Alcune recenti lotte sindacali spontanee registrate in Calabria, settore marittimo portuale, sorte come reazione alla minaccia di licenziamento di una parte dei dipendenti di una azienda, hanno ottenuto, grazie alla determinazione dei lavoratori dei risultati apprezzabili. Elenchiamo: In primo luogo il lungo braccio di ferro con la controparte aziendale, che ha dovuto scendere a più miti consigli in merito ai licenziamenti, e in secondo luogo, il rifiuto da parte dei lavoratori della mistificazione ricorrente che consiste nell’attribuire alla scarsa produttività del lavoro la causa della richiesta di licenziamenti. Quest’ultima è una grande furbizia, in altre parole colpevolizzare le vittime delle leggi economiche capitalistiche addossando loro delle presunte inefficienze lavorative. Non ci vogliamo illudere che una rondine faccia primavera, l’ideologia aziendale è forte e una parte rilevante del proletariato ne subisce i condizionamenti. Inoltre non è la salvaguardia del lavoro salariato, cioè del lavoro sfruttato, il vero obiettivo. Il marxismo ci insegna, tuttavia, che sotto la spinta della miseria crescente si possono sviluppare delle condizioni favorevoli al distacco di una parte del proletariato dai condizionamenti ideologici, e dunque può manifestarsi una maggiore volontà di lotta contro l’organizzazione sociale capitalistica (e in fondo l’episodio di cui abbiamo riferito è un piccolo segnale). Le precedenti esperienze storiche dimostrano che i cambiamenti profondi, i passaggi da un modo di produzione a un altro, non sono mai avvenuti in modo indolore, cioè senza il corollario di scontri intensi fra la classe legata al vecchio modo di produzione e la classe che fa da alfiere al nuovo modo di produzione. Quando parliamo di compito storico della classe proletaria ci riferiamo a questo passaggio da un modo di produzione ad un altro, reso possibile solo sotto la spinta di lotta di una classe sociale che non ha niente da perdere (nella scomparsa della vecchia società). Analizziamo un fattore che ostacola la lotta di classe. Parliamo di un doppio bisogno economico e politico della borghesia, che ha favorito l’integrazione di una parte del proletariato dentro il sistema per mezzo della redistribuzione del reddito: in primo luogo il bisogno economico di avere una platea di consumatori più ampia, e in secondo luogo il bisogno politico di frammentare e poi includere una quota della classe avversaria. L’aristocrazia proletaria rappresenta un fattore sociale tendenziale di svilimento del conflitto di classe, funzionale alla sopravvivenza del capitalismo. Anche le mezze classi agiscono prevalentemente come un fattore sociale conservatore, e quindi le loro ricorrenti proteste contro la perdita di status socio-economico non vanno confuse con la lotta di classe proletaria. Infatti, mentre la lotta della classe proletaria ha come orizzonte una società senza classi, l’altro tipo di lotte mira a conservare uno status minacciato dalla legge della miseria crescente. Ben rammenta la sinistra il ruolo svolto dalle mezze classi nell’affermazione dei regimi fascisti. Le mezze classi lottano per rinviare e frenare i processi di proletarizzazione, a cui sono inesorabilmente, progressivamente esposte con lo sviluppo del capitalismo; e un quantum di maggiore oppressione e sfruttamento sul proletariato, da parte di un regime (fascista) di violenza cinetica di classe borghese, può significare un temporaneo rallentamento dei processi di proletarizzazione di queste mezze classi. Oggi sono un fenomeno ricorrente gli abbagli interpretativi di taluni soggetti verso i movimenti interclassisti guidati dalle mezze classi. Osserviamo, a dir poco, una serie di infatuazioni compulsive per le novità sociali protestatarie del ceto medio, che starebbero sostituendo, addirittura, il vecchio conflitto sui luoghi di lavoro. Quando, dopo qualche tempo, si perde traccia di questi movimenti, in quanto risucchiati regolarmente nel nulla, i loro incalliti estimatori fanno finta di niente e attendono la prossima stagione di effimere proteste interclassiste. Il tutto si configura come un loop, ovvero un ciclo ricorsivo infinito. Passiamo ad altro. Uno stato che legifera (oggi) per assicurare la libertà di licenziamento anche nel caso di semplici esigenze organizzative aziendali (e quindi non solo economiche o per giusta causa), è uno stato che si disgrega da solo, oppure è uno strumento di dominazione che si rafforza? Oppure, forse, lo stato borghese si suicida in preda ad una grave depressione, e noi come abbiamo fatto a non capire prima questo segreto? Variazione.
Il capitale uccide se stesso, forse, ma intanto provoca la distruzione quotidiana di moltissimi esseri umani (fame, malattie, incidenti sul lavoro, guerre…). È comodo sognare che una realtà da incubo svanisca da sola, purtroppo dopo il sogno dovrebbe esserci il risveglio (a meno che non si voglia fare come gli struzzi).