Una normale giornata capitalistica, all’interno di un bizzarro regno vassallo, ai confini dell’Impero americano. Qualche indiscrezione giornalistica sulla situazione in una importante città con le richieste di ricambio di una parte della squadra del sindaco, poi la fronda interna a un partitone governativo (dopo la batosta referendaria), con le dichiarazioni del candidato della opposizione interna. Dunque, placidamente continuano i balletti politici, mentre la situazione socio-economica si aggrava, e una vasta platea di nuovi poveri si affaccia nei circuiti della disperazione. I brontolii e i mugugni che provengono dal corpo sociale sono ancora deboli e fievoli, e l’apparato statale non si trova quindi nella necessità di intervenire per sedare proteste inesistenti. Se la classe proletaria resta schiacciata su posizioni di resistenza passiva minimali, cosa può impensierire il variegato ceto politico se non la perenne operetta della redistribuzione di fette di potere, incarichi e prebende?
Autoreferenziale è il termine giusto per esprimere il senso di questa messinscena politica intramontabile, fastidiosa, vacua, ingannevole. Perché non cambia nulla nella realtà, i vari attori politici sono tutti destinati a fare gli amministratori del sistema capitalistico, un sistema con le sue leggi determinate, leggi non trascurabili dal personale politico di turno, ovvero gli amministratori che si trovano sulla plancia di comando. E mentre l’operetta politicante continua ossessiva, con le sue liturgie e i suoi riti consolidati, le stelle (proletarie) stanno a guardare, spesso inerti e passive di fronte al peggioramento delle proprie condizioni di vita. La legge della miseria crescente impoverisce in Italia milioni di famiglie e individui, ma ancora prevale l’atteggiamento di attesa di tempi migliori, l’illusione che prima o poi l’economia tornerà a crescere. Mentre avulsa dai problemi reali, la sfera politica procede in modo Autoreferenziale, al pari di una giostra di duelli e sfide in cui la posta in gioco è sempre e solo la conquista del posto di maggiordomo principale del fatiscente edificio capitalistico.
Giornate capitalistiche allora, attori che si agitano sulla scena per un breve momento (Shakespeare) in attesa di ritornare nel limbo dell’insignificanza da cui provengono. Nel breve lasso di tempo in cui sono chiamati a gestire le dinamiche e le funzioni vitali del capitalismo, favorendo provvedimenti legislativi finalizzati al profitto, questi soggetti si pavoneggiano senza senso della misura, salvo poi ritornare mestamente nell’ombra, dopo avere servito bene gli interessi di sua maestà il capitale.