Riforme, consenso, asservimento

Il presidente di confindustria esorta il governo a continuare sulla strada delle riforme economiche; alcuni militanti e volontari a una festa di partito spingono il caro leader Renzi a tenere duro con le riforme in nome del futuro dei loro figli. Un preoccupato e affettuoso coro interclassista si alza da una parte dell’Italia: Renzi, vai avanti con le riforme, non badare ai gufi della minoranza PD, o alle critiche vetero-marxiste (come le nostre). In termini di teologia dogmatica si può affermare che Il Capitale è uno, e Renzi è il suo attuale profeta: e le riforme? Bene, le riforme sono i comandamenti di questo ineffabile e trascendente dio Denaro, comandamenti la cui realizzazione costa tanta nuova sofferenza proprio ai devoti adoratori che continuano a  invocarle, forse incautamente o forse con piena consapevolezza, al cospetto del gran sacerdote Renzi. Questo dio denaro-capitale annuncia solo lacrime e sangue ai suoi fedeli, eppure essi continuano ad adorarlo, aspettando fiduciosi l’avvento della futura cornucopia consumista, il regno delle merci inutili e dei bisogni indotti, il paradiso in terra della grande abbuffata consumista, oppure, più modestamente, la possibilità di ottenere l’indispensabile per sopravvivere. Allettata da tali aspettative, una parte dell’Italia incoraggia il caro premier a continuare con la macelleria sociale in cui si racchiude il senso vero delle  riforme governative, illudendosi di ottenere, dopo un po’ di sacrifici, un miglioramento delle proprie condizioni di vita. Una azienda qualsiasi, più di cento operai accettano di entrare in fabbrica dietro richiesta della dirigenza, per consentire una produzione straordinaria di una certa merce sollecitata dal mercato (in deroga ai precedenti accordi sindacali). Abbiamo famiglia, dobbiamo vivere, il piccolo introito straordinario ci fa comodo: queste sono le risposte dei cento operai ai giornalisti che accorrono per intervistarli. Altro contesto, altra azienda: una parte dei lavoratori protesta contro l’ipotesi di chiusura della propria azienda (un tantino inquinante e nociva per loro e per la città). Potremmo continuare, descrivendo migliaia di storie di ordinaria sottomissione a un meccanismo sociale feroce, un meccanismo che toglie coscienza e dignità umana a una parte delle sue vittime, che, a un certo punto, si trasformano in complici del sistema che li opprime. La nostra forza politica comunista internazionale, ha il dovere di spiegare e poi di condannare la negatività dei continui cedimenti di una parte del proletariato, in questa epoca di controrivoluzione. Cedimenti inutili, sciocchi, che non servono a nulla, poiché non sono destinati a mutare di una virgola la legge della caduta tendenziale del saggio medio di profitto, l’aumento dello sfruttamento e l’impoverimento relativo della popolazione. Proprio per tali motivi rifulge la lotta delle avanguardie di lavoratori, che pure esistono, e anche di fronte alla rinuncia e ai compromessi dei compagni di classe, continuano a non piegare la schiena ai dettami del capitale. Tenendo in vita, con la propria resistenza ‘umana’, la prospettiva di una società migliore anche per quelli che, quotidianamente, la schiena invece la piegano, negli uffici, nelle fabbriche, nelle scuole, e in generale nei luoghi di lavoro. Il nostro compito politico è anche quello di fare intravedere la possibilità di un mondo senza servi e padroni, dove non ci sia più l’esigenza di sacrificare tempo di vita e dignità al feroce e inumano dio del Capitale.

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