Uno dei compiti secondari della comunicazione dei rappresentanti dei governi, degli amministratori delegati di spa, dei dirigenti delle più svariate organizzazioni è quello di infondere ottimismo in chi ascolta. È normale che questo accada, infatti se le cose andassero male, potrebbero andare addirittura peggio se si diffondesse un clima generalizzato di sfiducia e pessimismo. Il consenso dei membri, a vario titolo inseriti in una organizzazione, è fondamentale per la sua sopravvivenza. Il consenso può nascere da una sintonia di interessi materiali e di convinzioni ideali. Oppure da un azione continua di condizionamento proveniente da fonti plurime. Il dirigente aziendale, l’amministratore delegato, il ministro, cercheranno spesso con le migliori intenzioni di minimizzare, o di non dare troppo risalto agli aspetti critici di una situazione, valorizzando invece i risultati positivi conseguiti con la propria gestione. Dipende da chi comunica, infatti, la scelta della forma in cui dare o addirittura non dare determinate notizie. In psicoanalisi viene postulato il concetto di rimozione, per indicare il movimento inconsapevole di allontanamento dalla coscienza di eventi e realtà sgradevoli, perturbanti per la salute mentale, in grado di paralizzare o di rendere problematica la regolare operatività decisionale dell’Io.
Potremmo ipotizzare che la ritrosia del potere nel comunicare le verità spiacevoli nasca da un meccanismo di rimozione, oppure più verosimilmente da una semplice omissione di notizie in distonia con i toni e i contenuti adeguati al sonno delle coscienze. Dunque torniamo al problema della ideologia, cioè alla narrazione dominante della realtà, alias l’interpretazione principale dei fenomeni della vita, predominante grazie alla forza del potere socio-economico e politico vigente. Ideologia, dunque, come espressione del potere, o anche come pensiero prevalente in una certa epoca derivante dagli interessi di una particolare classe dominante. La miseria crescente, la marea montante della sovrappopolazione di riserva, la conflittualità fra stati borghesi, sono dettagli senza importanza per gli apologeti del capitalismo, anzi delle non notizie. La macchina distruttrice di vite in cui consiste l’essenza del capitalismo putrescente viene raccontata con toni elegiaci, apologetici e dunque mistificatori, nelle invasive comunicazioni di massa. Un vero e proprio racconto condiviso da vari centri di diffusione, ma separato dai dati reali, e di conseguenza proteso alla costruzione di una dimensione fittizia, irreale, adeguata alla conservazione di un certo ordine sociale.
Sarebbe sbagliato scrivere che negli ultimi giorni alcuni politici hanno detto che la crisi è dietro le spalle, e la ripresa economica sta partendo spedita. È sbagliato non perché sia falso il fatto che certe parole sono state pronunciate, ma per il motivo che le affermazioni sentite ieri, le abbiamo sentite anche due mesi fa, o addirittura tre anni addietro, e potremmo sfogliare i giornali vecchi di venti anni e ritrovare pari pari le stesse parole. Un altro tormentone di frasi stereotipate, ormai ultra decennale, si basa sulla richiesta dei sacrifici per abbassare il debito pubblico e tenere i conti dello stato in ordine. Ancora più esilarante è il mantra della riduzione del carico fiscale sulle famiglie e sulle fasce sociali più svantaggiate. All’ascoltatore smaliziato basta pensare l’esatto contrario di quello che gli viene propinato nella comunicazione di ‘sistema’, per prevedere facilmente il corso effettivo degli eventi. Il paradosso dialettico consiste nel fatto che una classe parassitaria deve produrre una descrizione irreale del mondo, ad uso della classe vittima del parassitismo, se vuole conservare il suo potere nel mondo reale. Insieme al potere ipnotico di comunicazioni politiche ripetute per decenni, e assurte acriticamente a paradigma del vero bene pubblico, la macchina del condizionamento mentale sforna in parallelo una moltitudine di letture e programmi televisivi di ‘evasione’ dalla realtà. Una letteratura di evasione, a volte di notevole valore artistico, è sempre esistita, tuttavia le caratteristiche dei moderni programmi di intrattenimento di massa danno spesso l’idea di essere un puro occultamento dello spettacolo desolante della realtà. Mentre in certi fumetti, in certi films, e infine anche in certi spettacoli televisivi, a torto definiti di evasione, ritroviamo qualche spunto di critica dell’esistente, nella maggior parte della cultura ‘popolare’ prevale l’intrattenimento come fuga dai problemi. Arte soporifera, funzionale alla conservazione dell’esistente. Ma proprio la prevalenza di questa cultura dell’intrattenimento soporifero, semplice momento di fuga dalla realtà, ci dimostra la forza dei problemi presenti nella vita sociale reale che l’intrattenimento cerca (invano) di allontanare. Nel mondo contemporaneo del capitalismo putrescente, il bisogno di superare una condizione umana alienata, si manifesta in modo distorto (anche) nella predilezione di massa per la cultura dell’intrattenimento soporifero. In quanto tale, una forma culturale basata sulla pura evasione dal reale, funziona da rimedio oppiaceo alle sofferenze dell’esistenza (variamente causate da una certa organizzazione sociale). A sua volta la fuga illusoria dalla realtà di una condizione umana alienata, rivela la persistenza di questa condizione in quanto fattore originante del tentativo di fuga, e insieme la forza di un sistema che per conservarsi non può consentire all’umanità di combattere su un piano di concretezza la propria condizione alienata. La moderna decadenza sociale produce senza sosta dei fiori velenosi, il cui profumo opera da anestetico verso la sensazione di sofferenza causata dalla malattia dell’alienazione. Tuttavia, quando gli effetti dell’anestetico di massa si affievoliscono, allora l’essere umano si ritrova nudo davanti alla sua misera condizione di schiavo di un meccanismo sociale alienante. Preda delle forze impersonali del capitale morto, che lo dominano, rafforzate dal sacrificio quotidiano di una parte della sua energia di lavoro (alias plus-lavoro), imprigionato in una condizione servile senza vie di uscita (appendice del macchinario, sussunzione totale dentro il processo di valorizzazione del capitale), il proletario diventa un Powerslave: uno schiavo del potere della morte, ovvero del lavoro passato, cristallizzato nel capitale costante, che domina il suo lavoro vivo. La vita, in definitiva, al servizio di un cadavere che ancora cammina.