Annunci e contro-annunci di escalation militare nello scenario siriano.
“la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza “
Orwell, 1984
Marzo 2018, le comunicazioni fra i due maggiori colossi statali dell’epoca borghese sono scese a livelli molto bassi. Da parte degli USA prevale la minaccia di attacchi missilistici, come al solito, contro il presunto impiego di armi chimiche da parte dell’esercito siriano, che guarda caso, proprio mentre sta vincendo le ultime resistenze dei ‘ribelli moderati’, dovrebbe essere così sprovveduto da fornire agli americani il pretesto per un attacco. Più verosimilmente alti dirigenti politici e militari russi denunciano, da alcune settimane, l’intenzione dei ‘ribelli moderati’ di imbastire un ‘casus belli’, inscenando un finto attacco chimico, per provocare l’intervento americano. Già nel settembre 2013 il colosso americano minacciava un attacco missilistico contro il cattivo Assad, sempre sulla base di vaghe accuse in merito all’uso di armi chimiche, ma alla fine non se ne fece nulla. Nel mese di aprile 2017 fu il nuovo presidente USA (Trump) a ordinare il lancio di 50 missili contro una base aerea siriana, da cui sarebbero partiti gli attacchi chimici contro la cittadina di Khan Scheikoun, nella provincia di Idlib. In questo caso sembra che quasi nessuno dei missili abbia raggiunto l’obiettivo, deviati, probabilmente, da misure elettroniche attivate da qualcuna dalle forze militari presenti sul territorio controllato dal governo siriano. Quasi un anno è trascorso dall’aprile 2017, in questi undici mesi l’esercito siriano, appoggiato da Iran, Russia, Hezbollah, milizie sciite irachene e afghane, ha riconquistato quasi tutto il territorio perduto a partire dal 2012. Le milizie integraliste, sostenute da un variegato gruppo di stati interessati a un cambio di regime, finalizzato al controllo delle risorse petrolifere siriane (incluse le vie di trasferimento di queste risorse), e alla disarticolazione della continuità territoriale dell’asse commerciale e politico ‘sciita’ (Iran, Iraq, Siria, Libano), sono state sconfitte. La loro presenza è ora residuale, incapace di minacciare lo stato siriano in modo serio, come avvenuto per il passato. Le attuali operazioni militari dell’esercito siriano possono essere definite, tecnicamente, un rastrellamento dentro sacche di resistenza isolate e senza più collegamento con i generosi (e ben noti) fornitori di armamento e vettovaglie.
Adesso il complesso militare-industriale USA punta sulla carta curda, anche se la concomitante ostilità della Turchia verso la nascita di una entità statale curda ai propri confini (ostilità concretizzatasi nell’intervento militare turco contro l’enclave curda di Afrin), ha seriamente scompaginato il gioco americano. Al di là delle proteste formali di Iran e Siria contro l’intervento turco nel cantone di Afrin, la mossa turca è di fatto contraria agli interessi americani, e quindi va considerata nel quadro più ampio del confronto fra potenze locali e globali che si sta consumando in Siria.
Tornando alla questione del presunto utilizzo delle armi chimiche, tutto fa pensare che si tratti di una messinscena politico-mediatica realizzata da una sinergia di interessi (facilmente individuabili), attualmente in condizione di arretramento e difficoltà nello scontro con i propri avversari.
Le opinioni pubbliche occidentali, o meglio le minoranze sociali borghesi, quasi ignare del feroce braccio di ferro che il proprio stato guida imperiale sta affrontando con il potente complesso militare-industriale Russo, vivono gli scampoli di una decadenza edonistica che potrebbe bruscamente terminare.
Il rappresentante permanente degli Stati Uniti nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Nikki Haley, ha infatti adombrato la possibilità di attacchi unilaterali americani verso la Siria (nell’ipotesi di uso di armi chimiche da parte del SAA). A fronte di queste dichiarazioni, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, ha a sua volta replicato: “Se si dovesse verificare un nuovo attacco di questo tipo, le conseguenze saranno molto gravi”. Inoltre, il capo dello stato maggiore delle forze russe, Valery Gerasimov, ha affermato che “nel caso di una minaccia per la vita dei nostri militari, le forze armate della Russia prenderanno misure di ritorsione per colpire sia i missili che le loro basi di partenza”… “Allo stesso tempo, i consiglieri militari russi, i membri del Centro di Riconciliazione russo per parti in conflitto e i poliziotti militari si trovano in permanenza presso le strutture del Ministero della Difesa siriano a Damasco. Nel caso in cui ci sia una minaccia per le vite dei nostri militari, la Forza armata russa prenderà misure di ritorsione contro coloro che produrranno l’attacco”.
Il contenuto delle dichiarazioni di questi tre esponenti (due politici e un militare) è di pubblico dominio, facilmente reperibile sui mass media, e va quindi preso con la massima serietà.
Proviamo a prefigurare gli scenari più verosimili, nell’attuale fase del gioco di dominazione che caratterizza il permanente confronto/scontro fra i blocchi imperiali capitalistici.
Le due superpotenze possiedono da tempo il potere di distruggere l’intero pianeta, ma è davvero questo lo sviluppo più probabile della loro competizione, oppure è solo una possibilità su cui è stato di fatto costruito, dalla fine della seconda guerra mondiale, una sorta di duumvirato?
Chi possiede il potere di annientare la vita, può diventare il padrone della vita, questo è il senso del duumvirato (concorde/discorde) che di fatto guida le sorti del pianeta.
Ritorniamo alla replica di Lavrov: “La sig.ra. Haley dovrebbe capire che una cosa è sfruttare irresponsabilmente il microfono nel Consiglio di sicurezza dell’ONU ed è un’altra cosa quando i militari russi e americani hanno canali di comunicazione ed è chiaramente indicato attraverso questi canali cosa si può fare e cosa non deve essere fatto “…
“La coalizione guidata dagli Stati Uniti lo sa bene” .
Dal settembre 2015 le forze russe sostengono apertamente il governo siriano, esse hanno contribuito alla vittoria sulle milizie jihadiste, variamente sostenute da entità statali ostili. In questo lasso di tempo non si è mai verificato uno scontro diretto fra russi e americani, per quanto portatori di opposti interessi.
La sconfitta degli eserciti jihadisti, la relativizzazione della carta curda, il riavvicinamento/attrazione verso la superpotenza russa di alcuni importanti stati mediorientali (Egitto, Turchia, Iraq, Qatar, Libia, Iran…), hanno indubbiamente messo in una posizione precaria il ruolo americano nell’area. E’ normale che in un contesto di sconfitta, una parte della élite, alias dirigenza politico-militare della parte perdente, cerchi di giocare il tutto per tutto, eppure stavolta il tutto per tutto forse non può essere giocato. Con questo intendiamo dire che il gioco è adesso reso costoso dal fatto che l’avversario ha raccolto il guanto di sfida, e ha gettato sul tavolo di gioco la promessa di colpire e distruggere le navi e le basi di lancio dei missili nemici.
Facciamo finta di ammettere che nonostante ogni considerazione razionale (e quindi al di là di ogni calcolo di sopravvivenza), la dirigenza politico-militare della parte perdente provi comunque l’affondo missilistico, convinta che gli avvertimenti dell’avversario siano solo un bluff. Nel poker si chiama vedere le carte dell’altro giocatore. In questo caso chi ha voluto svelare il bluff, potrebbe amaramente scoprire che l’altro giocatore non sta giocando a poker, ma a scacchi, e dunque ha preparato una mossa da scacco matto, decidendo di colpire e distruggere le flotte navali, le portaerei, le basi, dell’impero rivale; utilizzando la superiorità tecnologica acquisita silenziosamente nel giro di un decennio, e ultimamente rivelata anche pubblicamente.
A questo punto, dopo la distruzione di parte della propria forza bellica, a mezzo di armi convenzionali tecnologicamente avanzate, la dirigenza politico-militare della parte perdente potrebbe optare per due tipi di risposta: uno; accettare la sconfitta, due; tentare l’azzardo di un attacco nucleare. Le conseguenze di questa seconda ipotesi le lasciamo valutare ai lettori. Noi riteniamo che non si arriverà neppure alla concretizzazione di queste due opzioni di scelta, perché molto probabilmente il colosso USA comprenderà in anticipo che stavolta non è il caso di giocare (con il fuoco). In ogni caso l’impero americano è in declino, il suo declino è l’espressione della più generale decadenza di un modo di produzione globale che non dovrebbe più esistere (un cadavere che ancora cammina), espressione di una società divisa in classi di sfruttati e sfruttatori.