Il regime change tentato da un gruppo di potenze statali capitalistiche in Siria è tecnicamente fallito. In questi giorni si consumano lentamente (sul campo di battaglia) le velleità di un gruppo di forze che aveva sostenuto l’insurrezione contro il governo guidato dal partito laico-nazionalista Baath. Le primavere arabe, sorte sull’onda dello scontento sociale prodotto dalla miseria crescente capitalistica, sono state in seguito canalizzate nell’alveo degli scontri di interesse fra borghesie locali e nazionali, con il corollario dell’intervento delle maggiori superpotenze capitalistiche globali. Sotto le bandiere nazionali o religiose, si sono sviluppati dei regolamenti di conti aventi origine nell’economia e nella definizione degli ambiti di egemonia. Preferendo evitare (come al solito) lo scontro diretto, le due super attrezzature statali capitalistiche di Russia e USA hanno guerreggiato per interposta persona. Gli attori in gioco sono stati e sono tuttora tanti: Turchia, Israele, Arabia Saudita, Qatar, Iran, USA, Russia, Francia, Inghilterra: ognuno con il proprio progetto e interesse particolare. Le forze in campo sono anch’esse molte: esercito regolare siriano, contingente aeronavale russo a supporto dell’esercito siriano, contingente di forze iraniane, libanesi e irachene a supporto dell’esercito siriano. Contro l’esercito siriano ci sono i ‘ribelli’, in parte elementi provenienti dallo stesso esercito siriano (un 25/30% ammutinatosi agli inizi della guerra). Poi troviamo i gruppi a base fondamentalista, Isis, al nusra (al qaeda) e varie sigle minori. Sebbene ritenuti a livello ufficiale organizzazioni terroristiche, i gruppi fondamentalisti hanno avuto modo di dotarsi di armi e risorse (anche con il traffico di petrolio e finanziamenti vari) per combattere l’esercito siriano e i suoi alleati. Nel nord i curdi hanno di fatto costituito una enclave semi indipendente, difendendo con valore la città di Kobane dall’isis. All’interno del Rojava, ( Rojava è il nome dato all’enclave), esiste una base americana. Gli USA sostengono i curdi siriani in funzione anti Isis, anche se è facilmente ipotizzabile che questo sostegno miri a creare le condizioni per una stabile presenza/influenza USA in Siria. Tuttavia l’altro alleato degli USA nell’area, la Turchia, non vede di buon occhio la creazione di una entità statale curda nel nord della Siria, ai confini con il Kurdistan turco, ritenendo che questo evento agisca come un fattore di crescita della spinta indipendentista curda nel proprio territorio nazionale. I legami fra Turchia e USA si sono allentati dopo il fallito golpe del luglio 2016, mentre sono aumentati i segnali di collaborazione (obtorto collo) con la Russia, l’Iran e la Siria.
Come si può evincere dalle precedenti righe il quadro geopolitico siriano è complesso, in esso convergono molti attori statali latori di opposti interessi economico-politici. Nel mare insidioso della società capitalistica globale si scontrano senza requie frazioni di classe sociale borghese (su base nazionale, su base infra-nazionale, o sulla base di alleanze sovranazionali). Lo scontro è animato da uno scopo strategico; la sopravvivenza e il rafforzamento dei contendenti. A tale scopo è collegato l’obiettivo del controllo delle risorse energetiche, delle vie commerciali e delle risorse umane produttrici di plus-lavoro /plusvalore. Duellanti borghesi, cioè realtà economiche e politiche precise, definite, in possesso di potenti attrezzature statali, sempre più forti e letali, finalizzate a dominare l’avversario sociale proletario (interno e internazionale), e i fratelli coltelli della propria classe sociale.
Le ingenue letture imperniate sul concetto di auto-produzione del fenomeno terroristico (a sfondo religioso) sono fuori strada. La miseria crescente tipica del regime capitalistico ha inizialmente sospinto e incrementato lo scontro sociale nei paesi arabi, tuttavia gli sviluppi dello scontro hanno preso una direzione opposta agli interessi proletari. Lo scontento sociale è stato sfruttato, infatti, da opposte frazioni borghesi (nazionali e internazionali), sotto le solite bandiere nazionali e religiose, allo scopo di ridefinire nuovi ambiti di potere. Dunque, alla iniziale dimensione proletaria endogena del fenomeno ( miseria crescente = rivolta sociale), si è aggiunta una dimensione esogena ( regolamento di conti fra frazioni borghesi nazionali e extra nazionali).
Nelle ultime settimane le cosiddette forze terroristiche ‘auto-prodotte’, in realtà ampiamente inserite nei giochi di potere in essere fra ‘fratelli coltelli’ borghesi, hanno tentato ripetute offensive nei pressi di Hama, e dell’hinterland damasceno. È molto probabile che la popolazione civile non abbia accolto con eccessivo entusiasmo l’arrivo dei ‘ribelli’, e la possibilità di un ‘cambio di governo’ nei propri territori.
Dopo più di cinque anni di guerra, tuttavia, le sorti del conflitto pendono a favore dell’esercito regolare e dei suoi alleati. Alla fine delle fallite offensive nell’hinterland damasceno e nel nord di Hama, i ‘ribelli’ hanno lasciato sul terreno migliaia di morti, non ottenendo nessun vantaggio territoriale. Se davvero in Siria si è svolta per oltre cinque anni una crudele guerra per procura, sembra ormai chiaro che il nuovo attivismo politico-militare russo ha fatto pendere, forse irreversibilmente, l’ago della bilancia in senso contrario alle strategie del blocco imperiale a guida USA. Per chi ha creduto e ancora crede alle favole del mondo a guida unipolare, e quindi alla vetusta concezione del super imperialismo, non basteranno certo le controprove dei fatti a fargli cambiare idea. La storia non insegna nulla a coloro che elevano a verità assoluta i propri errori teorici, atteggiandosi a soloni e dispensatori di dogmi apodittici, per di più compiaciuti di avere un seguito di ripetitori adoranti delle proprie astruserie.