Nel Vicino Oriente l’imperialismo mondiale persegue l’ennesimo massacro, distruzione di capitale, fisso e variabile, risorse materiali e umane. Nel tentativo di rallentare il suo inesorabile e definitivo crollo storico, il sistema capitalistico, personificato dai diversi attori statali imperiali e comparse regionali, manda in scena l’annientamento del proletariato palestinese. La polveriera proletaria del Vicino e Medio Oriente rappresenta un pericolo mortale per tutte le borghesie della zona, siano esse arabe, palestinese, israeliana. I grandi moloch imperiali (U.S.A., Cina, Russia), sempre in concorrenza fra loro, non sono più in grado di stabilire un ordine mondiale stabile e di imporlo ai loro vassalli.

Dunque si rende necessaria una immediata ennesima operazione di “normalizzazione” pacificatrice. Di fronte agli orrendi massacri di questi mesi noi comunisti non rimaniamo certo indifferenti. Il sangue versato dai proletari del Vicino Oriente si aggiunge a quello versato in tutto il mondo ogni volta che la classe operaia ha provato ad alzare la testa. Sappiamo che si prepara l’ennesima carneficina e che questa è il frutto di un lungo periodo di controrivoluzione borghese mondiale e di falsa e illusoria propaganda dei rinnegati partiti di pseudo-sinistra.

Sappiamo anche che l’unica possibilità di invertire la tendenza ad una futura guerra imperialista generalizzata e agli attuali conflitti regionali è praticare il disfattismo rivoluzionario, così in Ucraina come in Palestina.  Solo la ripresa della lotta di classe internazionale potrà fermare i massacri di proletari.

E’ proprio per scongiurare lo scoppio di nuove rivolte proletarie che il sistema capitalista mantiene alto il livello di violenza distruttrice attraverso i conflitti locali, per diffondere nella classe proletaria, divisa e intruppata in ogni singolo nazionalismo in lotta contro gli altri, il terrore e la sfiducia nella propria forza. E allora il primo passo è quello di rompere la gabbia dei nazionalismi.

I proletari non hanno patria e non debbono lottare per conquistarne una, nemmeno quella palestinese. Uno Stato palestinese nel Vicino Oriente sarebbe solo uno strumento di oppressione di classe nelle mani della borghesia palestinese, laica o islamica. Esso, anziché rafforzare il proletariato palestinese, sarebbe l’apparato utile al controllo e allo sfruttamento della classe operaia palestinese, in concorrenza con gli Stati della regione (fratelli coltelli borghesi), nascerebbe debole e dipendente economicamente e i livelli di sfruttamento del lavoro salariato non potrebbero che aumentare.

Hamas, persegue le sue mire egemoniche sul proletariato palestinese: questa forza, espressione di una frazione della borghesia palestinese si candida a guidare il futuro stato palestinese regolato dalle leggi islamiche in concorrenza con l’ANP, altra, entità politica borghese, già fortemente screditata agli occhi dei palestinesi per essere in buoni rapporti con il governo israeliano (ha garantito per esso l’ordine pubblico in Cisgiordania) e per gestire traffici più o meno leciti della sua amministrazione.  

La strage di palestinesi che sta avvenendo dal 1948 lascerà sul terreno sociale, nelle giovani generazioni, un profondo sentimento di vendetta. Ma questo odio dovrà trovare il proprio obiettivo, i proletari dovranno identificare il proprio nemico di classe, la borghesia. Per Hamas il tempo è contato, lo smascheramento sarà completo se, a livello internazionale, verrà trovato l’accordo nella formula “due popoli due stati”. Probabilmente il territorio di Gaza sarà rivendicato interamente da Israele e a quel punto lo stato palestinese nascituro si ridurrà ad un fazzoletto di terra, Cisgiordania e poco altro. Ma anche questa soluzione è impraticabile per Israele. Si dovrebbero espellere dalla Cisgiordania i coloni israeliani (500.000) con un prezzo politico insostenibile. Parimenti impraticabile la soluzione di un unico stato che assorbisse la popolazione palestinese che, in tal caso, costituirebbe una notevole percentuale (oggi la popolazione arabo-israeliana sfiora il 20%). Dunque i “sinistri” che sostengono queste posizioni illudono il proletariato palestinese e rafforzano il controllo su di esso della borghesia palestinese (una delle più corrotte del pianeta). Dimenticano questi signori che anche i palestinesi sono divisi in classi sociali e la nostra solidarietà va esclusivamente al proletariato. Anche in Israele, ovviamente, ci sono le classi sociali e noi ci dobbiamo unicamente rivolgere al proletariato israeliano anche se oggi sembra impossibile farlo. Hamas e lo stato israeliano hanno gli stessi interessi che confliggono con gli interessi del proletariato, sia israeliano che palestinese.

Soldati, proletari israeliani e riservisti, rifiutatevi di sparare sui vostri fratelli arabi. Rompete la gabbia del nazionalismo. Il nazionalismo israeliano, traballante supporto su cui poggia da sempre ogni governo, che vede nemici ovunque, che tiene aggiogati al proprio carro borghese i proletari israeliani va battuto. Fraternizzazione dunque, è questa la parola d’ordine! Anche se fortemente minoritari, ci sono fenomeni di insubordinazione all’interno dell’esercito che vanno tenuti sotto osservazione.

L’unica via d’uscita per il proletariato di tutta la regione del Vicino Oriente è solidarizzare con la lotta del proletariato palestinese scendendo in piazza, scioperando, attaccando il proprio governo, denunciando la falsa “solidarietà araba” con i palestinesi.

Il primo nemico da combattere per ogni proletario è la propria borghesia: proletari italiani, i conflitti in corso gravano sulle condizioni di vita quotidiana di tutti i proletari già impoveriti dalla crisi economica mondiale. Opporsi alla guerra significa scioperare per il salario, per la riduzione dell’orario di lavoro, contro la partecipazione dello Stato Italiano alle missioni di “Pace” nelle diverse aree del mondo, contro la produzione di armamenti e l’aumento della spesa militare statale, significa bloccare l’invio di armi nelle zone di guerra.

L’Italia si candida a dirigere la missione “Aspides”, cioè il pattugliamento della navigazione lungo il Mar Rosso per la difesa del diritto alla libera circolazione delle merci e contro gli attacchi missilistici degli Huthi, ribelli yemeniti, che con le loro azioni militari hanno preso di mira le navi israeliane e le navi dirette nei porti di Israele. L’imperialismo nostrano si erge a difensore del capitale proprio e internazionale.

La classe operaia deve dichiarare guerra alla guerra e lo deve fare come classe per sé, guidata dal suo partito, il partito comunista mondiale.

Solo la rivoluzione proletaria mondiale fermerà la guerra imperialista. L’alternativa non è “pace o guerra” ma “guerra o rivoluzione”. La questione palestinese sarà risolta unicamente dalla rivoluzione comunista vittoriosa; il resto sono inutili chiacchiere reazionarie di coloro che vagheggiano di opportunità di praticare scorciatoie. Sono, per l’appunto, opportunisti.

Altre alternative non ce ne sono.

18/02/2024

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