Processi di rottura e fattori di causa

Processi di rottura e fattori di causa


Nell’economia russa prima della rivoluzione il settore primario (agricoltura, allevamento, miniere) è preponderante, esso è caratterizzato da rapporti di produzione prevalentemente feudali. Una economia agraria dunque inadeguata a soddisfare i bisogni primari di una parte della popolazione, in ragione del limitato impiego di capitale costante ( macchinario, trattori, trebbiatrici). A questa circostanza sono associabili la scarsa produttività del settore economico primario, le conseguenti periodiche carestie dipendenti dalla forza incontrastata dei fattori climatici. La rendita fondiaria è la risultante del monopolio del terreno e dei mezzi di produzione tecnologicamente arretrati, e dunque di un elevato grado di sfruttamento del proletariato rurale, inteso come lunghezza assoluta della giornata di lavoro. Una serie di rivolte contadine a cavallo del 1600/1700 dimostrano la persistenza di un disagio sociale collegabile alle condizioni economiche anzidette. Nella Russia del 1917 il settore industriale ha una incidenza limitata nell’ambito dell’economia nazionale.

Le isole produttive industriali sono concentrate principalmente a Mosca, Pietroburgo, e nel Donbass. Anche il settore industriale presenta una percentuale di macchinario non del tutto uguale a quella presente, mediamente, nell’industria tedesca. Il quadro sociale in cui si svolgono gli eventi rivoluzionari del 1917 è dunque caratterizzato da un forte malessere, riguardante buona parte degli addetti al settore primario e secondario (sfruttamento, dispotismo, povertà).

Questo terreno economico-sociale favorisce la crescita di una opposizione politica, variamente connotata: riformista (menscevichi e social-rivoluzionari) e non riformista (bolscevichi). Questi due filoni derivano in buona parte dal partito socialdemocratico russo, fondato alla fine del 1800, e successivamente separatosi, sulla base delle esperienze storiche di lotta e delle relative e differenti analisi, in un troncone maggioritario (menscevico) e in uno minoritario (bolscevico).

La parte politica bolscevica elabora, sulla base degli insegnamenti storici, una teoria adeguata alla comprensione dei processi economico-sociali e un programma di azione politico conseguente.

Dopo la distruzione dell’apparato statale zarista/feudale, la nuova macchina statale, guidata dal partito comunista, viene utilizzata per impedire a un variegato stuolo di nemici di classe (interni ed esterni), di soffocare sul nascere la rivoluzione. Considerate le caratteristiche semi-feudali dell’economia russa (industrializzazione capitalistica limitata/preponderanza di un settore primario agrario arretrato con basso impiego di macchinario), la rivoluzione presenta necessariamente un carattere doppio: economicamente borghese, in quanto deve dotare l’economia russa di un capitale costante (macchinario) nel settore industriale e agrario, quantitativamente adeguato a consentire il passaggio ad una economia socialista, e politicamente proletario, in quanto tale compito viene diretto e controllato da un partito comunista (e non da forze politiche legate alla nascente borghesia). Sosteniamo che soltanto l’impiego di una quota adeguata di capitale costante/macchinario, nei processi produttivi primari (agricoltura) e secondari (industria), può essere la precondizione oggettiva del passaggio ad un economia socialista, perché solo un grado avanzato di sviluppo tecnologico dell’economia può consentire la produzione di massa dei beni d’uso adatti a soddisfare i bisogni umani primari, e quindi la successiva riduzione generalizzata della giornata lavorativa (ovvero del tempo di lavoro che ogni essere umano dedicherà/svolgerà nella futura società comunista ). Nel caso della Russia del 1917, in presenza di una economia agraria arretrata dal punto di vista tecnologico, il quesito principale che si trova di fronte il partito comunista è quello di come sfamare la popolazione. La guerra civile ininterrotta, dal 1917 fino al 1921, impone di dirottare prioritariamente le risorse alimentari verso l’armata rossa, mentre la stessa produzione agricola subisce un calo in conseguenza delle devastazioni della guerra.

La rapida dotazione di una base industriale adeguata alla soddisfazione dei bisogni primari della popolazione diventa un imperativo, da essa dipendono infatti la possibilità di consolidare il potere politico proletario in Russia, di rafforzare l’armata rossa, e quindi di liberare armi in pugno, manu militari, anche il proletariato di altre nazioni. Nel 1921 fallisce, sotto le porte di Varsavia, il tentativo dell’armata rossa di penetrare in Europa occidentale e di diffondere la rivoluzione nei paesi industrialmente avanzati (Germania,Francia, Italia), dove non si pone neppure l’esigenza di una doppia rivoluzione, e quindi il passaggio ad una economia socialista sarebbe meno impervio. Se il tentativo fosse riuscito, la Russia dei soviet avrebbe potuto impiegare nella propria economia il macchinario e la tecnologia avanzate dell’Europa occidentale.

Con la temporanea battuta di arresto sotto le porte di Varsavia, non resta altra strada, almeno nel medio periodo(cinque anni), valutate le risorse militari a disposizione, che attendere l’occasione giusta per ripetere il tentativo (e nell’attesa consolidare il potere politico del partito comunista, attraverso il controllo direzione della macchina statale/militare, e attraverso una industrializzazione dell’economia russa con le proprie, autonome, forze).

Questa dinamica fallisce, la rivoluzione si avvita su se stessa, viene travisata. Nel 1926, alla riunione della internazionale comunista a Mosca, prevalgono le posizioni politiche che esprimono la forza degli interessi delle categorie sociali del nascente industrialismo di stato capitalistico (dirigenti aziendali, appaltatori, cooperative agricole, funzionari statali vari…).

Sulla base dei condizionamenti socio-economici suddetti viene travisato l’orientamento originario della rivoluzione doppia, che si trasforma nel suo contrario (controrivoluzione), consentendo la perpetuazione di una società divisa in classi dominanti e dominate. Nel rapporto dialettico fra una struttura economica capitalistica e una sovrastruttura politica proletaria prevale, in Russia, la forza dei condizionamenti strutturali. Da un punto di vista scientifico non avrebbe senso sostenere che tale esito fosse inevitabile, ma solo che forse aveva maggiori probabilità di successo rispetto ad esiti alternativi. La controrivoluzione stalinista, infatti, è anche il risultato della sconfitta e successiva liquidazione fisica della parte più combattiva del proletariato e dei suoi esponenti politici dentro il partito bolscevico. Quindi il travisamento controrivoluzionario è anche l’effetto di una vittoria, del nascente industrialismo di stato capitalistico, sulle forze che, viceversa, volevano guidare (attraverso controllo della macchina statale, alias dittatura del proletariato) il processo di industrializzazione e di crescita economica verso una economia socialista e una società senza classi (e soprattutto verso una prospettiva di rivoluzione mondiale).

L’aberrazione teorica del socialismo in un solo paese, è stata in realtà funzionale alla costruzione di una economia nazionale capitalistica in competizione con altre economie nazionali. Nella cosiddetta economia socialista russa permanevano tutte le principali categorie economiche del capitalismo: salario, denaro, produzione su base di imprese/aziende concorrenti con contabilità a costi e ricavi, imprese guidate dal principio della redditività del capitale investito, anarchia della produzione, dislivelli di sviluppo fra aree economiche, regioni, territori, e infine un debito pubblico funzionale alla remunerazione degli investimenti di capitale internazionale (con cui di fatto lo stato capitalista russo diventava appaltatore del proprio proletariato per nome e conto di altre economie capitalistiche).

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