Le vestigia del primissimo comunismo (Dottrina dei modi di produzione – 1955)

Fine della società non è la produzione, ma l’Uomo

«Grundrisse», pag. 387. Elogio della società classica greco-romana.
«
Presso gli antichi, noi non troviamo mai uno studio che ricerchi quale forma di Proprietà fondiaria, o altro ordinamento, sia più produttiva, o crei le maggiori Ricchezze. In quella Società la Ricchezza non appare come scopo della produzione, anche se Catone ha potuto ricercare quale coltura del suolo sia la più vantaggiosa, o Bruto abbia potuto prestare il suo danaro per l’interesse più alto. Lo Studio si porta invece sul modo di Proprietà che produce i migliori cittadini dello Stato. La Ricchezza non appare come fine a se stessa, se non presso alcuni popoli mercanti, monopolisti del commercio di trasporto che vivevano nei porti del mondo antico come gli Ebrei nella società medievale. Oggi la Ricchezza da un lato è Oggetto, è oggettivata in cose materiali, in prodotti ai quali l’uomo resta contrapposto come Soggetto, dall’altro lato essa, come valore, non è altro che imperio sul lavoro altrui, non allo scopo della dominazione sulla natura, ma solo del consumo privato, personale di taluni uomini. Nel tempo attuale la Ricchezza, sia essa Oggetto, o rapporto per l’intermediario degli Oggetti, prende sempre la configurazione di qualche cosa che si trova al di fuori dell’individuo umano, e solo per caso a fianco di dati individui».

«Pertanto l’antica concezione in cui l’uomo, per limitato che ancora egli sia nelle sue determinazioni nazionali, religiose e politiche, è lo scopo della produzione, appare molto più elevata che quella del mondo moderno, in cui la produzione è lo scopo dell’uomo, e la Ricchezza lo scopo della Produzione».

A questo punto dobbiamo con una nostra pallida parentesi rendere leggibile il difficile passo. Dichiarata la sovrastruttura ideologica sociale del mondo classico, malgrado le sue limitatezze (come l’estensione al cittadino libero lasciando fuori lo schiavo), più elevata di quella del moderno mondo borghese, malgrado ogni sua superiorità scientifico-tecnologico-economica, Marx passa, con un volo del concetto, a contrapporre al capitalismo non più l’antichità romana, ma la «nostra» società comunista.
«
Ma in effetti, una volta che sia disfatta la limitata [a sua volta] forma borghese, che mai sarà più la ricchezza, se non la universalità dei bisogni, delle capacità, delle gioie, delle forze produttive, ecc., degli uomini, che sarà prodotta nelle loro relazioni universali? Se non il pieno sviluppo del controllo dell’uomo sulle forze naturali, tanto su quelle della cosiddetta natura esterna, che su quella della sua propria natura? Se non la totale manifestazione delle attitudini creatrici degli uomini sviluppata nella loro attività, senza alcun altro presupposto che lo sviluppo storico precedente, che rende fine a se stessa questa totalità dello sviluppo, ossia lo svolgimento di tutte le forze umane in quanto tali, e non misurate secondo una unità di misura data in anticipo in cui esso sviluppo non si riproduce secondo una determinazione data, ma produce la sua totalità? Non tende a restare nella forma di qualche cosa di giàdivenuto , ma consiste nel movimento totale del divenire?» Nella economia borghese, e nell’epoca della produzione che ad essa corrisponde, la espressione totale dell’attività dell’interno umano appare invece come completa alienazione, e il capovolgimento di tutti gli scopi determinati unilateralmente appare come sacrificio dello scopo in sé di uno scopo del tutto esteriore . È per ciò che l’ingenuo mondo antico, da una parte, appare più elevato. D’altra parte esso presenta questa superiorità dovunque si consideri una forma, una figura, chiuse e una determinata limitazione. Esso è soddisfazione, da un punto di vista limitato».

«Laddove il mondo moderno lascia insoddisfatti; e quando appare di se stesso soddisfatto, allora esso è triviale!».

Passi la nascente civiltà borghese, perché ha il suo posto nella totalità dello sviluppo, ma porti con sé dalla culla l’epigrafe tombale che la nostra dottrina le incide, in segni indelebili.

2 – Le suggestive lezioni della grande storia della razza cinese

Scenario per 4 millenni

Il palcoscenico immenso su cui vedremo in buona sostanza agire uno stesso attore – considerato dal punto di vista etnografico, nazionale, perfino statale, e della tradizione per millenni di sistemi di lingua, scrittura, e, con parola generica, di costume e «civiltà» – questo palcoscenico geografico ha la vastità, e oggi contiene la stessa popolazione, dell’Europa intera, con i suoi innumeri e mutevoli popoli, Stati e «culture»: in cifre brute dieci milioni di chilometri quadrati e seicento milioni di uomini; un quindicesimo delle terre emerse del pianeta, un decimo di quelle effettivamente abitabili, più di un quinto della umanità tutta.

La forma del territorio storico dei cinesi è ben diversa da quella accidentata ed articolata della capricciosa Europa; per stare ad una descrizione che al solito non ha pretese scegliamo quella di una enorme pagnotta ben rigonfia. Il lato destro del ventre, che ha la curva dell’addome di una favolosa genitrice feconda, e meglio il suo lato inferiore e quello destro, per chi guarda una carta geografica col classico orientamento, sono bagnati nel mare ravvivatore, non proprio nel minaccioso Oceano Pacifico ma in una provvida ricca serie di mediterranei oltre i quali una catena di terre tormentate, dalla Indonesia al Giappone, fa sì che i venti ciclonici arrivino sulla grande pianura cinese ancora caldi ma non più devastatori.

Dai lati opposti di Ovest e di Nord il pianeggiante paese centrale è cinto da terre continentali più alte, montuose fino alle vette dell’Himalaya e ovunque accidentate e in parte desertiche, tracciato naturale di una barriera di protezione non solo dai venti freddi ma anche dalle altre comunità umane che di continuo vi si affacceranno.

La grande bassura oggi coltivata, e popolatissima di frequenti e vaste città di millenaria origine era, prima dell’uomo, alla evidenza, un immenso mare interno, che fu riempito dalle deiezioni del massiccio centrale asiatico eroso da meteore e cataclismi tellurici. Persistono oggi sulla carta geografica gli autori principali della trasformazione livellatrice dei rilievi terrestri, i due grandi fiumi, più sotto l’Azzurro, Yang-tze kiang, più a Settentrione il Giallo, Hoang-ho, dal colore delle loro acque. Quelle del primo, che lascia subito i monti dell’Ovest indiano e corre tra le create pianure, sono limpide per migliaia di miglia del corso medio e inferiore; quelle del secondo, che anche parte da Occidente dallo stesso grembo montuoso, e tende al mare ad Oriente, sono più torbide (come per il flavus biondo Tevere dei romani, altro letto di civiltà storiche), anche perché il fiume con una enorme ansa rettangolare va a radere la base delle montagne della impervia Mongolia, per poi ritornare nella piana cinese e raggiungere il chiuso Mar Giallo, mentre mille chilometri più sotto con percorso circa parallelo il Fiume Azzurro si getta nel più aperto Mar della Cina.

I fiumi a grande bacino, e specie quelli che si gettano nei mediterranei (Po, Tevere, Arno, Nilo, Tigri ed Eufrate, Mississippi, ecc.) prima meccanicamente fabbricano pianure fertili, poi dense umanità e «civiltà storiche», in cui le esigenze e difficoltà di vita produttiva forzano la specie uomo alla conquista di mezzi attrezzati che giungono a regolare i fiumi e ne utilizzano la funzione fecondatrice arginando gli effetti di devastazione e impaludamento della terra coltivabile. La storia della razza cinese, che si ritiene autoctona, e non discesa dalle regioni montagnose ed aride ad occupare la pianura pingue, sta nel trattamento dei due immensi fiumi che mille volte distrussero, nelle loro ire, masse incalcolabili di forze produttive e di vivente umanità, compensate dopo dall’apporto di chimismo intensissimo delle melme, trasportate dalla erosione delle terre alte e lasciate sui piani dalle acque in ritiro. Il popolo cinese é stato tra i primi, anzi possiamo dire il primo, a lasciare tradizione organizzata e quindi scritta, e gli stessi suoi miti originali nella loro eloquenza rivelano ancora oggi l’opera immensa di milioni di piccoli uomini che seppero con la loro azione indiscutibilmente associata su immense estensioni, bonificare gli acquitrini, mettere i fiumi a regime, portare a livelli alti la coltura delle terre salvate e bonificate, e l’uso delle vie navigabili fino al mare.

Le forme sociali preistoriche

I testi storici cinesi ed anche la loro interpretazione da parte degli storici europei ci fanno arrivare molto indietro nel presentare il corso degli eventi come serie di «dinastie» che si susseguivano e di lotte giganti condotte da esse per spartirsi il territorio e a grandi ondate per riunificarlo e per riconquistarlo dopo le incessanti invasioni da parte di popoli ed eserciti di altra razza. Anche nella storia di altri popoli è difficile risalire da queste serie di nomi eretti a simboli alle funzioni delle masse e alla organizzazione della società primitiva. È da notare che mentre per Roma la serie parte dal 753 avanti Cristo, si può cominciare una serie di dinastie cinesi, non più leggendaria certo di Romolo e Numa Pompilio, dal 2697 al 2205, mentre dal 2205 al 222 si succedono «tre dinastie» Haia, Sciang, e Chou, del tutto storiche.

Non possiamo seguire questa via di esposizione, ma vogliamo solo stabilire che, per antichi che siano i tempi, non è stata quella monarchica la prima forma di organizzazione sociale della razza cinese.

Ai re ed imperatori della prima dinastia mitica gli antichissimi testi attribuiscono la «invenzione» della semina dei terreni, della loro aratura, e quindi della produzione agraria stabile e coltivata, della arginatura dei fiumi e quindi della bonificazione idraulica, e così via.

Che cosa ci dicono questi primi cenni della storia convenzionale sulla preistoria della società cinese? Quali forme sociali vi si devono ravvisare?

Evidentemente la monarchia ereditaria è una forma già sviluppata e tardiva, e non è con essa che si è iniziata la organizzazione stabile sul territorio, particolarmente favorevole, delle comunità primitive. Il nome dei monarchi, re, imperatori, e la loro ipotetica discendenza per stirpe familiare non è che la soprastruttura sotto cui epoche posteriori presentarono le tradizioni di forma più antiche in cui successivamente la capacità produttiva e tecnologica dei primi uomini si andò sviluppando.

Il primo problema in ordine cronologico è quello del fissarsi dei gruppi umani vaganti e nomadi come i branchi animali in sedi stabili, e l’antichità delle serie dinastiche convenzionali esprime con sicurezza il fatto che in tutta l’Asia e quindi probabilmente in tutto il mondo, almeno per quanto si parli di razze e civiltà non scomparse quasi senza traccia, le valli del fiume Azzurro e del fiume Giallo sono state le prime ad ospitare organizzazioni a sede fissa per lungo tempo, precedendo anche la valle dei fiumi mesopotamici e quella del Nilo, del Giordano, e così via.

La prima forma di aggregazione umana che si riproduce con una certa continuità e sicurezza, difendendosi dalle avversità di ambiente che tendono a disperderla ed estinguerla, è l’orda vagante, che reca con sé nello spostarsi di sede in sede le madri, i piccoli e tutto il suo limitatissimo arredamento. I mezzi di sussistenza in questa forma sono elementari: la caccia soprattutto, e la pesca, e la raccolta di frutti spontanei della vegetazione, che nell’assenza di ogni coltivazione delle piante rapidamente si esaurisce anche in cicli più brevi dello stagionale, così come la fauna terrestre e la pescagione fluviale o lacustre, spiegando l’imperio della necessità che il gruppo umano levi le tende e si sposti in zona vergine e non sfruttata con grande frequenza. Lo stesso porre a riserva prodotti vegetali ed animali è funzione successiva ad un minimo di ancoramento al suolo, come anche una fase relativamente evoluta è, con la cattura ed assoggettamento dei primi animali domestici, la scoperta dei carriaggi nei quali si possono trasportare non solo i membri deboli dell’orda, ma una certa scorta non solo di attrezzi ma anche di provviste alimentari conservate con metodi rudimentali. Il gregge è poi la vera scorta di viveri dell’orda nomade.

La distinzione che può farsi tra la pingue piana cinese e la circostante Asia, che presto sarà chiamata dal popolo più evoluto sede dei «barbari» con la parola che usarono anche semiti, egizi, greci e romani secoli e secoli più tardi, è che nella prima vi erano le tribù fisse che avevano appreso a coltivare il suolo, e nella seconda si prolungherà per millenni il vagare di orde incapaci di fissarsi e che ben presto si spostano non solo per trovare un più utile ambiente naturale, ma per tentare la preda di quanto le popolazioni fisse hanno nelle loro sedi di campagne e città accumulato di approvvigionamenti ed attrezzature pronti al consumo del conquistatore. Questo è già divenuto da cacciatore di animali anche cacciatore di uomini di altre tribù nomadi e fisse, e guerriero, con una adatta organizzazione e allenamento – mentre il popolo fisso ha dovuto anche organizzare in forme storiche successivamente diverse la protezione armata della sua stabilità nella sede di residenza e di lavoro.

Sembra stabilito che nella preistoria il centro montuoso dell’Asia non fosse così desertico ed arido come nel tempo storico, e che comunicazioni si siano stabilite tra le lontanissime nazioni a sede territoriale continua dell’estremo oriente cinese e quelle delle rive del Mediterraneo. Nei due ultimi millenni invece le orde instabili e guerriere del deserto centrale hanno alternato le loro travolgenti invasioni a carico dei popoli organizzati ed evoluti della Cina e dell’Occidente europeo.

Le vestigia del primissimo comunismo

Come avvicendarsi di maree umane e di guerre la storia ufficiale della Cina ondeggia tra invasioni e liberazioni, tra spartizioni e riunificazioni, il che non basta a riscriverla come successione di modi di produzione; ciò si vede tentato ma scarsamente adempiuto dai presenti «marxisti» cinesi, ai quali non va fatto gran torto se mentre essi apprendevano dagli europei la grande dottrina, tanto diversa da quella ai cinesi toccata come sovrastruttura delle loro forme storiche millenarie, gli europei stessi hanno quella dottrina travisata e distorta totalmente.

Nella concezione marxista (basti qui ricordare con brevità necessaria), la immensa Asia è la madre della forma del comunismo primitivo, di cui le ultime tracce, specie nell’India ben più che nella Cina, si sono potute fino ad oggi constatare, sia pure sotto il peso di successive e ben complesse forme di classe. Nel comunismo primitivo il soggetto è il clan, la tribù autosufficiente e autoriproducentesi. Vi può essere la forma comunista nel caso della tribù nomade o dell’orda, ed allora i prodotti della caccia e della pesca ed il gregge allevato sono comuni sia per l’attività che richiedono sia per il consumo. Quando sarà il caso di commentare tutta la teoria di Marx sull’ordine della grande serie, una osservazione notevole sarà che la prima proprietà individuale-familiare che appare presso i nomadi Sciti è quella del carro trainato, abitazione semovente di quella prima popolazione. In questo senso la proprietà della casa è più antica di quella della terra agraria, e forse se ne può cercare altro esempio nella «civiltà» delle terremare, o abitazioni su palafitte (che pensiamo abbiano dovuto fare la loro apparizione in Cina, sebbene il dato ci manchi) di popoli che si sono stabilizzati su una terra tuttavia acquitrinosa e per lunga parte del ciclo stagionale coperta da metri di acqua. Comunque è teorema del marxismo che la proprietà personale sia dell’abitazione che della terra agraria è un risultato della evoluzione storica già matura tecnologicamente e quindi non è un fatto e dato naturale originale.

Presso la forma stabile tribale la unità non è l’Orda che viaggia unita, ma il villaggio costituito da un gruppo di abitazioni circondato da un territorio disboscato e dissodato sufficiente al consumo della comunità di villaggio, terra non spartita tra persone e famiglie, ma lavorata in comune, con comune immagazzinamento e consumo di tutti i prodotti. La regolamentazione di fiumi di grande portata e lunghezza fa pensare ad una organizzazione che riunisce molti villaggi condotti in una forma più complessa a collaborare per la conservazione delle fonti di vita a tutti necessarie, e qui la tradizione ci comincerà a narrare delle forme signorili e monarchiche.

Possiamo pensare ad un territorio tanto vasto rispetto alla prima rada popolazione umana che le orde nomadi possano, anche incrociandosi nei loro viaggi, non ancora combattersi per il controllo temporaneo di una zona particolarmente appetibile – e che i villaggi stabili possano collaborare spontaneamente senza dispute per i limiti dei territori da ciascuno messi a coltura.

Occupandoci di un popolo umano ben stabilizzato, la forma di produzione all’interno del villaggio rurale con la evoluzione perde l’aspetto comunista integrale per una prima via che non è ancora («Grundrisse» di Marx) quella di una divisione sociale in classi. La terra viene assegnata con una spartizione prima periodica, poi dopo lunga evoluzione fissa, ai membri attivi della tribù, che applicano al proprio lotto il lavoro proprio e dei familiari diretti, e con essi godono il raccolto. In questa seconda forma l’uomo lavoratore non è separato dagli strumenti di produzione, come avverrà nel mondo moderno. Terra ed animali, sementi, concimi ed utensili sono ancora un «prolungamento» della persona dell’uomo, sia pure non col nobile meccanismo della prima tribù, in cui non essendo ancora individualizzata nemmeno la consanguineità familiare, tutto l’uomo-tribù – remoto esempio originario dell’uomo-società di domani – ha come suo prolungamento materiale e sociale tutta la terra e tutti gli strumenti e greggi di cui il villaggio è proprietario – mentre in forme successive ne darà poi un temporaneo possesso di fatto ai suoi componenti.

La nascita della forma della proprietà individuale libera, in cui il lavoratore della terra non è soggetto né schiavo né servo, ha certo avuto nella storia della Cina una fondamentale importanza, ma tutte le forme di oppressione e di sfruttamento hanno sempre e fino ad oggi tormentata questa forma gracile e da ogni parte vessata.

In Asia prima che il villaggio smembri la sua comunanza sulla terra in lottizzazioni personali, che siano comparabili alla proprietà quiritaria dei romani, formata e tutelata fin nell’ultimo cittadino da una potente organizzazione statale ovunque presente, sorge una nuova forma caratteristica dell’India: ossia un grande capo territoriale o signore, che dispone di una forza armata, obbliga i villaggi agrari, che hanno già nel loro seno quanto loro basta di produzione artigiana diffusa, a farsi suoi tributari di prodotti prima, e molto più oltre di danaro e valori preziosi. Si forma così un sistema di staterelli principeschi che ogni tanto un capo più potente, e meglio armatosi col godimento dei tributi dei soggetti, sottopone ed associa in regni estesi.

Questa forma asiatica tipica differisce dalla schiavitù delle società classiche, come differisce dalla servitù feudale del Medioevo Europeo, ma si sviluppa largamente in aspetti schiavistici ed aspetti feudalistici.

Le grandi imprese statali dei potentati asiatici, sia come utili opere pubbliche che come grandi monumenti delle città capitali, sono realizzate da masse di prigionieri di guerra condotti a lavori forzati e quindi schiavizzati. In queste società non vi sono ormai più uomini liberi, e la forma comune del villaggio agrario tributario al signorotto o allo Stato fa sì che il contadino non sia libero, m servo.

Non è cosa agevole seguire per la Cina la lunga osmosi di tutte queste forme, né leggerne la comparsa e la scomparsa nelle storie convenzionali. Ma è stato necessario, prima di passare al canovaccio storico bruto, anticiparne, rispetto a trattazioni più estese della analisi marxista di tutti i rapporti, una preliminare presentazione.

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