Conflitto di classe e dinamiche imperialiste: la vicenda dell’Ucraina

Conflitto di classe e dinamiche imperialiste: la vicenda ucraina IL LAMENTO DI JAROSLAVNA 95. Si ode sul Dunaj la voce di Jaroslavna, piange al mattino qual gabbiano solitario: «Volerò come un gabbiano lungo il Dunaj, nel Kajala bagnerò la mia manica di seta e al principe tergerò le sanguinose ferite sul suo corpo possente.» 96. Sul far dell’alba piange Jaroslavna sul bastione di Putivl’ dicendo: «O vento, venticello! Perché, signore, soffi nemico? Perché porti le frecce unne sulla tua ala leggera contro i guerrieri del mio sporussiaso? Non ti bastava in alto, sotto le nubi soffiare, cullando le navi sull’azzurro mare? Perché, signore, sull’erba della steppa hai dissipato la mia gioia?» 97. Sul far dell’alba piange Jaroslavna sul bastione di Putivl’ dicendo: «O Dnepr, figlio di Slovuta! Hai attraversato i monti di pietra passando per la terra cumana. Hai portato su di te le navi di Svjatoslav fino al campo di Kobjak. Porta, signore, fino a me il mio sposo, perché io non gli mandi le mie lacrime sul far del mattino.» 98. Sul far dell’alba piange Jaroslavna sul bastione di Putivl’ dicendo: «O sole lucente, tre volte lucente. Sei per tutti così caldo e bello! Perché, signore, hai disteso il tuo raggio ardente contro i guerrieri del mio sposo, perché nell’arido campo i loro archi hai allentato, i loro turcassi serrato?» CANTO DELLA SCHIERA DI IGOR XII secolo. <a E Ulisse, torvi in lui gli occhi fissando: “Poiché tra i proci indovinar ti piacque, Spesso chiedesti nel palagio ai numi, Che del ritorno il dì non mi splendesse; Che te seguisse, e procreasse figli La mia consorte a te: quindi e tu al grave Sonno perpetuo chiuderai le ciglia”. Così dicendo, con la man gagliarda Dal suol raccolse la tagliente spada, Che Agelao su la morte avea perduto; E di percossa tal diede al profetaulisse1 Pel collo, che di lui, che ancor parlava, Rotolò nella polvere la testa. Omero Odissea Ucraina: cenni storici preliminari

Analizziamo alcuni aspetti della storia dell’Ucraina, nel sito Sapere.it ritroviamo alcune informazioni storiche sull’Ucraina (1), queste notizie rimarcano l’importanza dell’elemento normanno nella genealogia della compagine statale che andava formandosi intorno alla città di Kiev. Questi normanni vengono denominati Variaghi o Vareghi, termini dall’etimologia incerta, forse indicanti il significato di ‘passaggio’, o meglio ancora  ‘coloro che passano e portano se stessi in luoghi lontani dal paese d’origine’.

Questi Variaghi provenivano dalle terre scandinave, in modo particolare dalla Svezia, geograficamente situata in una migliore posizione d’accesso alle regioni della Russia settentrionale, dove viene fondata la prima città stato slavo-normanna di Novgorod, solo successivamente la città di Kiev, nell’anno 880, sotto l’impulso del capo varego Oleg che l’aveva occupata, diventerà la capitale di uno stato ‘Rus’ unificato comprendente i territori che andavano dall’estremo nord al sud. Questi avventurieri Vareghi si muovevano in gruppi di poche centinaia, e abbandonavano i territori scandinavi d’origine essenzialmente a causa di motivi economici, essendo l’agricoltura e l’allevamento di bestiame locali non sufficienti a garantire la sopravvivenza a tutti i componenti della società. Una sorta di migranti in armi, particolarmente avvezzi a intromettersi nelle diatribe fra i potentati locali mettendo la propria spada al servizio dell’uno o dell’altro principe, proprio come accadrà nell’Italia meridionale agli inizi dell’anno mille. Fondatori e unificatori di stati, i normanni (north –man, cioè uomini del nord), sono dunque quella parte di popolazione in eccedenza rispetto alle normali capacità di sostentamento dell’economia di provenienza. Non si tratta quindi dell’esodo di interi popoli come era avvenuto in precedenza per i Longobardi, i Goti e simili, ma solo di fenomeni migratori coinvolgenti una porzione in eccesso della popolazione. Queste brevi note storiche potrebbero aiutare a capire perché il tema dei rapporti fra Russia e Ucraina è quantomeno più complesso di come viene posto dall’America, trattandosi di un caso evidente di intreccio di vicende lontane che si riverberano inevitabilmente sul presente. In effetti Kiev è stata la culla dello stato e della cultura nazionale russa intorno all’anno mille, sotto la spinta militare dell’elemento variago e dei rapporti commerciali con Bisanzio intrattenuti dalla compagine statale in formazione. La decadenza di questa città inizia ben prima della distruzione effettuata nel 1240 a opera dei mongoli, come ben evidenziato nella nota 1, infatti,ci penseranno i principati russi rivali di Suzdal e di Cernigov a mettere a ferro e fuoco nel 1169 e nel 1203. Anche questa circostanza storica evidenzia una costante conflittuale fra compagini statali genericamente slavo-russe, già nel periodo iniziale della vicenda russo-ucraina. Sembra che la stessa etimologia della parola ‘Ucraina’ derivi dallo slavo o-kraine, cioè ciò che sta sul confine, ciò che è terra di confine, ed in effetti è anche questo il ruolo che attualmente viene rivestito da tale territorio nel grande gioco internazionale. Oggi gli opposti interessi capitalistici spingono gli imponenti apparati burocratico-militari di Russia e America a suscitare e sostenere una conflittualità armata fra diverse fazioni ucraine, con l’obiettivo di limitare l’espansione della sfera d’influenza dell’avversario economico-militare e di neutralizzare, principalmente, il comune nemico di classe proletario. Quest’ultima circostanza non deve stupire chi legge la nostra analisi, poiché basta leggere le cronache degli ultimi anni per scoprire che soprattutto nelle aree industriali e minerarie dell’est si sono verificate proteste e scioperi di varia durata e intensità. Una bella guerra, sotto il rivestimento delle solite motivazioni nazionali, può dunque egregiamente riportare la conflittualità sociale nell’alveo della irrilevanza e quindi favorire o danneggiare gli opposti interessi economico-aziendali incarnati negli apparati statali borghesi in campo, e stroncare sul nascere i primi vagiti di una lotta di classe potenzialmente pericolosa per entrambi i predoni imperialisti. Gli imperialismi russo-americani, strutturalmente convergenti-divergenti, perseguono in fondo lo stesso obiettivo: conservare il dominio di classe internazionale borghese e ottenere i massimi vantaggi politico-economici particolari per la propria economia nazionale. In questo modo dialettico si manifesta quindi la dinamica reale del capitale globale, il quale attraverso il doppio processo appena descritto, si divide in sezioni formalmente antitetiche e conflittuali, poiché il meccanismo immanente al modo di produzione capitalistico si sviluppa con forme e modi di essere concorrenziali sul piano economico e politico-militare.

(1). Abitata dagli Sciti già da prima del sec. VII a. C. subì le invasioni di Slavi e Variaghi. Questi ultimi si imposero alle popolazioni slave acquistando gran parte del potere nell’embrionale forma di Stato che si andava allora sviluppando, avendo appunto Kiev come capitale. Nell’880 un capo varego di nome Oleg occupò la città e unificò gli Stati normanni d iNovgorod e di Kiev. A quest’ultima, più vicina alle principali vie di transito commerciali, spettò la dignità di capitale del nuovo Stato russo. Lo sviluppo della città e del principato proseguì durante il regno di Igor (912-45). La principessa Olga(945-57) promosse i primi tentativi di cristianizzazione, cui seguì la conversione al cristianesimo di rito bizantino operata nel 989 da Vladimiro I (980-1015). Il figlio di questi, Jaroslav (1016-1054), promosse lo sviluppo civile e culturale dello Stato emanando tra l’altro il codice di leggi che va sotto il nome di Russkaja Pravda. Il regno di Izjaslav I fu caratterizzato da continue lotte interne, e queste tensioni riesplosero alla morte di Vladimiro IIMonomaco (1125) e dei suoi successori. La fine dello splendore di Kijev e della sua funzione di fulcro dell’unità  russa fu segnata nel 1169, quando Andrea Bogoljubskij, sovrano della Suzdalia, mise a ferro e a fuoco la città.

Attaccata ancora nel 1203 dai soldati del principe di Černigov e distrutta nel 1240 dai Mongoli, Kiev decadde completamente riducendosi a un piccolo villaggio. Nel 1362 fu occupata dal granduca lituano Algirdas che ne sfruttò il passato splendore facendo assumere al metropolita di Kiev, a lui fedele, il titolo di metropolita di tutta la Russia, in contrapposizione a quello di Mosca. Nel sec. XV il Granducato di Lituania si estese verso SE, sino a occupare Kiev con i territori finitimi (odierna Ucraina). Evidenti divennero gli influssi occidentali quando a Lublino (1569) Polonia e Lituania unirono le loro sorti. La riscossa ucraina e ortodossa, animata dall’etmano Chmelnickij, scosse, alla metà del sec. XVII, il predominio polacco; ma solo nel 1686 Kiev passò sotto lo scettro degli zar. La politica di Pietro il Grande tendente a procurarsi e a consolidare uno sbocco sul Mar Nero fece di Kiev un sempre più importante nodo di comunicazioni con la parte meridionale del Paese. Sviluppatasi nel sec. XIX come centro industriale, ospitò un movimento operaio assai attivo durante la Rivoluzione del 1917. Divenuta capitale della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina (Stato sovrano dal 1991, in seguito alla dissoluzione dell’URSS), fu occupata nel corso della battaglia di Kiev (21 agosto-27 novembre 1941) dalle forze tedesche; il 30 settembre 1941 reparti delle SS trucidarono a Babi Yar, appena fuori Kiev, oltre 33.771 ebrei rastrellati in città. Liberata nel 1943, Kiev fu insignita del titolo di città-eroe, ma negli anni Settanta fu al centro di una massiccia campagna di “russificazione” da parte delle autorità sovietiche. Nella primavera 1986 fu investita dalla contaminazione radioattiva seguita alla catastrofe di Černobyl, situata poche decine di km a Nord di Kiev. Sapere.it

  Parte prima

Dati numerici e tabelle: il problema dell’interpretazione dei dati

Fra gli aspetti ricorrenti delle trattazioni storico – sociologiche ritroviamo una presenza ipertrofica di dati e tabelle, i quali hanno di sicuro la loro importanza scientifica, ma possono essere facilmente interpretati in modo parziale o addirittura essere usati per sostenere tranquillamente una tesi e anche il suo esatto opposto. Nel caso delle vicende ucraine, e del ruolo in esse svolto dalla Russia e dagli Stati uniti, abbiamo letto alcune analisi proposte da fonti che si richiamano alla sinistra internazionale sinceramente poco convincenti ( almeno per quanto ci riguarda ). Sostenere tabelle alla mano che la Russia gioca la sua partita da una posizione di grande difficoltà economica, e quindi il suo attivismo militare è destinato a essere ridimensionato dai soliti americani, i quali, bontà loro, sono meglio posizionati sul piano economico – strategico, appare decisamente poco convincente. Consideriamo i seguenti dati storici ed economici:

1) La Russia, storicamente, si è rivelata un osso duro per i denti di molte compagini statali-militari avversarie, le quali hanno amaramente appreso una dura lezione di realtà dallo scontro militare con le armi russe. Questo aspetto storico, se vogliamo essere minimamente realistici, non possiamo trascurarlo quando formuliamo delle ipotesi sugli sbocchi dell’attuale situazione di confronto fra i blocchi Geo – politici imperanti. Nel 1400 Mosca fu attaccata contemporaneamente da un alleanza militare formata dal regno polacco- lituano, dai tartari di Crimea e di Kazan: cioè da nord-ovest, da sud e da est; eppure i russi raccolti intorno al principato di Mosca riuscirono a battere tutti gli avversari, e da quel momento in poi il loro espansionismo imperiale subì solo raramente delle battute d’arresto. Anche gli Svedesi impararono l’amara lezione nel 1700, all’epoca di Pietro il grande, gli stessi ottomani subirono disastrose sconfitte nel 1700 e nel 1800, paragonabili solo alla catastrofe finale in cui incappò l’armata napoleonica che aveva invaso il suolo russo agli inizi del 1800. Sarebbe superfluo ricordare gli esiti finali dell’operazione Barbarossa, iniziata dalla Wehrmacht il 21 giugno 1941 con l’invasione dell’unione sovietica e conclusasi con l’accerchiamento e la conquista di Berlino da parte delle armate dei marescialli Zukov, Konev e Rokossovski nell’aprile 1945.

2) La forza degli attuali schieramenti imperialisti va valutata in modo materialistico, considerando una molteplicità di parametri, di indici numerici, e di segnalatori economico-numerici; tuttavia la comprensione dei reali rapporti di forza fra gli avversari imperialisti non può trascurare, al di là del dato relativo alla potenza economica generica nazionale, anche la forza specifica dell’apparato militare-industriale. Consumo di energia elettrica, produzione di acciaio, e altri parametri sono significativi fino ad un certo punto, dal momento che nella realtà storica possiamo anche avere, come dimostra l’Europa odierna, un gigante economico che contemporaneamente è un nano politico-militare.

Le tribù nomadi che hanno sconfitto ripetutamente le società sedentarie nel corso della storia non possedevano una potenza economica superiore ai propri avversari, ora questo apparente paradosso deve spingerci a leggere i fatti con un metodo dialettico più attento, evitando il meccanicismo e il riduzionismo economicistico

(2). Anche noi consideriamo il grado di sviluppo delle forze produttive di una realtà economico-nazionale come determinante, in ultima istanza, per consentire alla classe borghese locale di approntare un efficace apparato burocratico-militare con scopi difensivo-offensivi interni ed esterni. Nella lettura delle evidenze storiche concrete, cioè nella determinazione della sconfitta o della vittoria di un apparato burocratico-militare rispetto ad un altro giocano, tuttavia, circostanze non sempre collegabili in modo esclusivo al grado di sviluppo delle forze produttive strutturali. La struttura economica in realtà è parte di un circolo dialettico di azioni e reazioni continue con la cosiddetta sovrastruttura, dobbiamo quindi dare il peso appropriato ad ognuno di questi elementi del continuo storico unitario.

Le tabelle numeriche volte alla presentazione di dati relativi alla struttura economica sono solo uno strumento al servizio dell’intelligenza analitica di chi studia la realtà sociale, di conseguenza esse possono fornire un supporto all’analisi, ma non sono l’analisi stessa, cioè non bastano a rendere giuste delle considerazioni deduttive sbagliate. Soprattutto se queste considerazioni non approfondiscono le implicazioni del nesso circolare e dialettico esistente fra struttura e sovrastruttura. Max Weber, ad esempio, sostiene che quello che inferiamo dai dati numerici non dipende solo dai numeri, ma anche da quello che vogliamo a priori dimostrare: non esserne consapevoli può talvolta inficiare gravemente l’attendibilità delle nostre valutazioni conclusive. Potremmo postulare, a questo punto, che data per assodata questa intrusione della soggettività, cioè del fattore condizionante rappresentato dalle idee aprioristiche del ricercatore – nella raccolta dei dati e nella loro elaborazione – allora sarà sempre da escludere una scienza sociale oggettiva ( a meno di non considerare come buona la soluzione prevista nel metodo delle scienze storico-sociali teorizzato dallo stesso Max Weber; ovvero la semplice esplicitazione iniziale della ipotesi di lavoro come atto estremo di onestà intellettuale e precauzione scientifica rispetto alle conclusioni, e rispetto agli stessi criteri di raccolta dei dati, ma su questo abbiamo qualche dubbio ).

Ora dobbiamo spostare l’attenzione su un piano ulteriore che vada oltre questo ordine di problemi, diciamo gnoseologici, epistemologici, o di filosofia della scienza che dir si voglia. Il centro dello spostamento discorsivo riguarda la posizione sociale di classe del ricercatore, costui, infatti, non può in definitiva essere indifferente alla divisione fondamentale della società in classi contrapposte di sfruttati e sfruttatori, e rispetto a questa circostanza storicamente inoppugnabile, assume importanza decisiva non tanto la classe sociale di origine o di appartenenza, quanto la decisione consapevole di schieramento a favore della rivoluzione o della conservazione (3). Vogliamo dire altrimenti che essendo la classe proletaria portatrice e custode degli interessi generali della specie umana, allora solo la rottura con l’ideologia della società borghese, costruita per proteggere gli interessi nichilistici di una minoranza sociale schiavista, potrà conferire alla ricerca scientifica un carattere socialmente progressivo, destinato a incarnarsi in conquiste conoscitive reali, cioè in scienza-conoscenza effettiva.

Anche noi presentiamo adesso alcuni dati numerici relativi ai vari attori imperialisti, inserendoli, tuttavia, nell’intreccio delle alleanze politico militari che si dispiegano sulla scacchiera del gioco geo-storico effettivo, al fine di fornire un quadro maggiormente aderente alla realtà. Partiamo da una elementare considerazione, tratta dall’esperienza della vita di tutti i giorni: una madre cerca un buon partito per la figlia, un marito che possa garantire alla sua pargoletta una vita agiata e sicura dal punto di vista economico– è una donna pratica e quindi è interessata alle cose concrete – questa madre previdente inizia subito a valutare i dati numerico economici dei potenziali mariti ideali. Valuta il reddito mensile del candidato e anche il suo patrimonio immobiliare e fondiario. Un istituto di credito esamina la richiesta di finanziamento da parte di un azienda: ha sotto gli occhi il bilancio d’esercizio del cliente, formato dal conto economico (dove ritrova i costi e i ricavi dell’esercizio amministrativo-contabile, corredati dal risultato finale che può essere un utile o una perdita), e lo stato patrimoniale (dove ritrova le risorse, i mezzi a disposizione dell’impresa, suddivisi in attività a lungo e a breve ciclo di utilizzo, e inoltre le fonti di finanziamento, articolate in fonti interne (capitale proprio), e fonti esterne (capitale di terzi, cioè debiti con le banche, con i fornitori…). La banca studierà attentamente la situazione economico-patrimoniale dell’azienda prima di concedere il prestito richiestogli.

Potremmo continuare con altri esempi, tuttavia quelli appena impiegati ci sembrano sufficienti , perché da essi risalta bene agli occhi la circostanza ricorrente dell’utilizzo di dati differenziati, economico-reddituali e patrimoniali, nella valutazione delle caratteristiche del soggetto d’indagine. Torniamo alla Russia e agli altri attori del grande gioco imperialista, abbiamo letto e studiato negli ultimissimi tempi degli interessanti articoli, infarciti di tabelle relative all’impiego di energia elettrica e al consumo di acciaio, come se la valutazione della potenza di una realtà economico-nazionale capitalista potesse ridursi al solo fattore reddituale (PIL, bilancia dei pagamenti, produzione industriale…) ignorando invece l’aspetto patrimoniale ( le risorse naturali energetiche e le materie prime ). Restiamo perplessi da questa scelta dei dati d’indagine, perché non ci sembra realistico ignorare i numeri relativi alle risorse naturali energetiche e alle materie prime presenti nel territorio controllato dall’apparato militare-industriale capitalista nazionale. Osserviamo i dati di questa tabella (fonte, banca centrale russa, Sherbank), riferiti alla situazione economica della Russia nell’arco del decennio 2004 – 2014.

g2

La tabella ruota intorno a quattro parametri, i cui nomi sono riportati nella parte superiore del grafico. Notiamo subito che le linee di sviluppo dei quattro marcatori iniziano a decrescere verso la metà dell’anno 2008, uno dei quattro – la produzione industriale – subisce un arresto nel 2007 e poi cala fino a tutto il 2009. L’anno 2009 rappresenta il fondo del pozzo su cui si ferma la caduta dell’economia russa, a partire dalla fine di quell’anno, infatti, notiamo il ritorno alla crescita di tutti i parametri utilizzati nella tabella. Gli investimenti fissi, cioè gli investimenti in capitale costante, aumentano a partire dalla ripresa del 2009, e ben si appaiano alla crescita della produzione industriale avvenuta a partire dallo stesso anno. Possiamo tranquillamente affermare che basterebbe questo unico grafico per smentire le valutazioni nette e recise, provenienti anche da alcuni osservatori della sinistra comunista, sulla decadenza dell’imperialismo Russo, e sull’inevitabile vittoria del concorrente americano.

20140912_usano2

Consideriamo ora l’elaborazione grafica delle linee di sviluppo dell’imperialismo russo, cinese, inglese e americano , contenuta in una tabella della deutsche bank del 2001. Si vede chiaramente che a partire dal punto di incrocio fra i due imperialismi (inglese e americano) intorno al 1914, la linea di sviluppo americana supera quella dell’Inghilterra, la linea di sviluppo dell’Inghilterra prende invece una direzione discendente, e smette di esistere nel 1950. La parabola del confronto fra il capitalismo senile inglese e quello giovane americano nel 1914 dovrebbe far riflettere e spingere verso valutazioni più caute i nostri amici della sinistra. Notiamo nella parte destra del grafico il ripetersi dell’incrocio fra le linee di sviluppo dell’imperialismo cinese e di quello americano nel 2001, rispettivamente in fase crescente e decrescente. Anche questo dettaglio dovrebbe spingere alla prudenza i possessori di indubitabili certezze sugli esiti del confronto fra Russia e America. Se noi includiamo la potenza economico militare russa nel conglomerato imperiale che ruota attorno alla Cina, considerando non solo l’aspetto dei risultati economici su base annua, ma anche il possesso di risorse energetiche e di materie prime della Russia, allora diventerà più problematico sostenere e dare per scontata la vittoria di un campo rispetto ad un altro. 20140912_usano22 Questo altro grafico, risalente ugualmente al 2001, registra l’evoluzione passata del rapporto fra numero di abitanti e sviluppo economico in Cina a partire dal 1950, prospettando le tendenze di sviluppo di tale rapporto fino al 2008. Anche in questo caso emerge come fattore costante la crescita economica della Cina. Possiamo ora provare a confrontare queste previsioni della Deutsche Bank, con i dati consuntivi rintracciabili ugualmente nella rete. Innanzitutto proviamo ad osservare questa immagine della suddivisione del globo terrestre secondo la scala di PIL di riferimento:

Paesi in base al PIL nominale (IMF 2010).

ffff

Legenda: (in miliardi di dollari USA)

██ > 1 000

██ 200-999

██ 10-199

██ < 10

██ no data

Come si può ben notare le aree colorate in blu scuro corrispondono, grosso modo, ai principali paesi ‘fondatori’ delle attuali alleanze economiche e politico-militari imperialiste.   Così come nell’economia considerata su base nazionale assistiamo all’unione di vari capitali individuali attraverso i processi di concentrazione e centralizzazione, anche nell’economia globale possiamo osservare dei fenomeni analoghi, su scala di grandezza superiore, finalizzati sempre a una migliore difesa dalla concorrenza e a una maggiore appropriazione di quote di plus-valore/plus-lavoro (determinabili su una base di grandezza numerica data dal valore dello sfruttamento capitalistico mondiale ). Cina, India, Russia e Brasile sono alcuni dei paesi in cui si registra un PIL superiore ai 1000 miliardi di dollari, e sono non a caso il perno di una delle due fondamentali alleanze imperialiste contemporanee. Osserviamo ora i dati numerici recenti, espressi sempre in grandezze monetarie nominali, riguardanti il PIL delle economie mondiali che superano la soglia annua dei mille miliardi di dollari di PIL: cfvgfgfcc

Anche questi dati tratti da wikipedia, pur limitandosi a fotografare la situazione del PIL nel periodo 2010 -2011, evidenziano come i dati numerici (sommati) di Cina, Russia, India e Brasile siano quasi equivalenti al PIL degli Stati Uniti.

Presentiamo ora una tabella tratta da wikipedia, relativa alle risorse petrolifere dei principali produttori.

Qui di seguito sono elencati i primi 20 paesi per riserve certe di petrolio dell’ottobre 2013. Per vita media residua si intende la stima della durata delle riserve ai ritmi di estrazione dell’anno 2013.[9]

Paese

Milioni dibarili (bbl)

 % sul totale

Vita media residua

1  Venezuela 296.500 17,9% ND
2  Arabia Saudita 265.500 16,1% 61,8
3  Canada 175.200 10,6% ND
4  Iran 151.200 9,1% 93,1
5  Iraq 143.100 9,1% ND
6  Kuwait 101.500 6,1% 94,6
7  Emirati Arabi Uniti 97.800 5,9% 78,7
8  Russia 88.200 5,3% 21,5
9  Libia 47.100 2,9% ND
10  Nigeria 37.200 2,3% 39,0
11  Stati Uniti 30.900 1,9% 9,5
12  Kazakistan 30.000 1,8% 42,2
13  Qatar 24.700 1,5% 34,8
14  Brasile 15.100 0,9% 14,6
15  Cina 14.700 0,9% 7,5
16  Angola 13.500 0,8% 18,6
17  Algeria 12.200 0,7% 16,7
18  Messico 11.400 0,7% 8,1
19  Azerbaigian 7.000 0,4% 18,9
20  Norvegia 6.900 0,4% 6,4
Resto del mondo 81.200 6,1% *
Totale 1.652.600 100% 51,8
46  Italia 1.400 0,1% 31,9

Anche questa tabella evidenzia il peso percentuale significativo di alleati stretti della Russia come il Venezuela, l’Iran, Il Kazakistan, e l’Iraq (almeno per quanto riguarda l’area di influenza iraniano-sciita ).

Potremmo anche presentare altri dati numerici e altre tabelle, tuttavia ci sembra ammissibile, partendo semplicemente dal materiale sopraesposto, fare alcune valutazioni in merito alle tendenze geo-politiche ed economiche che, a nostro avviso, si manifestano contemporaneamente sulla scacchiera del capitalismo globale. Tale valutazione riguarda i processi tendenziali di aggregazione e disaggregazione intorno ai due grandi apparati statali-militari capitalistici contemporanei, cioè la Russia e Gli Stati Uniti, di singoli stati e di relative borghesie nazionali. Nonostante i numeri dell’economia nazionale (PIL) siano modesti, la Russia è un perno importante del polo imperialista che ruota intorno al motore economico della Cina, per il semplice motivo che è l’unica potenza a possedere un arsenale nucleare dissuasivo, e un dispositivo militare convenzionale (ormai aggiornato e modernizzato), in grado di competere con il concorrente imperialista americano. Ci limitiamo quindi a sostenere che l’esito del confronto imperialista non è scontato, che lo sviluppo di situazioni di conflitto locale è destinato a crescere, aumentando in parallelo con l’aggravarsi della crisi economica globale, e che infine è importante intravedere i segnali persistenti della lotta di classe dentro il quadro contemporaneo di crisi e di lotta fra i fratelli-coltelli borghesi. Il quadro approssimativo dello scacchiere globale sarebbe infatti incompleto se si limitasse solo a presentare le mosse della borghesia capitalista, non scorgendo invece i mille segni della conflittualità immanente fra capitale e lavoro.

(2).In una lettera a J. Bloch del 21 settembre 1890, Engels ricorda “Secondo la concezione materialistica della storia il fattore che in ultima istanza è determinante nella storia è la produzione e la riproduzione della vita reale. Di più non fu mai affermato né da Marx né da me…vi è azione e reazione reciproca di tutti questi fattori (struttura economica e sovrastruttura mentale culturale N.C.), ed è attraverso di loro che il movimento economico finisce per affermarsi come elemento necessario in mezzo alla massa infinita di cose accidentali”.

(3)Non è l’identità delle fonti dei proventi, come sembra a prima vista, che definisce la classe. (..) Un alto funzionario è pagato a stipendio, e quindi a tempo come il manovale salariato, poniamo in una salina di stato, ma il primo ha un reddito più alto di molti capitalisti di fabbrica che vivono di profitto e commercianti, il secondo lo ha più alto non solo di un piccolo contadino lavoratore, ma anche di un minimo proprietario di case, che vive di rendita…La classe non si definisce da conto economico, ma da posizione storica rispetto alla lotta gigantesca con cui la nuova generale forma della produzione supera, abbatte, sostituisce la vecchia (..) Il meccanismo effettivo sociale conduce e plasma individui, classi e società (..) La classe è definita dalla sua strada e compito storico ’.Riunione di Milano, 1952.

    Parte seconda

La parola alle armi: Territori del Donbass, luglio e agosto 2014, avanzate e successive sconfitte catastrofiche dell’esercito ucraino nel confronto bellico con la milizia popolare indipendentista

Quando sarai grande abbastanza per leggere queste parole il loro significato si rivelerà

Queste parole è tutto ciò che resta

E anche se non ci siamo mai visti,

mio unico figlio

Spero che tu sappia

che avrei voluto essere là per vederti crescere

Ma la mia chiamata venne raccolta e io partii

Ora la tua missione è davanti a te

Come è successo a me molto tempo fa

Aiutare coloro che, indifesi

Guardano a te con ammirazione

E difenderli sino alla fine

Difensore

Cavalca come il vento

combatti con orgoglio, figlio mio

sei il difensore…

Padre, padre, padre

Padre, alzo lo sguardo verso di te

e accolgo il tuo grido…

Testo tratto dal brano musicale Defender ,1983. Manowar 10491984 tumblr_ncm35iOn1S1qap9gno1_500 10517974 BsQDLRaCIAAKdm8an-apc-that-burned-during-fighting-for-shakhtyorskObama-Poroshenko-680x365 Capitolo uno: la guerra come sterminio di popolazione inerme nella pratica criminale delle forze militari di Kiev (declinazione locale della guerra come esigenza generale di sterminio della forza lavoro in eccesso)

Durante i mesi di luglio e agosto 2014, i territori, i villaggi e le città del sud est dell’Ucraina, sono stati teatro di una violenta e feroce spedizione punitiva dell’esercito regolare ucraino (1), il quale, supportato dai volontari neonazisti dei battaglioni ‘Azov’ e ‘Ajdar’, ha ripreso il controllo di parte del territorio rivendicato dalle autoproclamate repubbliche di Lugansk e Donetsk (scacciando le milizie popolari filorusse da città importanti come Mariupol e Sloviansk). Verso la fine di luglio le forze militari della giunta filo-atlantica al potere a Kiev sono giunte nei pressi delle periferie urbane di Lugansk e Donetsk, penetrando anche nelle rispettive strutture aeroportuali, e minacciando così la stessa sopravvivenza delle due autoproclamate repubbliche del Donbass. Per almeno due settimane le milizie della Novorossia hanno combattuto una battaglia difensiva durissima, impedendo alle truppe della giunta di Kiev di dilagare nei due grossi centri urbani.

L’esercito ucraino, dal canto suo, proseguiva una strategia di attacco basata sui bombardamenti di artiglieria pesante sulle città, condotta anche con attacchi aerei e missilistici, evitando di spostare l’azione bellica nei centri urbani, dove avrebbe dovuto lottare casa per casa. I criminali bombardamenti indiscriminati contro la popolazione civile erano una tattica utilizzata, e probabilmente suggerita dai consiglieri militari americani, nella convinzione di fiaccare la resistenza della popolazione ed evitare all’esercito della giunta le inevitabili perdite di una lotta condotta casa per casa. Le perdite registrate fra la popolazione civile sono state invece notevoli, almeno tremila i morti, fra cui molte donne e bambini, colpiti ad ogni ora del giorno dall’artiglieria dell’esercito di Kiev, il numero dei feriti si è aggirato probabilmente intorno alle diecimila unità, non parliamo invece del numero dei profughi e degli sfollati, rifugiatisi in buona parte in territorio russo; in questo caso abbiamo di fronte dei numeri apocalittici, infatti possiamo stimare il numero dei profughi intorno a svariate centinaia di migliaia di unità. Questa catastrofe umanitaria, accompagnata dalla progressiva mancanza di acqua, cibo ed energia elettrica nelle due città assediate, è avvenuta nel quasi totale silenzio stampa dei media occidentali, evidentemente distratti dal clima vacanziero, oppure desiderosi di non creare intralci allo sporco lavoro della giunta di Kiev, condotto in definitiva per nome e conto dell’America e dell’alleanza atlantica. In tutto questo arco di tempo, compreso fra l’inizio di luglio e il 20 agosto, i successi delle truppe di Kiev sono apparsi sicuri e irreversibili, suggerendo agli osservatori il facile pronostico di una fine imminente della resistenza delle milizie popolari del Donbass. Spendiamo ora due parole intorno a queste milizie, mettendo insieme le notizie facilmente reperibili nella rete, e valutando chiaramente in modo prudente e selettivo le informazioni raccolte. In primo luogo consideriamo il termine milizia popolare, con cui queste forze militari si autodefiniscono: una milizia popolare è fondata su un reclutamento volontario, diversamente da un esercito regolare di leva, dove invece il reclutamento avviene su base coatta.

Possiamo quindi supporre che la prima grossa differenza fra la milizia del Donbass e l’esercito di Kiev consista proprio nella modalità di reclutamento della truppa, infatti, se escludiamo i volontari neonazisti dei battaglioni ‘Azov’ e ‘Ajdar’, il resto dell’esercito ucraino è composto da militari di leva, obbligati a prendere le armi e partire verso un conflitto di cui forse non condividono in pieno le ragioni. Non dimentichiamoci, inoltre, che la milizia popolare combatte sul proprio territorio, motivata e rafforzata nel morale dalla necessità di difendere le proprie famiglie e la propria gente, mentre l’esercito di Kiev, invece, opera come forza d’invasione, circondato da popolazioni ostili e inaffidabili. Questo aspetto, al di là di ogni considerazione geopolitica razionale, agisce su un piano puramente archetipico-simbolico, come potente fattore motivazionale, permettendoci di comprendere la maggiore determinazione alla lotta della milizia rispetto all’esercito regolare (un caso a parte sono i battaglioni neonazisti ‘Azov’ e ‘Ajdar’, fortemente motivati alla lotta da un fanatismo ideologico malato ). Con l’acutizzarsi del confronto militare e diplomatico ucraino, si è anche acutizzata la diffusione di analisi sull’argomento da parte dei soliti noti, variamente ricollegabili in modo residuale alla corrente della sinistra comunista. Queste analisi si concludono spesso con la scoperta dell’acqua calda, cioè con la parola d’ordine di non parteggiare per nessuno dei contendenti, poiché trattandosi solo di uno scontro inter-imperialistico, chiunque prevalga sul campo non muteranno i rapporti di dominazione e subordinazione fra capitale e lavoro. Qualche altra analisi sostiene – a ragion veduta -che la vittoria di uno o di un altro competitore capitalista non è indifferente al progresso o all’arresto della lotta di classe, pur sostenendo ugualmente che chiunque prevalga sul campo non muteranno i rapporti di dominazione e subordinazione fra capitale e lavoro. Le analisi e le conclusioni sono nella realtà un po’ più articolate, tuttavia il loro senso finale non è troppo lontano dalla nostra sintesi. 

Non è il caso di parteggiare per nessuno dei due schieramenti diciamo anche noi, specificando, almeno fino a quando non si manifestino dei segnali politici di azione rivoluzionaria, oggettivamente classista e anti-capitalista, da parte di uno dei contendenti o di una sua frazione. La ricerca storica ha dimostrato che il brigantaggio meridionale, lungi dall’essere un fenomeno puramente filo-papalino e filo-borbonico, possedeva invece anche delle componenti importanti di opposizione sociale alla borghesia fondiaria locale, complice e alleata della borghesia industriale piemontese. Anche le migliaia di proletari del Donbass (soprattutto i minatori) che hanno scelto di combattere nella milizia popolare, mettendo in gioco il bene estremo della propria vita, non dovrebbero essere confusi semplicisticamente con i nazionalisti nostalgici dell’impero russo, poiché sarebbe riduttivo e soprattutto non realistico in presenza di tanti segnali discordanti. In modo embrionale, frammentario e confuso, quindi disgraziatamente corrispondente al livello di ritardo della lotta di classe locale e internazionale, i proletari presenti nei due campi militari cercano con modi e forme diverse di agire in difesa della propria vita e dei propri interessi di classe: disertando, arrendendosi, o fuggendo in territorio russo i proletari della fazione ucraina, combattendo in modo accanito e con in mente l’idea di una società diversa, dai tratti vagamente socialisti, una parte dei proletari del Donbass. Certo, manca un grande partito che possa raccogliere e guidare verso la rivoluzione queste energie sociali embrionali, tuttavia la manifestazione della realtà basica, immanente e incoercibile, della lotta di classe ( addirittura dentro un contesto come quello ucraino ) potrebbe riattivare le forze sopite dell’infinitesimale partito storico, condensate anche nelle parole perdute in una pagina polverosa (come la lettera scritta dal padre al figlio nel testo del brano metal citato ) e far si che si compia la grande opera rivoluzionaria, la trasmutazione dialettica trinitaria: azione-conoscenza-rivoluzione (la trasformazione del piombo oscuro della classe in se, nell’oro lucente della classe per se).

(1). ’ Allorché non si tratta più di dividersi il guadagno, bensì le perdite, ognuno cerca di ridurre quanto più possibile la propria parte di perdita e di riversarla sulle spalle degli altri. La perdita per la classe nel suo complesso non può essere evitata, ma quanto di essa ognuno debba subire diventa in tal caso una questione di forza e di furberia, e la concorrenza diviene lotta fra fratelli nemici (..) In che maniera terminerà questo conflitto e torneranno ad esservi condizioni propizie per un movimento ‘sano’ della produzione capitalistica? La soluzione sta già racchiusa nella semplice esposizione del conflitto in oggetto. Per essa occorre l’inoperosità e anche una parziale distruzione di capitale..’ Il capitale, terzo libro, pag.1085. Torniamo quindi a trovare la parola magica ‘distruzione’, riferita stavolta al capitale in eccedenza. Anche se Marx specifica più avanti che l’inoperosità prolungata degli impianti e dei macchinari si tradurrebbe in una distruzione di capitale fisso, al pari, diciamo noi, delle distruzioni belliche di industrie e infrastrutture. Quello che colpisce, tuttavia, è la vivida descrizione della lotta interna alla classe borghese. Come un nido di vipere si agita e si aggroviglia una volta scoperchiato, così si agita e si dilania la classe capitalista quando la crisi svela le interiori contraddizioni della propria economia e la perdita non può più essere evitata. Allora la concorrenza diviene lotta fra fratelli nemici, e la ripartizione della perdita fra i vari banditi capitalisti si determina in base al grado di forza e di furbizia dei contendenti. Delle fortune vengono travolte, dei capitali sono distrutti e sacrificati in nome dell’interesse collettivo del regime borghese. Il capitale globale sacrifica una parte di sé per tornare a regnare come prima, per tornare ad esercitare il dominio agognato sulla società e così soddisfare la fame da lupi per il plus-lavoro.

Ci vogliono dei palati forti per sopportare una verità del genere, ma alla fine è proprio così, il meccanismo capitalistico distrugge ciclicamente una parte della propria dotazione di capitale sovraccumulato, e soprattutto una parte del surplus demografico dei propri schiavi salariati. E così, nello stesso modo in cui si smaltisce un rifiuto ingombrante, anche milioni di esseri senzienti vengono già adesso lasciati morire di fame, di stenti, di malattia, oppure sono uccisi nelle miriadi di micro-conflitti locali che insanguinano le nostre giornate capitalistiche.

  russian-fascistsCrisis in Ukrainedownload3ef07c1e78476f0d3a51e58851a5a91b-794710wpid-14053692270496068947026858de3034684fed511f6ae871092014   Capitolo due: genealogia di una sconfitta (le forze militari nazi-atlantiste accerchiate e distrutte dalla controffensiva della milizia della Novorossia )

Bruciava il bosco, sopra il fiume, e insieme a lui bruciava l’alba. Di diciotto ragazzi siamo rimasti

solamente in tre… Quanti sono gli amici cari rimasti stesi nel buio, vicino a una cittadina

sconosciuta, in un posto che non aveva un nome… (Dalla canzone dei soldati russi veterani della

Seconda guerra mondiale)

…e al moribondo eroe

orgoglioso insultando, Ecco, dicea,

ecco, o Patròclo, la città che dianzi

atterrar ti credesti, ecco le donne

che ti sperasti di condur captive

alla paterna Ftia. Folle! e non sai

che a difesa di queste anco i cavalli

d’Ettòr son pronti a guerreggiar co’ piedi?

E che fra’ Teucri bellicosi io stesso

non vil guerriero maneggiar so l’asta,

e preservarli da servil catena?

Tu frattanto qui statti orrido pasto

d’avvoltoi. Iliade

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Partiamo da una piccola considerazione relativa all’episodio del convoglio umanitario russo che intorno al 20 agosto ha scaricato il proprio carico di acqua, cibo e medicinali a Lugansk, alle popolazioni stremate dal conflitto, in una città abitata da centinaia di migliaia di esseri umani. Questa storia ha molti significati, e potrebbe anche essere valutata come un segnale potente della intelligenza politico-militare della leadership russa. Questa iniziativa di Mosca è stata qualcosa di più di una semplice azione umanitaria, nel corso del tempo si è rivelata una valida arma diplomatica e propagandistica rivolta a scompaginare i giochi della giunta di Kiev e dei suoi alleati.

Analizziamo i dati di fatto, la Russia sta sostenendo con un traffico continuo di rifornimenti militari, alimentari e medicinali lo sforzo della milizia popolare del Donbass, in silenzio e senza pubblicità, allora perché ha voluto attirare l’attenzione sulla iniziativa del convoglio umanitario? Pensiamoci un attimo, trecento camion bianchi che percorrono una pianura devastata da un conflitto feroce e senza quartiere, proprio mentre sembra che le sorti dei ribelli siano avviate a una rapida sconfitta. Sul piano simbolico, sul piano della psicologia sociale è stata attivata una immagine potente, un archetipo sedimentato nella memoria collettiva è tornato alla luce: i camion bianchi con la bandierina russa e il dipinto di san Giorgio sono il simbolo della lotta del bene contro il male, il grande convoglio bianco è un cavaliere solare che scende nei luoghi bui e pericolosi della guerra, e porta conforto ai civili stremati.

Con l’operazione del convoglio umanitario la leadership russa ha voluto colpire l’opinione pubblica sul piano emotivo, costringendo la macchina propagandista e mediatica dell’avversario a fare i conti con una strategia raffinata. Il governo ucraino e i suoi sostenitori sono caduti nella trappola e hanno tentato di bloccare il convoglio, non comprendendo che tutti i rifiuti e gli ostacoli frapposti avrebbero avuto solo l’effetto di amplificare la potenza emotivo-simbolica dell’operazione di Mosca. Il convoglio dei mezzi dipinti di bianco ha posto all’attenzione dei media internazionali sull’esistenza di una popolazione prostrata da vari mesi di guerra (donne, vecchi, bambini) assediati, bombardati e uccisi dall’esercito di Kiev in nome di una presunta operazione antiterrorismo, avallata e finanziata dall’Europa e dall’America. I mezzi di informazione e le diplomazie occidentali hanno dovuto così fare i conti con la sgradevole verità dei fatti reali, furbescamente sottaciuti alle proprie opinioni pubbliche: l’operazione antiterrorismo del nostro amico Poroshenko sta causando svariate migliaia di morti fra la popolazione civile inerme, le città sono ridotte alla fame e alla sete, e centinaia di migliaia di esseri umani sono in fuga dai luoghi del conflitto. Per le diplomazie occidentali e per l’apparato mediatico è quindi diventato difficile spiegare perché un convoglio portatore di aiuti avrebbe dovuto rappresentare una minaccia; diciamo che sul piano dell’immagine Kiev e i suoi alleati sono caduti in una trappola, che a distanza di pochi giorni sarebbe stata replicata anche sul piano militare.

Dagli inizi di luglio fino al 22 agosto le avanzate sul terreno dell’esercito di Kiev non hanno avuto sosta, molti piccoli centri abitati sono stati raggiunti e occupati (o liberati a seconda del punto di vista), città di medie dimensioni come Mariupol e Sloviansk sono ritornate sotto il controllo del governo centrale. Agli inizi di agosto le truppe ucraine sono giunte in prossimità dei due importanti centri urbani di Lugansk e Donetsk, circondandoli parzialmente e colpendoli con tiri di artiglieria e lanci di missili. Tale strategia, probabilmente concordata con il protettore americano, aveva lo scopo di fiaccare la resistenza dell’avversario riducendo alla fame e alla sete la popolazione di queste due città: come un assedio medioevale in piena regola, destinato a durare fino alla resa degli abitanti della fortezza. Ora soffermiamoci su alcuni antefatti che potrebbero aiutarci a capire perché questa strategia militare non ha avuto successo, e perché il grosso dell’esercito ucraino operante nel Donbass è finito intrappolato e accerchiato nelle sacche create dalla controffensiva della milizia popolare.

 Negli ultimi cinque anni, sotto l’influenza dei suggeritori americani, l’esercito di Kiev ha perseguito una riorganizzazione mirante allo snellimento e alla maggiore efficienza dei propri reparti operativi. Una delle prime misure adottate è stata quella di licenziare o di far dimettere gli ufficiali di etnia russa, considerati scarsamente affidabili per la futura repressione delle popolazioni filorusse dell’est. Gli strateghi americani pensavano da tempo a una resa dei conti con quella parte di popolazione ucraina filorussa, e quindi hanno provveduto, dal loro punto di vista, a prendere delle misure appropriate allo scopo. Tuttavia hanno ignorato, o forse solo sottovalutato, il fatto che centinaia di esperti ufficiali russi allontanati dai ranghi dell’esercito di Kiev, avrebbero potuto successivamente, come è poi accaduto, mettere le proprie competenze militari al servizio della rivolta indipendentista. Sta di fatto che la riorganizzazione dell’esercito di Kiev ha posto le basi per lo sviluppo della successiva collaborazione fra i militari di carriera forzatamente dimessi, e le decine di migliaia di volontari del Donbass che hanno preso le armi contro la giunta di Kiev. Si deve supporre che senza la direzione di questi ex ufficiali, probabilmente in contatto con i servizi di informazione e con i comandi dell’esercito russo, le operazioni sul campo e i loro esiti finali sarebbero stati leggermente diversi.

Sia ben chiaro che noi non abbiamo nessuna simpatia particolare nei confronti del Moloch burocratico-militare russo, che dal nostro punto di vista ha lo scopo di perpetuare l’esistenza della società capitalistica allo stesso modo del Moloch burocratico-militare americano: questo l’abbiamo reso esplicito nelle premesse e lo ribadiamo ancora a futura memoria.

 Le circostanze contingenti del conflitto in atto vanno tuttavia raccontate, anche se il loro racconto può suscitare il sospetto di essere per partito preso contro uno schieramento e a favore di un altro. In verità l’unico schieramento da noi sostenuto è il proletariato internazionale e la sua immanente lotta di classe contro il regime borghese, di conseguenza il nostro sforzo risiede, anche in questa circostanza, nel tentativo di lumeggiare l’intreccio fra le dinamiche imperialiste e il conflitto di classe.

Come dicevamo nelle premesse il livello di sfruttamento dei proletari ucraini, senza distinzioni di nazionalità, è uno dei più alti d’Europa, pertanto abbiamo registrato in questo arco decennale, soprattutto nella zona del Donbass, delle proteste operaie di un certo rilievo. Il livello delle retribuzioni è uno dei più bassi d’Europa e le disuguaglianze sociali sono spaventose, a dimostrazione del fallimento di un sistema sociale malato. A questo punto, su questo scenario economico-sociale disastrato si è innestato il confronto imperialista fra blocchi rivali, in cui al proletariato ucraino (senza distinzioni di lingua o di etnia), è stata destinata la parte della ottusa marionetta che diventa carne da cannone per gli interessi nazionali e internazionali del grande capitale finanziario.

 Tuttavia, sembra che una parte dei miliziani del Donbass stia lottando anche per un cambiamento sociale, questa parte non sarà soddisfatta di scoprire che dopo la guerra dovrà ancora farsi sfruttare per poche centinaia di euro, e quindi di essere stata una semplice pedina nelle mani del capitalismo russo, ma anche i proletari ucraini ( quelli che hanno disertato, quelli che sono fuggiti in territorio russo, quelli che hanno affrontato il rischio della fucilazione da parte degli squadroni della morte di Kiev ) non stanno accettando passivamente il ruolo di carne da macello destinatogli dalla giunta filo-americana.

Il successo della controffensiva delle milizie popolari ha mutato i rapporti di forza fra i blocchi imperiali, e almeno in questo scenario locale l’America ha ricevuto una dura lezione. Diversamente da quanto previsto da altre fonti, noi non abbiamo mai sottovalutato la potenza del blocco imperiale che ruota intorno alla forza economica della Cina e al mastodonte nucleare-militare Russo. Studiare le direzioni e le tendenze di sviluppo del processo storico-sociale, intravedere i segni sotterranei della lotta di classe in questo stesso processo storico-sociale, per poi tentare di fornire un armamento teorico-conoscitivo alle forze della classe antagonista, ci è sembrato e ci sembra ancora oggi il compito elementare di una forza rivoluzionaria.

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