La rivoluzione anti-capitalista occidentale

 

Nota redazionale: Punto 1.  Ancora un testo degli anni 50, questa volta l’argomento è la possibilità di una rivoluzione anti-capitalista in occidente, che, dato il pieno grado di sviluppo industriale dell’economia capitalistica occidentale, non sarà una doppia rivoluzione (come nel 17, in Russia), ma un puro passaggio dal capitalismo pieno alla società socialista: rivoluzione non duplice, non «impura». Nelle righe iniziali il testo contiene una esplicita menzione al capitalismo russo, che sebbene spacciatosi per socialismo, in realtà si confronta  ‘in una economia mercantile mondiale unica’ e si scontra ferocemente ‘per la disputa delle sfere di mercato’.

I conflitti commerciali e politici si manifestano su ‘molte possibili linee di frattura’, cioè sui territori dove una serie di condizioni oggettive e soggettive pone in essere un regolamento di conti armato fra predoni imperialisti.

Sembra la descrizione delle attuali dinamiche di confronto/scontro fra i due maggiori blocchi imperiali del nostro tempo, nelle terre di Siria, Libia, Iraq, Ucraina/Donbass, Africa centrale e sub-sahariana… 

Punto 2.  Le economie capitalistiche di oriente e occidente presentano i caratteri  ‘delle crisi interne della produzione, delle guerre per i mercati, del crollo rivoluzionario’, in netto contrasto con la idilliaca visione di un sicuro destino di progresso. La realtà del capitalismo si afferma sulle narrazioni mistificatrici degli apologeti, che cianciano di mano invisibile del mercato come fattore di equilibrio, e di piena occupazione attraverso la leva macroeconomica della spesa pubblica, mostrando invece una realtà di  crisi ricorrenti da sovrapproduzione, la miseria crescente e il correlato orizzonte di un crollo rivoluzionario del sistema. Questa è la dimensione basica del capitalismo, che cammina sul filo del rasoio delle sue stesse interiori contraddizioni, giunte ormai ad un punto critico, e fa quindi affidamento sulla metamorfosi/passività della classe sociale proletaria, effetto derivato del parassitismo borghese, per prolungare la propria innaturale esistenza.

Punto 3. Il capitalismo sviluppa la tecnica e la ricerca scientifica come elemento funzionale della sua conservazione in quanto sistema economico-sociale. Infatti l’ineliminabile anarchia della produzione, e la correlata concorrenza aziendale e ricerca del profitto a mezzo della riduzione dei costi, implicano una continua innovazione, come si dice nel gergo degli studi manageriali, di processo e di prodotto. Quindi le imprese economiche capitalistiche innovano e migliorano nel campo tecnico scientifico, al fine di conservarsi sul mercato concorrenziale, in un contesto storico di caduta tendenziale del saggio di profitto. Industria 4.0 è la recentissima risposta del capitalismo al punto critico raggiunto dalle sue interne contraddizioni, un sistema sempre alla ricerca di condizioni di sopravvivenza alla sovrapproduzione di merci e alla caduta del saggio di profitto. L’abbattimento del prezzo di vendita delle merci, determinato dall’ulteriore riduzione dei costi di produzione, messo in essere dall’industria 4.0, può infatti sostenere la domanda e aiutare il capitalismo a conservare se stesso (ma anche le guerre svolgono, in modo diverso, la stessa funzione). In Occidente l’industria 4.0 per ora è presente soprattutto in Germania, mentre si afferma come tendenza nelle altre economie europee. Il vantaggio competitivo dato dall’industria 4.0, tuttavia potrebbe presto scomparire quando anche le economie emergenti rivali dovessero impiegare tale tecnologia produttiva in modo massiccio.

 

Punto 4. Marx formula, sulla base di evidenze storiche precise, e in riferimento alla stessa logica interna di sviluppo del capitalismo, una legge che esprime una regolarità socio-economica ampiamente verificata, eccola riassunta nel testo del 1953: ”successiva espropriazione di tutti i detentori di riserve di merci e di mezzi produttivi (artigiani, contadini, piccoli e medi commercianti, industriali, tesaurizzanti) giusta le leggi dedotte soprattutto dai cicli del capitalismo inglese. Così per l’accumulazione del capitale: massa sempre più grande assolutamente e relativamente di strumenti di produzione senza posa (e anche senza ragione) aumentati e rinnovati; concentrazione in un numero sempre minore di «mani», e non di «teste» (concetto precapitalista) di queste forze sociali, avendosi giganteschi complessi di stabilimenti ed aziende di produzione, prima ignoti”. Dunque stiamo parlando della progressiva espropriazione alcuni di soggetti sociali (artigiani, industriali, contadini), le cui attività o riserve patrimoniali (case, denaro tesaurizzato…) vengono incamerate o distrutte dalla concentrazione e centralizzazione dei capitali aziendali, quindi dagli inesorabili processi monopolistici/oligopolistici dell’economia reale borghese. Tale caratteristica tendenziale, si associa alla creazione inarrestabile di un mercato mondiale, dove si confrontano e si scontrano i maggiori giganti economici e statali emersi come vincitori nella dura lotta per la concorrenza. Inoltre si affermano i fenomeni della miseria crescente e della proletarizzazione del ceto medio, strettamente correlati alla introduzione del macchinario nei processi produttivi, e alla espropriazione crescente dei soggetti sociali prima menzionati.

Punto 5. Uno dei miti ricorrenti utilizzato in funzione di oppio ideologico di massa, negli anni 50 e 60, è stato quello della ‘società affluente’ovvero la società (innanzitutto occidentale) predisposta a fare ‘affluire’ la grande maggioranza della popolazione a un livello crescente di consumo di merci e servizi. Su questa impostura, negatrice delle leggi fondamentali del divenire capitalistico, è stata costruita una narrazione politico-culturale che ha riscosso un discreto successo, almeno fra quella parte maggioritaria di classe operaia manipolata e metamorfizzata dal parassitismo borghese (nell’attuale periodo di controrivoluzione).

Tuttavia ieri (1953) e oggi (2018); ”giace in pezzi la descrizione di questa pretesa società prospera, avviata verso un livellamento del tenore di vita e della ricchezza individuale, che sarebbe composta da una classe media senza classi estreme, e per giunta priva di aperte lotte sindacali e di partiti con programma anticostituzionale”.

Così come non può verificarsi, dato l’attuale tipo di società, una duratura ‘competizione/coesistenza pacifica’ fra le borghesie nazionali, o fra i blocchi imperiali in cui si fraziona l’attuale classe dominante, così pure è da considerarsi illusoria una permanente tendenza al miglioramento di massa del tenore di vita, in contraddizione con la legge storica della miseria crescente. 

I conflitti locali dell’immediato dopoguerra, e soprattutto il quadro degli eventi economico-sociali successivi al 1945, hanno dimostrato che il temporaneo bagno di giovinezza della seconda guerra mondiale, inteso come distruzione di capitale costante e variabile in eccesso, non è bastato ad assicurare un duraturo rilancio del ciclo di valorizzazione dell’economia capitalistica, e soprattutto per garantire, a tutti i capitali in lotta per il profitto, adeguate condizioni di impiego. Infatti la guerra moderna, e la sua basica funzione di distruzione rigeneratrice dell’accumulazione del capitale (la sua riproduzione allargata), si è ben presto scontrata con la dicotomia sistemica: vulcano della produzione versus palude del mercato.

 

Punto 6. L’innovazione tecnologica ha radicalmente ridotto il tempo di lavoro necessario a produrre le merci. Nell’attuale società divisa in classi tale circostanza non si è affatto tradotta, per l’uomo, in una liberazione dal carico medio di lavoro, ma viceversa è diventata un fattore di aumento dello sfruttamento (permanendo invariato il tempo medio di lavoro giornaliero, a fronte di un incremento della produttività determinato dall’innovazione tecnologica). L’industria 4.0 funziona in un modo che esclude quasi del tutto la presenza del lavoro salariato, ma questo avviene, paradossalmente, senza avere nessuna conseguenza sul tempo medio di lavoro giornaliero. Secondo il testo del 1953 ”l’industrializzazione di ogni sfera di attività spinta al massimo, mostrano una società che le sorpassa tutte quanto a dominio del «lavoro morto» (Marx), o capitale cristallizzato in macchine, costruzioni e masse di materie prime e semilavorate, rispetto al «lavoro vivente» ossia alla attività incessante dei vivi uomini nella produzione. La vantata libertà sul piano giuridico non può dissimulare il peso e la pressione di questo cadavere, governatore dei corpi vitali”.
Il capitale morto è il governatore dei corpi vivi, da cui viene estratta l’energia del plus-lavoro, senza sosta, senza preoccupazioni morali per la vita del lavoratore, trasformando infine in una vuota illusione ogni vantata libertà ed uguaglianza dell’individuo sul piano giuridico-politico.

 

Punto 7. Un aumento del tenore di vita del proletariato di alcune nazioni occidentali, sempre inferiore comunque all’aumento della produttività del lavoro, non implica la negazione della legge della miseria crescente. Infatti essa viene descritta nel modo seguente:È pienamente chiarito che la legge della miseria crescente non vuol dire discesa del salario nominale e reale, ma aumentata estorsione di plusvalore e aumentato numero di caduti nella espropriazione di ogni riserva”.

 

Punto 8. Il testo ricorda che con L’aumento della produttività del lavoro che è stato in tutto il ciclo del capitalismo in America di diecine di volte, significa che con lo stesso tempo di lavoro viene elaborata una quantità di prodotti diecine di volte maggiore di un tempo”. Ebbene, questa circostanza che potrebbe significare la realizzazione di un profitto dieci volte maggiore rispetto al passato, in realtà deve fare i conti con il mercato e la domanda. Infatti per monetizzare un profitto 10 volte maggiore, come nell’esempio dell’America bisognava che quantità di prodotti dieci o venti volte maggiori trovassero acquirenti. Ed allora il capitalista si contenta di un minore «tasso di profitto» e aumenta la remunerazione dell’operaio, poniamo anche al doppio in valore reale ogni volta che la produttività si decuplica: ribassa al tempo stesso il prezzo di vendita perché la merce contiene due e non dieci di lavoro, e si trova dei clienti nel suo stesso personale”. 

Nella sfera della produzione il plusvalore incorporato nelle merci, sebbene superiore, ammettiamo, di dieci volte rispetto al passato, non significa nessuna utilità per il capitalista, se poi non si trasforma in ricavo di vendita ed entrata monetaria nella sfera della circolazione/distribuzione, e quindi in una successiva auto-capitalizzazione (riproduzione allargata del capitale).  Tuttavia la vendita della merce e la monetizzazione del plus-valore in essa incluso, implicano l’esistenza di acquirenti, per questo motivo ( ma non solo per questo, in realtà anche per ragioni di stabilità sociale) è plausibile che il capitalismo consenta limitati aumenti salariali, o misure assistenziali-previdenziali come il reddito di cittadinanza e le pensioni.  In ogni caso, l’incremento del fattore tecnico all’interno del capitale aziendale, erodendo il numero di lavoratori impiegati nella produzione e quindi da sfruttare, determina la caduta del saggio medio di profitto. Qui la legge della discesa del tasso di profitto con l’aumento di produttività del lavoro e con la migliorata composizione organica (parte costante rispetto al tutto) del capitale. Ora tutte le deduzioni sulla impossibilità di questo sistema di tirare in lungo stanno e posano sulla verifica della legge di discesa del tasso”.
Una risposta immediatamente logica e sensata rispetto alle dinamiche del capitalismo è la seguente ”domini il lavoro vivente su quello morto! Si volga l’aumento di produttività non ad un pari folle aumento di inutile quando non rovinosa produzione, ma al miglioramento delle condizioni del lavoro vivo, ossia si riduca il tempo giornaliero di lavoro drasticamente”.

 

Punto 9. Il testo ricorda che il ritmo di crescita dell’America ”che già nel 1850 Engels definiva come il paese in cui la popolazione raddoppia in venti anni, se è anche il paese in cui la produttività triplica in dieci ani e quindi in venti si sestuplica (o, con la legge di progressione geometrica da Stalin sognata per la Russia, diviene nove volte tanto) non è dunque il paese dove il socialismo «europeo» è inapplicabile, ma quello che ci ha sopravanzati di gran lunga nella marcia verso la pletora-crisi e la pressione esplosiva del capitalismo”.

Dunque la ‘pletora’ di merci inutili, la sovra-accumulazione di capitale costante e la sovrappopolazione relativa stagnante/latente, cronica (forza lavoro inutilizzata), in quanto fattori di pressione esplosiva, spingono il capitalismo americano verso la crisi. Riassumendo: il capitalismo USA, in quanto realtà socio-economica che sopravanza tutti nella marcia verso la ‘pletora-crisi, è anche quello che marcia più velocemente verso la possibilità del socialismo.

Infatti ”L’apertura al proletariato di credito con il vendergli a rate articoli di lusso nel senso economico lo rende un più perfetto «paupero» e senza-riserva: il suo bilancio non è solo divenuto quello di chi possiede zero, ma quello di chi ha ipotecata una massa di lavoro futuro per arrivare a zero: una vera schiavitù parziale”.

Il giro consumistico delle vendite di merci prevalentemente inutili e dannose, viene oliato tramite gli acquisti con modalità di pagamento a rate (il cosiddetto credito al consumo), provocando l’effetto derivato di un crescente impoverimento dei consumatori-proletari, costretti ad ipotecare il lavoro futuro per consentire al capitale, in ultima analisi, la monetizzazione nella sfera della circolazione del loro stesso plus-lavoro/plus-valore, in precedenza sottratto ad essi nella sfera della produzione.

‘Socialmente tutti questi consumi corrispondono a reti di influenza e spesso di corruzione degenerativa a vantaggio della classe dominante e delle tendenze di costumi e ideologie che le convengono. L’apparato mostruoso della pubblicità costringe il proletariato a comprare col suo sopra-guadagno prodotti di consumo dalle qualità illusorie e spesso nocivi. La libertà personale della prospera America aggiunge al dispotismo di fabbrica del capitale il dispotismo e la dittatura sui consumi standardizzati e scatoliformi della classe sfruttata, cui si fabbricano bisogni assurdi per non darle ore di libertà dal lavoro e non fermare l’inondazione mercantile”.

Nelle righe soprastanti troviamo la critica e l’analisi ”ante litteram” del fenomeno in seguito definito (nell’accezione comune) ‘consumismo’. E’ interessante notare come in queste righe si rilevi la presenza, proprio nella prospera e apparentemente libera America anni 50, di un doppio livello di oppressione della classe sfruttata: il dispotismo di fabbrica del capitale, e la dittatura sui consumi; quest’ultima avviene nella sfera della circolazione, dove lo stesso capitale monetizza il plus-lavoro/plus-valore in precedenza estratto dal lavoro salariato nella sfera della produzione.
Anche il metodo della compartecipazione dei proletari ai dividendi aziendali viene descritto nei suoi aspetti effettivi: ”Non diverso effetto ha il sistema di attribuire minime aliquote di dividendo della fabbrica in ragione del salario annuale. Fatto il conto su certi dati statistici, nei casi migliori si ha un aumento di salario del 5 o poco più per cento, assai bene recuperato con questa sferzata allo zelo dell’ingenuo e corbellato «azionista»”.

Punto 10. La teoria delle crisi ricorrenti dell’economia capitalistica ha come base l’aumento della produttività, e dunque la correlata caduta del saggio di profitto. Tutte le costanti di funzionamento del capitalismo sfociano nella ineluttabile caduta del saggio di profitto e nelle crisi ricorrenti, a loro volta le crisi economiche tendono a trasformarsi in crisi sociali e politiche, e quindi nella possibilità di una rivoluzione anti-capitalista. Di fronte a questo scenario potenziale, l’organismo parassitario borghese getta la maschera liberale, e risponde con il passaggio alla violenza cinetica dei regimi fascisti, costretti almeno all’inizio ad usare la violenza aperta per contrastare la minaccia della rivoluzione anti-capitalista. Successivamente, e in verità solo dopo avere sconfitto l’antagonista sociale proletario, il parassitismo borghese riesce a manipolare la coscienza e la volontà della maggioranza della classe sfruttata, inducendola ad una metamorfosi contraria ai suoi stessi interessi di classe. In ‘Prometeo incatenato’ vengono descritte in dettaglio le fasi di questa metamorfosi.

 

Punto 11. La teoria dell’imperialismo di Lenin, da noi ripresa in ”Chaos Imperium’, delinea i movimenti del capitalismo maturo, con la sua pletora di merci e mezzi di produzione, indirizzati verso i mercati dove la produttività e l’industrializzazione sono ancora in una fase iniziale di sviluppo. Questi mercati sono un ottimo sbocco per le merci prodotte nelle economie sviluppate, e inoltre sono anche una valida possibilità di impiego per il surplus di capitale costante, stante il basso costo del lavoro esistente nelle aree economiche in via di sviluppo. Quando queste valvole di sfogo geo-economiche si esauriscono, in quanto a loro volta in cammino verso gli stadi maturi del capitalismo, allora l’organismo parassitario capitalista (nel suo complesso, economie mature e meno mature) veleggia verso la distruzione rigeneratrice della guerra. Prima o poi, durante queste fasi differenti del ricorrente dramma capitalistico, può aprirsi, proprio nel cuore più maturo del sistema, uno squarcio verso la libertà, verso la fine della schiavitù. Infatti, è verosimile che l’azione di classe proletaria si manifesti con forza, in definitiva, proprio dove le interiori contraddizioni del capitalismo siano giunte al massimo grado di intensità: Piazzato dove si voglia il primo pezzo di artiglieria e lanciato il primo V2, magari dalla Luna, è certo che si deve colpire al centro il sistema americano per applicargli robustamente la vicenda del freno al consumo e alla produzione follemente crescenti, insegnando che è ben vero che «non de solo pane vivit homo», ma che se quest’uomo si ammannisce in sei minuti il pane della giornata, quando lavora più di due ore non è uomo, ma fesso”.

Punto 12: Una volta ipotizzata la correlazione fra il capitalismo ultra-maturo e la maggiore possibilità di manifestazione del conflitto sociale, si pone il problema del Perché manchi il partito comunista con programma integrale e rivoluzionario in America, sebbene il programma sia così «attuale» e la maturità delle condizioni tanto spinta, da significare disfacimento in potenza”questo …”è grande problema storico che si imposta alla scala mondiale”.

In varie analisi presenti sul sito (ad esempio ‘Chaos Imperium’, ‘IS e politica imperiale del caos’, ‘The duellists’, ‘Ruina imperii’), abbiamo ipotizzato l’esistenza, in America, di maggiori fattori storici –la maturità delle condizioni- suscettibili di condizionare il corso degli eventi in senso catastrofico. Il testo del 1953, tuttavia, pone l’attenzione anche sull’esistenza di un fragile, debole, terreno politico su cui potrebbe con difficoltà consolidarsi una possibilità rivoluzionaria, in America. Ecco un Analisi delle cause: ”La terza ondata opportunista che ha schiantato il movimento marxista del primo dopoguerra immediato ha tre aspetti: riduzione a capitalista della forma di produzione sviluppantesi in Russia – abbandono delle rivendicazioni comuniste da parte dello Stato politico russo – politica di alleanze militari di questo e di alleanze politiche dei paralleli partiti in Occidente, su rivendicazioni di natura borghese e democratica. Il brusco passaggio dalla apologia del regime capitalista americano come amico e salvatore del proletariato mondiale alla denunzia di esso come nemico della classe lavoratrice, quasi lo fosse divenuto solo nel 1946, non poteva che ulteriormente sabotare la preparazione rivoluzionaria del proletariato in America, e frapporre remore storiche allo sviluppo colà di un vero partito di classe”.

La esplicita scomparsa della mascheratura socialista in Russia, e nei paesi dell’ex patto di Varsavia, costituisce oggigiorno un elemento di maggiore chiarezza rispetto al passato, fermo restando, tuttavia, il problema di chi ancora oggi ritiene erroneamente che nel 1991 (con il crollo del muro di Berlino) sia finito il ‘comunismo’ nei paesi dell’Europa orientale. Oppure, sempre restando nel campo delle barzellette e delle favole, il problema di chi ritiene che in Cina sia in atto un cammino verso il socialismo. In altre parole intendiamo dire che bisogna mettere in conto che la disinformazione e mistificazione, per vari decenni attivissima nello  spacciare per socialismo il capitalismo russo e cinese, difficilmente smetterà di agire sulle menti umane da un giorno all’altro, come per incanto. Inoltre stiamo progressivamente scoprendo che alcune correnti politiche contemporanee, sotto l’egida del neo-gramscismo, ripropongono una lettura socialista di esperienze socio-economiche, passate e presenti, di indubbio conio capitalistico.

Punto 13 e conclusioni. La crisi della forma capitalistica americana e occidentale, detto con altra formula linguistica, la traiettoria e catastrofe del capitalismo, non potrà essere rinviata sine die. Come non potrà essere rinviata all’infinito l’alternativa fra comunismo e mineralizzazione del pianeta. Infatti,  ”non si deve seguire il miraggio che nuovi espedienti o schieramenti di pochi pretesi studiosi della storia possano valere più delle storiche conferme già date dagli eventi alla originale costruzione marxista rettamente intesa e seguita. Le condizioni di ideologia di coscienza e di volontà non sono un problema diverso e regolato da influssi diversi dalle condizioni di fatto di interessi e di forze. Il partito comunista difende la situazione futura di un ridotto tempo di lavoro a fini utili alla vita, e lavora in funzione di quel risultato dell’avvenire, facendo leva su tutti gli sviluppi reali.
 
La libertà perseguita dal partito comunista è quella dal carico di ore di lavoro utili solo ai bisogni del parassitismo capitalistico, e non certo una libertà astrattamente assoluta. Quella conquista che sembra miseramente espressa in ore, e ridotta a un conteggio materiale, rappresenta una gigantesca vittoria, la massima possibile, rispetto alla necessità che tutti ci schiavizza e trascina. Anche allora, soppresso il capitalismo e le classi, la specie umana soggiacerà alla necessità data dalle forze naturali e resterà un vaneggiamento l’assoluto filosofico della libertà”.

Conclusa la disamina e il commento dei tredici punti in cui si articola il testo del 1953, resta da chiarire ai lettori e ai compagni il motivo della sua ripubblicazione. Ebbene è presto detto, come ben si evince da una sua lettura anche superficiale, il testo costituisce una utilissima summa di posizioni e analisi, lucidamente marxiste, sulla sempre attuale questione del rapporto fra la società capitalistica e la sua traiettoria immanente di crisi e catastrofe.  

Forse ci illudiamo solo, ma in un periodo storico di permanente riflusso controrivoluzionario, la chiarezza esplicita di un testo come ‘La rivoluzione anti-capitalista occidentale’, potrebbe servire, a risvegliare o far rinsavire qualcuna delle molte pecorelle smarrite nei boschi dell’ideologia borghese,  in fondo ingannate dagli innumerevoli travestimenti indossati dal parassita sociale che produce questa ideologia.

La rivoluzione anti-capitalista occidentale

1. Stabilita la valutazione della fase mondiale successiva alla Seconda Guerra imperialista, restando chiaro che il consolidamento dopo due vittorie delle grandi centrali capitalistiche imperiali non coesiste (come non potrebbe coesistere e convivere) col consolidamento di uno Stato operaio e costruente socialismo in Oriente – ma si tratta del rapporto tra forme di capitalismo maturo e forme di capitalismo recente e giovane, che possono sia incontrarsi in una economia mercantile mondiale unica, sia venire a conflitti armati per la disputa delle sfere di mercato, con molte possibili linee di frattura – va portata l’attenzione sul passaggio in Occidente dal capitalismo pieno alla società socialista: rivoluzione non duplice, non «impura».

2. Come i dati dell’economia sociale russa nella versione «ufficiale» di Stalin sono da noi stati ricondotti a quelli classici che definiscono il capitalismo, battendo le due tesi che siano forma socialista o che siano forma «nuova» già ignota al marxismo (seconda tesi più della prima sciagurata), così quelli della economia di Occidente e in primis di America, anche accettati da fonte «ufficiale» della sporca propaganda del «mondo libero», sono in tutto collimanti colla marxistica descrizione del capitalismo da cui si deduce senza scampo il corso – opposto alla apologetica di equilibri e progressi – delle crisi interne della produzione, delle guerre per i mercati, del crollo rivoluzionario, della conquista proletaria del potere con la distruzione dello Stato capitalista, della dittatura proletaria e della eliminazione delle forme di produzione borghesi.

3. Il modo capitalista di produzione una volta instaurato non può sostenersi se non accrescendo di continuo, non la dotazione di risorse ed impianti atti ad una migliore vita degli uomini con minori rischi, tormenti e sforzi, ma la massa delle merci prodotte e vendute. Crescendo la popolazione meno della massa dei prodotti occorre trasformarne le masse in maggiori (quali che siano) consumi, e in nuovi mezzi di produzione, infilando una via senza uscita. Questo il carattere essenziale, inseparabile dall’aumentata forza produttiva dei meccanismi materiali che scienza e tecnica mettono a disposizione. Ogni altro carattere relativo alla statistica composizione delle classi, e al gioco, indubbiamente influente, delle soprastrutture amministrative, giuridiche, politiche, organizzative ed ideologiche non è che secondario ed accessorio e non sposta i termini della fondamentale antitesi col modo di produzione comunista contenuta intera ed invariante nella dottrina proletaria rivoluzionaria, dal Manifesto del 1848.

4. In tutta l’economia mondiale sono verificati e ripetuti, anzi rafforzati, i caratteri dell’avvento e del processo capitalista fissati dalla monolitica valutazione di Marx: successiva, spietata espropriazione di tutti i detentori di riserve di merci e di mezzi produttivi (artigiani, contadini, piccoli e medi commercianti, industriali, tesaurizzanti) giusta le leggi dedotte soprattutto dai cicli del capitalismo inglese. Così per l’accumulazione del capitale: massa sempre più grande assolutamente e relativamente di strumenti di produzione senza posa (e anche senza ragione) aumentati e rinnovati; concentrazione in un numero sempre minore di «mani», e non di «teste» (concetto precapitalista) di queste forze sociali, avendosi giganteschi complessi di stabilimenti ed aziende di produzione, prima ignoti. Estensione inarrestabile, dopo la formazione dei mercati nazionali, di quello mondiale; dissoluzione delle isole chiuse di lavoro-consumo superstiti nel mondo.

5. Questa serie di conferme di ritmo assai superiore alla stessa attesa dei nostri teorici è data in primo luogo dall’economia americana e dai dati della produzione statunitense e dello stesso interno consumo in continua esaltazione. La questione è tra la possibilità di uno sviluppo continuo e senza scosse di una tale forma sociale, e l’attesa di dure scosse, crisi profonde, e sconvolgimenti che raggiungano le basi del sistema. Sono sufficienti a darle risposta le vicende di due grandi guerre mondiali e di una interposta gigantesca crisi di tutto l’apparato economico, nonché la instabilità in tutti i sensi di questo dopoguerra convulso, sicché giace in pezzi la descrizione di questa pretesa società prospera, avviata verso un livellamento del tenore di vita e della ricchezza individuale, che sarebbe composta da una classe media senza classi estreme, e per giunta priva di aperte lotte sindacali e di partiti con programma anticostituzionale. Per ora anche alla considerazione più banale della sotto-struttura americana risulta relegato tra i fantasmi l’antico Stato amministrativo, federativo, non burocratico e non militare, che si contrapponeva alle bellicose potenze europee secolarmente in lotta per egemonie: i dati di America su questo riguardo battono da lontano – assoluti e relativi – tutti gli indici del mondo e della storia umana.

6. La descrizione di una simile economia, anche per un momento basando le deduzioni sui soli rapporti interni, che vengono vantati stabili nella instabilità confessata delle questioni internazionali (essendosi d’altro canto rinunziato alla vecchia teoria di estraniarsi dalle faccende estere ed extra-americane!) conduce dritta a tutte le leggi marxiste e alla condanna storica del modo capitalista di produzione, che nessuno può fermare nella sua corsa verso la catastrofe e la rivoluzione.
La rete massiccia di stabilimenti e di impianti prima nel mondo, e la industrializzazione di ogni sfera di attività spinta al massimo, mostrano una società che le sorpassa tutte quanto a dominio del «lavoro morto» (Marx), o capitale cristallizzato in macchine, costruzioni e masse di materie prime e semilavorate, rispetto al «lavoro vivente» ossia alla attività incessante dei vivi uomini nella produzione. La vantata libertà sul piano giuridico non può dissimulare il peso e la pressione di questo cadavere, governatore dei corpi vitali.

7. L’aumentato tenore di vita del lavoratore quanto a massa dei suoi consumi ridotti ad una stessa misura di valore non è che conferma delle leggi marxiste sulla aumentata produttività del lavoro. Fanno impressione le statistiche a certe date cruciali: 1848, 1914, 1929, 1932, 1952, ma esse non svolgono che il nostro previsto ciclo. Se in dieci anni si vanta un aumento dei salari del 280 per cento, mentre l’aumento del costo della vita è stato del 180 per cento, vuol dire che l’operaio con il salario 380 deve comprare 280, ossia il miglioramento si riduce al 35 per cento. Nello stesso tempo si ammette che la produttività è aumentata del 250 per cento! Dunque l’operaio che dà tre volte e mezzo tanto riceve solo una volta e un terzo: sfruttamento e plusvalore cresciuti enormemente.
È pienamente chiarito che la legge della miseria crescente non vuol dire discesa del salario nominale e reale, ma aumentata estorsione di plusvalore e aumentato numero di caduti nella espropriazione di ogni riserva.

8. L’aumento della produttività del lavoro che è stato in tutto il ciclo del capitalismo in America di diecine di volte, significa che con lo stesso tempo di lavoro viene elaborata una quantità di prodotti diecine di volte maggiore di un tempo. Il capitalista una volta anticipava uno di lavoro e uno di materie prime, oggi uno di lavoro e dieci o venti di materie prime. Se il suo margine di profitto restasse lo stesso rispetto al valore del prodotto venduto, verrebbe il profitto reso dieci o venti volte maggiore. Ma per ciò fare bisognava che quantità di prodotti dieci o venti volte maggiori trovassero acquirenti. Ed allora il capitalista si contenta di un minore «tasso di profitto» e aumenta la remunerazione dell’operaio, poniamo anche al doppio in valore reale ogni volta che la produttività si decuplica: ribassa al tempo stesso il prezzo di vendita perché la merce contiene due e non dieci di lavoro, e si trova dei clienti nel suo stesso personale. Qui la legge della discesa del tasso di profitto con l’aumento di produttività del lavoro e con la migliorata composizione organica (parte costante rispetto al tutto) del capitale. Ora tutte le deduzioni sulla impossibilità di questo sistema di tirare in lungo stanno e posano sulla verifica della legge di discesa del tasso (che, vedi Dialogato, Stalin imprudentemente o filocapitalisticamente mollava).
Contro queste posizioni, e sempre più in quanto più esse divengono evidenti e stringenti, stanno le opposte dei comunisti: domini il lavoro vivente su quello morto! Si volga l’aumento di produttività non ad un pari folle aumento di inutile quando non rovinosa produzione, ma al miglioramento delle condizioni del lavoro vivo, ossia si riduca il tempo giornaliero di lavoro drasticamente.

9. L’America che già nel 1850 Engels definiva come il paese in cui la popolazione raddoppia in venti anni, se è anche il paese in cui la produttività triplica in dieci ani e quindi in venti si sestuplica (o, con la legge di progressione geometrica da Stalin sognata per la Russia, diviene nove volte tanto) non è dunque il paese dove il socialismo «europeo» è inapplicabile, ma quello che ci ha sopravanzati di gran lunga nella marcia verso la pletora-crisi e la pressione esplosiva del capitalismo.
L’apertura al proletariato di credito con il vendergli a rate articoli di lusso nel senso economico lo rende un più perfetto «paupero» e senza-riserva: il suo bilancio non è solo divenuto quello di chi possiede zero, ma quello di chi ha ipotecata una massa di lavoro futuro per arrivare a zero: una vera schiavitù parziale. Socialmente tutti questi consumi corrispondono a reti di influenza e spesso di corruzione degenerativa a vantaggio della classe dominante e delle tendenze di costumi e ideologie che le convengono. L’apparato mostruoso della pubblicità costringe il proletariato a comprare col suo sopraguadagno prodotti di consumo dalle qualità illusorie e spesso nocivi. La libertà personale della prospera America aggiunge al dispotismo di fabbrica del capitale il dispotismo e la dittatura sui consumi standardizzati e scatoliformi della classe sfruttata, cui si fabbricano bisogni assurdi per non darle ore di libertà dal lavoro e non fermare l’inondazione mercantile.
Non diverso effetto ha il sistema di attribuire minime aliquote di dividendo della fabbrica in ragione del salario annuale. Fatto il conto su certi dati statistici, nei casi migliori si ha un aumento di salario del 5 o poco più per cento, assai bene recuperato con questa sferzata allo zelo dell’ingenuo e corbellato «azionista».

10. La teoria delle crisi ricorrenti e sempre più gravi ha per fondamento quella dell’aumento di produttività e della discesa del tasso di profitto. Essa sarebbe superata solo quando quegli indici caratteristici del corso capitalista venissero a mancare. Tutto l’opposto è in America, e lo mostrano anche confronti degli industriali nostrani, che vorrebbero ad esempio in siderurgia da 80 tonnellate annue per operaio andare alle 200 americane. Chi non vorrebbe prendere il 4 per cento su 200 invece che 5 su ottanta?
La crisi economica intrinseca, ossia della «astratta» (come in Marx) America che dovesse mangiare tutto quello che produce, si scrive con formule e disegna con curve inesorabili. Uno specchio di merci che oscillano intorno alla media del pane ci viene a dire che oggi una libbra di pane l’operaio l’acquista con la remunerazione di 6 minuti primi del suo lavoro, mentre ve ne doveva dedicare 17 nel 1914. La popolazione operaia è certo aumentata in rapporto maggiore della popolazione totale. Come faranno i cittadini americani ad ingurgitare il triplo di pane rispetto al 1914, il decuplo forse rispetto al 1848? Per non crepare, avrebbero il consiglio di mangiare delle «brioches»! Ad un certo momento non si venderà, da un lato, una libbra più di pane, l’operaio dall’altro sarà licenziato e non ne potrà comprare nemmeno una libbra. Ecco scheletricamente perché verrà ancora il venerdì nero, sempre più nero.

11. Una soluzione è l’ingozzare di pane i popoli che finora hanno mangiato miglio, riso o banane (hanno forse torto i Mau-Mau?). E per far questo si comincia dal cannoneggiare chi impedisce lo sbarco e poi chi vendeva miglio, riso e banane. Ecco l’imperialismo. Se calza come un guanto la teoria marxista delle crisi e della catastrofe, non calza meno quella dell’imperialismo e della guerra, e i dati che stanno a base dell’Imperialismo di Lenin ricavati nel 1915 sono oggi offerti dalla statistica americana con virulenza decuplicata.
La statistica tra l’altro confronta il tenore di vita in America e negli altri paesi che le fanno corteggio; prima gli alleati poi i nemici. Se una libbra di farina vale 4 di quei sei minuti del pane in America, arriva a 27 in Russia, dice la statistica americana. Dica anche meno quella russa, è certo che, nella zona oriente, le leggi della produttività crescente, della composizione del capitale e della discesa del tasso ne hanno ancora di strada da fare, con gran confusione di chi legge a rovescio condizioni e distanze rivoluzionarie.
Piazzato dove si voglia il primo pezzo di artiglieria e lanciato il primo V2, magari dalla Luna, è certo che si deve colpire al centro il sistema americano per applicargli robustamente la vicenda del freno al consumo e alla produzione follemente crescenti, insegnando che è ben vero che «non de solo pane vivit homo», ma che se quest’uomo si ammannisce in sei minuti il pane della giornata, quando lavora più di due ore non è uomo, ma fesso.

12. Perché manchi il partito comunista con programma integrale e rivoluzionario in America, sebbene il programma sia così «attuale» e la maturità delle condizioni tanto spinta, da significare disfacimento in potenza, è grande problema storico che si imposta alla scala mondiale.
La terza ondata opportunista che ha schiantato il movimento marxista del primo dopoguerra immediato ha tre aspetti: riduzione a capitalista della forma di produzione sviluppantesi in Russia – abbandono delle rivendicazioni comuniste da parte dello Stato politico russo – politica di alleanze militari di questo e di alleanze politiche dei paralleli partiti in Occidente, su rivendicazioni di natura borghese e democratica.
Il brusco passaggio dalla apologia del regime capitalista americano come amico e salvatore del proletariato mondiale alla denunzia di esso come nemico della classe lavoratrice, quasi lo fosse divenuto solo nel 1946, non poteva che ulteriormente sabotare la preparazione rivoluzionaria del proletariato in America, e frapporre remore storiche allo sviluppo colà di un vero partito di classe.
Non è possibile risalire questa situazione che sotto tutti gli aspetti: dimostrazione che in Russia non vi è costruzione di socialismo; che lo Stato russo se combatterà non sarà per il socialismo ma per rivalità imperiali; dimostrazione soprattutto che in Occidente le finalità democratiche popolari e progressive non solo non interessano la classe lavoratrice ma valgono a tenere in piedi un capitalismo marcio.

13. In questa lunga opera di ricostruzione che deve mettersi al passo con l’avanzare della crisi della forma di produzione occidentale ed americana, alla quale sono date tutte le condizioni obiettive determinanti con una distanza che qualunque diversivo di politica interna e mondiale non potrà aumentare al di là di qualche decennio, non si deve seguire il miraggio che nuovi espedienti o schieramenti di pochi pretesi studiosi della storia possano valere più delle storiche conferme già date dagli eventi alla originale costruzione marxista rettamente intesa e seguita. Le condizioni di ideologia di coscienza e di volontà non sono un problema diverso e regolato da influssi diversi dalle condizioni di fatto di interessi e di forze.
Il partito comunista difende la situazione futura di un ridotto tempo di lavoro a fini utili alla vita, e lavora in funzione di quel risultato dell’avvenire, facendo leva su tutti gli sviluppi reali. Quella conquista che sembra miseramente espressa in ore, e ridotta a un conteggio materiale, rappresenta una gigantesca vittoria, la massima possibile, rispetto alla necessità che tutti ci schiavizza e trascina. Anche allora, soppresso il capitalismo e le classi, la specie umana soggiacerà alla necessità data dalle forze naturali e resterà un vaneggiamento l’assoluto filosofico della libertà.
Chi addirittura nel vortice del mondo di oggi, anziché trovare il filone della corrente, di questa impersonale nozione di condizioni future, in un lavoro durato intiere generazioni, voglia far stare nuove ricette sollecitatrici nell’ambito della sua povera testa, e detti formule nuove, va tenuto a deteriore rispetto ai più dannati conformisti e servitori del sistema del capitale, e ai sacerdoti della sua eternità.

«Sul Filo del Tempo», Partito Comunista Internazionalista maggio del 1953.

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