Immagine e potere (capitolo quarto: il rovesciamento della rappresentazione)

Capitolo quarto

‘Governare è far credere’

”E perché le azioni di costui furono grandi in un Principe nuovo, io voglio mostrare brevemente quanto egli seppe bene usare la persona della volpe e del lione, le quali nature dico, come di sopra, esser necessario imitare ad un Principe.”

Machiavelli

 

In un articolo di un paio di anni fa, dal titolo ‘Ruina imperii’, abbiamo tentato di analizzare i processi di decadenza dell’apparato capitalistico USA riprendendo alcuni concetti contenuti nel ‘Principe, di Machiavelli. Riportiamo ora una lunga citazione dello stesso autore, allo scopo di introdurre l’analisi della immagine capovolta del potere.

”Ma perché circa le qualità, di che di sopra si fa menzione, io ho parlato delle più importanti, l’altre voglio discorrere brevemente sotto queste generalità, che il Principe pensi, come di sopra in parte è detto, di fuggire quelle cose che lo faccino odioso o vile; e qualunque volta fuggirà questo, arà adempiuto le parti sue, e non troverà nell’altre infamie pericolo alcuno. Odioso lo fa soprattutto, come io dissi, lo esser rapace, ed usurpatore della roba, e delle donne de’ sudditi; di che si deve astenere. Qualunque volta alle università degli uomini non si toglie né roba né onore, vivono contenti, e solo s’ha a combattere con l’ambizione di pochi, la quale in molti modi e con facilità si raffrena. Abietto lo fa l’esser tenuto vario, leggiero, effeminato, pusillanimo, irresoluto; di che un Principe si deve guardare come da uno scoglio, ed ingegnarsi che nelle azioni sue si riconosca grandezza, animosità, gravità, fortezza; e, circa i maneggi privati de’ sudditi, volere che la sua sentenzia sia irrevocabile, e si mantenga in tale opinione, che alcuno non pensi né ad ingannarlo, né ad aggirarlo. Quel Principe che dà di sé questa opinione, è riputato assai; e contro a chi è riputato assai con difficultà si congiura, e con difficultà è assaltato, purché si intenda che sia eccellente e reverito da’ suoi. Perché un Principe deve avere due paure: una dentro per conto de’ sudditi; l’altra di fuori per conto de’ potenti esterni.” Il Principe, Machiavelli.

 

Dunque il principe, cioè il soggetto del potere, deve mostrarsi sicuro, forte, serio, evitando come la peste la trasmissione di segnali di contenuto opposto. Come il sorriso sulle labbra delle statue di re e imperatori è scolpito per comunicare saldezza del potere e benevolenza, anche l’immagine personale del politico dovrebbe comunicare forza, stabilità e benevolenza. Machiavelli suggerisce al potere politico questa strategia di immagine, perché solo essa può fungere da deterrente verso le congiure e gli attacchi provenienti dai nemici interni (il popolo o altri potenti) e i nemici esterni (le potenze esterne): ‘Perché un Principe deve avere due paure: una dentro per conto de’ sudditi; l’altra di fuori per conto de’ potenti esterni.’

Le due paure di cui scrive Machiavelli producono come risposta la doppia minaccia che lo stato, in quanto strumento politico-militare di dominazione di una classe sociale, rivolge ai propri sudditi (la classe dominata) e alle potenze straniere (le altre classi dominanti e i loro apparati statali). Poiché il potere politico deve ingegnarsi che nelle azioni sue si riconosca grandezza, animosità, gravità, fortezza”.

Lungi dal rendersi autonomo dallo stato nazionale, il capitale di una determinata borghesia, semplicemente per sopravvivere nel confronto con altri capitali, non può prescindere dalla protezione dello scudo statale.

D’altronde sia nel ‘Manifesto’, sia 100 anni dopo in ‘Forza, violenza e dittatura nella lotta di classe’, si sostiene che la potenza di una sovrastruttura politica statale è inizialmente legata alla forza di una certa struttura economica, tuttavia, in base a una elementare legge dialettica, la potenza dello stato può in seguito notevolmente incidere sulla stessa struttura economica (pensiamo in primo luogo alle ricorrenti guerre commerciali fra economie capitalistiche e al ruolo giocato in esse dalla forza militare, ad esempio i blocchi navali, o la vecchia politica delle cannoniere, oppure pensiamo al ruolo dello stato nelle politiche economiche keynesiane volte a favorire la domanda, o viceversa al ruolo delle politiche di austerità, con tagli al welfare e inasprimenti fiscali, volti a reperire le somme per pagare gli interessi sul debito pubblico).

Ma torniamo al problema delle congiure che potrebbero minacciare il potere costituito, secondo Machiavelli, se il principe persegue ‘grandezza, animosità, gravità, fortezza’, in realtà o in apparenza poco conta, difficilmente le congiure potranno avere successo.Per esperienzia si vede molte essere state le congiure, e poche aver avuto buon fine; perché chi congiura non può esser solo, né può prendere compagnia, se non di quelli, che crede essere malcontenti; e subito che a uno malcontento tu hai scoperto l’animo tuo, gli dai materia a contentarsi, perché, manifestandolo, lui ne può sperare ogni comodità; talmentechè veggendo il guadagno fermo da questa parte, e dall’altra veggendolo dubbio e pieno di pericolo, convien bene o che sia raro amico, o che sia al tutto ostinato nimico del Principe ad osservarti la fede”. Il Principe, Machiavelli.

D’altronde le congiure non possono avere un grande seguito, se il principe ha saputo agire con astuzia e intelligenza, evitando di inimicarsi il popolo e i potenti del regno: ”Conchiudo adunque, che un Principe deve tenere delle congiure poco conto, quando il popolo gli sia benivolo; ma quando gli sia inimico, ed abbilo in odio, deve temere di ogni cosa e di ognuno. E gli stati bene ordinati, e li Principi savi hanno con ogni diligenza pensato di non far cadere in disperazione i grandi e di satisfare al popolo, e tenerlo contento, perché questa è una delle più importanti materie che abbia un Principe”. Il Principe, Machiavelli.

Nel percorso analitico contenuto nel ‘Principe’ è dunque presente la seguente equazione di conservazione del potere, questa equazione è composta da due condizioni e da un risultato conseguente:non far cadere in disperazione i grandi e ‘satisfare al popolo” … ”ingegnarsi che nelle azioni sue (del principe) si riconosca grandezza, animosità, gravità, fortezza” è uguale a non trovare ”nell’altre infamie pericolo alcuno”.

Tuttavia mentre è possibile pensare che il soggetto del potere possa mantenere in piedi, con un atto di pura volontà personale, la rappresentazione della propria grandezza, animosità, gravità, fortezza”, è molto arduo pensare che tale rappresentazione sia accettata come vera dai sudditi quando, invece, viene meno la seconda condizione su cui è basata l’equazione, cioè non far cadere in disperazione i grandi e ‘satisfare al popolo” .

Nel corso della storia, e su un piano generale di trapasso da un modo di produzione ad un altro, viene un momento in cui la contraddizione fra i rapporti di produzione esistenti e la possibilità di ulteriore sviluppo delle forze produttive diventa risolvibile solo con la forza, poiché non è più sussistente quella condizione di conservazione del potere descritta da Machiavelli: non far cadere in disperazione i grandi e ‘satisfare al popolo”  raggiungibile ”Qualunque volta alle università degli uomini non si toglie né roba né onore, (ed essi) vivono contenti ”.

Lo stesso Machiavelli è consapevole che l’equazione del potere può sussistere solo in presenza di determinate condizioni concrete:li Principi debbono le cose di carico fare sumministrare ad altri, e quelle di grazie a lor medesimi. Di nuovo conchiudo, che un Principe debbe stimare i grandi, ma non si far odiare dal popolo. Parrebbe forse a molti, che, considerata la vita e morte di molti Imperatori Romani, fussono esempi contrarii a questa mia opinione, trovando alcuno esser vissuto sempre egregiamente, e mostro grande virtù d’animo, nondimeno aver perso l’imperio, ovvero essere stato morto da’ suoi che gli hanno congiurato contro”. 

Allo scopo di spiegare la rovina di alcuni imperatori romani, Machiavelli inserisce una terza variabile nell’equazione del potere; i soldati. Tale variabile è molto attuale, soprattutto alla luce degli eventi contemporanei e del ruolo giocato in essi dal complesso militare-industriale.  

Ecco le considerazioni di Machiavelli: ”dove negli altri Principi si ha solo a contendere con l’ambizione de’ grandi e insolenza de’ popoli, gl’Imperatori Romani avevano una terza difficultà, d’avere a sopportare la crudeltà ed avarizia de’ soldati; la qual cosa era sì difficile, che la fu cagione della rovina di molti, sendo difficile satisfare a’ soldati ed a’ popoli; perchè i populi amano la quiete, e per questo amano i Principi modesti, e li soldati amano il Principe d’animo militare, e che sia insolente, e crudele, e rapace”.

I soldati, o meglio il complesso militare-industriale che è una componente decisiva della sovrastruttura statale di dominio di una classe sociale, può dunque assumere caratteri di autonomia rispetto al potere politico di riferimento (in determinati periodi storici di trapasso) , può oscillare fra una parte ed un altra, può addirittura agire in senso contrario alla classe sociale dominante (o ad una sua frazione). Esempi storici: la rivoluzione russa (con il passaggio di un parte dell’esercito zarista con i bolscevichi), la Siria (con il passaggio di un terzo dell’esercito dalla parte di una frazione borghese in lotta con altre frazioni di borghesia), il Venezuela (con il passaggio di buona parte dell’esercito dalla parte di una frazione borghese in lotta con altre frazioni di borghesia), e gli esempi continuerebbero.

Riassumiamo con terminologia e concetti marxisti, la triade di fattori dell‘equazione del potere di Machiavelli : 1) popolo (la classe dominata), 2) i potenti (le frazioni di classe dominante meno favorite dallo status quo), 3) i soldati (una componente dell’apparato statale della classe sociale dominante). Generalmente, cioè sulla base di pressioni materiali come la legge capitalistica della miseria crescente, è il primo fattore a muoversi contro lo status quo, e quindi a influenzare in vario modo gli altri due fattori, oppure semplicemente a fornire il pretesto per un rimescolamento della spartizione del potere ai potenti (le frazioni di classe dominante meno favorite), come accaduto durante le primavere arabe.

In questo rimescolamento delle carte del potere il fattore due (i potenti), utilizza una parte del fattore tre (i soldati) e addirittura parte del fattore uno (il popolo – che parteggia per l’una o l’altra frazione borghese) in una lotta per il predominio, definita da Marx lotta tra ‘fratelli coltelli’.

Ma scopriamo gli esempi storici in cui, secondo Machiavelli,  viene meno uno dei fattori che compongono l’equazione del potere: ”Ma vegniamo ad Alessandro, il quale fu di tanta bontà, che tra l’altre lodi che gli sono attribuite, è, che in quattordici anni, che tenne l’imperio, non fu mai morto da lui nessuno ingiudicato; nondimanco, essendo tenuto effeminato, e uomo che si lasciasse governare dalla madre, e per questo venuto in dispregio; conspirò contro di lui l’esercito, ed ammazzollo.”…”Discorrendo ora per opposito le qualità di Commodo, di Severo, di Antonino, di Caracalla, e di Massimino, gli troverete crudelissimi e rapacissimi, li quali, per satisfare a’ soldati, non perdonarono a nissuna qualità d’ingiuria che ne’ popoli si potesse commettere; e tutti, eccetto Severo, ebbero tristo fine”…Ma vegniamo a Commodo, al quale era facilità grande tenere l’Imperio, per averlo ereditario, essendo figliuolo di Marco; e solo gli bastava seguire le vestigia del padre, ed a’ populi e a’ soldati arebbe satisfatto; ma essendo di animo crudele e bestiale, per potere usare la sua rapacità ne’ populi, si volse ad intrattenere gli eserciti, e fargli licenziosi; dall’altra parte non tenendo la sua dignità, descendendo spesso nelli teatri a combattere con i gladiatori, e facendo altre cose vilissime, e poco degne della Maiestà Imperiale, diventò vile nel cospetto de’ soldati; ed essendo odiato da una parte, e dall’altra disprezzato, fu conspirato contro di lui e morto.”… ‘‘Antonino … fu ancor lui uomo eccellentissimo, ed aveva in sé parti eccellentissime, che lo facevano ammirabile nel cospetto de’ popoli, e grato a’ soldati, perché era uomo militare, sopportantissimo di ogni fatica, disprezzatore di ogni cibo delicato, e di ogni altra mollizie; la qual cosa lo faceva amare da tutti gli eserciti. Nondimeno la sua ferocia e crudeltà fu tanta e sì inaudita, per avere dopo molte occisioni particulari morto gran parte del Popolo di Roma, e tutto quello d’Alessandria, che diventò odiosissimo a tutto il mondo, e cominciò ad esser temuto da quelli ancora che egli aveva intorno, in modo che fu ammazzato da un centurione in mezzo del suo esercito.”

Dunque il ventaglio di esempi storici contiene un elemento ricorrente, ed è il seguente: ad un certo punto della parabola politica, al soggetto del potere, o se vogliamo alla élite dirigente (e quindi alla frazione di classe dominante collegata), venendo meno l’appoggio o la sottomissione di uno dei tre fattori dell’equazione, viene sottratto il potere, e molto spesso anche la vita. Nella lettura politica di Machiavelli resta in ombra, tuttavia, l’elemento storico, cioè l’insieme di concause oggettive, che ordinariamente, e in modo  più intenso degli errori soggettivi, sono alla base del rovesciamento della rappresentazione del potere. 

Nelle pagine dedicate a Cesare Borgia (il duca Valentino), Machiavelli non riscontra nessun errore personale nell’agire del suddetto politico e condottiero, possessore indiscusso delle virtù della volpe e del lione. Eppure la sua caduta deve essere spiegata in qualche modo, ed ecco allora il ricorso alla metafora del conflitto fra virtù e fortuna, ma la fortuna che cosa significa, se non il riconoscimento di un piano storico oggettivo, solo parzialmente modificabile dalla virtù soggettiva del principe?

Ecco le vivide righe in cui Machiavelli narra la parabola dell’uomo di cui era stato consigliere e ambasciatore: Se adunque si considererà tutti i progressi del Duca, si vedrà quanto lui avesse fatto gran fondamenti alla futura potenzia, li quali non giudico superfluo discorrere, perché io non saprei quali precetti mi dare migliori ad un Principe nuovo, che lo esempio delle azioni sue; e se gli ordini suoi non gli giovarono, non fu sua colpa, perché nacque da una straordinaria ed estrema malignità di fortuna. […] Raccolte adunque tutte queste azioni del Duca, non saprei riprenderlo, anzi mi pare, come io ho fatto, di proporlo ad imitare a tutti coloro, che per fortuna e con l’armi d’altri sono saliti all’imperio. Perché egli avendo l’animo grande, e la sua intenzione alta, non si poteva governare altrimente; e solo si oppose alli suoi disegni la brevità della vita di Alessandro, e la sua infirmità.”

Ancora in queste righe sembra che Machiavelli voglia spostare l’attenzione sull’origine delle fortune politiche di Cesare Borgia, ovvero la protezione del papa (suo padre naturale), e quindi sul venire meno di questa protezione, alla morte del padre, come fattore di rovesciamento dell’immagine al potere. Tuttavia, in modo impercettibile, fra le righe del discorso machiavelliano, si presenta ora lo scenario di una forza oggettiva (per quanto associata alla fortuna avversa o benevola) che limita la virtù sovrana (volpe e lione) del principe.

 

 

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