Nota redazionale: Riesponiamo la parte introduttiva di un lavoro pubblicato nel marzo 2016, a titolo di chiarimento per alcuni quesiti sul centralismo organico formulati da qualche attento e gentile lettore.
Buona lettura
Proviamo a ragionare sulla tattica di azione del partito, in momenti storici caratterizzati da rapporti di forza favorevoli alla classe borghese. Pure all’interno di determinanti sociali contingenti dunque sfavorevoli all’azione di classe proletaria, la sinistra ha più volte teorizzato che la forza o la debolezza politica del Partito dipendono, oltre che dall’intensità del conflitto sociale esistente in un certo segmento del divenire storico, anche in parte dalla capacità di delineare una tattica di azione precisa, chiara, coerente con i principi strategici contenuti nel programma, e conosciuta da tutti i militanti. Questa tattica che vincola ogni militante, è nient’altro che la dittatura del programma sul corpo del partito (essendo il programma la sintesi unitaria di strategia e tattica).
La Sinistra, nel corso della sua lotta contro l’opportunismo, soprattutto nella forma politica stalinista e riformista, ha compreso e verificato che solo un organizzazione politica basata sui principi del centralismo organico può assumere un efficace ruolo direttivo di futuri conflitti sociali rivoluzionari. L’esperienza storica precedente ha dimostrato che il principio di maggioranza, o addirittura il dispotismo burocratico di minoranze di carrieristi o illuminati, sono il migliore viatico per il ripetersi di errori e opportunismi, e quindi per l’affossamento di ogni prospettiva efficace di trasformazione dei rapporti di produzione capitalistici. Non si tratta dunque di rifiutare, in base a un principio dogmatico aprioristico, la democrazia maggioritaria o il centralismo burocratico-democratico, ma solo di trarre le giuste conclusioni dall’esperienza storica delle controrivoluzioni e quindi comprendere come entrambe le forme partito (burocratica-stalinista e democratica-riformista) siano state (e continuino ad essere) solo delle semplici espressioni funzionali della potenza di classe della borghesia. Il centralismo organico trova invece la sua ragion d’essere essenziale nella dittatura del programma (questa dittatura esclude ugualmente che una maggioranza democratica o una minoranza burocratica, entrambe in grado di deviare dal programma comunista autentico, possano determinare la linea politica del partito).
La prevalenza del programma è data dal concetto di invarianza storica del marxismo.
Infatti il programma comunista (nella sua inscindibile dimensione strategico-tattica) è l’incarnazione della conoscenza storicamente invariante, raggiunta nella ‘mezzeria’ del milleottocento sull’onda di lotte di classe rivoluzionarie (cioè di esperienze sociali reali). Tale conoscenza, affermatasi come un fascio abbagliante di luce, è la sola bussola che può efficacemente guidare il partito nella lotta politica contro il sistema borghese, e quindi solo la sua dittatura sul partito, attraverso il programma comunista che la contiene (che contiene questa teoria) può fare evitare gli errori in cui è caduto l’opportunismo (stalinista e socialdemocratico). Le questioni politiche vanno affrontate alla luce dei risultati teorici raggiunti dal partito, sulla base delle precedenti lotte sociali proletarie, e quindi sulla teoria marxista che ne è il riflesso e la sintesi (verificata più volte nel corso storico). Dunque questi risultati teorici (verificati storicamente) non devono essere rimessi in discussione, né tanto meno essere soggetti all’approvazione o alla bocciatura di maggioranze o minoranze interne, e questo proprio per evitare un cammino a ritroso, un arretramento nella lotta teorica che il partito si assume come compito fondamentale nell’attuale fase controrivoluzionaria. Non stiamo proponendo dei codici di regolamento interni, o una sorta di etica comportamentale sub specie politica (mezzucci che non servono a niente rispetto alla chiarezza delle questioni che è compito del partito porre in essere, in modo efficace, a tutti i militanti, sulla base della teoria invariante acquisita una volta per tutte). Le questioni poste in modo chiaro e coerente con la linea programmatica invariante (strategica e tattica), non lasciano spazio a diatribe fra compagni e oscillazioni tattiche, opinioni personali, dibattiti, frazioni, linee di pensiero (con annesse lotte politiche per la direzione del partito e successive scissioni). Il modo migliore per evitare i ricorrenti scenari delle divisioni sterili e delle lotte interne autodistruttive, è quindi la continua, assidua, comune, attività di studio delle posizioni programmatiche invarianti marxiste (nella loro connessione con la lettura della realtà e con i compiti susseguenti del partito). Una buona attività di studio e di chiarimento ai propri componenti (o meglio di auto-chiarimento, posto che le legittime perplessità di qualche componente sono utili a tutti i componenti) rappresentano la cartina da tornasole della efficacia di una prassi organica.