Il cosiddetto problema degli incidenti sul lavoro e delle malattie professionali, trattato nella dimensione determinata della società borghese, presenta ad un primo approccio conoscitivo due aspetti distinti: uno) una certa componente di rischio, e di conseguente pericolo di incidenti, è ineliminabile dall’orizzonte della vita, due) il minore o maggiore grado percentuale di questa componente (ineliminabile) è dipendente dal tipo di organizzazione socio-economica.
Il punto due introduce alle successive riflessioni in merito alle cause della elevata percentuale di malattie professionali, e incidenti sui luoghi di lavoro, nell’attuale società.
Un articolo degli anni 60, pubblicato sulla rivista ‘Il programma comunista’, aveva per titolo: ‘Capitalismo distruzione di capitale vivo’ (n.r lavoro umano).
In questo articolo venivano riprese le analisi di Marx sulla intrinseca, immanente, potenza distruttiva della produzione capitalistica (per la vita, non solo del lavoratore, ma dell’uomo in generale, basti pensare agli effetti dell’inquinamento). Nella realtà storica il piano di produzione industriale è finalizzato all’appropriazione (con tutti i mezzi possibili) di plus-lavoro e susseguente plus-valore, fino all‘esaurimento e alla estinzione precoce della forza-lavoro stessa “. (Marx)
Già in se stesso il piano di produzione industriale del capitalismo è marcato da due fenomeni basilari: Reificazione ed alienazione. La reificazione è il rovesciamento dell’essere vivente in cosa: un oggetto inserito in un ingranaggio di produzione, un appendice dell’officina, un produttore utilizzato dai mezzi di produzione. Marx definisce reificazione – dal latino res “cosa” – il “diventare una cosa“ dell’uomo, dentro il piano di produzione del capitale. Una cosa che può essere impiegata (in questo piano di produzione) senza troppi scrupoli, senza eccessive premure per la sua salute e per la sua stessa sopravvivenza.
L’alienazione è lo spossessamento, la separazione del produttore dal prodotto del proprio lavoro, dalle condizioni in cui si svolge il suo lavoro, dai mezzi di produzione che impiega (ma in realtà sono i mezzi di produzione che impiegano il produttore, è il lavoro morto/capitale costante che utilizza il lavoro vivo/capitale variabile).
Il capitolo 5 del Capitale (libro terzo), contiene, fra l’altro, una descrizione analitica di varie tipologie di ‘incidenti’ sul lavoro, l’individuazione dei fattori di causa che stanno essenzialmente all’origine degli ‘incidenti’, e quindi una critica all’organizzazione capitalistica della produzione. I casi recenti di incidenti e morti sul lavoro confermano in pieno l’attualità delle analisi marxiste.
In modo particolare ci sembra indispensabile evidenziare alcune considerazioni di Marx, contenute nella parte del capitolo 5 appena precedente gli esempi pratici, considerazioni ampiamente riepilogative del senso dell’argomento trattato:
”Il modo di produzione capitalistico, come da un lato promuove lo sviluppo delle forze produttive del lavoro sociale, dall’altro induce all’economia nell’impiego del capitale costante.
Esso però non si limita a rendere reciprocamente estranei e indifferenti da una parte l’operaio, il rappresentante del lavoro vivente, dall’altra l’impiego economico, cioè razionale e dosato delle condizioni di lavoro. Conformemente alla sua natura contraddittoria, piena di contrasti, esso va oltre, fino ad annoverare fra i mezzi per economizzare il capitale costante, e quindi aumentare il saggio del profitto, lo sperpero della vita e della salute dell’operaio e il peggioramento delle sue stesse condizioni d’esistenza.
Poiché l’operaio dedica la maggior parte della sua vita al processo di produzione, le condizioni di questo processo costituiscono in gran parte le condizioni del processo attivo della sua esistenza, le sue condizioni di vita; e il far economia nel campo di queste con dizioni di vita è un metodo per rialzare il saggio del profitto, proprio come, e l’abbiamo già precedentemente messo in rilievo , l’eccesso di lavoro, la trasformazione dell’operaio in bestia da lavoro è un metodo per accelerare l’auto-valorizzazione del capitale, la produzione del plusvalore. Siffatta economia giunge fino al sovraffollamento di operai in locali ristretti, malsani, ciò che si chiama in termini capitalistici risparmio di costruzioni; all’ammassamento di macchine pericolose negli stessi ambienti, senza adeguati mezzi di protezione contro questo pericolo; all’assenza di misure di precauzione nei processi produttivi che per il loro carattere siano dannosi alla salute o importino rischi (come nelle miniere) ecc. Per non dire della mancanza di ogni provvidenza volta ad umanizzare il processo produttivo, a renderlo gradevole o quanto meno sopportabile. Ciò sarebbe, dal punto di vista capitalistico, uno spreco senza scopo e insensato. Con tutto il suo lesinare, la produzione capitalistica è in genere molto prodiga di materiale umano, proprio come, grazie al metodo della distribuzione dei suoi prodotti per mezzo del commercio e al suo sistema di concorrenza, essa è molto prodiga di mezzi materiali e da una parte fa perdere alla società ciò che dall’altra fa guadagnare ai singoli capitalisti.
Il capitale non tende soltanto a ridurre all’indispensabile il diretto impiego di lavoro vivente e a diminuire di continuo, mediante lo sfruttamento delle forze produttive sociali del lavoro, il lavoro necessario per l’approntamento di un prodotto, vale a dire ad economizzare al massimo il lavoro vivente direttamente impiegato; esso ha altresì la tendenza a impiegare nelle condizioni più economiche questo lavoro ridotto ai limiti dell’indispensabile, ossia a ridurre alla misura minima possibile il capitale costante applicato. Allorché il valore delle merci è determinato dal tempo di lavoro necessario in esse incorporato e non dal tempo di lavoro che viene generalmente in esse assorbito, è il capitale che effettua tale determinazione e che insieme incessantemente raccorcia il tempo di lavoro socialmente necessario per la produzione di una merce. Il prezzo della merce viene per tal modo ridotto al suo minimo, essendo ridotta alla misura minima qualsiasi parte del lavoro richiesto per la sua produzione.
A proposito dell’economia nell’impiego del capitale costante bisogna distinguere.
Se cresce la massa e insieme con essa il valore complessivo del capitale impiegato, si determina anzitutto ed esclusivamente una concentrazione di una maggior quantità di capitale in una sola mano. Ma è appunto questa maggior massa impiegata da una sola mano — cui per lo più corrisponde un numero di operai occupati maggiore in senso assoluto ma minore in termini relativi — che consente di realizzare un’economia di capitale costante. Dal punto di vista del singolo capitalista, il volume del necessario investimento di capitale, particolarmente del capitale fisso, si accresce; ma, in rapporto alla massa della materia posta in lavorazione e del lavoro sfruttato, il valore del capitale investito relativamente diminuisce”. Marx, il Capitale, libro primo, capitolo 5.
Anno 2017, in Italia gli infortuni mortali sul posto di lavoro (o nel trasferimento dalla residenza al posto di lavoro), in base alle denunce presentate all’Inail nei primi sette mesi del 2017, sono stati 591, nello stesso periodo del 2016 i decessi ammontavano a 562 (+5,2%). Sempre nei primi sette mesi del 2017, le denunce d’infortunio pervenute all’Inail sono state 380.230, quasi 5000 in più rispetto allo stesso periodo del 2016. E’ interessante notare che il numero dei giorni lavorativi effettuati nei primi sette mesi del 2016-2017 è stato essenzialmente identico.
Nel primo trimestre del 2018 ci sono state 212 denunce d’infortunio mortale presentate all’Inail, registrando 22 casi in più rispetto al 2017. L’incremento è dato da incidenti verificatisi nel percorso dalla residenza al posto di lavoro.
Una prima considerazione va fatta sul numero elevato di denunce di infortunio (ad esempio quelle dei primi sette mesi del 2017, che sono state 380.230). Possiamo arguire che, al di là dei casi mortali compresi in questo numero (591), siamo di sicuro in presenza di migliaia e migliaia di casi di incidenti invalidanti, con gradazioni differenti di danno. Sembra un bollettino di guerra, e in effetti l’anarchia della produzione e la lotta per la concorrenza aziendale, pienamente operanti nel capitalismo contemporaneo, a netta smentita delle varie teorie apodittiche e indimostrabili sui piani generali della produzione (di kautskiana matrice), hanno la spiacevole conseguenza, chiamiamola ipocritamente effetto collaterale, o inconveniente, di far proliferare gli incidenti sul lavoro, e le malattie professionali.
La malattia professionale è definita, nei testi medico-legali, come una patologia correlata all’esposizione prolungata del lavoratore ad alcuni fattori presenti nell’ambiente di lavoro (radiazioni, vibrazioni, polveri e sostanze chimiche nocive, rumore, misure organizzative che incidono negativamente sul quadro psicofisico).
Attualmente in Italia esistono delle tabelle in cui sono raccolti i tipi di malattia professionale che rientrano nella copertura assicurativa Inail, quindi riconosciute dalle norme vigenti. Dal 1988 il lavoratore ha la possibilità di dimostrare che la sua malattia, anche se non rientrante nelle tabelle previste dalla legge, è da far risalire in ogni caso all’attività di lavoro svolta.
Le denunce relative alle malattie professionali, registrate dall’Inail, nel periodo gennaio-settembre 2017, sono state oltre 43.000, secondo i dati ufficiali sono oltre 1.500 in meno rispetto allo stesso periodo del 2016. Questo lieve calo si verifica, tuttavia, all’interno di un trend di crescita negli anni immediatamente precedenti.
Bordiga ha definito l’azienda, e quindi il processo produttivo in cui l’operaio parziale diventa automa, appendice del macchinario, strumento dell’officina, produttore utilizzato dai mezzi di produzione, semplicemente:‘galera aziendale’.
L’essenziale del processo produttivo capitalistico non è la cooperazione fra operai parziali, ma l’atomizzazione, la frammentazione del lavoro integrale svolto in precedenza dall’artigiano, ed è la brama di plus-lavoro del capitale, che riorganizza la produzione (in base al principio del massimo risultato con il minimo costo) dividendo il precedente lavoro artigiano in lavoro manifatturiero, dove la merce è il risultato del lavoro parziale di molti operai. Il capitalista compra questo lavoro comune, atomizzato, o meglio divide il precedente lavoro artigiano unitario, in frazioni, atomi, per ottenere successive e sempre crescenti economie di costo. Come ricorda Marx, nella produzione capitalistica si presenta la costante dell’aumento dello sfruttamento, cioè della riduzione della parte di giornata lavorativa necessaria a ripagare il salario, e quindi i mezzi di sussistenza per la riproduzione della forza-lavoro, a vantaggio del plus-lavoro, cioè della parte di giornata lavorativa dedicata alla esclusiva valorizzazione del capitale, in un tracciato di costante distruzione del lavoro vivo.
Confrontiamo quest’ultima affermazione con un lungo passo tratto dal ‘Capitale’.
“Ma il capitale, nel suo smisurato e cieco impulso, nella sua voracità da lupo mannaro di plus-lavoro, scavalca non soltanto i limiti massimi morali della giornata lavorativa, ma anche quelli puramente fisici. Usurpa il tempo necessario per la crescita, lo sviluppo e la sana conservazione del corpo. Ruba il tempo che è indispensabile per consumare aria libera e luce solare. Lesina sul tempo dei pasti e lo incorpora, dove è possibile, nel processo produttivo stesso, cosicché al lavoratore viene dato il cibo come a un puro e semplice mezzo di produzione, come si dà carbone alla caldaia a vapore, come si dà sego e olio alle macchine. Riduce il sonno sano che serve a raccogliere, rinnovare, rinfrescare le energie vitali, a tante ore di torpore quante ne rende indispensabili il ravvivamento di un organismo assolutamente esaurito. Qui non è la normale conservazione della forza-lavoro a determinare il limite della giornata lavorativa, ma, viceversa, è il massimo possibile dispendio giornaliero di forza-lavoro, per quanto morbosamente coatto e penoso, a determinare il limite del tempo di riposo dell’operaio. Il capitale non si preoccupa della durata della vita della forza- lavoro. Quel che gli interessa è unicamente e soltanto il massimo di forza-lavoro che può essere resa liquida in una giornata lavorativa. Esso ottiene questo scopo abbreviando la durata della forza-lavoro, come un agricoltore avido ottiene aumentati proventi dal suolo rapinandone la fertilità. Con il prolungamento della giornata lavorativa, la produzione capitalistica, che è essenzialmente produzione di plusvalore, assorbimento di plus-lavoro, non produce dunque soltanto il deperimento della forza-lavoro umana, che viene derubata delle sue condizioni normali di sviluppo e di attuazione, morali e fisiche; ma produce anche l’esaurimento e la estinzione precoce della forza-lavoro stessa “. Il Capitale, libro primo, sezione III, capitolo 8.
Incidenti e malattie professionali sono dunque il derivato di una specifica realtà socio-economica, sono la conseguenza della produzione capitalistica, il cui piano di produzione reale, lungi dall’essere il precursore ”oggettivo” della cooperazione comunista del futuro, è invece ‘divoramento’ della forza-lavoro fino alla sua estinzione precoce.
La lunga citazione precedente, tratta dal capitolo 8, potrebbe chiarire, e chiarisce in effetti, una volta per sempre, l’essenza del piano di produzione capitalistico, e dunque la sua priorità fondamentale, riprendiamone un passaggio ”Quel che gli interessa (al capitalista) è unicamente e soltanto il massimo di forza-lavoro che può essere resa liquida in una giornata lavorativa. Esso ottiene questo scopo abbreviando la durata della forza-lavoro, come un agricoltore avido ottiene aumentati proventi dal suolo rapinandone la fertilità”…”la produzione capitalistica, che è essenzialmente produzione di plusvalore, assorbimento di plus-lavoro, non produce dunque soltanto il deperimento della forza-lavoro umana, che viene derubata delle sue condizioni normali di sviluppo e di attuazione, morali e fisiche; ma produce anche l’esaurimento e la estinzione precoce della forza-lavoro stessa “.