Chi mai dietro la svastica?

 

Nota redazionale: Quasi un anno è passato dalle ultime manifestazioni di variegati movimenti composti prevalentemente da ceto medio in caduta libera, essi sono stati inopinatamente esaltati anche da parte di taluni sedicenti marxisti. La scomparsa dell’ennesimo nuovo che avanza (o avanzava ?) meriterebbe almeno un commento, seppure melanconico e mesto, da parte dei suoi smemorati ammiratori. Tuttavia nessuno batte un colpo da quella parte: silenzio, mutismo, afasia. C’erano una volta i movimenti nuovissimi, e ora non ci sono più; perché i loro spregiudicati ammiratori non ci spiegano dove sono finiti? Non erano forse destinati, nella mente di costoro, a prendere il posto del conflitto fra capitale e lavoro salariato? 

Alcune righe del filosofo Bergson cascano a fagiolo per dipingere il silenzio imbarazzato degli entusiastici ammiratori delle proteste del ceto medio: ‘per quanto lontana sembri spingersi la fantasia comica, la realtà a volte si assume il compito di superarla. Un filosofo contemporaneo, argomentatore a oltranza, a cui venne fatto notare che i suoi ragionamenti dedotti in maniera irreprensibile avevano l’esperienza contro di loro, mise fine alla discussione con queste parole: L’esperienza ha torto”.

Il testo ‘Chi mai dietro la svastica?’ ci aiuta a comprendere la funzione storica reazionaria svolta dalle classi medie (in determinati periodi del conflitto di classe). Questo testo è stato già pubblicato sul sito, tuttavia lo ripresentiamo come preludio ad un successivo articolo sul ruolo politico del ceto medio. 

Sul ceto medio esiste una vasta quantità di studi sociologici recenti e meno recenti, di vario orientamento dottrinario. Lo scopo della nostra analisi non è, ovviamente, di tipo accademico, ma politico, in quanto ci interessa ribadire, con l’ausilio di dati statistici recenti, le stesse concezioni di fondo dell’articolo del 1960: dietro le forme mutevoli del potere politico, nell’epoca contemporanea si cela sempre la classe sociale borghese, e la sua fedele truppa ausiliaria; la ‘middle class’ , il ceto medio, chimerico alleato delle politiche opportuniste dei fronti democratici interclassisti. La classe sociale è definibile come un gruppo che occupa un ruolo o una posizione ben precisa all’interno di determinati rapporti di produzione. Il proletariato, all’interno dei rapporti di produzione capitalistici, vive una condizione di alienazione dai mezzi di produzione e dal prodotto realizzato tramite il loro uso. Alcuni ‘innovatori’ impenitenti della teoria marxista hanno spesso cercato di dimostrare, mal masticando alcune righe dello stesso Marx, che nell’attuale fase capitalistica le classi sociali sono da ritenersi superate. A tal proposito viene spesso utilizzata quella parte del testo ‘Il Capitale’ in cui si definisce l’imprenditore un semplice funzionario del capitale. In questo caso il fraintendimento riguarda la mancata comprensione dell’esistenza di un rapporto determinato fra il capitale aziendale (costante e variabile, cioè morto e vivo), e l’attività di direzione e gestione di esso da parte di un amministratore intercambiabile e sostituibile. I possessori delle cedole (obbligazionisti) o delle azioni di una S.P.A, in quanto interessati agli introiti derivanti dagli interessi sulle cedole e dai dividendi sulle azioni, possono approvare o disapprovare la gestione dell’amministratore di turno, e quindi influire sulla sua permanenza alla guida dell’azienda. Gli azionisti influiscono in modo diretto, attraverso il diritto di voto esercitato in occasione delle assemblee periodiche societarie.  Il meccanismo GESTIONALE-AMMINISTRATIVO  tipico delle imprese di capitali aventi la forma giuridica di S.P.A, diversamente da quello delle società di persone e delle imprese individuali, ci permette di ipotizzare la scomparsa progressiva del borghese imprenditore e proprietario del capitale costante e variabile che forma l’azienda. Questa scomparsa, tuttavia, riguarda la figura dell’imprenditore-proprietario (che lascia progressivamente spazio alla figura dell’amministratore delegato, operante in nome dell’azionariato), e non implica affatto l’estinzione della borghesia, e soprattutto della sua posizione (di potere) all’interno dei rapporti di produzione capitalistici ( posizione che implica innanzitutto la possibilità di appropriazione di un plus lavoro nel processo produttivo capitalistico). Da un punto di vista economico-legale l’azionista, seppure anonimo, è comunque proprietario di una parte del capitale sociale della S.P.A, dunque costui è un capitalista a tutti gli effetti, il suo profitto ora assume il nome di dividendo. L’entità dei dividendi spettanti agli azionisti è comunque collegata al risultato economico della gestione aziendale annuale (utile o perdita ): dunque ai cicli periodici dell’economia capitalistica e alla bravura imprenditoriale dell’amministratore delegato e del consiglio di amministrazione votati dall’assemblea degli azionisti. Dunque, ben lungi dallo scomparire, la classe borghese metamorfizza solo la forma esteriore del suo parassitismo economico (dividendi azionari ai soci e interessi sulle cedole agli obbligazionisti – ottenuti comunque attraverso la ripartizione di un utile – al posto del tradizionale utile spettante al solo proprietario-imprenditore individuale ). La brama di plusvalore della borghesia si nasconde, sul piano politico sovrastrutturale, sia dietro la svastica che dietro la finzione democratica. La sostanza del dominio di classe non cambia affatto col mutare dell’abito politico di governo. Entrambe le forme politiche si basano sulla sinergia fra consenso e repressione, poiché ogni potere politico deve sapere ricoprire il pugno di ferro con un ingannevole guanto di velluto (Machiavelli) e mettere in pratica bene il motto latino ‘divide et impera’. Il cretinismo democratico finge di ignorare questi sgradevoli aspetti dell’ars politica. Mentre il cretinismo degli ammiratori dei movimenti di protesta del ceto medio, d’altronde, ignora perfino la funzione storica di supporto al fascismo da parte di questi ceti. Una funzione collegata al tentativo di spostare, con i metodi risoluti del fascismo, il costo della miseria crescente capitalistica sulle sole spalle del proletariato (e quindi di rallentare i processi di proletarizzazione incombenti sul ceto medio ). 

 

 

 

 

 

Chi mai dietro la svastica?

Il cretinismo democratico

Questa società che infradicia nel più sfatto senilismo e puzza di putrefatto tenta drogare la sua decadenza nella mania di fatti nuovi.

Due oggi giganteggiano, nella bolsa opinione popolare fabbricata in serie. Uno è la distensione ruffiana tra americani e russi, saturnale della imbecillità pacifista, l’altro è un nuovo quanto decrepito fantasma, il fascismo o nazismo, che terrorizza dai muri graffiati di croci uncinate e domani forse di fasci littori. In Germania è accusato il governo di Adenauer, in Italia domani quello di Segni; e si difendono con il dire che i morti non ritornano. Dalla parte opposta, nella stampa dei traditori della rivoluzione proletaria, si è felici che il morto risusciti, e si guazza nella euforia di ridare vita alla ignobile crociata antitedesca. Come rimedio si prospetta quello di sempre, una contro-novità, una nuova maggioranza parlamentare. Il fascismo, se vuole, farà lo stesso buon affare politico di allora. È miglior gioco imbrattare un muro in barba alla polizia, che risponde con mosse legali e costituzionali.

La crociata è quella solita e maledetta; la campagna di odio nazionale che ogni volta ha segnato la rovina del movimento della classe operaia. Nel 1914 l’incanata contro Guglielmone, nel 1940 contro Hitler (con scoppio ritardato di Stalin), è oggi, una volta ancora sullo sfondo dei giri di valzer e di alcova tra russi e americani, contro l’ondata di disegni a carbonella. Lo scopo è sempre quello, castrare le energie rivoluzionarie di classe col falsificare il loro bersaglio storico: il capitalismo borghese e democratico.

La nostra posizione storica (per scarso che il nostro seguito sia) ci permette di non stupire né degli amorazzi distensivi né del morto che risuscita. Fino dalla guerra non abbiamo creduto alla frottola che la democrazia avesse sconfitto il fascismo, né a quella che i suoi pretesi vincitori di Occidente ed Oriente si sarebbero scontrati, su quel tiepido cadavere, in armi.

I fatti reali, ossia l’affermazione del metodo fascista nella società borghese di oggi, e la concordanza nelle omelie pacifiste da tutte le bande, hanno comune origine e spiegazione nel generale corteggiamento delle classi medie, svolto abilmente dai poteri del grande capitalismo, e sudiciamente dai partiti che truffano il nome di comunisti e si richiamano a Mosca.

La guerra è stata perduta dall’antifascismo proprio in quanto da tutte le parti, e soprattutto su ordine dello stato di polizia del Cremlino, la menzogna democratica viene corteggiata nella sua forma più funesta: la sollecitazione dei ceti sociali intermedi, a cui i grandi Stati mostruosi super-industriali si dedicano a gara, emulativa, si intende. Quale altra fu la tentata formula storico-sociale del fascismo?

Dall’America si vuole mascherare la più atroce dittatura del grande capitale colla favola delle azioni distribuite tra milioni di cittadini nella pretesa moderna forma di capitalismo di popolo, per negare la esistenza di una antitesi tra classe ricca e povera. Dalla Russia si incoraggiano i partiti dipendenti a porre molto al di sopra della tutela degli interessi proletari quella dei ceti piccolo borghesi e medio-borghesi. Trionfa ovunque nelle insidie demagogiche – e non diversa è la cosa nella struttura russa – la middle class che in Inghilterra, campo sperimentale del marxismo, significava due secoli fa proprio borghesia capitalistica, allora rettamente intesa come classe media tra la sconfitta nobiltà feudale e la nascente classe operaia.

Ma mentre la middle class del Settecento è dovunque nell’Ottocento divenuta la aperta classe dominante sociale, ossia la classe estrema, i romanzati ceti medi delle società del Novecento sono melma umana senza storia presente e futura.

Due sono le classi potenzialmente bellicose nella guerra sociale: la capitalista e la salariata. Tra di esse non vi sono che strati affollati ma amorfi condannati a servire altrui. Da qui la fangosità delle soluzioni maggioritarie. Pacifisti per loro natura, quei ceti non possono combattere che come mercenari. Il capitale li può comprare, ed espressione di questo mercenarismo è il fascismo, stimmata che caratterizza la fase contemporanea. Il fascismo, espressione della dittatura dell’alto capitale, non sarebbe potuto nascere, colla sua bandita di illusioni su un compito autonomo della classe media (che di ciò si pasce negli squadrismi servili come nel teppismo della delusa gioventù del dopoguerra) senza la preparazione gigantesca del secolare inganno democratico e popolaresco, tendente all’interclassismo di principio e quindi ingannevolmente esaltante i ceti medi come vano cemento tra le due vitali avverse classi storiche. La democrazia parlamentare e popolare fu il terreno di coltura del microbo fascista. Nel 1919 già in Italia al presentarsi del moderno fenomeno lo dicemmo, concludendo che per uccidere la infezione fascista sola strada era quella di svergognare e pestare la democrazia, i partiti e i ceti su cui si appoggia, di cui sono parte squisita quelli dell’opportunismo socialdemocratico di allora, comundemocratico di oggi.

Vinse il fascismo quando invano proponevamo di rispondere incursionando con squadre di puri proletari le sedi degli stati maggiori dei magnati borghesi, banche ed anonime, logge e vescovadi, invece di fare blocco pacifistico con i lacrimatori sulla defunta libertà spacciata dai borghesi, come Mosca ordinò dopo non aver capito che ogni concessione alla forma parlamentare (come quelle del 1919 e 1920) ci deviava dalla sola possibilità, extralegale, di battere il fascismo. Oggi ricompare la svastica e le carogne non sanno che riproporre la convergenza tra proletariato e ceti medi sul piano elettorale. Alti sono i loro clamori contro il neo-nazismo, quanto chiara la loro funzione di suoi propiziatori, se qualcosa insegna la storia.

Una dittatura non si uccide che con una fase storica di contro-dittatura. Non si trattava di appendere per i piedi la persona del dittatore, che solo in quella posizione non ebbe funzione di pagliaccio. Bisognava davvero colpire la classe che era dietro di lui. Ma ancora una volta come l’aveva salvata il terrore squadrista la salvò il suo necessario complemento, la truffa parlamentare. La stupida giostra deve dunque ricominciare? Alle urne dunque, per Togliatti, convergendo in esse con gli squadristi nati di ieri e di domani.

Possono i seniori cretinizzati del partitone capire che la storia si fa con le dittature e non con la scomunica delle dittature? Essi, lenoni della pratica e della dottrina, hanno battezzato la falsa vittoria sul fascismo come secondo risorgimento italiano. Ma nemmeno quello, nel suo posto della storia delle classi, sono all’altezza di capire. In quella vicenda ebbero luce le dittature e fecero schifo supremo le convergenze.

Il 18 aprile 1861 si riuniva a Torino il parlamento del Regno d’Italia. Cavour stava disarmando nel Mezzogiorno le formazioni rivoluzionarie garibaldine che miravano a Roma. Garibaldi aveva in un primo tempo rifiutata la candidatura, poi si decise e accettò l’elezione al primo collegio di Napoli, per tentare di opporsi al legale smantellamento della rivoluzione, sola forza in cui credeva. Questo ministero, egli disse provocando l’ira di Cavour e la sospensione della seduta, ha steso sul Mezzogiorno la sua malefica mano. Alla ripresa continuò: « ll vostro decreto vibrò il colpo decisivo all’esercito meridionale. La dittatura fu un governo legittimo; è essa l’autrice del plebiscito che vi ha dato due regni; avete oggi rifiutato l’esercito che ve li donava». La occhiuta borghesia piemontese sfruttava e odiava gli eserciti irregolari, rivoluzionari; li liquidò a tradimento nel 1859, nel 1861, nel 1866. Perché non lo avrebbe fatto, se non vi avessero provveduto altri traditori, nel 1945?

Togliatti e i suoi usano il testone ingenuo di Garibaldi, che dopo quella invettiva si ritirò dal seggio parlamentare nel suo esilio, a fini elettorali; ma teorizzano la politica eleggendo a loro modello il puttanesco conte di Cavour, o il suo degno epigono Giovanni Giolitti.

La critica teorica che Marx faceva di Garibaldi a Londra, quando tolto dal suo clima di insorto si univa alla vuota filantropia pacifista delle leghe per la libertà democratica, ben era valida in dottrina allora ed oggi. Garibaldi, rivoluzionario nel metodo di azione, biascicava allora le stesse vane ideologie sulla fraternità dei popoli che oggi i pretesi aggiornatori di Carlo Marx, leggi per tutti lo stesso Krusciov, enunciano nello stesso stile ipocrita che adopera dal suo lato Eisenhower.

Secondo il capoccia e il suo caudatario italiota sarebbe posizione moderna, rispetto alla invocazione leniniana di quaranta anni or sono, della alternativa dittatura di una delle due classi estreme sul mondo, rimettersi al giudizio di maggioranze dei parlamenti nazionali, o delle competizioni inermi internazionali!

Questa modernissima gente, sempre preoccupata di porre in scena una ultima conversione e contorsione, non è lontanamente all’altezza storica in dottrina di Lenin nel 1919 e di Marx nel 1866. Ma nella vile pratica rinnegata che segue, non raggiunge nemmeno l’altezza storica che aveva nel 1861 un Garibaldi, generale della borghesia sì, ma fedele fino alla morte ai mezzi dell’azione armata e della dittatura.

Non sono quarant’anni avanti, ma un secolo indietro.

«Il Programma Comunista», n. 2 del 1960

 

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