rivale americano (investendo nel campo militare gli introiti derivanti dalla vendita di metano e petrolio). L’America, appesantita dal costo delle basi militari presenti nel mondo, e da una gestione degli investimenti nell’industria militare troppo permeabile agli ‘sprechi’, si è risvegliata con la brutta sorpresa dei nuovi livelli raggiunti dall’avversario Russo. A meno di ritenere che la guida dei due imperi sia affidata a dei folli (e che la loro follia possa mutare le linee di tendenza sistemiche), è probabile che anche questa volta, come accade d’altronde dalla fine della seconda guerra mondiale, nessuno voglia ancora innescare il conto alla rovescia per l’Apocalisse. Dunque, se questa previsione è verosimile, essendo fondata sull’assunto storico della tendenza alla conservazione di ogni organismo socio-economico, allora restano verificate le nostre precedenti valutazioni sugli esiti finali della vicenda siriana. Il regime change, nonostante i missili lanciati dalle unità navali USA, e nonostante i sei anni di guerra all’esercito regolare siriano da parte di nemici feroci, non è riuscito. La Siria resta inserita e protetta da un complesso di alleanze privilegiate (Russia, Iraq, Iran, Cina), mentre i fratelli coltelli vicini e lontani possono solo prendere atto del fallimento del progetto di regime change. In questo senso sono molto significative le espressioni contenute in una nota, circolata a partire dal 9 aprile, dopo una serie di contatti avvenuti fra l’alleanza militare che sostiene la Siria. Particolarmente esplicite sono le parole sulle conseguenze di ulteriori attacchi USA alla Siria. Gli scenari di sviluppo siriani sono dunque difficilmente sovvertibili dal rinnovato interventismo USA, a meno di non ritenere che nel caso dell’America sia inattiva la tendenza all’auto-conservazione degli organismi socio-economici. 

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