Componenti accessorie (derivate) e componenti basilari (costanti) di un sistema
Torniamo brevemente sul tema dell’invarianza che, a dire il vero, ha suscitato molto interesse e domande da parte di vari lettori. Abbiamo già risposto in precedenza a taluni quesiti sul merito della terminologia più appropriata per definire tale concetto, e in effetti nella risposta abbiamo toccato questioni eminentemente filosofiche come la realtà dell’assoluto e del relativo. Su tali argomenti sono nate discussioni millenarie che non vanno sottovalutate perché anche esse, a modo loro, possono essere comprese come l’espressione sovrastrutturale, culturale, dei cambiamenti storici e dei passaggi da un modo di produzione e di organizzazione sociale ad un altro. Le nuove domande che ci pongono adesso altri lettori riguardano il rapporto problematico fra aspetti variabili e invarianti di uno stesso corpo teorico, in questo caso un sistema di leggi ‘scientifiche’ del divenire sociale come il marxismo. La domanda viene posta sulla base di taluni passaggi contenuti nell’opuscolo ‘Sul Filo del Tempo’, pubblicato dal Partito Comunista Internazionalista nel maggio del 1953 (TEORIA ED AZIONE. IL PROGRAMMA RIVOLUZIONARIO IMMEDIATO. RIUNIONE DI FORLÌ, 28 DICEMBRE 1952).E su taluni passaggi contenuti nel ‘Manifesto’ (Proletari e comunisti).
Riportiamo per intero gli scritti ‘TEORIA ED AZIONE’ e ‘IL PROGRAMMA RIVOLUZIONARIO IMMEDIATO’, commentandoli brevemente, tentando poi di sciogliere con tali commenti e con le stesse parole degli scritti pubblicati nel 1953, le stringenti questioni che ci vengono proposte dai nostri lettori, che naturalmente ringraziamo perché con le loro domande ci segnalano spesso degli aspetti meritevoli di maggiori analisi e chiarimenti.
RIUNIONE DI FORLÌ, 28 DICEMBRE 1952
I. Teoria ed azione
1. Data la situazione presente di decadimento al minimo dell’energia rivoluzionaria, compito pratico è quello di esaminare il corso storico di tutta la lotta, ed è errore il definirlo lavoro di tipo letterario o intellettuale contrapponendolo a non si sa quale discesa nel vivo dell’azione delle masse.
2. Quanti convengono nel nostro giudizio critico che l’attuale politica degli stalinisti è del tutto anticlassista e antirivoluzionaria, constatando la bancarotta della III Internazionale più grave di quella della II nel 1914, devono scegliere tra due posizioni: deve forse cadere qualcosa che era comune a noi e alla piattaforma di costituzione del Comintern, a Lenin, ai bolscevichi, ai vincitori di Ottobre? No, noi affermiamo, deve solo cadere quanto la Sinistra fino da allora ebbe a combattere, e restare in piedi tutto quanto i russi hanno dopo tradito.
3. Il grave errore di manovra nel primo dopoguerra, innanzi alla esitazione del moto rivoluzionario in Occidente, si riassume nei vari tentativi di forzare la situazione verso la fase di insurrezione e dittatura sfruttando risorse di forma legalitaria, democratica e operaistica. Questo errore largamente perpetrato nel preteso seno della classe operaia, sulla frangia di contatto coi socialtraditori della II Internazionale, doveva svilupparsi in una nuova collaborazione di classe sociale e politica, nazionale e mondiale, con le forze capitalistiche, e nel nuovo opportunismo e tradimento.
4. Per volere guadagnare al partito internazionale robustamente piantato su ribadita teoria e organizzazione una più vasta influenza, si è regalata influenza ai traditori e nemici, e si è rimasti senza la sognata maggioranza e senza il solido nucleo storico del partito di allora. La lezione è di non fare più la stessa manovra o seguire lo stesso metodo. Non è poca. (Nota redazionale: il punto quattro descrive le conseguenze nefaste di una scelta politica sbagliata, causata dal calcolo di ‘volere guadagnare al partito…. una più vasta influenza’. Un partito che se pure ‘robustamente piantato su ribadita teoria’, viene condotto da determinazioni dialetticamente soggettive e oggettive a regalare ‘influenza ai traditori e nemici’ e a rimanere ‘senza la sognata maggioranza’. L’errore forse era inevitabile, la dottrina invariante tuttavia ci consente di comprendere il significato della sconfitta, traendone ‘la lezione…di non fare più la stessa manovra o seguire lo stesso metodo’. Si dirà che se l’errore era già prevedibile in base alla ‘ribadita teoria’ , allora come è stato possibile che fosse ugualmente commesso? Evidentemente le determinazioni soggettive e oggettive sfavorevoli hanno preso il sopravvento sulla minoranza (saldamente cosciente della ribadita teoria), e che in quanto ‘Vox clamantis in deserto’, è stata relegata al ruolo di testimone silenzioso della catastrofe politica imminente, verso cui si incamminava la maggioranza. Gli erranti che non hanno ‘creduto’ allo sparuto gruppo di profeti di sventura, hanno poi dovuto credere ai fatti, e si spera che abbiano appreso ‘la lezione…di non fare più la stessa manovra o seguire lo stesso metodo’).
5. Vana fu l’attesa di una situazione nel 1946, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, tanto fertile quanto quella del 1918, per la maggior gravità della degenerazione controrivoluzionaria, l’assenza di nuclei forti capaci di restare fuori dal blocco di guerra militare politico e partigiano, la diversa politica di occupazione poliziesca sui paesi vinti. La situazione 1946 era palesemente tanto sfavorevole quanto quelle successive a grandi disfatte della Lega dei Comunisti e della I Internazionale: 1849 e 1871.
6. Non essendo dunque pensabili ritorni bruschi delle masse ad una organizzazione utile di attacco rivoluzionario, il miglior risultato che il prossimo tempo può dare è la riproposizione dei veri scopi e rivendicazioni proletari e comunisti, e il ribadimento della lezione che è disfattismo ogni improvvisazione tattica che muti di situazione in situazione pretendendo sfruttare dati inattesi di esse (Nota redazionale: la questione del rapporto fra tattica e strategia, già definita in modo inequivocabile negli anni 20, viene adesso riproposta ‘ è disfattismo ogni improvvisazione tattica che muti di situazione in situazione pretendendo sfruttare dati inattesi di esse’. Le scelte tattiche devono sempre essere coerenti con le posizioni strategiche, poiché queste posizioni sono nient’altro che le derivate della invariante ‘teoria’. Citiamo da ‘invarianza storica del marxismo’: ‘Per la classe proletaria moderna formatasi nei primi paesi dal grande sviluppo industriale capitalistico le tenebre sono state squarciate poco prima della mezzeria di secolo che precede la presente. L’integrale dottrina in cui crediamo, in cui dobbiamo e vogliamo credere ha avuto allora tutti i dati per formarsi e descrivere un corso di secoli che dovrà verificarla e ribadirla dopo lotte smisurate’).
7. Allo stupido attualismo-attivismo che adatta gesti e mosse ai dati immediati di oggi, vero esistenzialismo di partito, va sostituita la ricostruzione del solido ponte che lega il passato al futuro e le cui grandi linee il partito detta a sé stesso una volta per sempre, vietando a gregari ma soprattutto a capi la tendenziosa ricerca e scoperta di “vie nuove” (Nota redazionale: anche il punto sette ribadisce in modo veemente l’importanza dell’invarianza, cioè ‘la ricostruzione del solido ponte che lega il passato al futuro e le cui grandi linee il partito detta a sé stesso una volta per sempre’ .Il corollario di tale tesi è che il partito, in quanto dottrina invariante e organizzazione formale, vieta ‘a gregari ma soprattutto a capi la tendenziosa ricerca e scoperta di “vie nuove”).
8. Questo andazzo, soprattutto quando diffama e diserta il lavoro dottrinale e la restaurazione teoretica, necessaria oggi come lo fu per Lenin al 1914-18, assumendo che l’azione e la lotta sono tutto, ricade nella distruzione della dialettica e del determinismo marxista per sostituire alla immensa ricerca storica dei rari momenti e punti cruciali su cui fare leva, uno scapigliato volontarismo che è poi il peggiore e crasso adattamento allo status quo e alle sue immediate misere prospettive.
9. Tutta questa metodologia di praticoni è facile ridurla non a nuove forme di originale metodo politico ma alla scimmiottatura di antiche posizioni antimarxiste, e alla maniera idealista, crociana, di concepire la vicenda storica come evento imprevedibile da leggi scientifiche e che “ha sempre ragione” nella sua ribellione a regole e a previsioni di rotta per la umana società (Nota redazionale: anche il contenuto del punto 9 riconferma la critica ai modi di ‘concepire la vicenda storica come evento imprevedibile da leggi scientifiche’).
10. Va dunque messa in primo piano la ripresentazione, con riprova nei nostri classici testi di partito, della visione marxista integrale della storia e del suo procedere, delle rivoluzioni che si sono succedute finora, dei caratteri di quella che si prepara e che vedrà il proletariato moderno rovesciare il capitalismo e attuare forme sociali nuove: ripresentarne le essenziali originali rivendicazioni quali nella loro grandezza ed imponenza sono da un secolo almeno, liquidando le banalità con cui le sostituiscono anche molti che nella gora stalinista non sono, spacciando per comunismo richieste borghesoidi popolari e adatte al demagogico successo (Nota redazionale: il testo del punto 10 conferma ulteriormente l’importanza ‘della visione marxista integrale della storia e del suo procedere, delle rivoluzioni che si sono succedute finora, dei caratteri di quella che si prepara e che vedrà il proletariato moderno rovesciare il capitalismo e attuare forme sociali nuove’. La prospettiva della rivoluzione che rovescia il capitalismo rientra in un modello interpretativo, una efficace approssimazione conoscitiva del corso storico umano, e tuttavia la nostra forza politica, accanto a questa prospettiva di sviluppo storico, ricorda sempre le parole contenute nel ‘Manifesto’: ‘La storia di tutta la società, svoltasi fin qui, è storia di lotte di classi.
Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, maestri delle corporazioni e garzoni, in una parola, oppressi ed oppressori sono stati continuamente in contrasto tra loro, e hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte palese a volte dissimulata; una lotta che è sempre finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società, o con la totale rovina delle classi in lotta’).11)Un tale lavoro è lungo e difficile, assorbe anni ed anni, e d’altra parte il rapporto di forze della situazione mondiale non può capovolgersi prima di decenni. Quindi ogni stupido e falsamente rivoluzionario spirito di rapida avventura va rimosso e disprezzato, in quanto è proprio di chi non sa resistere sulla posizione rivoluzionaria, e come in tanti esempi della storia delle deviazioni abbandona la grande strada per i vicoli equivoci del successo a breve scadenza.
II. Il programma rivoluzionario immediato
1. Col gigantesco movimento di ripresa dell’altro dopoguerra, potente alla scala mondiale, e in Italia costituito nel solido partito del 1921, fu chiaro il punto che il postulato urgente è prendere il potere politico e che il proletariato non lo prende per via legale ma con l’azione armata, che la migliore occasione sorge dalla sconfitta militare del proprio paese, e che la forma politica successiva alla vittoria è la dittatura del proletariato. La trasformazione economica sociale è compito successivo, di cui la dittatura pone la condizione prima (Nota redazionale: tutto il punto uno scolpisce le invarianti linee programmatiche di un partito scevro da opportunismi, saldo nelle linee di un programma derivato dall’invarianza storica del marxismo, e ripetiamolo, dalle ulteriori verifiche e lezioni tratte dalla storia reale, ad esempio nel 1871 e nel 1917. Ma la stessa definizione di ‘storica invarianza del marxismo’ va intesa non solo nel significato di un corpo teorico appartenente a un certo arco di tempo, e quindi escludente ogni assolutezza a-temporale, ma anche nel senso di essere nata, già in origine, coscientemente, sulla scorta di verifiche e lezioni tratte dalla storia reale della lotta di classe).
2. Il Manifesto dei Comunisti chiarì che le successive misure sociali che si rendono possibili o che si provocano “dispoticamente” sono diverse – essendo la via al pieno comunismo lunghissima – a seconda del grado di sviluppo delle forze produttive del paese in cui il proletariato ha vinto, e della rapidità di estensione di tale vittoria ad altri paesi. Indicò quelle adatte allora, nel 1848, per i più progrediti paesi europei, e ribadì che quello non era il programma del socialismo integrale, ma un gruppo di misure che qualificò: transitorie, immediate, variabili, ed essenzialmente “contraddittorie” (Nota redazionale: ora entriamo nel vivo delle apparenti incoerenze interne alla stessa dottrina marxista, infatti l’affermazione ‘le successive misure sociali che si rendono possibili o che si provocano “dispoticamente” sono diverse’, accoppiata alla seguente ‘gruppo di misure …transitorie, immediate, variabili, ed essenzialmente “contraddittorie”, potrebbe far nascere dei dubbi e delle perplessità legittime sul significato dell’invarianza. Ma in effetti i dubbi vengono sciolti dalla stessa lettura dei punti seguenti, cioè il punto tre e quattro).
3. Successivamente, e fu uno degli elementi che ingannò i fautori di una teoria non stabile, ma di continuo rielaborata da risultati storici, molte misure allora dettate alla rivoluzione proletaria furono prese dalla borghesia stessa in questo o quel paese; esempi: istruzione obbligatoria, banca di stato, ecc.
Ciò non doveva autorizzare a credere che fossero mutate le precise leggi e previsioni sul trapasso dal modo capitalista a quello socialista di produzione con tutte le forme economiche, sociali e politiche, ma significava solo che diveniva diverso e più agevole il primo periodo post rivoluzionario: economia di transizione al socialismo, precedente il successivo del socialismo inferiore e l’ultimo del socialismo superiore o comunismo integrale.
4. L’opportunismo classico consistette nel far credere che tutte quelle misure, dalla più bassa alla più alta, le potesse applicare lo Stato borghese democratico sotto la pressione o addirittura la legale conquista del proletariato. Ma in tal caso quelle varie “misure”, se compatibili col modo capitalista di produzione, sarebbero state adottate nell’interesse della continuazione del capitalismo e per il rinvio della sua caduta, se incompatibili non sarebbero state mai attuate dallo Stato (Nota redazionale: non ci sarebbe molto da aggiungere alla chiarezza del punto 3 e 4, ribadiamo quindi che talune ‘riforme sociali’, scuola pubblica, sanità pubblica, pensioni, possono essere ‘prese dalla borghesia stessa in questo o quel paese …
nell’interesse della continuazione del capitalismo e per il rinvio della sua caduta’. Inoltre, se ‘ incompatibili non sarebbero state mai attuate dallo Stato’ e poi, aggiungiamo noi, che in base alle attuali, evidenti, tendenze del capitalismo, le stesse presunte conquiste sociali dei decenni precedenti possono sempre essere vanificate, ove diventino incompatibili con le esigenze del capitale. Non troviamo quindi nessuna contraddizione nella teoria invariante, ma anzi la conferma di uno dei suoi assunti, ben chiarito nel testo della corrente dal titolo ‘Forza, violenza, dittatura…’. La classe dominante può ricorrere, secondo le circostanze, ‘nell’interesse della continuazione del capitalismo e per il rinvio della sua caduta’, a misure sociali ‘progressiste’ produttrici di consenso di massa verso i regimi borghesi, siano questi regimi, sul piano politico, apertamente totalitari o fintamente democratici. Eppure al di sotto delle variabili manovre di politica economica, più o meno keynesiane o iper-liberiste, perseguite degli stati borghesi seguendo le variabili fasi del ciclo economico, o alla facciata politica più o meno totalitaria o democratoide assunta da questi stati, in base alle diverse esigenze di tutela dell’ordine pubblico determinate dallo scontro di classe, quello che non cambia mai è la sostanza invariante di dominio e oppressione insita nella società borghese. Una conferma di quanto scritto la troviamo nel successivo punto 5 ).
5. L’opportunismo attuale, colla formula della democrazia popolare e progressiva, nei quadri della costituzione parlamentare, ha un compito storico diverso e peggiore. Non solo illude il proletariato che alcune delle misure sue proprie possano essere attirate nel compito di uno Stato interclassista e interpartitico (ossia, quanto i socialdemocratici di ieri, fa il disfattismo della dittatura) ma addirittura conduce le masse inquadrate a lottare per misure sociali “popolari e progressive” che sono direttamente opposte a quelle che il potere proletario sempre, fin dal 1848 e dal Manifesto, si è prefisse.
6. Nulla mostrerà meglio tutta la ignominia di una simile involuzione che un elenco di misure che, quando si ponesse in avvenire, in un paese dell’Occidente capitalista, la realizzazione della presa del potere, si dovrebbero formulare, al posto (dopo un secolo) di quelle del Manifesto, incluse tuttavia le più caratteristiche di quelle di allora.
7. Un elenco di tali rivendicazioni è questo:
a) “Disinvestimento dei capitali”, ossia destinazione di una parte assai minore del prodotto a beni strumentali e non di consumo.
b) “Elevamento dei costi di produzione” per poter dare, fino a che vi è salario mercato e moneta, più alte paghe per meno tempo di lavoro.
c) “Drastica riduzione della giornata di lavoro” almeno alla metà delle ore attuali, assorbendo disoccupazione e attività antisociali.
d) Ridotto il volume della produzione con un piano “di sottoproduzione” che la concentri sui campi più necessari, “controllo autoritario dei consumi” combattendo la moda pubblicitaria di quelli inutili dannosi e voluttuari, e abolendo di forza le attività volte alla propaganda di una psicologia reazionaria.
e) Rapida “rottura dei limiti di azienda” con trasferimento di autorità non del personale ma delle materie di lavoro, andando verso il nuovo piano di consumo.
f) “Rapida abolizione della previdenza” a tipo mercantile per sostituirla con l’alimentazione sociale dei non lavoratori fino ad un minimo iniziale.
g) “Arresto delle costruzioni” di case e luoghi di lavoro intorno alle grandi città e anche alle piccole, come avvio alla distribuzione uniforme della popolazione sulla campagna. Riduzione dell’ingorgo velocità e volume del traffico vietando quello inutile.
h) “Decisa lotta” con l’abolizione delle carriere e titoli “contro la specializzazione” professionale e la divisione sociale del lavoro.
i) Ovvie misure immediate, più vicine a quelle politiche, per sottoporre allo Stato comunista la scuola, la stampa, tutti i mezzi di diffusione, di informazione, e la rete dello spettacolo e del divertimento. (Nota redazionale: abbiamo appena letto un elenco di misure di politica economica, o più semplicemente di misure politiche, che ‘si dovrebbero formulare, al posto (dopo un secolo) di quelle del Manifesto, incluse tuttavia le più caratteristiche di quelle di allora (1)‘. Poniamoci allora una domanda: tali misure, immediatamente successive ad una ipotetica ‘presa del potere’, sono forse in contraddizione con l’invarianza storica del marxismo? Ad esempio, sono in contrasto con gli assi portanti del materialismo storico-dialettico, o con le analisi contenute nei volumi del Capitale? Sono forse una negazione della legge del valore, della caduta tendenziale del saggio di profitto, della lotta di classe come motore del mutamento storico-sociale? Ci sembra proprio di no. Allora formuliamo una nuova domanda, le misure politico-economiche, immediatamente successive alla ‘presa del potere’, sono da valutare come componenti accessorie o come componenti basilari di un sistema? Anche in questo caso ci sembra che la risposta propenda, inevitabilmente, per il primo aspetto: esse sono componenti accessorie, o se vogliamo delle derivate variabili di costanti invarianti. La società e l’economia capitalistica sono un organismo vivente, che in quanto tale subisce delle modificazioni nel corso del tempo, proprio come avviene alla fisiologia e alla psicologia dell’uomo nelle fasi dell’infanzia, dell’adolescenza, della maturità e della vecchiaia. Tuttavia, chi potrebbe negare che lo scheletro e gli organi interni, pur invecchiando, restino invariantemente indispensabili, fatta qualche eccezione, per la ulteriore sopravvivenza dell’uomo? Allora le ‘nuove’ misure contenute nel testo pubblicato nel 1953, comunque a integrazione di quelle più caratteristiche contenute nel ‘Manifesto’ del 1848, sono una semplice espressione naturale dell’adeguamento (varianza) del programma rivoluzionario immediato (anche per questo si chiama immediato) alle differenti fasi evolutive dell’organismo economico-sociale capitalistico, o sono la prova che questo organismo non possiede affatto delle invarianti caratteristiche reali – scheletro, organi interni – rivelate dalla monolitica dottrina del marxismo, e quindi ha ragione chi sostiene che tutto è variante? Anche stavolta ci sembra, anzi ne siamo proprio sicuri, la risposta esatta è no).
8).Non è strano che gli stalinisti e simili oggi richiedano tutto l’opposto, coi loro partiti di Occidente, non solo nelle rivendicazioni “istituzionali” ossia politico-legali, ma anche nelle “strutturali” ossia economico-sociali. Ciò consente la loro azione in parallelo col partito che conduce lo Stato russo e i connessi, nei quali il compito di trasformazione sociale è il passaggio da precapitalismo a capitalismo pieno, con tutto il suo bagaglio di richieste ideologiche, politiche, sociali ed economiche, tutte orientate allo zenit borghese; volte con orrore solo contro il nadir feudale e medioevale. Tanto più sporchi rinnegati questi sozii di Occidente, in quanto quel pericolo, fisico e reale ancora dalla parte dell’Asia oggi in subbuglio, è inesistente e mentito per chi guarda alla tronfia capitalarchia di oltreatlantico, per i proletariati che di questa stanno sotto lo stivale civile, liberale e nazionunitario.
(1).Naturalmente tutto ciò non può accadere se non attraverso misure dispotiche contro il diritto di proprietà e violazioni dei rapporti borghesi di produzione, ossia con misure che appariranno economicamente insufficienti e insostenibili, che nel corso del movimento supereranno se stesse verso nuove misure, ma che nel frattempo sono i mezzi indispensabili per rivoluzionare l’intero modo di produzione.
Com’è ovvio, tali misure saranno diverse da paese a paese.
Ma per i paesi più progrediti, potranno essere generalmente applicate le misure che qui di seguito indichiamo:
1. Espropriazione della proprietà fondiaria e impiego della rendita fondiaria per le spese dello stato.
2. Imposta fortemente progressiva.
3. Abolizione del diritto di eredità.
4. Confisca dei beni degli emigrati e dei ribelli.
5. Accentramento del credito nelle mani dello stato attraverso una banca nazionale con capitale di Stato e con monopolio esclusivo.
6. Accentramento dei mezzi di trasporto nelle mani dello stato.
7. Aumento delle fabbriche nazionali e degli strumenti di produzione, dissodamento e miglioramento dei terreni secondo un piano generale.
8. Uguale obbligo di lavoro per tutti, organizzazione di eserciti industriali specialmente per l’agricoltura.
9. Unificazione dell’esercizio dell’agricoltura e dell’industria e misure atte a preparare la progressiva eliminazione della differenza fra città e campagna.
10. Educazione pubblica e gratuita di tutti i fanciulli. Abolizione del lavoro dei fanciulli nelle fabbriche nella sua forma attuale. Combinazione dell’educazione con la produzione materiale.
Quando nel corso degli eventi le differenze di classe saranno sparite e tutti i mezzi di produzione saranno concentrati nelle mani degli individui associati, il potere pubblico avrà naturalmente perso ogni carattere politico. Il potere politico, nel senso vero e proprio della parola, non è se non il potere organizzato di una classe per l’oppressione di un’altra. Ora, se il proletariato nella lotta contro la borghesia è spinto a costituirsi in classe, e se attraverso la rivoluzione diventa classe dominante, distruggendo violentemente gli antichi rapporti di produzione, in questo modo esso, abolendo tali rapporti, abolisce le condizioni di esistenza dell’antagonismo di classe, e cioè abolisce le classi in generale e il suo proprio dominio di classe.
Al posto della società borghese, con le sue classi ed i suoi antagonismi di classe, subentrerà un’associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno sarà la condizione del libero sviluppo di tutti. Tratto da il Manifesto, 1848.