Letture neo-gramsciane: il dispotismo capitalista trasformato in miraggio del futuro

Premessa

Nel gennaio 2016 dedicammo alcune righe alla confutazione di una critica al concetto di invarianza ‘storica’ del marxismo, nuove critiche si rivestono oggi, anno 2018, dell’abito neo-gramsciano. Cosa contengono queste posizioni? In sostanza che Marx non avrebbe prodotto una teoria scientificamente completa del passaggio da un tipo di società ad un altro, e quindi toccherebbe ai posteri finire la sua opera. Nel testo che stiamo analizzando viene sostenuto (sintetizziamo in forma libera): Marx ha davvero perfezionato una teoria degli “altri” modi di produzione (rispetto a quello capitalistico)? In assenza di questa teoria non si può affermare nulla sul passaggio dal nostro presente ad un ipotetico futuro. La teoria del corso storico elaborata da Marx è rimasta un tronco, non bisogna farsi illusioni sui suoi limiti, sulla sua incompletezza. Dunque ci sono taluni orizzonti di ricerca aperti, sul concetto di rivoluzione e cambiamento storico, su cui è giusto indagare”.

La stessa premessa argomentativa è senza fondamento, perché Marx ha studiato sia il capitalismo che i modi di produzione non capitalistici, incluso il comunismo primitivo, delineando uno schema astratto scientifico delle loro caratteristiche essenziali e dei loro processi di trapasso. Uno schema scientifico non è la verità assoluta, ma una approssimazione al vero, che nel caso specifico della dottrina dei modi di produzione si traduce in prospettive, ipotesi, di verificazione di determinati scenari. Dunque già in partenza non si pone neppure il problema del finalismo meccanicista, da cui in neo-gramsciani vorrebbero emendare il marxismo (ripetutamente, fastidiosamente, definito con vezzo accademico, ‘teoria marxiana’). Ora cosa significa sostenere cheLa teoria del corso storico elaborata da Marx è rimasta un tronco, non bisogna farsi illusioni sui suoi limiti, sulla sua incompletezza?”

Marx non ha mai preteso di ‘numerare l’innumerevole’, quindi è indubbio che la ‘sua’ teoria non contenga l’onniscienza, ma un semplice schema scientifico basato su un ampia documentazione storica e su una indubbia capacità di analisi e di esposizione. Questa valida approssimazione conoscitiva invariante (vedere la postilla) non è, in termini concreti, l’opera di un individuo singolo, ma il prodotto della lotta di classe proletaria. Il massimo grado di conoscenza possibile per l’avanguardia politico-sociale comunista (vedere la postilla).

La posizione neo-gramsciana continua: ”la teoria dei modi di produzione è un processo di astrazione che come tale non è mai esistito…Il processo si compirà in forme storiche definite, che non saranno mai identiche all’universale astratto”. Anche in questo caso l’affermazione è tautologica e superflua, e non inficia la validità dell’invarianza marxista, poiché il marxismo non pretende affatto che uno schema scientifico come la successione dei modi di produzione, ”l’universale astratto”, sia identico in tutto e per tutto al dato storico reale, ma solo vicino al vero, solo in grado di delineare con realismo le linee di tendenza di un certo fenomeno storico, partendo dall’analisi di certi dati di fatto. Nei prossimi capitoli tenteremo di confutare le ulteriori inesattezze contenute nelle posizioni neo-gramsciane.

 

 

Postilla

Variamente opinabile: la conoscenza marxista storicamente invariante e il tentativo di una sua negazione come percorso di auto-negazione

Sintetizziamo in forma libera alcune recenti critiche al concetto di invarianza.

In ogni caso, un tale pensatore “marxista”, afferma che il marxismo è invariante, mentre per noi il mondo reale è variante.

La riflessione non è il rifiuto del marxismo rivoluzionario! Marx ed Engels, Lenin e Trotsky, hanno modificato i loro pareri, per tutta la vita, e non hanno mai avuto punti di vista ossificati.

Marx ed Engels non hanno mai sostenuto che la loro conoscenza era universale e che le loro posizioni erano definitive. Invece, hanno cambiato le loro analisi… per tutta la vita, seguendo così le trasformazioni della realtà … Rimasero costantemente al corrente delle nuove scoperte (scientifiche) e delle trasformazioni del mondo capitalista…

In contrasto con questo approccio, molti attivisti e pensatori attuali che invocano Marx , pensano che quest’ultimo abbia detto tutto sul funzionamento del sistema capitalistico, tutto ciò che riguarda la crisi del sistema, tutto ciò che riguarda l’uomo e la società umana….

(Invece) Karl Marx e il suo inseparabile amico Friedrich Engels non hanno mai visto il mondo come un’entità fissa, o la realtà del capitalismo come una semplice ripetizione identica a se stessa, invece, hanno modificato i loro pensieri in base alle conoscenze avanzate, agli studi storici, scientifici e filosofici del loro tempo. Invece alcune tendenze politiche di estrema sinistra cercano un pensiero eterno, un modo filosofico di mettere la parola fine alla ricerca critica tipica del marxismo….

Dalla morte di Marx e Engels il mondo è cambiato quasi in ogni aspetto, anche se è ancora capitalismo…’.

Una prima osservazione, dal tono generale della critica contenuta nelle righe precedenti, si oppone (proviamo a schematizzare noi) alla invarianza marxista, l’argomento classico del ‘panta rei’. In altre parole ci sarebbero dei pensatori marxisti incapaci di adeguare le proprie analisi ai cambiamenti del mondo, il quale è un continuo divenire. Ma allora se si intende il ‘panta rei’ come l’impossibilità di concepire realtà stabili, almeno temporaneamente stabili (cioè storicamente invarianti), la conseguenza è che il pensiero deve ammettere il carattere illusorio di ogni conoscenza umana. È l’argomento di Nietzsche, il quale, tuttavia, al dionisiaco, informe, ‘panta rei’, oppone l’apollinea apparenza di forme stabili, frutto della volontà di potenza. Andremmo lontano, di questo passo. Limitiamoci a dire che se assolutizziamo il tutto scorre eracliteo, come fanno i critici dell’invarianza, giungiamo direttamente al nichilismo, o meglio allo scetticismo totale, inteso come affermazione della totale inconoscibilità dell’essere. Tuttavia questa è pur sempre la posizione di una certezza, perché volendo negare la conoscibilità del reale, si sostiene nondimeno di conoscere un qualcosa di certo, fisso e stabile, cioè la non conoscibilità del reale, solo che a questo punto se nulla è davvero conoscibile, come si fa a sostenere di conoscere la non conoscibilità del reale? In altri termini la proposizione negatrice alla fine nega perfino se stessa, questo esito senza ulteriori sviluppi proposizionali è l’aporia in cui si chiude il tentativo di negazione (sul piano logico-ontologico) dell’invarianza. I critici non si rendono conto di muoversi su un terreno filosofico insidioso, disseminato di spoglie di precedenti diatribe e polemiche filosofiche millenarie, anche più antiche della filosofia presocratica. Spostiamoci sul piano storico-sociale. Una formazione sociale possiede dei caratteri invarianti, o se vogliamo degli aspetti prevalenti e ricorrenti, e fintanto che non trapassa in qualcosa di altro tipo (negazione della negazione), è sensato ipotizzare una conoscenza essenzialmente invariante (riferita ai suoi caratteri prevalenti), intesa quindi come conoscenza delle leggi tendenziali dei suoi invarianti (prevalenti) processi di esistenza socio-economici. Il ‘panta rei’ non viene negato dall’invarianza storica della dottrina marxista, bensì riaffermato nel suo essere flusso e forma, potenza e atto, e quindi non semplice orizzonte caotico, ma successione di sistemi ordinati in orizzonti di eventi guidati da attrattori, leggi tendenziali (è la modernissima teoria del caos a convergere su questo assunto dialettico). In definitiva l’errore dei critici della parola ‘invarianza’, è nel non riuscire a cogliere il significato che essa assume nella concezione marxista: essa è ‘storica invarianza’, e quindi non significa il ritorno a verità assolute, ossificate e cristallizzate, sottratte alla vita reale, storica, degli esseri umani. L’invarianza postulata nel testo degli anni 50 (‘La invarianza storica del marxismo’) è innestata anch’essa nel ‘panta rei’ della storia, non certo in un limbo teorico astratto, come invece pensano i critici. D’altronde, ritornando ai termini apollineo e dionisiaco, presi a prestito da una fonte ‘filosofica’, Nietzsche, (diciamo) distante dai nostri orientamenti (per molti versi), ritroviamo la contraddizione dialettica fra forma (Apollo) e flusso (Dioniso), risolta nella sintesi unitaria che si manifesta nella nostra esperienza di vita. Nell’ambito della fisica moderna ritroviamo una analoga distinzione fra il concetto di discreto (apollineo) e il concetto di continuo (dionisiaco). I critici, nel tentativo di confutare il concetto di invarianza, assolutizzano invece, proprio loro, uno dei poli della relazione dialettica fra forma e flusso, cioè il flusso. Invece l’invarianza è stata definita, nel testo degli anni 50, ‘storica’, in altre parole non assoluta, ma relativa alla conoscenza di un certo modo di produzione, cioè alla comprensione delle leggi tendenziali di sviluppo della sua specifica struttura e sovrastruttura, e quindi, in definitiva, una conoscenza relativa a un certo tipo di società e di lotte di classe sorte nel fiume della storia. D’altronde, seguendo il percorso di pensiero dei critici, si rischierebbe di ricadere nella vecchia dicotomia Kantiana fra il mondo come fenomeno e il mondo come noumeno (la cosa in sé). Infatti, attribuendo alla realtà storica gli attributi di inconoscibilità della cosa in sé (in quanto assolutamente invariante), a noi ‘invariantisti incalliti’, incapaci di sollevarci alle altezze del caos dionisiaco, resterebbe il semplice possesso dell’illusorio mondo ‘fenomeno’, composto di realtà discrete, stabili, fisse. La conoscenza marxista storicamente invariante, ci permettiamo di dire, non dovrebbe essere considerata il semplice pensiero di Marx ed Engels, o di Lenin, ma in senso materialistico dovrebbe porsi come il frutto di una accumulazione di saperi ed esperienze lungamente incubati nella società, come segno, traccia e memoria della conoscenza ottenuta dall’esperienza storica della lotta di classe.

Le lezioni apprese nei momenti di massima intensità dello scontro pratico con l’avversario non devono essere dimenticate, in nome dell’assioma per cui ‘il mondo è cambiato quasi in ogni aspetto, anche se è ancora capitalismo’. Allora se il mondo è ancora capitalismo (nella sua essenza socio-economica), a dispetto dei suoi cambiamenti ( puramente formali), questo deve necessariamente significare che questo mondo può essere conosciuto e criticato sulla base delle esperienze pregresse (vittorie e sconfitte). Questo significa che è possibile fare delle previsioni, basate sulla conoscenza storicamente invariante (sintetizzata nel marxismo), che non è una metafisica o la fine dell’attività di indagine critica e di pensiero, ma la bussola che ci consente di navigare nel mare dell’apparente caos capitalistico. C’è un ordine e una geometria nel caos, le leggi tendenziali di sviluppo del modo di produzione capitalistico sono state svelate, esse formano, nel marxismo rivoluzionario, la più efficace approssimazione conoscitiva (quindi non la verità assoluta) alla realtà sociale. Un modello euristico, inevitabilmente contenente astrazioni e generalizzazioni, proprio in quanto modello, e tuttavia in grado di fornire un valido strumento di lotta alla classe oppressa. Esso è astratto e concreto insieme, poiché individua le invarianti caratteristiche degli attrattori sistemici, ovvero lo scheletro e gli organi che formano l’organismo socio-economico capitalistico, senza i quali non potrebbe neppure esistere. Questo sistema sociale di oppressione in definitiva può pure cambiare pelle o abito, parafrasando i critici, ( ‘In ogni caso, un tale pensatore “marxista” , afferma che il marxismo è invariante, mentre per noi il mondo reale è variante) mentre restano invarianti, necessariamente, fin tanto che il capitalismo esiste e se ne riconosce l’esistenza storica, le leggi tendenziali del suo divenire.

Assoluti temporanei e verità storicamente invarianti…

Ci viene posta da alcuni lettori la richiesta di chiarire meglio il senso della Invarianza storica del marxismo, e la implicita negazione di una verità assoluta ad essa imputabile. Le domande e le critiche sono sempre benvenute, perché spesso aiutano a correggere o a chiarire certi aspetti lasciati in ombra all’interno di una certa analisi. Nel caso specifico ci viene suggerito di considerare se per un certo tempo storico, quella legge che noi indichiamo come approssimazione conoscitiva invariante, possa invece essere vista come una verità assoluta, destinata poi ad essere sostituita, in un tempo storico successivo, da altre verità assolute. Il problema è che il concetto di assoluto fa riferimento (in filosofia e teologia) a una realtà, a un ente, che trascende il tempo e lo spazio. Eterno, immutabile, senza origine e senza fine, a-spaziale e a-temporale (Riprendendo in questo senso i caratteri dell’essere/logos della scuola eleatica. Questa scuola, tuttavia, poneva accanto al logos immutabile, almeno nel poema filosofico del suo capostipite, Parmenide di Elea, un piano di realtà ‘umano’, esso stesso parte di questo logos, in cui ‘tutto è pieno, unitamente di luce e di notte oscura’). La verità delle leggi invarianti di cui parliamo noi è dunque storica, specifica del divenire di una certa società, e quindi di un certo modo di produzione. Non ci sembra opportuno usare, almeno dal nostro punto di vista, una categoria filosofica, l’assoluto, per descrivere le leggi storicamente invarianti. Preferiamo definirle in questo modo, e non con il nome di ‘assoluti temporanei’ perché il termine ‘assoluto’ è troppo legato a determinati significati antitetici alla realtà storica, e quindi il suo impiego potrebbe creare confusione e fraintendimenti metafisici (anche se ‘assoluti temporanei’ in fondo allude a un paradosso dialettico). La nostra posizione negatrice di verità assolute potrebbe rischiare di sfociare nel relativismo? In fondo le leggi invarianti indicano anch’esse delle verità permanenti, entro un certo arco di tempo storico (quindi, riconosciuta questa analogia, il quesito non dovrebbe più sussistere). Il relativismo, inteso invece in senso deteriore, indica la mancanza di conoscenze invarianti, indifferentismo, nichilismo: tuttavia è anche vero che vari sistemi morali hanno caratterizzato e tuttora caratterizzano gruppi sociali differenti, società diverse, individui particolari. L’esperienza documentata e tangibile dimostra che ci sono stati sistemi di valori diversi nel corso della storia umana, e che anche nel tempo storico attuale esistono diversi sistemi di valori, relativi a situazioni socio economiche determinate. Il nostro intento è quello di provare a scoprire e spiegare le correlazioni fra la vita sociale reale e questi differenti modi di pensare e di valutare le cose (determinismo politeista?). Banalmente proviamo a lumeggiare i rapporti di interazione dialettica fra struttura e sovrastruttura, tipici di una certa formazione sociale, relativa a un certo tempo storico.

 

Prima parte; neo-gramsciani e proposizioni apodittiche

Come già espresso nella premessa, l’intera argomentazione sull’incompletezza della teoria dei modi di produzione è inficiata da due posizioni sbagliate: uno) Marx non avrebbe ben chiarito le caratteristiche dei vari modi di produzione, quindi in assenza di tale chiarimento risulterebbe arduo spiegare il senso e le cause socio-economiche dei passaggi da un modo di produzione al successivo. Due)la teoria dei modi di produzione potrebbe dare adito all’accusa di finalismo, piano della storia, teleologia.

Entrambe le affermazioni sono apodittiche, cioè sono prive di prove documentabili e contrastano con il significato realmente contenuto nei testi di Marx ed Engels, derivano dunque da una errata ermeneutica/esegesi dei testi.

Nei vari libri del capitale, a proposito della prima obiezione, troviamo svariate descrizioni dell’economia e della società feudale, evidentemente fondamentali per comprendere il senso dell’economia manifatturiera capitalistica come superamento dell’impresa artigiana.

Nel libro terzo del capitale, troviamo ben precise descrizioni di realtà economiche (in India) dove non predomina ancora il valore di scambio e la merce, e dunque la produzione avviene su base comunitaria.

In effetti Marx ed Engels si limitano a sostenere che un diverso modo di produzione, per dirsi tale, dovrà essere basato sul superamento dell’alienazione capitalistica del lavoro, della riduzione dell’uomo a cosa (reificazione) e della mercificazione tendenziale di ogni aspetto della realtà.

Quindi dovrà essere un modo di produzione ‘umano’, basato sui bisogni dell’umanità e non del capitale e dell’esistenza parassitaria della borghesia che possiede il capitale o semplicemente gode dei frutti dell’economia capitalistica.

Più chiari di così.

La seconda obiezione è esclusa in partenza, come già chiarito nella premessa, dal fatto che il marxismo supporta le proprie argomentazioni con i dati dell’esperienza storica, per trarne dei modelli scientifici predittivi, quindi astratti, ma successivamente verificati sperimentalmente, ulteriormente, sul campo dell’esperienza storica.

Postilla

Esiste o meno un processo storico necessario e inevitabile che conduce dal capitalismo al comunismo? Se ragioniamo nei termini di un modello astratto la risposta è si, potremmo addirittura paragonare, infatti, l’organismo sociale all’organismo umano, e sostenere che come la fase della gioventù lascia il passo alla maturità e alla vecchiaia, così pure il capitalismo prepara la base materiale per il comunismo. Tuttavia nella vita reale un giovane può morire, a causa di svariati motivi, prima di diventare adulto, e quindi lo schema astratto sequenziale non trova in quel caso realizzazione. Noi non neghiamo che in molti casi si verifichi un passaggio dalla gioventù alla età matura, sosteniamo solo che in certi altri casi questo non accade. Lo schema di sviluppo dei modi di produzione descritto da Marx va inteso come uno modello scientifico, infatti esso prefigura (ad esempio nel Manifesto) una doppia possibilità di sviluppo per la modernità. Prima ipotesi: il proletariato riesce a spezzare il dominio borghese, e allora il cadavere del capitalismo lascia il posto a un nuovo modo di produzione. Seconda ipotesi: il proletariato non riesce a compiere la sua funzione storica, e allora i miasmi del cadavere capitalistico intossicano progressivamente la realtà umana, il pianeta inteso come ecosistema, e infine rendono impossibile la stessa vita. Non bisogna fare a Marx il torto di attribuirgli una concezione finalista della storia, il futuro può essere schematizzato in sequenze di sviluppo, è vero, ma questo non significa che gli schemi previsionali debbano necessariamente verificarsi. Il divenire dell’essere reale, sul piano storico e non solo su tale piano, nella sua essenza profonda è segnato sempre da un certo grado di imprevedibilità. O almeno è questa la percezione del movimento reale che definiamo coi nomi più diversi, da millenni. La base di questo dato di fatto è nella concezione del divenire come un entrare ed uscire delle cose dal nulla e nel nulla: in ultima istanza non può mai esservi una conoscenza assoluta di ciò che proviene dalla regione del nulla. La scienza premoderna epistemica (dal greco, ciò che sta saldo e immutabile) forgia delle leggi a cui il divenire sarebbe costretto ad uniformarsi. Tuttavia queste presunte leggi immutabili vengono spesso smentite dai fatti. La scienza moderna è invece basata sul rifiuto pragmatico delle leggi assolute epistemiche, e tenta di stare dietro i cambiamenti del divenire con un apparato conoscitivo di tipo ipotetico probabilistico. In questo modo la conoscenza e il dominio di un mondo mutevole risultano molto più efficaci. Tuttavia la scienza moderna, per quanto più efficace della sua antenata epistemica, è comunque espressione di una società divisa in classi. La separazione della parte dal tutto è sempre la sua cifra di riferimento. La teoria marxista invece, collegandosi alla esperienza pratica della lotta di classe millenaria, al sapere da essa prodotto, e alla memoria delle lontane società senza classi, testimonia l’esistenza di un modo diverso di vivere e di pensare in armonia, in accordo con la radice profonda dell’essere (l’unità dialettica delle parti dell’intero, cioè della totalità). Distinzione e unità. Discreto e continuo. La scoperta di nessi di causa ed effetto fra fenomeni concomitanti sul piano spazio temporale, svolge la funzione vitale di consentire l’organizzazione ordinata della realtà, un ordine che si impone sul caos, come evento necessario alla vita umana. La molteplicità caotica primigenia viene suddivisa in fenomeni distinti: il risultato potremmo assimilarlo al piano del discreto della fisica moderna. Il linguaggio svolge una importante funzione evolutiva, con il suo aiuto vengono attribuiti i nomi alle cose, una identità precisa, ma in una parte della memoria sociale permane il ricordo della relazione, dunque della con-fusione primigenia della parte con il tutto. In effetti la parte può esistere solo se c’è un tutto che la comprende, ovvero un sistema di relazioni fra le varie parti del tutto. Per questo motivo Eraclito scrive di uomini che nella notte (dell’ignoranza) accendono un lume (le distinzioni categoriali del piano discreto), spegnendo la vista alla luce del logos (la verità dell’essere come insieme dei nessi inscindibili fra le parti dell’intero). L’intero è l’essere reale, e il suo essere un interezza nasce dell’esclusione ontologica della possibilità che ad esso possa aggiungersi un qualcosa di non ancora esistente, proveniente dunque dalla impossibile regione del niente. Il marxismo, richiamando il concetto di uomo comunista come realtà onnilaterale, ente disalienato, libero di esistere in armonia con il tutto, continua un filone di ricerca ultra-millenario, esprimendo nel modo più realistico possibile la scelta per la luce del logos, contro il lume della distinzione e ipostatizzazione dei fenomeni del mondo. Il logos marxista richiama la totalità dell’essere reale come società umana disalienata, armonia e gioia di esistere in quanto unione, accordo fraterno di uomini onnilaterali. Potremmo definire una società comunista reale l’accordo gioioso e fraterno fra uomini liberi, come il massimo della distanza dalle esperienze storiche spacciate per comunismo. Ma torniamo, al problema della predestinazione del passaggio (transizione) da un modo di produzione ad un altro. Se la transizione esiste, dirà qualcuno, allora deve esistere anche una direzione e una conclusione del processo di transizione. Questo è vero, nel senso che ogni fenomeno reale ha un inizio e una fine (mettendo in sordina per un momento il concetto di eternità aspaziale e atemporale postulato nel continuum quantistico, e nei presocratici). Tuttavia l’esperienza pratica della storia ci dice solo che una fine deve esserci, anche se è impossibile stabilire con certezza assoluta quale sarà questa fine fra le varie possibili. Si obietterà che non tutte le fini possibili hanno uguale probabilità di verificarsi, e anche questo è vero, tuttavia nel caso specifico della fine del capitalismo non possiamo ignorare i forti segnali di una transizione catastrofica verso l’autodistruzione. Uno sviluppo industriale non sostenibile per la sopravvivenza dell’ecosistema è già un segnale reale, la passività del proletariato è anch’essa un segnale reale, l’esistenza di arsenali nucleari in grado di distruggere mille volte la vita presente sul pianeta è un dato reale. Il meccanicismo scientista dirà che l’attuale fase entropica del sistema sociale borghese prelude ad un passaggio (rottura, collasso, crollo), verso lo stadio sociale successivo. Questa è una concezione ingenua dei processi storici, intrisa di fatalismo deteriore, senso della predestinazione, e in fondo di ignoranza del fatto che all’uomo non è consentito conoscere in anticipo, con certezza assoluta, il corso delle cose future. Non a caso il marxismo elabora modelli scientifici previsionali sul piano di lettura della realtà socio-economica, indicando nel Manifesto futuri alternativi ed esiti differenti per il divenire storico della lotta di classe. Possibilità di sviluppo non certezza assoluta (legge epistemica pregalileana). Il marxismo dunque contiene un doppio approccio conoscitivo: sul piano della previsione del corso storico esso constata l’esistenza di fattori determinanti invarianti, storicamente relativi ad un certo tipo di economia e di società. Invarianza non significa verità assoluta, ma solo la constatazione fattuale che nella vita reale di una specifica organizzazione socio-economica agiscono in modo preponderante alcuni fattori e non altri. Questa constatazione è continuamente verificata, e dunque confermata, dal corso passato e presente degli eventi. Dunque è possibile prevedere, non affermare con certezza assoluta, che anche il corso futuro degli eventi si adeguerà alle leggi scientifiche del marxismo. In secondo luogo l’approccio conoscitivo del marxismo è di tipo meta-scientifico, nel senso di essere conoscenza veritativa della realtà dell’essere e non semplice previsione scientifica ipotetico probabilistica. L’uomo onnilaterale è infatti l’apertura della parte alla totalità, è la restaurazione e reintegrazione dell’uomo nell’unità dell’essere materiale e naturale. Trasmutazione alchemica del piombo in oro, unità (unione mistica) del microcosmo e del macrocosmo. L’uomo nuovo (e insieme antico) comunista, come esito migliore della storia, esito possibile ma non inevitabile. Il fatto di non avere la certezza assoluta della vittoria storica del nuovo/antico modo di produrre comunista, cioè di un modo superiore di vivere e di pensare, non implica la negazione della nostra lotta perché l’umanità viva giorni migliori. La nostra stessa esistenza come organismo politico (ma anche quella di altri a noi similari) presuppone una volontà di sfida agli ostacoli (pessimismo, passività, apparati di potere ideologici e non solo ideologici) che testimonia una assenza di rassegnazione alla sconfitta del sogno della rivoluzione e quindi all’autodistruzione/mineralizzazione della vita sul pianeta.

 

Seconda parte: Stufentheorie (Teoria degli stadi)

Alcune definizioni neo-gramsciane del materialismo storico: Il modo di produzione è il centro teorico e pratico da cui tutto si sviluppa….(in cui si registrano n.r) fasi diverse della storia della produzione… forme del produrre umano”.

Una volta scoperto il nocciolo essenziale della ”materialistische Geschichtsauffassung”, sorge la domanda ”in primo luogo come Marx concepisca la presenza di leggi globali del corso storico, e in secondo luogo come egli riesca ad ordinarne ogni specifico periodo”.

Le risposte ai quesiti sono le seguenti: Marx formula le cosiddette leggi generali del corso storico per generalizzazione e astrazione, inoltre ”Marx formula la teoria del modo di produzione capitalistico – senza concluderla fra l’altro – per differenza, tenta di scoprire sia le caratteristiche della produzione e del lavoro in astratto, sia gli aspetti astrattamente comuni a qualsivoglia modo di produzione”… Mentre per le caratteristiche astratte del capitalismo questa modalità per “sottrazione” può ancora funzionare, per gli altri modi di produzione non funziona completamente, in quanto, mancando le modalità specifiche, manca anche la loro teoria” ”quindi è difficoltoso accettare la generica periodizzazione proposta da Marx nella Prefazione a Per la critica dell’economia politica”…”d’altronde l’interesse di Marx per la forma feudale è soprattutto volto ad accertare il processo di formazione del modo di produzione capitalistico, mentre risulta in secondo piano lo studio specifico del modo di produzione feudale”.

Soffermiamoci su queste posizioni. In primo luogo sul metodo di definizione di un modo di produzione per ‘differenza’ con la produzione astratta. In genere il pensiero umano procede, inizialmente, per coppie di opposti, anche se nella realtà le antitesi nette sono l’eccezione, mentre la regola è il divenire dialettico dei contrari, il trapasso dell’uno nell’altro, la compenetrazione e la sintesi dei contrari. Il modello (schema) scientifico dei modi di produzione procede per sottrazione, non ci soffermeremo su questa convinzione in quanto troppo generica, mentre Marx ricorda in vari scritti la metodologia impiegata:1) studio della genesi del fenomeno; 2) studio della composizione/articolazione interiore dei suoi caratteri; 3) studio della relazione del fenomeno con il sistema di cui è una parte.

Marx non studia in modo specifico l’economia feudale, ma il processo di trapasso dal feudalesimo al capitalismo, e quindi secondo alcuni neo-gramsciani nella teoria marxista mancherebbe uno studio specifico del modo di produzione feudale.

La critica ci sembra errata, più che altro essa è l’espressione di un bisogno di assoluti essenziali, in cui il puro feudalesimo (la sua idea platonica), metafisicamente separato dal divenire storico, vivrebbe astrattamente al di fuori dalla commistione con i precedenti modi di produzione e con il nascente, successivo, capitalismo.

Marx studia le differenze fra lo sfruttamento esplicito del servo della gleba costretto alla corvée da parte del signore feudale, e l’apparente libertà del proletario rispetto al capitalista. Lo studio è volto alla comprensione della realtà capitalistica, anche per ‘differenza’, o meglio per comparazione fra i due modi di sfruttamento del lavoro umano. Lo scopo dello studio marxista non è quello di fare la storia specifica  dei modi di produzione (classisti) che hanno preceduto il capitalismo, ma quello di coglierne i tratti comuni (di oppressione) e le specifiche differenze ( all’interno di questi tratti comuni), per fornire una valida conoscenza alla classe proletaria e alla sua avanguardia politica.

La periodizzazione dei modi di produzione non vuole dunque essere una sequenza di idee platoniche pure, un catalogo di figurine storiche immacolate, ma un riconoscimento della esistenza del divenire dei modi di produzione sotto la spinta di successive accumulazioni di fattori socio-economici materiali (in primis la lotta di classe).

Lo schema può dunque essere utile, a dispetto della sua presunta incompletezza, proprio perché il suo scopo non è una distaccata conoscenza accademica, ma il contributo ad una conoscenza funzionale alla lotta di classe del proletariato.

 

Parte terza: Letture neo-gramsciane, il dispotismo capitalista trasformato in miraggio del futuro (epilogo)

Andiamo a concludere la disamina di alcune posizioni neo-gramsciane, dopo esserci sforzati di seguire un pensiero e un linguaggio lontani dalla nostra teoria, senza preconcetti, eppure costretti come sempre a constatare i suoi gravissimi errori.

Talune posizioni neo-gramsciane si rivelano in fondo debitrici della equazione statizzazione uguale socialismo. Eccone un esempio liberamente riassunto:

”La discussione sul passaggio dall’economia pianificata a elementi di economia di mercato, nei paesi socialisti, nel periodo degli anni sessanta e settanta, può aiutarci a fissare alcuni aspetti della discussione sul futuro modo di produzione comunista”.

Dunque negli anni sessanta e settanta, leggiamo che nei paesi socialisti…e qui ci fermiamo, perché nonostante una parte dei libri di storia, anche di orientamento lontano dalla nostra corrente, riconoscano la natura capitalistica di quei paesi, qualcuno li definisce, en passant, ancora paesi socialisti.

A rinforzo dell’aggettivo socialista, attribuito inopinatamente a realtà economico-sociali dove vigevano tutte le categorie dell’economia capitalistica, l’argomentazione continua così: ”Gli esperimenti sviluppati in paesi come la Cina, il Venezuela, Cuba, e la Corea del nord, in modo abbastanza differente, in certi casi con dei considerevoli successi nel campo delle conquiste sociali, come vanno intesi?

Rispondiamo subito: vanno intesi come sistemi di sfruttamento e di oppressione capitalistica, ecco un concetto chiaro e senza contorsioni amletiche. I regimi politici non si valutano dall’abito che indossano, ma dal loro operato concreto (così come per Marx la scienza non si ferma alla superficie delle cose, ma cerca di vedere in profondità, oltre la superficie). Ben strani paesi socialisti quelli che, negli anni ‘gloriosi’ del socialismo reale, rinchiudevano nei gulag i proletari rivoluzionari, o gli attuali paesi dove avvengono gli esperimenti di socialismo di mercato, in cui si mandano le truppe corazzate a reprimere gli scioperi.

Nel corso del tempo il capitalismo, inteso come regime di fabbrica, e apparato statale derivato, è stato costretto a fare fronte con metodi sempre più dispotici all’incremento del conflitto di classe causato dalla miseria crescente e dall’aumento dello sfruttamento. La forte presenza dello stato, a prima vista scambiata per un segnale di socialismo, è in realtà la risposta funzionale, dialettica, della borghesia alle minacce sociali create dalle contraddizioni del suo stesso modo di produzione. Il dispotismo capitalista, in queste letture neo-gramsciane, si trasforma in un miraggio del futuro.

Dal travisamento delle esperienze di dispotismo capitalista, si passa poi alla valutazione possibilista del welfare socialdemocratico:E il sistema del welfare? Non potrebbe essere un sistema generalizzabile fino al punto di cancellare merce, denaro, salario, cioè le categorie dell’economia borghese? Infine l’intervento pubblico nell’economia potrebbe essere un’anticipazione del futuro modo di produzione, o solo un aspetto della ristrutturazione capitalistica?”

Cosa dire, qui si sostiene addirittura che il gradualismo riformista potrebbe, attraverso l’estensione del welfare, ”cancellare merce, denaro, salario, cioè le categorie dell’economia borghese”.

 Piene di illusioni sono lastricate le vie che portano all’inferno. 

 

Postilla

Donde si origina per Gramsci la filosofia della prassi? Forse dall’apparizione del proletariato come classe e dal suo divenire di forza rivoluzionaria in contrasto con la classe del capitalismo che lo ha originato e potenziata nello ambito stesso del proprio sviluppo? Forse per aver visto i termini di questa realtà storica Marx ed Engels non hanno elaborato i principi di questa teoria che veniva a costituire lo strumento più preciso e più valido non solo del pensiero e della conoscenza umana ma della stessa conquista rivoluzionaria? Non faceva Engels erede della filosofia classica tedesca proprio il movimento operaio tedesco?Ma ben altro è il suo processo formativo secondo Gramsci, per il quale la filosofia della prassi è nata «da tutto un passato culturale i cui termini più noti e salienti sono la Rinascenza e la Riforma, la filosofia tedesca e la rivoluzione francese, il calvinismo e l’economia classica inglese, il liberalismo laico e lo storicismo che è alla base di tutta la concezione moderna della vita». Premarxismo filosofico di Gramsci. Dunque un passato culturale…fermiamoci qui.

Tuttavia il percorso di sviluppo di questa concezione ‘pre-marxista’ è interessante, perché una sua caratteristica, cioè la ‘dialettica formale’, può essere assimilata, per analogia di contenuti, anche a certe modernissime correnti politiche che – pur professandosi estranee al gramscismo – sostengono nondimeno un percorso storico progressivo (non dialettico), in nome di una errata comprensione della formula marxista ‘il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente’. Citiamo ancora il testo del 49: ‘Allo stesso modo è immanentistica e soggetti-a la dialettica formale dello storicismo che concepisce la storia come svolgimento e come corrente e come flusso perenne entro cui ininterrotta circola l’attività della provvidenza o, che è lo stesso, dello spirito di cui è sempre così pieno l’immanentismo umanistico. D’altro canto come può considerarsi immanentistica e soggettiva la dialettica rivoluzionaria che il singolo annulla fondendolo nel collettivo; che alla continuità e al progressivo contrappone l’urto, l’eversione e il superamento violento? Gli è che la dialettica formale dello storicismo è concezione propria del moto borghese, mentre la dialettica rivoluzionaria – concezione di una nuova società la cui apparizione come forza egemonica sarà il risultato di una profonda e radicale lacerazione nel mondo delle cose prima ancora che nel mondo degli uomini – afferma che nella storia umana non vi è conciliazione di termini opposti, ma il loro contrasto in cui l’un termine deve necessariamente negare l’altro perché ne scaturisca una ulteriore affermazione di vita. «La contraddizione è ciò che spinge innanzi» ha scritto Hegel, ed è esatto’. Premarxismo filosofico di Gramsci 

Bastano queste citazioni per definire il senso della questione teorica contingente a cui prima alludevamo: dialettica formale come espressione/concezione del moto borghese, e quindi, di conseguenza, anche le attualissime posizioni di certe forze politiche sul comunismo inteso come movimento reale (graduale, progressivo, evolutivo) che abolisce (senza salti e urti dialettici rivoluzionari) lo stato di cose esistente, come pura espressione/concezione del moto borghese.

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