Francia: il jobs act come mezzo per rilanciare il folle ciclo di valorizzazione del capitale. Giornate capitalistiche.
Non affronteremo in questo articolo la storia delle lotte degli operai francesi degli ultimi mesi, i cui esiti e sviluppi sono per ora di difficile valutazione. Fermo restando il riconoscimento del valore delle lotte sostenute dagli operai francesi, si tratta ora di capire come cambia la legislazione del lavoro francese.
Riassumiamo allora i punti fermi del jobs act francese: 1) rendere più facili i licenziamenti; 2) ridurre i contenziosi legali per cause di lavoro; 3) aumentare la flessibilità del mercato del lavoro. Questi tre obiettivi sono in fondo gli stessi obiettivi del jobs act italiano. In entrambi i casi le riforme del lavoro seguono le indicazioni provenienti da Bruxelles, a riprova della presenza di una intelligenza politico economica capitalistica sovranazionale, pronta a orientare le politiche economiche e l’attività legislativa dei soci nazionali europei verso gli interessi del grande capitale. La riforma del lavoro francese è stata presentata a metà febbraio dal ministro Myriam el Khomri. Questa ‘riforma’ del mercato del lavoro si propone di modificare molti aspetti della situazione normativa attuale: ferie, orario di lavoro, ruolo delle trattative sindacali, medicina del lavoro. Con la scusa della esigenza aziendalista di una maggiore produttività del lavoro, si preannunciano dei cambiamenti peggiorativi delle condizioni esistenti ( comunque da considerarsi condizioni di sfruttamento capitalistico). Dunque, il cambiamento prefigurato dal jobs act di Francia è inquadrabile all’interno della legge della caduta tendenziale del saggio medio di profitto, e quindi della conseguente controtendenza (rispetto a questa tendenza principale ) all’aumento dello sfruttamento. Tale aumento dello sfruttamento, ottenuto storicamente come plus-lavoro assoluto o relativo, funge da controtendenza/palliativo alla caduta del saggio di profitto determinata dalla variazione della composizione tecnica e organica del capitale aziendale. Infatti, sotto la spinta della concorrenza, le imprese tendono a ridurre i costi di produzione sostituendo la forza lavoro proletaria (capitale vivo /variabile) con il capitale costante (macchinari /tecnologia). Questo processo economico aziendale, oltre a comprimere la base di lavoro Vivo da cui il capitale morto (i mezzi tecnici di lavoro e di produzione) estrae il lavoro non remunerato, cioè il plus-lavoro (determinando la caduta del saggio di profitto), mette in essere anche una crescita progressiva della riserva di proletari inoccupati, cioè dell’esercito industriale di riserva (nelle sue varie tipologie). Se dunque il jobs act francese, in sintonia con quello italiano, risponde solo a una esigenza di sistema dell’economia capitalistica, non si comprende come si possa impedire la sua realizzazione legislativa, senza prima eliminare le cause sistemiche che ne hanno fatto sorgere il bisogno (e quindi l’economia capitalistica). Alternando bastone e carota, le autorità statali francesi, hanno affrontato le proteste operaie guidate dai sindacati più rappresentativi, facendo piccole concessioni di facciata e mantenendo intatta la sostanza della ‘riforma’ presentata a febbraio. Tale vicenda va valutata in termini politici: un incremento del grado di sfruttamento non è sempre un segno di vittoria, perché può significare anche la crescita del potenziale sociale di protesta, e quindi della necessità di approntare più efficaci mezzi di controllo e repressione statali. Inoltre, le sconfitte nelle lotte economiche immediate, possono anche determinare una migliore visione politica nei soggetti che hanno partecipato a quelle lotte, avvicinandoli alla teoria /programma comunista storicamente invariante.