Il film horror del capitalismo

Il film horror del capitalismo

Anno 2017: giovani condannati dal sistema a lavori precari, sottopagati, sfruttati. Vecchi obbligati a lavorare oltre i limiti fisiologici, esausti, logorati, sfruttati. Eppure poco si muove sul piano della opposizione sociale e politica  contro la degradazione progressiva riservata dal sistema ai propri schiavi. Anno 2017: powerslave, schiavo del potere, la condizione in cui vive la maggioranza degli umani. Schiava di un potere incarnato nel monopolio dei mezzi di produzione da parte di una classe sociale parassitaria, una classe che pur di preservare il proprio privilegio condanna il resto degli uomini alla degradazione. Capitalismo 2017: un film horror fatto di catastrofi ambientali e di catastrofi sociali, dove la crescita della disoccupazione e quindi della miseria, condanna miliardi di esseri umani a forme di esistenza ai limiti della sopravvivenza biologica e dell’abbrutimento. Un sistema tuttavia funzionale ad una minoranza di privilegiati, che grazie al monopolio esclusivo dei mezzi di produzione, di comunicazione, e degli apparati statali, trae un effimero vantaggio dal degrado del resto della specie umana (in una gara spietata di parassitismo fra apparati di potenza statali borghesi, continuamente lanciati nella corsa al controllo di risorse energetiche e masse proletarie da schiavizzare). Il capitalismo sintetizza nella sua esistenza l’anti-vita allo stato puro, la demenza della produzione finalizzata al profitto ad ogni costo, una   industria che produce montagne di merci inutili (mentre una parte della specie umana crepa di fame e di malattie), minacciando infine lo stesso ecosistema fondamentale alla vita. Alcune persone dotate di buon senso riconoscono la veridicità di queste considerazioni, tuttavia la quotidianità delle moltitudini è vissuta nella prigione delle preoccupazioni immediate (soprattutto come sbarcare il lunario), e di conseguenza (molto spesso) prevale l’incapacità di concepire la rimozione della causa di fondo di quelle preoccupazioni (il capitalismo), e la difficoltà di lottare per il suo superamento. In una recente intervista un lavoratore descrive la sua condizione di vita (ovviamente comune a centinaia di milioni di proletari). Una condizione fatta di ristrettezze e privazioni, estese fino ai limiti della pura sopravvivenza biologica.
Il reddito conseguito consente appena la copertura delle spese essenziali, costringendo questo lavoratore e altre moltitudini di sventurati a mangiare cibo scadente, rinunciare alle cure mediche, privarsi del riscaldamento, vivere con meno del minimo indispensabile. Infine questa condizione di miseria (diffusa) semplicemente riduce il tempo medio di vita, causando la morte anticipata di centinaia di milioni di esseri umani.
I nuovi associati alla condizione di povertà (proletarizzazione e miseria crescente incalzanti) cercano di risparmiare, privandosi di servizi o di mezzi precedentemente disponibili. L’autovettura, le vacanze, i viaggi, una cena in pizzeria, abiti e scarpe nuovi, teatro e cinema, servizi vari. Il cibo viene comprato dove costa di meno, oppure si approfitta delle offerte di sconto sugli articoli con una scadenza ravvicinata. Mentre una parte della società fa sfoggio di ricchezza e conduce osceni stili di vita edonistici, cresce la sovrappopolazione di riserva e la miseria di massa. L’ottundimento collettivo su queste dinamiche socio-economiche è ottenuto con lo sciocchezzaio quotidiano del circo massmediatico. Un variegato catalogo di armi di distrazione di massa, che non è il caso ora di elencare. Le attuali paghe da fame di molti giovani lavoratori (apprendisti, stagisti, lavoratori a progetto) implicano semplicemente la conseguenza di una vita in cui questi sventurati vanno a lavorare, mangiano del cibo scadente, dormono, infine recuperano con fatica le energie per tornare a farsi sfruttare, ancora un altro giorno, nelle galere aziendali del capitale. Il reddito percepito non consente loro di spendere nulla per eventuali hobby, cultura, svaghi. Il lavoratore, alla fine dell’intervista, afferma che nella condizione di miseria si prova la sensazione di essere come in stato vegetativo, percettori di un reddito in grado a stento di farci mangiare e pagare qualche spesa essenziale. Una condizione da film horror, cui molti si abituano come ci si può abituare a un quotidiano veleno che accorcia la vita di chi lo ingerisce. Per ora senza la speranza di un cambiamento, senza un guizzo di ribellione, proprio come animali condotti al macello. 

 

 

 

La miseria crescente è una legge storica

Da cent’anni indaffarata a dimostrare l’insostenibilità della dottrina marxista, la borghesia ha trovato validi elementi di conferma alla «assurdità» della teoria della miseria crescente nelle dichiarazioni del nuovo testo: «Fondamenti del marxismo-leninismo», pubblicato a Mosca nel corso di questo anno. La rivista tedesca «Die Zeit» osserva, in un articolo dell’ottobre scorso, questo processo di distacco dalle vecchie posizioni sovietiche e lo definisce un «Congedo da Marx» (evidentemente, costoro fingono di ignorare che il «congedo» non è di oggi, ma di oltre trent’anni fa, e si chiama «stalinismo»)

Sempre la borghesia ha indicato nella teoria della miseria crescente della massa dei proletari una delle più stolte formulazioni comuniste, cieca di fronte allo sviluppo delle organizzazioni di tutela degli interessi economici dei lavoratori come di fronte all’aumento del benessere generale. Ma, ora, può compiacersi delle «nuove formulazioni» russe, e osservare che:
«L’indirizzo ideologico non fu annunciato in congresso di partito od in una seduta plenaria del Comitato Centrale e non ci fu, questa volta, nessuna «relazione segreta». Malgrado ciò, dal punto di vista della dottrina di partito, esso non sta dietro, per importanza, alla critica sensazionale rivolta a Stalin, dal XX Congresso».

Invero, quella che nella dottrina marxista è una legge fondamentale del processo di sviluppo capitalistico, viene ridotta nella edizione 1958 del testo di insegnamento russo «Economia Politica» ad un processo e, in capitoletto di una pagina e mezza del testo succitato, dal titolo: «Il peggioramento delle condizioni della classe lavoratrice», ad una tendenza «che alcuni fattori possono contrastare», pur persistendo le categorie di lavoro salariato e capitale che ne sono i presupposti. Questo cambiamento di posizione rappresenta, secondo la rivista borghese, una necessità alla quale i russi, posti di fronte al
«dato di fatto delle legislazioni sociali, dell’ascesa dei sindacati, della riduzione del tempo di lavoro attraverso l’introduzione della giornata di otto ore (Marx aveva festeggiato come una grande vittoria la giornata lavorativa di dieci ore!) e all’aumento indiscutibile del salario reale dei lavoratori industriali», devono piegarsi per non «tendere troppo la corda», per non «approfondire smisuratamente l’abisso fra la realtà e le tesi», e per evitare che «la ideologia perda ogni credibilità e venga esposta al generale ludibrio».

Prendiamo direttamente dal testo russo tradotto nella Germania Est, anziché dalle citazioni della «Die Zeit», i brani che più chiaramente definiscono la «nuova» posizione, e ci permettiamo ancora una volta di mettere il becco in un dialogo fra «grandi» per mostrare, anche in quest’occasione, l’assoluta affinità ideologica fra le dichiarazioni dei rappresentanti dei due blocchi, frutto dell’identità dei rapporti economici in essi dominanti:
«La tesi marxista del tendenziale peggioramento delle condizioni della classe operaia, viene presentata come un dogma secondo cui in regime capitalistico si verificherebbe di anno in anno, di decennio in decennio, un continuo peggioramento assoluto delle condizioni di vita degli operai, mentre Marx pensava, nel formulare questa tesi, non ad un processo ininterrotto, bensì ad una tendenza (corsivo nel testo) del capitalismo, che si realizza in modo ineguale nei diversi paesi e periodi superando deviazioni e accidentalità, e che altri fattori contrastano. Uno di questi fattori contrari è la lotta della classe lavoratrice per l’aumento del salario e il miglioramento delle condizioni di lavoro. Dopo la seconda guerra mondiale, quella lotta è stata più attiva che mai. Il baluardo della reazione internazionale – il fascismo tedesco e italiano – è stato abbattuto. La classe lavoratrice dei paesi capitalistici ha guadagnato in organizzazione e compattezza. Il successo dei paesi socialisti ha costretto la borghesia a fare concessioni ai lavoratori».
Tutto qui.

Come si vede, le «nuove» formulazioni, se confrontate alla banale critica sempre rivolta dalla borghesia alla teoria della miseria crescente – critica basata sulla esaltazione delle «conquiste» operaie in regime capitalistico -, non appaiono come una dimostrazione della insostenibilità di quest’ultima, ma come riprova del prevalere dei medesimi interessi ad Oriente e ad Occidente, Entrambi, infatti, sviano il discorso dal punto fondamentale, l’aumento relativo della miseria non solo economica ma sociale della massa dei salariati, non sanno che inchinarsi di fronte alla universale verità borghese che
«oggi non è più come una volta; oggi, l’operaio ha la televisione»,
quindi non immiserisce, perché la società gli offre sempre maggiori possibilità di benessere e perciò non occorre rivoluzionarla; basta lottare per il miglioramento del proprio status nella sua cornice. Entrambi sono d’accordo che l’organizzazione sindacale degli operai e la loro lotta economica possano migliorarne la condizione al punto di capovolgere la tendenza del capitale a impoverirli. Entrambi non vedono, fingono di non vedere, che salario e profitto, ossia lavoro e capitale, stanno in rapporto inverso.

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(Nella prima parte di questo articolo si è esposta la tesi sovietica, salutata con entusiasmo da un giornate tedesco-occidentale, secondo cui l’immiserimento crescente sarebbe non una legge storica, ma una tendenza sempre contrastata dalle «conquiste salariali» dei lavoratori e dalle riforme imposte al regime borghese; e si è ribadito l’opposto principio marxista).

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Il banale argomento che la disponibilità di prodotti da parte degli operai è cresciuta (il che, per i borghesi, suona miglioramento delle condizioni di esistenza), nulla ha a che vedere con la legge della miseria crescente come venne formulata già nel 1847, in un momento in cui la lotta di classe e l’organizzazione economica (che pei i russi sarebbero fattori contrastanti la tendenza) erano in pieno sviluppo e non erano affatto ignorate da Marx. La ripresentiamo nelle stesse parole in cui apparve in «Lavoro salarialo e capitale», non essendo intervenuto, per il marxismo, nessun «fatto nuovo» a invalidarle:
«Se cresce il capitale, cresce la massa del lavoro salariato, cresce il numero dei salariati, in una parola: il dominio del capitale si estende su una più grande massa di individui» [dunque, i piccoli produttori cadono nel numero dei nullatenenti, che cresce sempre più].
«E supponiamo pure il caso più favorevole: se cresce il capitale produttivo cresce la domanda di lavoro, sale dunque il prezzo dei lavoroil salario», [l’operaio… compra la televisione]. «…Un aumento sensibile del salario presuppone un rapido aumento del capitale produttivo. Il rapido accrescersi del capitale produttivo provoca un’altrettanto rapida crescita della ricchezza, del lusso, dei bisogni sociali e dei godimenti sociali. Sebbene dunque i godimenti del lavoratore siano aumentati, la soddisfazione sociale che essi procurano è diminuita in confronto agli accresciuti godimenti del capitalista, che sono inaccessibili all’operaio; in confronto al grado di sviluppo della società in generale» [ossia, il proletario dispone di una quantità sempre minore del prodotto sociale totale]. «I nostri bisogni e godimenti scaturiscono dalla società; noi perciò li misuriamo in base alla società, non in base all’oggetto della loro soddisfazione. Poiché sono di natura sociale essi sono dì natura relativa».
«…Qual’è ora la legge generale che determina l’aumento e la diminuzione del salario e del profitto nel loro rapporto reciprocoEssi stanno in rapporto inversoLa quota del capitaleil profittosale nello stesso rapporto in cui cade la quota del lavoroil salarioe viceversaIl profitto sale nella misura in cui il salario cadeesso cade nella misura in cui il salario sale». [corsivo di Marx].
«… Un rapido aumento del capitale è parimenti un rapido aumento del profitto. Il profitto può crescere rapidamente solo se il prezzo del lavoro, il salario relativo, diminuisce con la stessa rapidità.
Il salario relativo può diminuire, anche se il salario reale sale insieme al salario nominale, al valore in denaro del lavoro; ma non nello stesso rapporto in cui sale il profitto. Se, per esempio, il salario cresce, in un buon periodo d’affari, del 5 per cento, mentre il profitto aumenta del 30 per cento, il salario relativo, proporzionale, non è aumentato, bensì diminuito.
Se, dunque, con la rapida crescita del capitale, aumentano le entrate del lavoratore, aumenta nello stesso tempo l’abisso sociale che separa i lavoratori dai capitalisti; si accresce nello stesso tempo la potenza del capitale sul lavorola dipendenza del lavoro dal capitale».
Questa è la miseria crescente che è insieme «pena di lavoro» nel senso più vasto. Non si tratta di negare l’aumento della capacità d’acquisto dei proletari (che si realizza quasi sempre in una maggior disposizione di prodotti industriali), ma di mostrare come quanto più essi ricevono tanto maggiore è lo sfruttamento cui sono sottoposti.

E ancora:
«… Se il capitale aumenta rapidamente, per quanto possa crescere il salario del lavoro, il profitto del capitale cresce in modo sproporzionatamente più rapido. La condizione materiale del lavoratore è miglioratama a prezzo della sua condizione sociale.
L’abisso sociale che lo separa dai capitalisti si è approfondito».
È questo il punto (anche a prescindere dalla considerazione generale che, calcolate le grandi crisi, le catastrofi economiche, le guerre, ecc., lo stesso aumento assoluto del «tenor di vita» si riduce ad una beffa): l’«idealismo» borghese riduce l’esistenza umana – malgrado tutte le sue giaculatorie idealistiche – alla sua nuda espressione monetaria; il materialismo marxista la riporta al suo contenuto sociale, anzi umano; la giudica impoverita nella stessa misura di cui si impoverisce questo contenuto.

Infine:
«Quanto più rapidamente la classe operaia accresce ed ingrossa la forza che le è nemica, la ricchezza che le è estranea e che la domina, tanto più favorevoli sono le condizioni in cui le è permesso di lavorare ad un nuovo accrescimento della ricchezza borghese, ad un aumento del potere del capitale, e di forgiare essa stessa le catene dorate con cui la borghesia se la trascina dietro».

Su questa critica si fonda, per noi marxisti e per tutta la durata del capitalismo, la realtà dei rapporti fra lavoro e capitale, e quindi delle condizioni di esistenza degli operai. Non ci interessano né i periodici aggiornamenti russi né le rivelazioni sensazionali della stampa borghese, certi come siamo che sarà lo sviluppo del capitalismo, e quindi dei contrasti di classe, a dimostrare il corollario della legge della miseria crescente: la ripresa della lotta rivoluzionaria del proletariato. Ci importa solo dimostrare come l’apparente contrasto ideologico si risolva, per ambo le parti, in un’esaltazione della pura lotta rivendicativa e legalitaria degli sfruttati nel quadro del regime esistente, e trarne una confessione della identità di natura economica e sociale fra i due blocchi.

«Il Programma Comunista» Gennaio – Febbraio 1961 – n. 1, 2

 

Postilla: stralci tratti da IL CAPITALE

LIBRO I

SEZIONE VII

IL PROCESSO DI ACCUMULAZIONE DEL CAPITALE

CAPITOLO 23

LA LEGGE GENERALE DELL’ACCUMULAZIONE CAPITALISTICA

 

 

  1. PRODUZIONE PROGRESSIVA DI UNA SOVRAPPOPOLAZIONE RELATIVA OSSIA DI UN ESERCITO INDUSTRIALE DI RISERVA.

L’accumulazione del capitale che in origine si presentava solo come suo ampliamento quantitativo si compie, come abbiamo visto, in un continuo cambiamento qualitativo della sua composizione, in un costante aumento della sua parte costitutiva costante a spese della sua parte costitutiva variabile. Il modo di produzione specificamente capitalistico, lo sviluppo della forza produttiva del lavoro ad esso corrispondente, il cambiamento della composizione organica del capitale che ne deriva non soltanto vanno di pari passo con il progresso dell’accumulazione o con l’aumento della ricchezza sociale. Essi procedono con rapidità incomparabilmente maggiore, perché l’accumulazione semplice ossia l’estensione del capitale complessivo è accompagnata dalla centralizzazione dei suoi elementi individuali, e la rivoluzione tecnica del capitale addizionale è accompagnata dalla rivoluzione tecnica del capitale originario. Con il procedere dell’accumulazione varia quindi la proporzione fra la parte costante del capitale e quella variabile; se in origine era di i 1:1 ora diventa 2 : 1, 3 :1, 4 1, 5 : 1, 7 : 1, ecc., cosicché, aumentando il capitale, invece della metà del suo valore complessivo si convertono in forza-lavoro progressivamente solo 1/3, 1/4, 1/5, 1/6, 1/8, ecc., e di contro si convertono in mezzi di produzione 2/3, 3/4, 4/5, 5/6, 7/8, ecc. Siccome la domanda di lavoro non è determinata dal volume del capitale complessivo, ma dal volume della sua parte costitutiva variabile, essa dirninuirà quindi in proporzione progressiva con l’aumentare del capitale complessivo, invece di aumentare in proporzione di esso, come è stato presupposto prima. Essa diminuisce in rapporto alla grandezza del capitale complessivo, e diminuisce in progressione accelerata con l’aumentare di essa.

Con l’aumentare del capitale complessivo cresce, è vero, anche la sua parte costitutiva variabile ossia la forza-lavoro incorporatale, ma cresce in proporzione costantemente decrescente.

Gli intervalli in cui l’accumulazione opera come semplice allargamento della produzione sulla base tecnica data, si accorciano. Non soltanto si rende necessaria un’accumulazione del capitale complessivo accelerata in progressione crescente per assorbire un numero addizionale di operai di una certa grandezza o anche, a causa della costante metamorfosi del vecchio capitale, soltanto per occupare il numero già operante; a sua volta questa crescente accumulazione .e centralizzazione stessa si converte ancora in una fonte di nuovi cambiamenti nella composizione del capitale o in una diminuzione di bel nuovo accelerata della sua parte costitutiva variabile a paragone della costante, Questa diminuzione relativa della parte costitutiva variabile, accelerata con l’aumentare del capitale complessivo e accelerata in misura maggiore del proprio aumento, appare dall’altra parte, viceversa, come un aumento assoluto della popolazione operaia costantemente più rapido dì quello del capitale variabile ossia dei mezzi che le danno occupazioni. È invece l’accumulazione capitalistica che costantemente produce, precisamente in proporzione della propria energia e del proprio volume, una popolazione operaia relativa, cioè eccedente i bisogni medi di valorizzazione del capitale, e quindi superflua ossia addizionale.

Per quanto riguarda il capitale sociale complessivo, il movimento della sua accumulazione ora provoca un cambiamento periodico, ora i suoi momenti si distribuiscono contemporaneamente nelle sfere diverse della produzione. In alcune sfere si verifica un cambiamento nella composizione del capitale senza aumento della sua grandezza assoluta a seguito della semplice concentrazione in altre l’aumento assoluto del capitale è collegato a una diminuzione assoluta della sua parte costitutiva variabile, ossia della forza-lavoro da essa assorbita; in altre ora il capitale continua ad aumentare sulla propria base tecnica data attraendo forza-lavoro addizionale in proporzione del proprio aumento, ora subentra un cambiamento organico e la sua parte costitutiva variabile si contrae; in tutte le sfere l’aumento della parte variabile del capitale e quindi del numero degli operai occupati è sempre legato a violente fluttuazioni e a una passeggera produzione di sovrappopolazione, sia che questa assuma la forma più vistosa respingendo gli operai già occupati, sia che assuma quella meno appariscente, ma non meno efficace, di una maggiore difficoltà nell’assorbimento della popolazione operaia addizionale nei consueti canali di sfogo. Insieme con la grandezza del capitale sociale già in funzione, insieme col grado del suo aumento, con la estensione della scala. di produzione e della massa degli operai messi in moto, insieme con lo sviluppo della forza produttiva del lavoro, insieme col flusso più largo e più pieno di tutte le fonti sorgive della ricchezza, si estende anche la scala in cui una maggiore attrazione degli operai da parte del capitale è legata ad una maggiore ripulsione di questi ultimi, aumenta la rapidità dei cambiamenti. nella composizione organica del capitale e nella sua forma tecnica, e si dilata l’ambito delle sfere di produzione, le quali ora ne sono prese contemporaneamente, ora alternativamente. Quindi la popolazione operaia produce in misura crescente, mediante l’accumulazione del capitale da essa stessa prodotta, i mezzi per render se stessa relativamente eccedente .

È questa una legge della popolazione peculiare del modo di produzione capitalistico, come di fatto ogni modo di produzione storico particolare ha le proprie leggi della popolazione particolari, storicamente valide. Una legge astratta della popolazione esiste soltanto per le piante e per gli animali nella misura in cui l’uomo non interviene portandovi la storia.

Ma se una sovrappopolazione operaia è il prodotto necessario della accumulazione ossia dello sviluppo della ricchezza su base capitalistica, questa sovrappopolazione diventa, viceversa, la leva dell’accumulazione capitalistica e addirittura una delle condizioni d’esistenza del modo di produzione capitalisticoEssa costituisce un esercito industriale di riserva disponibile che appartiene al capitale in maniera così completa come se quest’ultimo l’avesse allevato a sue proprie spese, e crea per i mutevoli bisogni di valorizzazione di esso il materiale umano sfruttabile sempre pronto, indipendentemente dai limiti del reale aumento della popolazione. Insieme con l’accumulazione e con lo sviluppo della forza produttiva del lavoro ad essa concomitante cresce la forza d’espansione subitanea del capitale non soltanto perchè crescono l’elasticità del capitale funzionante e la ricchezza assoluta, di cui il capitale costituisce semplicemente una parte elastica, non soltanto perchè il credito mette, ad ogni stimolo particolare, in un batter d’occhio, una parte straordinaria di questa ricchezza in veste di capitale addizionale, a disposizione della produzione. Le condizioni tecniche dello stesso processo di produzione, le macchine, i mezzi di trasporto ecc. consentono, sulla scala più larga, la più rapida trasformazione del plusprodotto in mezzi addizionali di produzione. La massa della ricchezza sociale che con il progredire dell’accumulazione trabocca e diventa trasformabile in capitale addizionale entra impetuosamente e con frenesia in rami vecchi della produzione, il cui mercato improvvisamente si allarga, oppure in rami dischiusi per la prima volta, come ferrovie ecc., la cui necessità sorge dallo sviluppo dei rami vecchi della produzione. In tutti questi casi grandi masse di uomini devono essere spostabili improvvisamente nei punti decisivi, senza pregiudizio della scala di produzione in altre sfere; le fornisce la sovrappopolazione. Il ciclo vitale caratteristico dell’industria moderna, la forma di un ciclo decennale di periodi di vivacità media, produzione con pressione massima, crisi e stagnazione, interrotto da piccole oscillazioni, si basa sulla costante formazione, sul maggiore o minore assorbimento. e sulla nuova formazione dell’esercito industriale di riserva della sovrappopolazione. Le alterne vicende del ciclo industriale reclutano a loro volta la sovrappopolazione e diventano uno degli agenti più energici della sua riproduzione.

Questo peculiare ciclo vitale dell’industria moderna, che non incontriamo in alcun periodo anteriore dell’umanità, era stato impossibile anche nel periodo dell’infanzia della produzione capitalistica. La composizione del capitale si è modificata solo molto gradualmente. Alla sua accumulazione corrispondeva quindi in complesso un aumento proporzionale della domanda di lavoro. Per quanto fosse lento il progresso dell’accumulazione del capitale, paragonato all’epoca moderna, esso s’imbatteva in limiti naturali della popolazione operaia sfruttabile che solo i mezzi violenti, di cui parleremo più avanti, potevano eliminare. L’espansione improvvisa e a scatti della scala di produzione è il presupposto della sua improvvisa contrazione; quest’ultima provoca di nuovo la prima, ma la prima non è possibile senza un materiale umano disponibile, senza un aumento degli operai indipendente dall’aumento assoluto della popolazione. L’aumento degli operai viene creato mediante un processo semplice che ne « libera » costantemente una parte, in virtù di metodi che diminuiscono il numero degli operai occupati in rapporto alla produzione aumentata. La forma di tutto il movimento dell’industria moderna nasce dunque dalla costante trasformazione di una parte della popolazione operaia in braccia disoccupate o occupate a metà. La superficialità dell’economia politica risulta fra l’altro nel fatto che essa fa dell’espansione e della contrazione del credito, che sono meri sintomi dei periodi alterni del ciclo industriale, la causa di quei periodi. Proprio allo stesso modo che i corpi celesti, una volta gettati in un certo movimento, lo ripetono costantemente, anche la produzione sociale, una volta gettata in quel movimento di espansione e di contrazione che si alternano, lo ripete costantemente. Effetti diventano a loro volta cause, e le alterne vicende di tutto il processo, che riproduce costantemente le proprie condizioni, assumono la forma della periodicità. Una volta consolidata quest’ultima. perfino l’economia politica riesce a concepire la produzione di una popolazione eccedente relativa, cioè eccedente riguardo al bisogno medio di valorizzazione del capitale, come condizione vitale dell’industria moderna.

 

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